giovedì 8 ottobre 2015
VARIE 15/734
1.A CRAJE A CRAJE COMME Â CURNACCHIA.
Letteralmente: a crai, a crai come una cornacchia. La locuzione, che si usa per commentare amaramente il comportamento dell'infingardo che tende a procrastinare sine die la propria opera, gioca sulla omofonia tra il verso della cornacchia e la parola latina cras che in napoletano suona craje e che significa: domani, giorno a cui suole rimandare il proprio operato chi non à seria intenzione di lavorare .
CRAJE = domani avv. di tempo derivato dal latino cras; Cosí a Napoli si suole rispondere a chi faccia le viste di voler rimandare ad un non meglio precisato domani (craje←cras) i suoi obblighi ed i suoi adempimenti, laddove sarebbe tenuto ad un rapido adempimento di quanto dovuto. A chi, interrogato sul quando avrebbe intenzione di tener fede al promesso, dovesse rispondere con un latineggiante: “Cras, cras” nel chiaro intento di procrastinare sine die il suo obbligo, gli si può opporre la locuzione in epigrafe per indurlo a tener fede al suo dovere.
Trovandomi a dire di cras, continuo a parlare di tempo ricordando che una volta in napoletano oggi si disse con derivazione dal lat. hodie, OJE; epperò taluni sprovveduti scrittori partenopei usarono impropriamente questo termine oje al posto del vocativo oj (ehi!); per la verità il termine oje è un termine ormai in disuso e viene usato il piú italianizzato ogge, ma un tempo era usatissimo come usati erano i termini che seguono tutti oggi desueti, abbandonati e non sostituiti o sostituiti usando i termini dell’italiano pronunciati sciattamente per conferir loro una qualche veste di napoletanità, ma falsa come e piú di Giuda
craje = domani dal lat. cras; oggi indegnamente si usa un raffazzonato dimane che scimmiotta l’italiano domani;
PISCRAJE= dopodomani dal latino biscras; oggi invece si usa un raffazzonato doppodimane che scimmiotta l’italiano dopodomani
PESCRILLE/ PESCRIGNO = tra tre giorni;oggi si usa : ‘nfra tre gghiuorne; pescrillo è dal latino post tres ille=dopo tre di quei(giorni);pescrigno = tra tre giorni o meglio: dopo quel domani piú lontano da un acc. lat. volg. post crineu(m)←cras+ineu(m) questo ineu(m) fu un suffisso di valore diminutivo con riferimento a tempo piú lontano;
PESCRUOZZO=tra quattro giorni da un acc. lat. volg. post croceu(m)←cras+oceu(m) questo oceu(m) fu un suffisso di valore diminutivo con riferimento a tempo molto lontano; oggi: ‘nfra quatte juorne
JESTERZA = l’altro ieri per l’etimo occorre partire dalla base dell’aggettivo latino “hesternus” (= giorno di ieri, della vigilia) , che mostra un suffisso “-nus” frequente nella formazione dei temi nominali, per modo che facilmente si è potuto forgiare un composto aggettivale femminile hester-tertia dies che –soggetto poi ad aplologia(caduta sillabica per similitudine totale o parziale rispetto alla sillaba vicina: cfr. ad es.qualche cosa→qualcosa; mineralo-logia → mineralogia,cavalli leggeri→ cavalleggeri
ecc. Nel lemma in esame, caduto un “-ter-” per la stretta contiguità di “-ster- si è sfociati in hestertia→jesterza = “il terzo giorno a ritroso” rispetto a quello di partenza, fondamentale per il conteggio della distanza temporale da ricavare arretrando: “ieri l’altro”, cioè “il terzo giorno (non “da ieri”), ma di ieri…; oggi si usa in luogo di jesterza il raffazzonato ll’autrjere che scimmiotta l’italiano l’altro ieri.
Oggi purtroppo,come ò anticipato si usano nell’imbastardito, imbarbarito napoletano corrente termini italianizzati come ogge invece di oje, dimane invece di craje, doppodimane,e cosí via e non facendo piú progetti a lunga scadenza, non parliamo proprio del terzo giorno antecedente né del terzo giorno dopo, né ovviamente del quarto giorno dopo! Che tristezza! Povero napoletano!
comme= come, allo stesso modo, alla medesima maniera avv. modale e preposizione impropria dal latino quo-mo abbreviazione di quo-modo; normale, come popolare il raddoppiamento espressivo della consonante nasale bilabiale m; quanto alla prep. art. â che segue comme cfr. alibi;
curnacchia = cornacchia: grosso uccello simile al corvo, ma con becco più grosso e incurvato all’estremità; sost. femm. derivato dal lat. volg. *cornacula(m), per il class. cornicula(m), dim. di cornix -icis 'cornacchia'.
2.ESSERE ALL'ABBLATIVO.
Letteralmente: essere all'ablativo. Id est: essere alla fine, alla conclusione e, per traslato, trovarsi nella condizione di non poter porre riparo a nulla. Come facilmente si intuisce l'ablativo della locuzione è appunto l'ultimo caso delle declinazioni latine.
3. ESSERE MURO E MMURO CU 'A VICARIA.
Letteralmente: essere adiacente alle mura della Vicaria. Id est: essere prossimo a finire sotto i rigori della legge per pregressi reati che stanno per esser scoperti. La Vicaria della locuzione era la suprema corte di giustizia operante in Napoli dal 1550 ed era insediata in CastelCapuano assieme alle carceri viceregnali. Chi finiva davanti alla corte della Vicaria e veniva condannato, era subito allocato nelle carceri ivi esistenti o in quelle vicinissime di San Francesco.
4. CU 'O TIEMPO E C 'A PAGLIA...
Letteralmente: col tempo e la paglia (maturano le nespole). La frase, pronunciata anche non interamente, ma solo con le parole in epigrafe vuole ammonire colui cui viene rivolta a portare pazienza, a non precorrere i tempi, perché i risultati sperati si otterranno solo attendendo un congruo lasso di tempo, come avviene per le nespole d'inverno o coronate che vengono raccolte dagli alberi quando la maturazione non è completa e viene portata a compimento stendendo le nespole raccolte su di un letto di paglia in locali aerati e attendendo con pazienza: l'attesa porta però frutti dolcissimi e saporiti.
5. SÎ ARRIVATO Â MONACA ‘E LIGNAMMO.
Letteralmente: sei giunto presso la monaca di legno. Id est: sei prossimo alla pazzia. Anticamente la frase in epigrafe veniva rivolta a coloro che davano segni di pazzia o davano ripetutamente in escandescenze. La monaca di legno dell’epigrafe altro non era che una statua lignea raffigurante una suora nell’atto di elemosinare . Detta statua era situata sulla soglia del monastero delle Pentite presso l’Ospedale Incurabili di Napoli, ospedale dove fin dal 1600 si curavano le malattie mentali. Rammento che dell’esistenza di tale mastuggiorgio ←mastro Giorgio (medico o infermiere presso l’ospedale degli Incurabili dove venivano curati anche gli affetti da malattie nervose) si fa menzione oltre che in un canto popolare di fine ‘600 che à i ss. versi: Comme te voglio amà, ca sî ‘na pazza? /Nun tiene ‘na parola de fermezza… /Vatténne a ‘nNincuràbbele pe pazza, / lla ce sta Mastu Giorgio ca t’addrizza! Anche in alcuni versi di Biaso Valentino ? - † fine 1600 ca (di professione scrivano e mediocre poeta, a credere al Galiani) che scrisse: Deh, mastro Giorgio mio, dotto e saputo, /che tanta cape tuoste aje addomate, /si nun te muove a darce quarch’aiuto, nuje simmo tutte quante arrovenate.
6.STAMMO ALL'EVERA.
Letteralmente: stiamo all'erba. Id est: siamo in miseria, siamo alla fine, non c'è più niente da fare. L'erba della locuzione con l'erba propriamente detta c'entra solo per il colore; in effetti la locuzione, anche se in maniera più estensiva, richiama quasi il toscano: siamo al verde dove il verde era il colore con cui erano tinte alla base le candele usate nei pubblici incanti: quando, consumandosi, la candela giungeva al verde, significava che s'era giunti alla fine dell'asta e occorreva tentare di far qualcosa se si voleva raggiunger lo scopo dell'acquisto del bene messo all'incanto; dopo sarebbe stato troppo tardi.
7. HÊ SCIUPATO ‘NU SANGRADALE.
Letteralmente: Hai sciupato un sangradale. Lo si dice di chi, a furia di folli spese o cattiva gestione dei propri mezzi di fortuna, dilapidi un ingente patrimonio al punto di ridursi alla miseria più cupa ed esser costretti, magari, ad elemosinare per sopravvivere; il sangradale dell'epigrafe è il santo graal la mitica coppa in cui il Signore istituì la santa Eucarestia durante l'ultima cena e nella quale coppa Giuseppe d'Arimatea raccolse il divino sangue sgorgato dal costato di Cristo a seguito del colpo infertogli con la lancia dal centurione sul Golgota. Si tratta probabilmente di una leggenda scaturita dalla fantasia di Chrétien de Troyes (Troyes, 1135 circa – Fiandre, prima del 1190) scrittore e poeta francese medievale, celebre per i suoi romanzi dedicati al ciclo bretone) che la descrisse nel poema Parsifal di ben 9000 versi e che fu ripresa da Wagner nel suo Parsifal dove il cavaliere Galaad, l'unico casto e puro, riesce nell'impresa di impossessarsi del Graal laddove avevan fallito tutti gli altri cavalieri non abbastanza puri.
8 CHI NASCE TUNNO NUN PO’ MURÍ QUATRO.
Letteralmente: chi nasce tondo non può morire quadrato. Id est: è impossibile mutare l'indole di una persona che, nata con un'inclinazione, se la porterà dietro per tutta la vita. La locuzione, usata con rincrescimento osservando l'inutilità degli sforzi compiuti per cercar di correggere le cattive inclinazioni dei ragazzi, in fondo traduce il principio dell'impossibilità della quadratura del cerchio.
9 A CCHI PARLA ARETO, 'O CULO LE RISPONNE.
Letteralmente: a chi parla alle spalle gli risponda il sedere. La locuzione vuole significare che coloro che parlano alle spalle di un individuo, cioè gli sparlatori, gli spettegolatori meritano come risposta del loro vaniloquio una salve di peti.
10. CHELLO CA NUN SE FA NUN SE SA’.
Letteralmente:(solo) ciò che non si fa non si viene a sapere. Id est: La fama diffonde le notizie e le propaga, per cui se si vuole che le cose proprie non si sappiano in giro, occorre non farle, giacché ciò che è fatto prima o poi viene risaputo.
11. 'O PESCE GRUOSSO, MAGNA Ô PICCERILLO.
Letteralmente: il pesce grande mangia il piccolo. Id est piú generalmente: il potente divora il debole per cui se ne deduce che è lotta impari destinata sempre all'insuccesso quella combattuta da un piccolo contro un grande.
12. 'O PUORCO SE 'NGRASSA PE NE FÀ SACICCE.
Letteralmente: il maiale è ingrassato per farne salsicce. La locuzione vuole amaramente significare che dalla disincantata osservazione della realtà si deduce che nessuno fa del bene disinterassatamente; anzi chiunque fa del bene ad un altro mira certamente al proprio tornaconto che gliene deriverà, come - nel caso in epigrafe - il maiale non deve pensare che lo si lasci ingrassare per fargli del bene, perchè il fine perseguito da colui che l'alleva è quello di procurarsi il proprio tornaconto sotto specie di salsicce.
13. JÍ METTENNO 'A FUNE 'E NOTTE.
Letteralmente: Andar tendendo la fune di notte. Lo si dice sarcasticamente nei confronti specialmente dei bottegai che lievitano proditoriamente i prezzi delle loro mercanzie, ma anche nei confronti di tutti coloro che vendono a caro prezzo la loro opera. La locuzione usata nei confronti di costoro - bottegai e salariati - li equipara quasi a quei masnadieri che nottetempo erano soliti tendere lungo le strade avvolte nel buio, una fune nella quale incespicavano passanti e carrozze, che stramazzando a terra diventavano facilmente così oggetto di rapina da parte dei masnadieri.
14. SE SO' RRUTTE 'E TIEMPE, BAGNAJUÓ.
Letteralmente: Bagnino, si sono guastati i tempi(per cui non avrai piú clienti bagnanti ed i tuoi guadagni precipiteranno di colpo). La locuzione è usata quando si intenda sottolineare che una situazione sta mutando in peggio e si appropinquano relative conseguenze negative.
15. PARLA SURTANTO QUANNO PISCIA ‘A GALLINA!
Letteralmente: parla solo quando orina la gallina! Cosí, icasticamente ed in maniera perentoria, si suole imporre il silenzio a chi parli inopportunamente o fuori luogo o insista a profferire insulsaggini, magari gratuite cattiverie o ad esprimere giudizi e/o pareri non richiesti.
Si sa che la gallina espleta le sue funzioni fisiologiche, non in maniera autonoma e separata, ma in un unicum, per modo che si potrebbe quasi pensare che, non avendo un organo deputato esclusivamente alla bisogna, la gallina non orini mai, di talché colui cui viene rivolto l'invito in epigrafe pare che sia invitato a tacere sempre.
16. PUOZZE PASSÀ P''A LOGGIA.
Letteralmente: Possa passare per la Loggia (di Genova). È come a dire: Possa tu morire. A Napoli per la zona della Loggia di Genova,situata nelle adacienze dell’attuale via Nuova Marina, infatti, temporibus illis, transitavano tutti i cortei funebri provenienti dal centro storico e diretti al Camposanto.
17. CORE CUNTENTO Â LOGGIA.
Letteralmente: Cuor contento alla Loggia. Cosí il popolo suole apostrofare ogni persona propensa, anche ingiustificatamente, ad atteggiamenti giocosi ed allegri, rammentando con la locuzione il soprannome dato, per la sua perenne allegria, alla fine dell'Ottocento, ad un celebre facchino della Loggia di Genova che era una sorta di territorio franco concesso dalla città di Napoli alla Repubblica marinara di Genova, dove i genovesi svolgevano i loro commerci, autoamministrandosi.
18. CESSO A VVIENTO!
Letteralmente: gabinetto aperto. Offesa totalizzante e che non ammette replica rivolta a persona spregevole sia fisicamente, ma soprattutto moralmente che viene equiparata a quei vespasiani pubblici di un tempo costruiti in ghisa ed aperti, per consentire un agevole ricambio d'aria, sia in alto che in basso.
19. 'A MALORA 'E CHIAJA.
Letteralmente: la cattiva ora di Chiaja. Cosí a Napoli viene apostrofato chiunque sia ripugnante d'aspetto e di modi. Occorre sapere, per comprendere la locuzione che Chiaja è oggi uno dei quartieri piú eleganti e chic della città, ma un tempo era solo un borgo molto prossimo al mare ed era abitato da popolani e pescatori d'infimo ceto. Orbene, temporibus illis, era invalso l'uso che le popolane abitanti a Chiaja, sul tardo pomeriggio del giorno solevano recarsi nei pressi del mare a rovesciare nel medesimo i contenuti maleolenti dei grossi pitali nei quali la famiglia lasciava i propri esiti fisiologici: quel lasso di tempo in cui si svolgevano queste operazioni era detto 'a malora (la cattiva ora).
20.COMME ‘A METTIMMO NOMME?
Ad litteram: Come la chiamiamo? Che nome le mettiamo?. Id est:Come vogliamo definire questo inqualificabile comportamento che stai tenendo? Come ci dobbiamo regolare per venire a capo di questo tuo agire cosí tanto riprovevole, biasimevole, criticabile? Non è possibile stabilire un punto di contatto con il tuo incredibile contegno che non può definirsi, a cui non si può dare un nome...
21.COMME ‘A VIDE ACCUSSÍ ‘A SCRIVE!
Ad litteram: come la vedi cosí l’annoti. Id est:(Della persona o cosa di cui stiamo trattando non v’è altro da annotare oltre il modo con cui si presenta).Originariamente la locuzione si riferiva alla promessa sposa di cui al momento di scrivere i capitoli del contratto di matrimonio, non si poteva annotare alcuna dote pecuniaria, ma solo l’avvenente illibatezza di cui era palesemente fornita; in seguito la locuzione passò a significare che di qualsiasi cosa si trattasse non bisognava andare oltre ciò che apparisse ad un primo esame.
22.COMME CUCOZZA ‘NTRONA, PASCA NUN VÈNE PE MMO
Ad litteram: Se ci atteniamo al suono della zucca, Pasqua è ancóra lontana. Id est:: se ci atteniamo alle apparenze, le cose non vanno come dovrebbero andare, o come ci auguravamo che andassero. Un curato di campagna aveva predisposto una vuota zucca per raccogliere le elemosine dei fedeli, divisando con il ricavato di celebrare solennemente la Pasqua; però il suo malfido sagrestano, nottetempo sottraeva parte delle elemosine, di modo che quando il curato andò a battere con le nocche sulla zucca per saggiarne il suono e da questo stabilire la congruità delle offerte raccolte, avvertí che la zucca era ancóra troppo vuota e proruppe nell’esclamazione in epigrafe, né è dato sapere se scoprí il ladruncolo
23.COMME ME NN’ESCO?!
Ad litteram: Come me ne esco?!
Id est: Come vengo fuori (da questa situazione cosí tanto complicata in cui mi sono cacciato)? Esiste un modo per risolvere questa faccenda? Espressione usata con rammarico davanti ad accadimenti cosí tanto intricati da mettere in dubbio l’esistenza d’ una possibile soluzione.
24.COMME DDIO CUMANNA.
Ad litteram: Come comanda Iddio. Espressione usata come invito a fare una cosa o a portarla a compimento a regola d’arte, nel modo richiesto dall’ Onnipotente , conformemente ai Suoi dettami; oppure usata come osservazione compiaciuta allorché una faccenda sia stata fatta nel migliore dei modi, agendo secondo i princípi, le massime, le regole, le prescrizioni dell’Altissimo.
25.COMME PAGAZZIO ACCUSSÍ PITTAZZIO!
Ad litteram: Come sarò pagato, cosí dipingerò Id est: la controprestazione è commisurata alla prestazione; un lavoro necessita di un relativo congruo compenso: tanto maggiore sarà questo, tanto migliore sarà quello; la frase in epigrafe, pur nel suo improbabile latino fu riportata su di un’antica albarella detta di san Brunone da F.sco Antonio Saverio Grue (Castelli (Teramo)1686 -†1746), famosissimo artista noto per i suoi vasi di maiolica (usati quali contenitori nelle antiche farmacie conventuali) artista che seppe dare nuovi colori alle decorazioni delle sue ceramiche con storie sacre e profane derivate da modelli dell'arte bolognese e della scuola napoletana contemporanea.
26.COMME PÓGNE ‘O PRUTUSINO...
Ad litteram: Come punge il prezzemolo! Locuzione sarcastica usata per deridere chi estremamente suscettibile, ombroso, irritabile oltre ogni ragionevolezza, si offenda facilmente, anche per cose da nulla. L’ironia si còglie nel fatto che il prezzemolo non punge affatto essendo una pianticella priva di spine e/o aculei.
prutusino s.vo neutro = prezzemolo, famosissima erba aromatica largamente presente nelle minestre della cucina partenopea; la voce prutusino è una lettura metatetica del tardo lat *petrosinu(m) che è dal gr. petrosélinon, comp. di pétra 'roccia, pietra' e sélinon 'sedano'; propr. 'sedano che cresce fra le pietre'.
27.COMME SI ‘O FATTO NUN FÓSSE D’ ‘O SUĴO...
Ad litteram: Come se la cosa non fosse di sua pertinenza Detto di chi, per infingardaggine, per superficialità, ma - spesso - per timore di dover assumersi delle responsabilità, si comporta nei confronti di taluni avvenimenti come se questi non lo riguardassero e se ne lava, pilatescamente, le mani, laddove invece dovrebbe parteciparvi attivamente e consapevolmente, assumendosi – ove del caso – tutte le sue relative responsabilità.
28.FÀ COMME A SSANTA CHIARA:
DOPP' ARRUBBATA CE METTETTENO 'E PPORTE 'E FIERRO.
Letteralmente: far come per santa Chiara; dopo che fu depredata le si apposero porte di ferro. Id est: correre ai ripari quando sia troppo tardi, quando si sia già subíto il danno paventato, alla stessa stregua di ciò che accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista di solide porte di ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i ladri avevano già perpetrato i loro furti a danno della antica chiesa partenopea.
Raffaele Bracale
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