1. LEVARSE ‘E
PÀCCARE ‘A FACCIA.
Ad litteram: togliersi gli schiaffi da faccia; poiché è impossibile fare
materialmente ciò che è affermato nella locuzione,è chiaro ch’essa deve intendersi nel senso figurato di riscattarsi da un’onta subíta, lavarsene,
in una parola: vendicarsi , fieramente ricambiando il male ricevuto.
2. LEVARSE ‘O
SFIZZIO
Ad litteram: togliersi il gusto, nel senso di
raggiungere, conquistandeselo,
l’appagamento di una intensa voglia
di un desiderio a lungo covato e
finalmente raggiunto. il termine sfizzio
(correttamente scritto in napoletano con due zeta) deriva con qualche probabilità
dal latino satis -facio e ne
conserva il sostrato di soddisfazione per raggiunger la quale occorre fare abbastanza.
Non manca però coloro (ed io mi ci accodo) che
propendono non a torto per un’etimologia
greca da un fuxis(evasione) con tipica
prostesi della S intensiva partenopea, atteso che lo sfizio è qualcosa che eccedendo il normale si connota come un’evasione dalla
quotidianeità.
3. LEVÀ ‘O
FFRACETO ‘A MIEZO.
Ad litteram: togliere il fradicio di mezzo. Id est:mondare, far pulizia, dare un taglio netto per
eliminare ciò che è corrotto e
dunque corre il rischio di infettare il
restante; per traslato la locuzione è usata quando in una situazione che corre l’alea di corrompersi, si prende il coraggio a due
mani e si elimina ciò che possa
compromettere il buon esito della situazione e l’eliminazione, magari, è fatta
a proprio danno.
4. LEVÀ ‘A SOTTO
Ad litteram: togliere di sotto; id est: terminare di lavorare, cessare un’attività, smettere
di operare, smobilitare, con riferimento
ad ogni tipo di attività, ma soprattutto a quelle manuali; piú esattamente la locuzione
in epigrafe in origine si riferí a ciò che facevano i carrettieri d’un tempo,
i quali al termine della giornata di
lavoro, liberavano i cavalli dai finimenti e toglievano le bestie di sotto le
stanghe dei carri, e le conducevano, per rigovernarle, nelle stalle.Successivamente, per estensione,
la locuzione venne riferita alla dismissione d’ ogni tipo d’attività.
5. LINDO E PINTO
Ad litteram: pulito e dipinto; modo di dire di diretta provenienza iberica (lindo= vezzoso, pinto=dipinto) con il quale
si suole commentare il mostrarsi e ancor di piú l’incedere oltremodo elegante
di chi, agghindato e ben messo, vada in giro pavoneggiandosi; la locuzione à
però anche un non nascosto sapore di
canzonatura del soggetto che
incedendo lindo e pinto, si mostra
artificioso ed affettato, quando
non addirittura ridicolo.
6. METTERE
LL’ASSISE Ê CETRÓLE nell’espressione VA
METTENNO LL’ASSISE Ê CETRÓLE
Ad litteram: mettere il calmiere ai cetrioli nell’espressione va
ponendo il calmiere sui cetrioli. Icastica
espressione con la quale si stigmatizza il comportamento sciocco di chi dedica il proprio tempo ad attività inutili,
pretestuose ed inconferenti quale quella di
calmierare il prezzo dei cetrioli, ortaggio che sebbene sia di largo
consumo, per solito è a buon mercato e non v’è bisogno che se ne calmieri il
prezzo; per traslato, l’espressione in esame viene riferita ad ogni
attività che si riveli inutile e per ciò
stesso sciocca.
7. MIÉTTELE NOMME PENNA!
Letteralmente vale : Chiamala penna!; Cosí suole, a mo’ di
sfottò, consigliare chi vede
qualcuno prestare un oggetto a
persona che si ritiene non restituirà
mai il prestito, volendo significare: “Ài
prestato l’oggetto a quella tale persona? Ebbene, rasségnati a perderlo; non
rivedrai mai piú il tuo oggetto che,
come una piuma d’uccello è volato via!”
La piuma essendo una cosa leggera fa presto a volar via,
procurando un cattivo affare a chi à incautamente operato un prestito atteso
che spesso sparisce un oggetto prestato
a taluni che per solito non
restituiscono ciò che ànno ottenuto in prestito.
miéttele nomme letteralmente mettigli nome e cioè chiamalo
id est: ritienilo; miéttele= metti a lui, poni+gli voce verbale (2° pers. sing. imperativo)
dell’infinito mettere=disporre,
collocare, porre con etimo dal lat. mittere
'mandare' e successivamente 'porre, mettere'; nomme = nome;
elemento linguistico che indica esseri viventi, oggetti, idee, fatti
o sentimenti; denominazione, con etimo dal lat. nomen e tipico
raddoppiamento espressivo della labiale m come avviene ad es. in ommo←hominem,
ammore←amore(m), cammisa←camisia(m)
etc.
Rammento che un tempo con la voce penna (dal lat. penna(m)
'ala' e pinna(m) 'penna, piuma', confluite in un'unica voce) a
Napoli si indicò, oltre che la piuma d’un uccello, anche una vilissima
moneta (dal valore irrisorio di mezzo e poi un ventesimo di grano. corrispondente a circa 2,1825→02,18
lire italiane) , moneta che veniva spesa facilmente,
senza alcuna remora o pentimento; tale moneta che valeva appena un sol carlino
(nap. carrino) prese il nome di penna dal fatto che su di una faccia di tale
moneta (davanti ) v’era raffigurata l’intiera scena dell’annunciazione a Maria Ss. mentre sul
rovescio v’era raffigurato il
particolare dell’arcangelo con un’ala (penna) dispiegata; ora sia che la penna in epigrafe indichi la piuma d’uccello, sia
indichi la vilissima moneta, la sostanza dell’espressione non cambia,
trattandosi di due cose: piuma o monetina che con facilità posson volar via e/o
perdersi.
8 MAL’ARIA
A BBAJA o piú scorrettamente,
ma piú in uso MAL’ARIA E BBA’.
Mal’aria
a Baja
o
piú scorrettamente Mal’aria
e vai.
Ambedue le espressioni, quantunque la seconda
sia solo una frettolosa corruzione della prima, sono indicative di situazioni
foriere di pessima evoluzione e sono usate proprio per indicare che ci si appressa a
situazioni complicate e non gradevoli;
nella fattispecie delle locuzioni in epigrafe
tra la gente di mare era noto che
se su la città di Baja il cielo fosse tempestoso, di lí a poco anche su
Napoli si sarebbe scatenato il temporale; la seconda espressione in epigrafe,
come ò détto è solo una corruzione della
prima, ma d’uso piú comune nel parlato
della città bassa.
9. MAGNÀ CULO ‘E
GALLINA
Ad litteram: mangiare culo di gallina id
est: essere logorroici, continuamente e fastidiosamente ciarlieri. Il culo della gallina, mosso spasmodicamente
dall’animale, è preso a modello della bocca di chi parla eccessivamente al punto che alla vista di una persona che
parli troppo e che muova perciò in continuazione la bocca, non ci si può
esimere dal chiedersi: à magnato culo ‘e
gallina? (à mangiato culo di gallina?)
10. MANNAGGIA Ô
SURICILLO E PPEZZA ‘NFOSA
Ad litteram: accidenti al topino e (alla) pezza bagnata;Il motto viene
pronunciato a mo’ di imprecazione da
chi voglia evitare di pronunciarne altra piú triviale specialmente davanti a
situazioni negative sí, ma poco
importanti.
Varie le interpretazioni della locuzione in ispecie nei confronti del
topolino fatto oggetto di maledizione
Esamino qui di seguito le varie
interpretazioni e per ultima segnalo la
mia.
1 -
L’illustre amico e scrittore di cose napoletane(avv. Renato De
Falco) reputa che il suricillo in
epigrafe altro non sia che il frustolo d’epitelio secco che si produceva in ispecie sulle
braccia e sulle gambe allorché le si
lavavano soffregandole non con una
spugna, ma con uno straccetto bagnato. È
vero, da ragazzi usavamo dare il nome di suricillo a quei frustoli
d’epitelio divelti con il soffregamento dello straccio madido d’acqua.Ma il
dotto amico De Falco, per far passare per buona la sua idea è costretto a
leggere la e dell’epigrafe non come
congiunzione, ma come aferesi di de e leggere ‘e pezza ‘nfosa pronunciando in maniera scempia la p di pezza,
laddove il proverbio raccolto dalla viva voce della gente suona: mannaggia ‘o
suricillo e ppezza ‘nfosa ed è chiara la geminazione iniziale della p di pezza e il significato di
congiunzione della e.Per cui, a malgrado dell’amicizia e della stima che nutro
per l’avvocato De Falco, non posso addivenire alla sua idea.
2 -(prof. Francesco D’Ascoli) Il vecchio
professore (parce sepulto!) , sbrigò la
faccenda, ravvisando nel suricillo i
pezzetti di panno che si staccavano assumendo la forma del musculus, dallo
straccio per lavare a terra;l’idea non è percorribile stante anche per D’Ascoli
la medesima lettura impropria della locuzione che ne fa il de Falco leggendo la E come aferesi di de e non come
congiunzione.
3 - (dr. Sergio Zazzera) L’ottimo dr. Zazzera
si lava le mani e propone un improbabile sorcio alle prese con un orcio di olio
dal quale sia saltato via un non meglio identificato stoppaccio che non si
comprende perché sia umido.
A questo punto reputo che potrebbe
essere piú veritiera l’interpretazione
che mi fu data temporibus illis da mia
nonna che asserí che la locuzione conglobava una imprecazione rivolta ad un
sorcetto introdottosi in una casa ed un
suggerimento dato agli abitanti di détta
casa quello cioè di introdurre sotto le fessure delle porte uno straccio
bagnato per modo che al topo fossero
precluse le vie di fuga e lo si potesse catturare. Volendo dire: È entrato il
topino? Non c’è problema! Ce ne possiamo liberare: lo catturiamo, ma prima affinchè non ci sfugga, turiamo con uno
straccio bagnato ogni fessura e
procediamo alla cattura!
Ma poiché
fino a che non ci si sente soddisfatti, è buona norma continuare ad
investigare, continuando nell’investigazione, mi pare di poter affermare che la nonna aveva dato una casta spiegazione a dei vocaboli (e perciò a tutta l’espressione) per non
inquietare la fantasia di un piccolo adolescente.
Infatti alla luce di ulteriori indagini ed al
supporto di altre menti di appassionati studiosi di cose napoletane mi pare si
possa accogliere la tesi del prof. A. Messina che vede nel suricillo - per il
tramite di un xurikilla tardo latino usato in luogo del piú classico mentula -
il membro maschile...
Peraltro il prof. Carlo Iandolo illustre
scrittore di cose partenopee in una sua dotta lettera mi fa notare che
nella passata parlata napoletana le pezze piú note erano - oltre quelle che
significavano il danaro - quelle che le donne portavano nel loro corredo, e che
usavano per i loro bisogni fisiologici di ogni volger di luna, quando ancóra
non esistevano mediatici assorbenti con le ali
o senza.
Ecco dunque che, messa da parte la casta spiegazione
data dalla nonna, penso si possa addivenire a ritenere che l’innocente
imprecazione con la quale si è soliti commentare piccolissimi inconvenienti ai
quali non occorra dare faticose soluzioni, sia sgorgata sulle labbra di una
donna trovatasi davanti alla improcrastinabile richiesta di favori, da parte
del suo uomo (...pronto alla tenzone...) e gli abbia dovuto opporre, sia pure
dolendosene che non era il tempo adatto
in quanto ‘a pezza ...era ‘nfosa dal mestruo in atto.
11. MIETTE ‘NU
SPRUOCCOLO DINTO A ‘NU PERTUSO
Ad litteram: poni un legnetto in un buco! Frase che si usa pronunciare
a commento di un avvenimento cosí
poco usuale (quale - a mo’ d’esempio - una liberalità da parte di qualcuno
notoriamente avaro) da doverselo
rammentare con l’introduzione di un
ipotetico stecco in un altrettanto ipotetico buco. Probabilmente la locuzione
rammenta la consuetudine in uso nel
periodo della res publica romana, allorché il praetor maximus conficcava ogni
anno - a fini eponimi - un chiodo nel tempio di Giove .
12. MAGNÀ ‘E GRASSO
Ad litteram: mangiare di grasso id est: possedere tante di quelle disponibilità
economiche da esser sempre fornito di
adeguato cibo abbondandemente condito; la locuzione però si usa anche in senso
antifrastico ad ironico commento di pasti
eccessivamente parchi.
13. MAGNÀ
NEMMICCULE CU ‘A SPINGULA
Ad litteram: mangiare lenticchie con lo spillo. Detto di coloro che,
eccessivamente parchi, forse perché avari,
si limitano ad un pasto cosí frugale
da ridursi a sole lenticchie, consumate lentamente, addirittura
infilzandole una per volta con l’ausilio di uno spillo.In senso traslato
l’espressione è usata per commentare sarcasticamente l’agire eccessivamente
lento e misurato di chi ami perdere tempo.
14. MAGNARSE ‘E
MMANE
Ad litteram: mangiarsi le mani Cosí, per
modo di dire, si comporta chi à veduto
svanire, per propria insipienza,o accidia o mancanza d’intuito una situazione favorevole e si sia lasciato sfuggire l’occasione
proprizia; davanti all’insuccesso non gli resta che autopunirsi mordendosi, figuratamente, le mani.
15. MAGNARSE ‘O
LIMONE
Ad litteram: mangiarsi il limone; id est: accusare il colpo, subire un non preventivato , amaro
risultato e rassegnarsi ad accettarlo
con tutto il suo acre sapore, quasi che fosse un metaforico aspro limone .
16. MAGNARSE ‘O
TUPPO ‘E SANT’ANNA
Ad litteram: mangiarsi la crocchia di sant’Anna; id est : ridursi in miseria,
privarsi di tutte le proprie sostanze[e farlo addirittura senza pentirsi di incorrere in furti sacrileghi (come quello
di sottrarre i capelli di un effige di sant’Anna...) pur di procurarsi beni o
sostanze da dilapidare] Detto
innanzitutto di donne, ma anche - per estensione - di uomini che non solo per riprevevole liberalità, ma innanzitutto
per imperizia, negligenza, sciatteria e
trascuraggine dilapidano tutte le loro sostanze riducendosi in miseria tale da dover vendere
persino la crocchia o il ciuffo dei propri capelli o (come ò anticipato) darsi
persino al furto sacrilego per procurarsi sostanze da dilapidare!
Brak
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