PIZZA DI SCARÒLE
Questa
preparazione in uso nella cucina napoletana è tipica delle feste natalizie e di fine anno;
infatti tale pizza viene consumata nei giorni del 24 e 31
dicembre quale desinare di mezzodí in attesa del luculliano pasto (quantunque
di magro) serale di vigilia, ma trattandosi di un asciolvere squisito,ed i cui
ingredienti son reperibili anche in ogni stagione, nulla vieta di prepararlo anche a Pasqua in
alternativa alla pizza rustica, oppure quando lo si voglia!
pizza s.vo f.le focaccia di
pasta lievitata, dolce o salata: pizza rustica; pizza pasquale |
per antonomasia, focaccia di forma molto schiacciata condita con olio, pomodoro
e altri ingredienti; è una specialità napoletana oggi diffusa ovunque: pizza
margherita, marinara, quattro stagioni,capricciosa etc.;
questa che ci occupa è una focaccia rustica, salata farcita di scarole condite;
la voce pizza piú che dal longob. bizzo
'morso, focaccia', penso sia un
deverbale del latino pinsere=
pestare, schiacciare: il part. pass. pinsa
à dato pinza donde pizza
(vedi ultra).
*scarola o scariola,( dal lat. volg. *escariola(m),
deriv. del lat. escarius 'che serve per mangiare', da ìsca 'cibo,
esca') (s. f.) è una varietà di indivia; ed anche, in alcune regioni, una varietà di
lattuga o cicoria; a Napoli ed in Campania esistono due speci di
scarola-indivia: la riccia e la liscia; la prima è usata essenzialmente da
cruda in insalata da sola o con altri ortaggi: cavolo bianco lesso etc. condita all’agro con olio aglio e limone o
aceto, mentre la scarola-indivia liscia viene usata da cotta dapprima lessata
in acqua salata e poi saltata in padella con olio, aglio, acciughe, capperi ed
olive nere di Gaeta; è appunto quest’ultimo tipo che dev’essere usata per
preparare la pizza di scarole; tale pizza può essere cotta al forno in una
teglia ampia e poi divisa in fette triangolari e servita, oppure può esser
fritta già monoporzionata in forma di
calzoncelli semicircolari; in ambedue i casi gli ingredienti sono i medesimi.
ingredienti e dosi per 6 – 8 persone
per
l’involucro:
9 etti di pasta da pane già lievitata
+ una tazza di olio d’oliva
e.v.p.s. a f.
oppure : farina gr. 600 - una tazza di olio d’oliva
e.v.p.s. a f. -sale gr. 15 - un
cucchiaino di zucchero - lievito di birra (un cubetto) - 350 cl. di acqua.
per il ripieno:
scarole lisce mondate e lavate Kg. 1,5 –
3 spicchi di aglio, mondati e tritati –
1 bicchiere di olio di oliva e.v.p.s. a
f. –
2 etti di olive di Gaeta denocciolate –
1 etto di capperini di Pantelleria
dissalati –
due cucchiai colmi di pinoli tostati al
forno (220°) o in padella con un filo
d’olio –
1 etto di uvetta ammollata in acqua
calda
sale doppio una presa
pepe bianco q.s.
10 – 12 filetti di acciughe sott’olio.
procedimento
Cominciamo con la versione a forno.
L'impasto occorrente è essenzialmente quello del pane; se non lo
si compra già pronto dal fornaio occorre procedere in questo modo: mettere su di un ripiano la farina a "fontana",
aggiungere l'olio, l'acqua, il cubetto di lievito, lo zucchero ed il sale sulla
corona ed amalgamare bene il tutto e porre la pasta a lievitare al caldo, in
una terrina coperta con un canevaccio.
Mondare e lavare le scarole, metterle in una pentola con poca acqua salata
(sale grosso) e lessarle (15 min.
circa), infine metterle a scolare, dopo
d’averle un po’ strizzate.
In un ampio tegame, provvisto di
coperchio, versare tutto l’olio con i tre spicchi d’aglio schiacciati e farli
soffriggere a fuoco vivace; eliminare gli spicchi d’aglio, aggiungere i filetti
d’accighe e, aiutandosi con la punta d’un cucchiaio di legno, farli sciogliere nell’olio caldo, indi aggiungere
le olive denocciolate e i capperi; a seguire dopo due minuti unire i pinoli e
le uvette ed infine le scarole ben strizzate, condire con sale e pepe,incoperchiare,
abbassare i fuochi ed ultimare la cottura
mescolando di tanto in tanto (**). Lasciar freddare e preparare la tortiera alta
di bordo e di circa 25 cm. di diametro per la cottura della pizza, oliandone la superficie. Dividere in due parti
diseguali l’impasto ormai lievitato e usarne una parte (la maggiore) per la base,foderando accuratamente fondo e
bordo della tortiera, aggiungere le scarole pressandole alquanto con il
cucchiaio di legno e completare l’operazione coprendo le scarole con un "coperchio di pasta avanzata";
lasciar lievitare ancóra per circa
un'ora in un luogo caldo ed asciutto ed infornare a 200°per 30 minuti.(*) Una
volta che la pizza sarà cotta,
estrarla dal forno farla intiepidire prima di porzionarla e servire.
Note
Attenzione! (*) Qualora si usasse la
pasta di pane del fornaio, prima di usarla occorrerà intriderla bene con una
tazza d’olio d’oliva. e.v.p.s. a f.
stracciandola e riammassandola.
(**)La cottura sarà ultimata quando la scarola non rilascerà piú acqua e l'olio
incomincerà a friggere nuovamente.
VERSIONE FRITTA
Come ò già detto sia che si tratti di
pizza di scarole al forno, che di pizze di scarole fritte gli ingredienti e le
dosi sono i medesimi. Avremo dunque:
per
l’involucro:
9 etti di pasta di pane già lievitata, intrisa con una tazza di
olio d’oliva e.v.p.s. a f.,
oppure : farina gr. 600 - una tazza di olio d’oliva
e.v.p.s. a f., -sale gr. 15 - un
cucchiaino di zucchero - lievito di birra (un cubetto) - 350 cl. di acqua.
per il ripieno:
scarole mondate e lavate Kg. 1,5 –
2 spicchi di aglio –
1 bicchiere di olio di oliva –
1 etto di olive di Gaeta denocciolate
gr. –
½ etto di capperini di Pantelleria
dissalati –
due cucchiai colmi di pinoli tostati al
forno (220°) o in padella con un filo
d’olio –
1 etto di uvetta ammollata in acqua
calda,
10 – 12 filetti di acciughe sott’olio,
sale fino e pepe nero macinato a fresco q.s.
per la frittura
abbondante olio per friggere (arachidi,
semi vari, mais, girasole).
procedimento
Si procede cosí come nella versione al forno
fino a quando le scarole siano stufate;
indi (*) si divide l’impasto in pezzi grossi come un mandarino e con l’aiuto di
un matterello e di una rotellina dentellata se ne ricavano delle sfoglie spesse ½ cm. della grandezza e forma di un
piattino da frutta, si dispongono tutte queste sfoglie sul tagliere infarinato
l’una accanto all’altra e lungo l’ideale
diametro di ognuna si pongono uno accanto all’altro due cucchiai di scarole
stufate, si ripiega un lembo poggiandolo sull’altro, serrando il ripieno, si
inumidisce d’acqua leggermente un bordo e si sigilla pressando con i rebbi di
una forchetta ed ottenendo dei calzoncelli semicircolari che vanno fritti fino
a doratura in olio bollente e profondo.
Si servono caldi di fornello.
(*)Attenzione! Qualora si usasse la pasta di
pane del fornaio, prima di usarla non bisogna dimenticare di intriderla con una
tazza d’olio d’oliva e.v. p.s. a f.
NOTA LINGUISTICA
Lavoce pizza è usata (come ò accennato),
nel napoletano innanzitutto per indicare una tipica schiacciata tonda o
rettangolare di pasta lievitata, condita in molti modi (ad es. salsa di pomidoro,
aglio trito, origano, sale ed olio: pizza
alla marinara o napoletana classica; salsa di pomidoro,mozzarella,
formaggio grattugiato, basilico, sale ed olio: pizza margherita; divisa in quattro sezioni con una sottile croce
di pasta sovrapposta alla schiacciata tonda; ognuna delle sezioni è condita
diversamente: 1) pomidoro, aglio trito, origano, sale ed olio – 2) pomidoro,carciofini
o funghi sott’olio, sale ed olio - 3)
pomidoro, aglio trito,alici fresche,
origano, sale ed olio – 4) ricotta, formaggio grattugiato,ciccioli di
maiale, basilico, sale ed olio: quattro stagioni ; sugna e formaggio: pizza puverella, sugna pomidoro e
formaggio : pizza guappa ;questi ultimi
due tipi di pizza non si riscontrano quasi piú nei menú delle pizzerie
napoletane specialmente da quando, seguendo i cervellotici dettami dei dietisti
del tubo… catodico si è quasi del
tutto abolita dall’elenco dei condimenti, la gustosa sugna; altre preparazioni che oggi si posson trovare
in tantissime pizzerie napoletane e non, sono fantasiose variazioni ad libitum operate
da i pizzaiuoli che si sbizzarriscono ad inventare nuovi condimenti). A margine
della pizza guappa, rammento
che dal suo tipo di condimento sugna e pomodoro si trasse l’espressione fà a uno ‘nzogna e pummarola
(letteralmente fare uno sugna e pomodoro, cioè percuoterlo tanto (come richiede
la pizza/schiacciata di riferimento) da vederlo rosseggiare di sangue
(pummarola) e costringerlo a far ricorso a pomate o linimenti (‘nzogna). La
pizza condita in uno dei modi rammentati, viene cotta piú o meno brevemente ad una
temperatura di circa 400° in tipici forni a legna di mattoni refrattari.
Con la
voce pizza però a Napoli si indica, addizionandola di un aggettivo o uno
specificativo, anche qualsiasi torta o preparazioni di paste rustiche o dolci
variamente farcite e si ànno quindi: pizza ‘e scarole (torta con le scarole)
pizza rustica (torta farcita di latticini, uova,salumi etc.) pizza doce (torta
di pan di spagna farcita di creme) ed altre; una tipica pizza doce che però si
è conquistato un suo nome specifico è il gattò
mariaggio (torta di pan di spagna farcita di creme e ricoperta di naspro
usata in occasione di sponsali: trae il suo
nome dal francese gateau (torta) du mariage (del matrimonio;). Altra preparazione rustica è la cosiddetta pizza ‘e patane nota anche e meglio con il nome di gattò ‘e patane Il gattò di
patate napoletano è una torta rustica,
salata o meglio uno sformato di patate tipico della cucina partenopea dove fu
introdotto dai cuochi francesi chiamati nel Reame di Napoli in occasione delle
proprie nozze(1768) dalla regina
Maria Carolina,figlia di Maria Teresa Lorena-Asburgo moglie di Ferdinando I Borbone, ma non è piatto derivante dalla cucina
francese, ma inventato qui nel Reame, con tutti gli ingredienti usati
nella cucina napoletana, con la sola
eccezione del burro (ingrediente per solito …nordico) questa volta usato in luogo dell’olio d’oliva e.v.
tipico della cucina meridionale e con l’eccezione del pomodoro mancante del
tutto in questa preparazione il cui
nome è gattò, evidente
corruzione del lemma francese gateau (torta); al proposito
ripeto che la parola gattò
entrò anche, dopo la discesa dei cuochi francesi detti dai napoletani monzù,corrompendo
il francese monsieur, nelle
pasticceria napoletana dove con il nome di gattò mariaggio con evidente corruzione di gateau
du mariage si indicò la dolce torta nuziale. Un’altra pizza
doce (regina della pasticceria napoletana) che si è conquistato un suo
nome ad hoc è la pastiera, per la cui
trattazione rimando alibi.
Pizza s f (gastr.) focaccia di pasta di farina lievitata, dolce o salata: pizza
rustica; pizza pasquale; per
antonomasia, focaccia di forma molto schiacciata condita con olio, pomodoro e
altri ingredienti; è una specialità napoletana oggi diffusa ovunque: pizza
margherita, marinara, quattro stagioni etc. Etimo incerto:
qualcuno opta forse per un’origine
germ., dal longob. bizzo 'morso, focaccia';altri piú fantasiosamente da
un non attestato *apicia (pàtina)
preparazione culinaria attribuita (ma
non è dato sapere in base a quali risultanze o reperti) al cuoco romano Marco
Gavio Apicio( nato intorno al 25 a.C. e morto verso la fine del regno di Tiberio). A mio avviso, essendo la pizza
una focaccia, una schiacciata di pasta di farina lievitata, lavorata e
spianata, si può quanto alla semantica tranquillamente far riferimento al p. p.
sostantivato pinsa del verbo latino pinsere=pigiare, schiacciare; e
morfologicamente partendo da pinsa con
un tranquillo, consueto passaggio di ns ad
nz e successiva
assimilazione regressiva nz→zz si può approdare
a pizza evitando di scomodare i
morsi longobardi o pretese e non
comprovate preparazioni culinarie
attribuite a Marco Gavio Apicio.
Scarola s.f. varietà di indivia; ed in
alcune regioni, varietà di lattuga o cicoria. voce napoletana pervenuta poi all’italiano, con derivazione dal
lat. volg. *escariola(m), deriv. del lat. escarius 'che serve per mangiare', da
ìsca 'cibo, esca').
‘nzogna s.vof.le= sugna,
strutto
Precisiamo
súbito che la voce napoletana a margine
che rende l’italiano sugna o strutto è voce che va scritta ‘nzogna
con un congruo apice (‘)
d’aferesi (e qui di sèguito dirò il perché) e non nzogna privo del segno
d’aferesi, come purtroppo càpita di trovare scritto.
Ciò
detto passiamo all’etimologia e
sgombriamo súbito il campo
dall’idea (maldestramente messa in giro da qualcuno che nzogna, (non ‘nzogna) possa essere un adattamento dell’ antico italiano sogna(sugna)
con protesi di una n eufonica e dunque non esigente il
segno d’aferesi (‘) e successivo
passaggio di ns→nz, dal latino (a)xungia(m),
comp. di axis 'asse' e ungere 'ungere'; propr. 'grasso con cui si
spalma l'assale del carro'; occorre ricordare che nel tardo latino con la voce axungia si finí per indicare un asse di carro e non certamente il
condimento derivato dal grasso di maiale liquefatto ad alta temperatura,
filtrato, chiarificato, raffreddato e conservato in consistenza di pomata per
uso alimentare, mentre gli assi dei carri venivano unti direttamente con la
cotenna di porco ancóra ricca di grasso.
Ugualmente
mi appare fantasiosa l’idea (D’Ascoli) che la napoletana ‘nzogna possa derivare da
una non precisata voce umbra assogna per
la quale non ò trovato occorrenze di sorta! Messe da parte tali fantasiose
proposte, penso che all’attualità, l’idea semanticamente e morfologicamente piú
perseguibile circa l’etimologia di ‘nzogna sia quella proposta
dall’amico prof. Carlo Iandolo che prospetta un in (da cui ‘n)
illativo + un *suinia (neutro
plurale, poi inteso femminile)= cose di
porco alla cui base c’è un sus- suis=
maiale con doppio suffisso di pertinenza:
inus ed ius; da insuinia→’nsoinia→’nzogna.
Naspro s.vo neutro
glassa zuccherina; la voce naspro ed il conseguente
denominale *annasprà= ricoprir di
naspro una torta o altro(a quel che ò potuto indagare) sono espressioni in
origine del linguaggio regionale della Lucania, poi trasferitosi in altre
regioni meridionali (Campania, Calabria, Puglia) ed è difficile trovarne un
esatto corrispettivo nella lingua nazionale; si può tentare di tradurre naspro come ò fatto con il termine glassa atteso che nel linguaggio dei dolcieri meridionali
la voce naspro indicò ed ancóra
indica una spessa glassa zuccherina variamente aromatizzata e talora colorata
usata per ricoprire in origine dei biscotti dall’impasto abbastanza semplice o
povero; in sèguito si usò il naspro
colorato per ricoprire delle torte
dolci e segnatamente quelle nuziali ma con un naspro
rigorosamente bianco; a Napoli non vi
fu festa nuziale che non si concludesse con un sacramentale gattò mariaggio coperto di spessa glassa
zuccherina bianca.
Per ciò che riguarda l’etimo della voce naspro, non trattandosi
di voce originaria partenopea, né della lingua nazionale (dove risulta
sconosciuta), ma – come ò detto – del linguaggio lucano mi limito a riferire
l’ipotesi della coppia Cortelazzo/Marcato che pensarono ad un greco àspros=bianco, ipotesi che poco mi
convinse ed ancóra poco mi convince in
quanto morfologicamente non chiarisce l’origine della n d’avvio che certamente
non à origini eufoniche, né d’altro canto non è attestato da nessuna parte che
– fatta eccezione per la glassa della torta nunziale rigorosamente bianca(o
almeno un tempo fu cosí: oggi assistiamo a tutto…) - dicevo non è attestato da
alcuna parte che il naspro debba essere bianco ; penso di poter a proporre una mia ipotesi sia
pure non supportata ancóra (ma non
dispero!) da nessun riscontro; l’ipotesi che formulo è che trattandosi di una
preparazione molto dolce per naspro si potrebbe pensare ad un latino (no)n-asperum→nasperum→naspru(m)→naspro, piuttosto
che ad un (n?)àspros. Spero di non
essermi macchiato di lesa maestà! Del resto in tale non convincimento, sono in
ottima compagnia: anche l'amico prof. Carlo Iandolo non è soddisfatto
dell'ipotesi Cortelazzo/Marcato e trova (ma spero non lo faccia per mera
amicizia...) piú perseguibile la mia idea.
Vini: secchi e profunati bianchi campani (
Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia
Napoli, bbona salute!
raffaele bracale