mercoledì 30 aprile 2008

VARIE 10

LOCUZIONI E PROVERBI NAPOLETANI
-Quanno 'a gallina scacatea, è signo ca à fatto ll'uovo.
Letteralmente: quando la gallina starnazza vuol dire che ha fatto l'uovo. Id est: quando ci si scusa reiteratamente, significa che si è colpevoli.
- Quanno si 'ncunia statte e quanno si martiello vatte
Letteralmente: quando sei incudine sta fermo, quando sei martello, percuoti. Id est: ogni cosa va fatta nel momento giusto, sopportando quando c'è da sopportare e passando al contrattacco nel momento che la sorte lo consente perché ti è favorevole.
- Miettele nomme penna!
Letteralmente: Chiamala penna! La locuzione viene usata, quasi volendo consigliare e suggerire rassegnazione, allorchè si voglia far intendere a qualcuno che ha irrimediabilmente perduto una cosa, un oggetto, divenuto quasi piuma d'uccello. La piuma essendo una cosa leggera fa presto a volar via, come sparisce un oggetto prestato a qualcuno che per solito non restituisce ciò che ha ottenuto in prestito. A maggior conferma del fatto si usa dire che se il prestito fosse una cosa buona, si impresterebbe la moglie...
- Fà 'o farenella.
Letteralmente:fare il farinello. Id est: comportarsi da vagheggino, da manierato cicisbeo. L'icastica espressione non si riferisce - come invece erroneamente pensa qualcuno - all'evirato cantore settecentescoCarlo Broschi detto Farinelli, ma prende le mosse dall'ambito teatrale dove le parti delle commedie erano assegnate secondo rigide divisioni. All'attor giovane erano riservate le parti dell'innamorato o del cicisbeo. E ciò avveniva sempre anche quando l'attore designato , per il trascorrere del tempo non era più tanto giovane e allora per lenire i danni del tempo era costretto a ricorre più che alla costosa cipria, alla più economica farina.
- À fatto 'o pireto 'o cardillo.
Letteralmente: Il cardellino à fatto il peto. Commento salace ed immediato che il popolo napoletano usa quando voglia sottolineare la risibile performance di un insignificante e maldestro individuo che per sue limitate capacità ed efficienza non può produrre che cose di cui non può restar segno o memoria come accade appunto delle insignificanti flautolenze che può liberare un piccolo cardellino.
- Pigliarse 'o Ppusilleco.
Letteralmente: Prendersi il Posillipo. Id est: Darsi il buon tempo, accompagnarsi ad una bella donna, per trascorrere un po' di tempo in maniera gioiosa.La locuzione fa riferimento ad una famosa collina partenopeaPosillipo,che dal greco Pausillipon significa tregua all'affanno, luogo amenissimo dove gli innamorati son soliti appartarsi. In senso antifrastico e furbesco la locuzione sta per: buscarsi la lue.
- Nun lassà 'a via vecchia p''a via nova, ca saje chello ca lasse e nun saje chello ca truove!
Letteralmente: Non lasciare la via vecchia per la nuova, perché conosci ciò che lasci e ignori ciò che troverai . L'adagio consiglia cioè di non imboccare strade diverse da quelle note, ché, se così si facesse si andrebbe incontro all'ignoto, con conseguenze non facilmente valutabili e/o sopportabili.
- Petrusino, ògne menesta.
Letteralmente: Prezzemolo in ogni minestra. Così è detto l'incallito presenzialista, che non si lascia sfuggire l'occasione di esser presente,di intromettersi in una discussione e dire la sua, quasi come il prezzemolo che si usa mettere in quasi tutte le pietanze o salse partenopee.
- Acqua ca nun cammina, fa pantano e fète.
Letteralmente: acqua che non corre, ristagna e puzza. Id est: chi fa le viste di zittire e non partecipare, è colui che trama nell'ombra e che all'improvviso si appaleserà con la sua puzza per il tuo danno!
- 'Nfila 'nu spruoccolo dinto a 'nu purtuso!
Letteralmente: Infila uno stecco in un buco! La locuzione indica una perentoria esortazione a compiere l'operazione indicata che deve servire a farci rammentare l'accadimento di qualcosa di positivo, ma talmente raro da doversi tenere a mente mediante un segno ben visibile come l'immissione di un bastoncello in un buco di casa, per modo che passandovi innanzi e vedendolo ci si possa rammentare del rarissimo fatto che si è verificato. Per intenderci, l'espressione viene usata, a sapido commento allorchè, per esempio, un uomo politico mantiene una promessa, una donna è puntuale ad un appuntamento et similia.
- Astipate 'o milo pe quanno te vène sete.
Letteralmente:Conserva la mela, per quando avrai sete. Id est: Non bisogna essere impazienti; non si deve reagire súbito sia pure a cattive azioni ricevute;insomma la vendetta è un piatto da servire freddo, allorché se ne avvertirà maggiormente la necessità.
- Puozz'avé mez'ora 'e petriata dinto a 'nu vicolo astritto e ca nun sponta, farmacie 'nchiuse e miedece guallaruse!
Imprecazione malevola rivolta contro un inveterato nemico cui si augura di sottostare ad una mezz'ora di lapidazione subíta in un vicolo stretto e cieco, che non offra cioè possibilità di fuga e a maggior cordoglio gli si augura di non trovare farmacie aperte ed imbattersi in medici erniosi e pertanto lenti al soccorso.

- Aje voglia 'e mettere rumma, 'nu strunzo nun addiventa maje babbà.
Letteralmente: Puoi anche irrorarlo con parecchio rum,tuttavia uno stronzo non diventerà mai un babà. Id est: un cretino, uno sciocco per quanto si cerchi di truccarlo, edulcorare o esteriormente migliorare, non potrà mai essere una cosa diversa da ciò che è...


- Si 'a morte tenesse crianza, abbiasse a chi sta 'nnanze.
Letteralmente: Se la morte avesse educazione porterebbe via per primi chi è piú innanzi, ossia è piú vecchio... Ma, come altrove si dice: ‘a morte nun tène crianza... (la morte non à educazione), per cui non è possibile tenere conti sulle priorità dei decessi.
- Pure 'e cuffiate vanno 'mparaviso.
Anche i corbellati vanno in Paradiso. Cosí vengono consolati o si autoconsolano i dileggiati prefigurando loro o auto prefigurandosi il premio eterno per ciò che son costretti a sopportare in vita. Il cuffiato è chiaramente il corbellato cioè il portatore di corbello (in arabo: quffa)
- 'O purpo se coce cu ll'acqua soja.
Letteralmente: il polpo si cuoce con la propria acqua, non à bisogno di aggiunta di liquidi. Id est: Con le persone di dura cervice cioè testarde o cocciute è inutile sprecare tempo e parole, occorre pazientare e attendere che si convincano da se medesime.
- 'A gatta, pe gghí 'e pressa, facette 'e figlie cecate.
La gatta, per andar di fretta, partorí figli ciechi. La fretta è una cattiva consigliera. Bisogna sempre dar tempo al tempo, se si vuol portare a termine qualcosa in maniera esatta e confacente.
- Fà 'e ccose a capa 'e 'mbrello.
Agire a testa (manico) di ombrello. Il manico di ombrello è usato eufemisticamente in luogo di ben altre teste. La locuzione significa che si agisce con deplorevole pressappochismo, disordinatamente, grossolanamente, alla carlona.
- Chi nun sente a mmamma e ppate, va a murí addó nun è nnato...
Letteralmente: chi non ascolta i genitori, finisce per morire esule. Id est: bisogna ascoltare e mettere in pratica i consigli ricevuti dai genitori e dalle persone che ti vogliono bene, per non incorrere in disavventure senza rimedio; nella fattispecie l’essere esule è solo un esempio dei pericoli cui si può andare incontro se si disattendono gli insegnamenti dei genitori.
-È gghiuta 'a mosca dint' ô Viscuvato...
Letteralmente: È finita la mosca nella Cattedrale. È l'icastico commento profferito da chi si lamenta d' un risibile asciolvere somministratogli, che non gli à tolto la fame. In effetti un boccone nello stomaco,vi si sperde, quasi come una mosca entrata in una Cattedrale... Per traslato la locuzione è usata ogni volta che ciò che si riceve è parva res, rispetto alle attese...
- Cu 'nu sí te 'mpicce e cu 'nu no te spicce.
Letteralmente: dicendo di sí ti impicci,ti impegoli mentre dicendo no ti sbrighi. La locuzione contiene il consiglio, desunto dalla esperienza, di non acconsentire sempre, perché chi acconsente, spesso poi si trova nei pasticci... molto meglio, dunque, è il rifiutare, che può evitare fastidi prossimi o remoti.
- Tené 'a salute d' 'a carrafa d’’a zecca.
Letteralmente:avere la consistenza della caraffa della Zecca. Ossia essere gracilissimo e cagionevole di salute quasi come l'ampolla di quasi un litro usata per le tarature, esistente presso la Zecca di Napoli che era di sottilissimo vetro e perciò fragilissima.
- Tengo 'e lappese a quadrigliè, ca m'abballano pe capa.
Letteralmente: Ò le matite a quadretti che mi ballano in testa. Presa alla lettera la locuzione non significherebbe niente. In realtà "lappese a quadrigliè" è la corruzione dell'espressione latina lapis quadrellata, seu opus reticulatum antica tecnica di costruzione muraria romana consistente nel sovrapporre, facendo combaciare le facce laterali e tenendo la base rivolta verso l'esterno, ed il vertice verso l'interno, piccole piramidi di tufo o altra pietra, per modo che chi guardasse il muro, cosí costruito, avesse l'impressione di vedere una serie di quadratini orizzontati diagonalmente. Questa costruzione richiedeva notevole precisione ed attenzione con conseguente applicazione mentale tale da procurare nervosismo ed agitazione.
- Paré 'a sporta d''o tarallaro.
Sembrare la cesta del venditore dei taralli. La locuzione è usata innanzi tutto per indicare chi, per motivi di lavoro o di naturale instabilità, si sposta continuamente, come appunto il venditore di taralli che con la sua cesta, per smaltire tutta la merce fa continui lunghi giri. C'è poi un'altra valenza della locuzione. Poiché gli avventori di taralli son soliti servirsi con le proprie mani affondandole nella cesta colma di tartalli per scegliere, alla stessa maniera c'è chi consente agli altri di approfittare e servirsi delle sue cose, ma lo fa più per indolenza che per magnanimità.
- Lasseme stà ca stongo'nquartato!
Lasciami perdere perché sono irritato, scontroso, adirato. (Per cui non rispondo delle mie reazioni...). La locuzione prende il via dal linguaggio degli schermidori: stare inquartato, ossia in quarta posizione che è posizione di difesa, ma anche di prevedibile prossimo attacco il che presuppone uno stato di tensione massima da cui possono scaturire le piú varie reazioni.
- Se fruscia Pintauro, d''e sfugliatelle jute 'acito.
Si vanta PINTAURO delle sfogliatelle inacidite. Occorre sapere che Pintauro era un antico pasticciere napoletano che, normalmente, produceva, oltre a molti altri dolci,di cui fu ideatore, anche delle ottime sfogliatelle dolce tipico inventato peraltro dalle suore del convento partenopeo detto Croce di Lucca. La locuzione è usata nei confronti di chi continua a pavoneggiarsi vantandosi di propri supposti meriti, anche quando invece i risultati delle sue azioni sono piuttosto deprecabili.
- Carcere, malatia e necissità, se scanaglia 'o core 'e ll'amice.
Carcere, malattia e necessità fanno conoscere la vera indole, il vero animo, degli amici.
- Murí cu 'e guarnemiente 'ncuollo.
Letteralmente: morire con i finimenti addosso. La locuzione di per sé fa riferimento a quei cavalli che temporibus illis, quando c'erano i carretti e non i camioncini tiravano le cuoia per istrada, ammazzati dalla fatica, con ancora i finimenti addosso.Per traslato l'espressione viene riferita, o meglio veniva riferita a quegli inguaribili lavoratori che oberati di lavoro, stramazzavano, ma non recedevano dal compiere il proprio dovere.... Altri tempi! Oggi vallo a trovare, non dico uno stakanovista, ma un lavoratore che faccia per intero il suo dovere...
- Nisciuno te dice: Làvate 'a faccia ca pare cchiú bbello 'e me.
Nessuno ti dice: Làvati il volto cosí sarai piú bello di me. Ossia:non aspettarti consigli atti a migliorarti, in ispecie da quelli con cui devi confrontarti.
- Quann' uno s'à dda 'mbriancà, è mmeglio ca 'o ffa cu 'o vino bbuono.
Quando uno decide d'ubriacarsi è meglio che lo faccia con vino buono. Id est: Se c'è da perdere la testa è piú opportuno farlo per chi o per qualcosa per cui valga la pena.
-Sciorta e cauce 'nculo, viato a cchi 'e ttène!
Beato chi à fortuna e spintarelle ovvero raccomandazioni
- Ancappa pe primmo, fossero pure mazzate!
Letteralmente: Acchiappa per primo, anche se fossero botte! L'atavica paura della miseria spinge la filosofia popolare a suggerire iperbolicamente di metter le mani su qualsiasi cosa, anche rischiando le percosse, per non trovarsi - in caso contrario - nella necessità di dolersi di non aver niente!
- A pavà e a murí, quanno cchiù ttarde se po’.
A pagare e morire, quando piú tardi sia possibile! È la filosofia e strategia del rimandare sine die due operazioni molto dolorose, nella speranza che un qualche accadimento intervenuto ce le faccia eludere.
- 'Na vota è prena, 'na vota allatta, nun 'a pozzo maje vatte'
Letteralmente:una volta è incinta, una volta dà latte, non la posso mai picchiare...Come si intuisce la locuzione era in origine usata nei confronti della donna. Oggi la si usa per significare la situazione di chi in generale non riesce mai a sfogare il proprio rancore e o rabbia a causa di continui e forse ingiustificati scrupoli di coscienza.
- Lèvate 'a miezo, famme fà 'o spezziale.
Letteralmente: togliti di torno, lasciami fare lo speziale...Id est:lasciami lavorare in pace - Lo speziale era il farmacista, l'erborista, non il venditore di spezie. Sia l'erborista che il farmacista erano soliti approntare specialità galeniche nella cui preparazione era richiesta la massima attenzione poiché la minima disattenzione o distrazione generata da chi si intrattenesse a perder tempo nel negozio o laboratorio dello speziale avrebbe potuto procurar seri danni: con le dosi in farmacopea non si scherza! Oggi la locuzione è usata estensivamente nei confronti di chiunque intralci l'altrui lavoro in ispecie la si usa nei confronti di quelli (soprattutto incompetenti) che si affannano a dare consigli non richiesti sulla miglior maniera di portare avanti un'operazione qualsivoglia!
- Articolo quinto:chi tène 'mmano à vinto!
La locuzione traduce quasi in forma di brocardo scherzoso il principio civilistico per cui il possesso vale titolo. Infatti chi tène 'mmano, possiede e non è tenuto a dimostrare il fondamento del titolo di proprietà.In nessuna pandetta giuridica esiste un siffatto articolo quinto, ma il popolo à trovato nel termine quinto una perfetta rima al participio vinto.
- Cu muonece, prievete e ccane, hê 'a stà sempe cu 'a mazza 'mmano.
Con monaci, preti e cani devi tener sempre un bastone fra le mani. Id est: ti devi sempre difendere.
- Chi fraveca e sfraveca, nun perde maje tiempo.
Chi fa e disfa, non perde mai tempo. La locuzione da intendersi in senso antifrastico, si usa a commento delle inutili opere di taluni, che non portano mai a compimento le cose che cominciano, di talché il loro comportamento si traduce in una perdita di tempo non finalizzata a nulla.
- 'A sciorta d' 'o piecoro: nascette curnuto e murette scannato...
Letteralmente: la cattiva fortuna del becco: nacque con le corna e morí squartato. La locuzione è usata quando si voglia sottolineare l'estrema malasorte di qualcuno che viene paragonato al maschio della pecora che oltre ad esser destinato alla fine tragica della sgozzatura deve portare anche il peso fisico e/o morale delle corna.
- È fernuta 'a zezzenella!
Letteralmente: È terminata - cioè s'è svuotata - la mammella. Id est: è finito il tempo delle vacche grasse, si appressano tempi grami!
È mmuorto 'alifante!
Letteralmente: È morto l'elefante! Id est: Scendi dal tuo cavallo bianco, è venuto meno il motivo del tuo spocchioso sussiego, della tua vanagloriosa importanza, non conti piú nulla. La locuzione, usata nei confronti di chi continui a darsi arie ed importanza pur essendo venute meno le ragioni di un suo inutile atteggiamento di comando e/o sussiego , si ricollega ad un fatto accaduto a Napoli sotto il Re Carlo di Borbone al quale, nel 1742, il Sultano della Turchia regalò un elefante che venne esposto nei giardini reali e gli venne dato come guardiano un vecchio caporale che annetté al compito una grande importanza mantenendo un atteggiamento spocchioso per questo suo semplice compito. Morto l'elefante, il caporale continuò nel suo spocchioso atteggiamento e venne beffato dal popolo che, con il grido in epigrafe, gli voleva rammentare che non era piú tempo di darsi arie, essendo venuto meno la ragione del suo compito!
- Chi se fa puntone, 'o cane 'o piscia 'ncuollo...
Letteralmente: chi si fa spigolo di muro, il cane gli minge addosso. È l'icastica e piú viva trasposizione dell'italiano: "Chi si fa pecora, il lupo se la mangia" e la locuzione è usata per sottolineare i troppo arrendevoli comportamenti di coloro che o per codardia o per ingenuità, non riescono a farsi valere
- Tròvate chiuso e piérdete chist' accunto...
Letteralmente: Tròvati chiuso e perditi questo cliente... Locuzione ironica che si usa quando si voglia sottolineare e sconsigliare il cattivo mercato che si sta per compiere, avendo a che fare con un contrattante che dal negozio pretenderebbe solo vantaggi a danno dell' altro contraente.
la parola accunto= cliente deriva dal part. pass. lat. adcognitus= ben conosciuto giacché un cliente abituale è colui che si serve quasi quotidianamente del medesimo negoziante dal quale è evidentemente ben conosciuto.
- È mmeglio a essere parente ô fazzuletto ca â coppola.
Conviene esser parente della donna piuttosto che dell' uomo. In effetti, formandosi una nuova famiglia, è invalso l’uso (non spiegato o chiarito) di tenere maggiormente in considerazione la famiglia d'origine della sposa che quella dello sposo.
- Ogne strunzo tene 'o fummo suio.
Letteralmente: Ogni stronzo sprigiona un fumo. Id est:ogni sciocco à modo di farsi notare
- Cunsiglio 'e vorpe, rammaggio 'e galline.
Lett.:consiglio di volpi, danno di galline. Id est: Quando confabulano furbi o maleintenzionati, ne deriva certamente un danno per i più sciocchi o più buoni. Per traslato: se parlottano tra di loro i superiori, gli inferiori ne subiranno le conseguenze.
- Chiacchiere e tabbacchere 'e lignammo, 'o bbanco nun ne 'mpegna.
Letteralmente: chiacchiere e tabacchiere di legno non sono prese in pegno dal banco. Il banco in questione era il Monte dei Pegni sorto a Napoli nel 1539 per combattere la piaga dell'usura. Da esso prese vita il Banco di Napoli, fiore all'occhiello di tutta l'economia meridionale, Banco che è durato sino all'anno 2000 quando, a completamento dell'opera iniziata nel 1860 da Cavour e Garibaldi e da casa Savoia, non è stato fagocitato dal piemontese Istituto bancario San Paolo di Torino. La locuzione proclama la necessaria concretezza dei beni offerti in pegno, beni che non possono essere evanescenti come le parole o oggetti non preziosi. Per traslato l'espressione si usa nei confronti di chi vorrebbe offrirci in luogo di serie e conclamate azioni, improbabili e vacue promesse.
- Femmene e gravune: stutate tégnono e appicciate còceno.
Letteralmente: donne e carboni: spenti tingono e accesi bruciano. Id est: quale che sia il loro stato, donne e carboni sono ugulmente deleterî e/o pericolosi
- Vení armato 'e pietra pommece, cuglie cugli e fierre 'e cazette.
Letteralmente: giungere munito di pietra pomice, aghi sottili e ferri(piú doppi)da calze ossia di tutto il necessario ed occorrente per portare a termine qualsivoglia operazione cui si sia stati chiamati. Id est: esser pronti alla bisogna, essere in condizione di attendere al richiesto in quanto armati degli strumenti adatti o probabilmente utili.
Jí stocco e turnà baccalà.
Letteralmente: andare stoccafisso e ritornare baccalà. La locuzione viene usata quando si voglia commentare negativamente un'azione compiuta senza che abbia prodotto risultati apprezzabiliIn effetti sia che lo si secchi-stoccafisso-, sia che lo si sali-baccalà- il merluzzo rimane la povera cosa che è.
- Essere ll'urdemu lampione 'e Forerotta.
Letteralmente:essere l'ultimo fanale di Fuorigrotta. Id est: Non contare nulla, non servire a niente. La locuzione prese piede verso la fine dell' '800 quando l'illuminazione stradale napoletana era fornita da fanali a gas in numero di 666; l'ultimo lampione (fanale) contraddistinto appunto col numero 666 era situato nel quartiere di Fuorigrotta, zona limitrofa di Napoli, per cui il fanale veniva acceso per ultimo, quando già splendevano le prime luci dell' alba e la di lui utilità veniva ad essere molto limitata.
Jí truvanno a Cristo dinto a la pina. (altrove ma meno esattamente jí truvanno a Cristo dint’ ê lupine (cercare Cristo nei lupini).
Letteralmente la locuzione a margine è : cercare Cristo nella pigna. Id est:impegnarsi in una azione difficoltosa,lunga e faticosa destinata a non aver sempre successo. Anticamente il piccolo ciuffetto a cinque punte che si trova sui pinoli freschi era detto manina di Cristo, andarne alla ricerca comportava un lungo lavorio consistente in primis nell'arrostimento della pigna per poi cavarne gli involucri contenenti i pinoli, procedere alla loro frantumazione e giungere infine all'estrazione dei pinoli contenuti;spesso però i singoli contenitori risultavano vuoti e di conseguenza la fatica sprecata.
-Quanno te miette 'ncopp' a ddoje selle, primma o poje vaje cu 'o culo 'nterra.
Quando ti metti su due selle, prima o poi finisci col sedere in terra. Id est: il doppio gioco alla fine è sempre deleterio
- 'E fatte d' 'a tiana 'e ssape 'a cucchiara.
Letteralmente:i fatti della pentola li conosce il mestolo. La locuzione sta a significare che solo gli intimi possono essere a conoscenza dell'esatto svolgimento di una faccenda intercorsa tra due o piú persone e solo agli intimi di costoro ci si deve rivolgere se si vogliono notizie certe e circostanziate. La locuzione è anche usata da chi non voglia riferire ad altri notizie di cui sia a conoscenza.
- Senza 'e fesse nun caparriano 'e deritte
Senza gli sciocchi, non vivrebbero i dritti. Id est: i furbi prosperano perché c'è chi glielo permette, non per loro forza intrinseca.
- Nun fà pìrete a chi tene culo...e nun dà ponie a chi tene mane.
Non fare scorregge contro chi à sedere, né dar pugni a chi à mani. Id est: Non metterti contro chi à mezzi adeguati e sufficienti per risponderti per le rime...
- Quanno 'o piro è ammaturo, cade senza turceturo.
Quando la pera è matura, cade senza il bastone. IL turceturo è un bastone uncinato atto a piegare il ramo al fine di scuoterlo per far cadere il frutto.Id Est: Quando un'azione è compiuta fino alle sue ultime conseguenze queste non si lasciano attendere.
- Jirsene a cascetta(te ne vaie a cascetta!).
Letteralmente: Andarsene a cassetta.(te ne vai a cassetta!). La cassetta in questione è quella del vespillone o del cocchiere di alte carrozze padronali: il posto piú alto, ma anche il piú scomodo ed il piú faticoso da raggiungere, delle antiche vetture da trasporto passeggeri. L'espressione viene usata quando si voglia sottolineare la dispendiosità o la fatica cui si va incontro, impegnandosi in un'azione ritenuta gravosa per cui se ne sconsiglia il porvi mano.
-Â casa d' 'o ferraro, 'o spito 'e lignammo...
Letteralmente: In casa del ferraio, lo spiedo è di legno. La locuzione è usata a commento sapido allorché ci si imbatta in persone dalle quali, per la loro supposta, vantata professionalità ci si attenderebbero nelle loro azioni, risultati adeguati ben diversi da quelli che invece sono sotto gli occhi di tutti.
- Pigliatella bbella e cóccate pe tterra.
Letteralmente:sposala bella e coricati in terra. Id est: accasati pure con una donna bella, ma tieniti pronto a sopportarne le peggiori conseguenze;la bellezza di una moglie spesso comporta danno e sofferenze.
- Abbaccà cu chi vence.
Colludere col vincitore - Schierarsi dalla parte del vincitore. Comportamento nel quale gli Italiani sono maestri: si racconta, ad esempio, che al tempo dell'ultima guerra, all'arrivo degli americani non fu possibile trovare un fascista. Tutti quelli che per un ventennio avevano indossato la camicia nera, salirono sul carro dei vincitori e i militari anglo-americani si chiedevano, riferendosi a Mussolini: Ma come à fatto quell'uomo a resistere vent'anni se non aveva nessuno dalla sua parte?
- Quanno 'a cunnimma è ppoca, se ne va p' 'a tiella.
Quando il condimento è poco, si disperde nel tegame, invece di attaccarsi alle pietanze; id est: chi non à mezzi sufficienti, facilmente li disperde e non riesce ad usarli per portare a compimento un'opera cominciata.
- A lu frijere siente 'addore, allu cagno,siente 'o chianto.
Letteralmente: al momento di friggere sentirai l'odore, al momento del cambio, piangerai. Un disonesto pescivendolo aveva ceduto ad un povero prete un pesce tutt' altro che fresco e richiesto dall'avventore intorno alla bontà della merce si vantava di avergli dato una fregatura asserendo che l'odore del pesce per nulla fresco si sarebbe manifestato al momento di cucinarlo, ma il furbo sacerdote , che aveva capito tutto e lo aveva ripagato con danaro falso, gli replicò per le rime dicendogli che al momento che avesse tentato di scambiare la moneta ricevuta, avrebbe avuto la cattiva ventura di doversene dolere in quanto si sarebbe accorto della falsità del danaro.La locuzione è usata nei confronti di chi pensa di aver furbescamente dato una fregatura a qualcuno e non s’avvede di esser stato ripagato con medesima moneta...
- Voca fora ca 'o mare è maretto/a...
Rema verso il largo ché il mare è agitato...Consiglio pressante, quasi ingiunzione ad allontanarsi, rivolto a chi chieda insistentemente qualcosa che non gli spetti.In effetti i marinai sanno che quando il mare è molto agitato(in napoletano: maretto/a) è conveniente remare verso il largo piuttosto che bordeggiare a ridosso della riva contro cui ci si potrebbe infrangere.
- Mettere ll'uoglio 'a copp' ô peretto.
Letteralmente: aggiungere olio al contenitore del vino. Id est:colmare la misura. La locuzione viene usata sia per indicare che è impossibile procedere oltre in una situazione, perché la misura è colma, sia per dolersi di chi, richiesto d'aiuto, à invece completato un'azione distruttrice o contraria al richiedente. Un tempo sulle damigiane colme di vino veniva versato un piccolo strato d'olio a mo' di suggello e poi si procedeva alla tappatura, avvolgendo una tela di sacco intorno alla imboccatura del contenitore vitreo.
- Quanno jesce 'a strazziona, ogne ffesso è prufessore...
Quando è avvenuta l'estrazione dei numeri del lotto, ogni sciocco diventa professore. la locuzione viene usata per sottolineare lo stupido comportamento di coloro che,incapaci di fare qualsiasi previsione o di dare documentati consigli, s'ergono a profeti e professori, solo quando, verificatosi l'evento de quo, si vestono della pelle dell' orso...volendo lasciar intendere che avevano previsto l'esatto accadimento o le certe conseguenze...di un comportamento.
- 'A moneca 'e Chianura:muscio nun 'o vuleva ma tuosto le faceva paura...
La suora di Pianura:tenero non lo voleva, ma duro le incuoteva paura (si sottointende :il pane. La locuzione viene usata nei confronti degli incontentabili o degli eterni indecisi...
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130 Pure 'e pulice tenono 'a tosse...
Anche le pulci tossiscono - Id est: anche le persone insignificanti tossiscono, ossia voglione esprimere il proprio parere.
131 Dice bbuono 'o ditto 'e vascio quanno parla della donna: una bbona ce ne steva e 'a facettero Madonna...
Ben dice il detto terrestre allorché parla della donna: ce n'era una sola che era buona ma la fecero Madonna... Id est: La donna è un essere inaffidabile - La quartina, violentemente misogina è tratta dal poemetto 'MPARAVISO del grande poeta Ferdinando Russo
132 Dicere 'a messa cu 'o tezzone.
Celebrare la messa con un tizzone ardente(in mancanza di ceri...)Id est: quando c'è un dovere da compiere, bisogna farlo quale che siano le condizioni in cui ci si trovi.
133
134Chello è bbello 'o prutusino, va 'a gatta e ce piscia a coppa...
Il prezzemolo non è rigoglioso, poi la gatta vi minge sopra - Amaro commento di chi si trova in una situazione precaria e non solo non riceve aiuto per migliorarla, ma si imbatte in chi la peggiora maggiormente...
135 Quanno vide 'o ffuoco a' casa 'e ll'ate, curre cu ll'acqua a' casa toja...
Quando noti un incendio a casa d'altri, corri a spegnere quello in casa tua - Cioè: tieni per ammonimento ed avvertimento ciò che capita agli altri per non trovarti impreparato davanti alla sventura.
136 Giorgio se ne vò jì e 'o vescovo n' 'o vò caccià.
Giorgio intende andar via e il vescovo vuole cacciarlo. L'icastica espressione fotografa un rapporto nel quale due persone intendono perseguire il medesimo fine, ma nessuno ha il coraggio di prendere l'iniziativa, come nel caso del prelato e del suo domestico...
137 Fa mmiria a 'o tre 'e bastone.
Fa invidia al tre di bastoni- Ironico riferimento ad una donna che abbia il labbro superiore provvisto di eccessiva peluria, tale da destare l'invidia del 3 di bastoni, che nel mazzo di carte napoletano è rappresentato con nell'incrocio di tre randelli un mascherone di uomo provvisto di esorbitanti baffi a manubrio.
138 Si 'a fatica fosse bbona, 'a facessero 'e prievete.
Se il lavoro fosse una cosa buona lo farebbero i preti(che per solito non fanno niente. Nella considerazione popolare il ministero sacerdotale è ritenuto cosa che non implica lavoro.
139 Avimmo cassato n' atu rigo 'a sott' a 'o sunetto.
Letteralmente: Abbiamo cancellato un altro verso dal sonetto, che - nella sua forma classica - conta appena 14 versi. Cioè: abbiamo ulteriormernte diminuito le nostre già esigue pretese. La frase è usata con senso di disappunto tutte le volte che mutano in peggio situazioni di per sè non abbondanti...

140 He vippeto vino a una recchia.
Hai bevuto vino a una orecchia - Ossia vino scadente che fa reclinare la testa da un lato. Pare che il vino buono sia quello che fa reclinare la testa in avanti. Lo si dice per sottolineare i pessimi risultati di chi ha agito dopo di aver bevuto vino scadente.
141 Purtà'e fierre a sant' Aloja.
Recare i ferri a Sant'Eligio. Alla chiesa di sant'Eligio i vetturini da nolo solevano portare, per ringraziamento, i ferri dismessi dei cavalli ormai fuori servizio.Per traslato l'espressione si usa con riferimento furbesco agli uomini che per raggiunti limiti di età, non possono più permettersi divagazioni sessuali...
142 'O Pataterno 'nzerra 'na porta e arape 'nu purtone.
Il Signore Iddio se chiude una porta, apre un portoncino - Cioè: ti dà sempre una via di scampo
143Nun tené pile 'nfaccia e sfottere 'o barbiere
Non aver peli in volto e infastidire il barbiere - Cioè: esser presuntuosi al punto che mancando degli elementi essenziali per far alcunchè ci si erge ad ipercritico e spaccone.
144 E' gghiuto 'o caso 'a sotto e 'e maccarune 'a coppa.
E' finito il cacio sotto e i maccheroni al di sopra. Cioè: si è rivoltato il mondo.
145Ha fatto marenna a sarachielle.
Ha fatto merenda con piccole aringhe affumicate - Cioè: si è dovuto accontentare di ben poca cosa.
146 Fà ll'arte 'e Michelasso: magnà, vevere e gghì a spasso.
Fare il mestiere di Michelaccio:mangiare, bere e andar bighellonando - cioè la quintessenza del dolce far niente...
147 So' ghiute 'e prievete 'ncopp''o campo
Sono scesi a giocare a calcio i preti - Cioè: è successa una confusione indescrivibile:i preti erano costretti a giocare indossando la lunga talare che contribuiva a render difficili le operazioni del giuoco...
148 Nun vulè nè tirà, nè scurtecà...
Non voler né tendere, né scorticare - Cioè: non voler assumere alcuna responsabilità, come certi operai conciatori di pelle quando non volevano né mantener tese le pelli, né procedere alla scuoiatura.
149 Accunciarse quatt' ove dinto a 'nu piatto.
Sistemarsi quattro uova in un piatto - cioè:assicurarsi una comoda rendita di posizione, magari a danno di altra persona (per solito la porzione canonica di uova è in numero di due...).

150 Farse 'nu purpetiello.
Bagnarsi fino alle ossa come un piccolo polpo tirato su grondante d'acqua.
151 Jì a ppère 'e chiummo.
Andare con i piedi di piombo - Cioè: con attenzione e cautela.
152 Tené'a sciorta 'e Maria Vrenna.
Avere la sorte di Maria DI Brienne - Cioè:perder tutti propri beni ed autorità come accadde a Maria di Brienne sfortunata consorte di Ladislao di Durazzo, ridotta alla miseria alla sua morte (1414) dalla di lui sorella Giovanna II succedutagli sul trono.
153Jì a 'o battesimo, senza criatura.
Recarsi a battezzare un bimbo senza portarlo... - Cioè comportarsi in maniera decisamente errata, mettendosi nella situazione massimamente avversa all'opera che si vorrebbe intraprendere.
154 Pare ca s''o zucano 'e scarrafune...
Sembra che se lo succhino gli scarafaggi.- E' detto di persona così smunta e rinsecchita da sembrar che abbia perduto la propria linfa vitale preda degli scarafaggi, notoriamente avidi di liquidi.
155Abbruscià 'o paglione...
Incendiare il pagliericcio - Cioè darsi alla fuga, alla latitanza, lasciando dietro di sé terra bruciata, come facevano le truppe sconfitte che incendiavano i propri accampamenti, dandosi alla fuga.(procurare un danno definitivo)
156Ogne scarrafone è bbello a mmamma soja...
Ogni blatta(per schifosa che sia)è bella per la sua genitrice - Ossia: per ogni autore la sua opera è bella e meritevole di considerazione.
157S’è aunito, ‘a funicella corta e ‘o strummolo a tiriteppole…
Si sono uniti lo spago corto e la trottolina scentrata - Cioè si è verificata l'unione di elementi negativi che compromettono la riuscita di un'azione...
158Chi saglie ‘ncopp’ê ccorna ‘e chillo, pô dà ‘a mano ô Pataterno.
Chi si inerpica sulle corna di quello, può stringer la mano al Signore -(tanto sono alte...)- Iperbole per indicare un uomo molto tradito dalla moglie.
159Quanno 'o diavulo tuoio jeva a' scola, 'o mio era maestro.
Quando il tuo diavolo era scolaro, il mio era maestro - Cioè: non credere di essermi superiore in intelligenza e perspicacia.

160'O CANE MOZZECA 'O STRACCIATO.
IL CANE ASSALE CHI VESTE DIMESSO - Cioè: il destino si accanisce contro il diseredato.
161Tre songo 'e putiente:'o papa, 'o rre e chi nun tène niente...
TRE SONO I POTENTI DELLA TERRA:IL PAPA, IL RE E CHI NON POSSIEDE NULLA
162E’ ghiuta ‘a fessa 'mmano a 'e criature, 'a carta 'e musica 'mmano a 'e barbiere, 'a lanterna 'mmano a 'e cecate...
La vulva è finita nelle mani dei bambini, lo spartito musicale in mano ai barbieri, la lanterna nelle mani dei ciechi. - l'espressione viene usata con senso di disappunto, quando qualcosa di importante finisce in mani inesperte o inadeguate che pertanto non possono apprezzare ed usare al meglio, come accadrebbe nel caso del sesso finito nelle mani dei fanciulli o ancora come l'incolto barbiere alle prese con uno spartito musicale o un cieco cui fosse affidata una lanterna che di per sè dovrebbe rischiarare l'oscurità.

163 A 'o pirchio pare ca 'o culo ll'arrobba 'a pettula...
All'avaro sembra che il sedere gli rubi la pettola della camicia - Cioè: chi è avaro vive sempre nel timore d'esser derubato.
164 Chi fatica'na saraca, chi nun fatica, 'na saraca e mmeza.
Chi lavora guadagna una salacca, chi non lavora, una salacca mezza - Cioè: spesso nella vita si è premiati oltre i propri meriti.
165 'A MAMMA D''E FESSE è SEMPE INCINTA.
LA MAMMA DEGLI SCIOCCHI è SEMPRE INCINTA - Cioè: il mondo brulica di stupidi.
166 Dicette 'o pappice vicino a' noce: Damme 'o tiempo ca te spertoso!
L'insetto punteruolo disse alla noce: Dammi tempo e ti perforerò - Cioè: chi la dura la vince!
167 A ghiennere e nepute, chello ca faje è tutto perduto.
A generi e nipoti quel che fai, è tutto perso - Cioè: va perduto il bene fatto ai parenti prossimi

168 'O figlio muto, 'a mamma 'o 'ntenne.
Il figlio muto è compreso dalla madre - Lo si dice di due persone che abbiano un'intesa perfetta.
169 San Luca nce s'è spassato...
San Luca ci si è divertito...- Lo si dice di una donna così bella che sembra dipinta dal pennello di San Luca, che la tradizione vuole pittore. Ma anche in senso antifrastico quando ci si imbatte in una donna decisamente brutta.
170 Quanno siente 'o llatino d' 'e fesse, sta venenno 'a fine d' 'o munno...
Quando senti i fessi parlare in latino, s'approssima la fine del mondo. Cioè: quando gli sciocchi prendono il comando a parole e con i fatti, si preparono tempi grami.
171 Quanno dduje se vònno, ciento nun ce pònno...
Quando due si vogliono, cento non possono contrastarli... Cioè: E' inutile opporsi all'amore di due persone che si amano
172 Me staje abbuffanno 'e zifere 'e viento.
Mi stai riempiendo di refoli di vento. - Cioè: mi stai riempiendo la testa di fandonie
173 Passa 'a vacca...
Transita la vacca. - Cioè: è poverissimo. L'espressione dialettale è una derivazione dal latino: transit vacuus, usata nelle dogane latine per indicare i carri transitanti senza merce, quindi non soggetti a balzelli.
174Ògne capa è 'nu tribbunale
Ogni testa è un tribunale - Cioè:ognuno decide secondo il proprio metro valutativo.
175'O pesce fète d''a capa.
Il pesce puzza dalla testa. Cioè: il cattivo esempio parte dall'alto.
176 Pare 'a varca 'e mastu tTore:a poppa cumbattevano e nun 'o sapevano a propra...
Sembra la barca di mastro Salvatore: a poppa combattevano e lo ignoravano a prua - Cioè:il massimo della disorganizzazione!...
177 Mazze e panelle, fanno 'e figlie bbelle...,panelle senza mazze, fanno 'e figlie pazze!
Botte e cibo saporito, fanno i figli belli, cibo senza percosse fanno i figli matti! - Cioè: nell'educazione dei figli occorre contemperare le maniere forti con quelle dolci.

178 Chi s'annammora d''e capille e d''e diente, s'annammora 'e niente...
Chi si lascia conquistare dai capelli e dai denti, s'innamora di niente, perché capelli e denti sono beni che sfioriscono presto..
179Chiagnere cu 'a zizza 'mmocca...
Piangere con la tetta in bocca - Cioè: piangere ingiustificatamente
180 Guàllere e ppazze, venono 'e razza...
Ernie e pazzia sono ereditarie(non si possono eludere).
181 'e fesse so' sempe 'e primme a se fà sèntere...
I fessi son sempre i primi a parlare - cioè: gli sciocchi sono sempre i primi ad esprimere un parere...
182 Dicette Pulicenella:'A MEGLIA MMEDICINA? VINO 'E CANTINA E PURPETTE 'E CUCINA...
Disse Pulcinella:LA MIGLIOR MEDICINA? VINO STAGIONATO E POLPETTE FATTE IN CASA...
183 STANNO CAZZA E CUCCHIARA.
STANNO SECCHIO DELLA CALCINA E CUCCHIAIA. - Cioè:vanno di pari passo, stanno sempre insieme.
184 Stammo asseccanno 'o mare cu 'a cucciulella...
Stiamo prosciug ando il mare con la conchiglia - Cioè: ci siamo imbarcati in un'impresa impossibile...
185 arrostere 'o ccaso cu 'o fummo d''a cannela.
arrostire il formaggio con il fumo di una candela - cioè:tentare di far qualcosa con mezzi inadeguati.
186 'A mala nuttata e 'a figlia femmena.
La notte travagliata e il parto di una figlia - cioè: Le disgrazie non vengono mai sole


187 Nun tené manco 'a capa 'e zi' Vicienzo.
Non aver nemmeno la testa del sig. Vincenzo. Cioè:esser poverissimo. 'a capa 'e zi' Vicienzo è la corruzione dell'espressione latina:caput sine censu ovverossia:persona senza alcun reddito, persona che pertanto non pagava tasse.

188 Va' dinto 'e chiesie granne ca truove segge e scanne...
Va' nelle chiese grandi dove troverai sedie e scranni - Cioè: Chi vuol qualcosa lo deve cercare nei negozi più grandi che sono i più forniti.
189 Si 'a morte tenesse crianza, abbiasse a chi sta 'nnanze.
Letteralmente: Se la morte avesse educazione porterebbe via per primi chi è più innanzi, ossia è più vecchio... Ma, come altre volte si dice, la morte non ha educazione, per cui non è possibile tenere conti sulla priorità dei decessi.
190 Pure 'e cuffiate vanno 'mparaviso.
Anche i corbellati vanno in Paradiso. Così vengono consolati o si autoconsolano i dileggiati prefigurando loro o auto prefigurandosi il premio eterno per ciò che son costretti a sopportare in vita. Il cuffiato è chiaramente il corbellato cioè il portatore di corbello (in arabo: quffa)
191 'O purpo se coce cu ll'acqua soja.
Letteralmente: il polpo si cuoce con la propria acqua, non ha bisogno di aggiunta di liquidi. Id est: Con le persone di dura cervice o cocciute è inutile sprecare tempo e parole, occorre pazientare e attendere che si convincano da se medesime.
192 'A gatta, pe gghì 'e pressa, facette 'e figlie cecate.
La gatta, per andar di fretta, partorì figli ciechi. La fretta è una cattiva consigliera. Bisogna sempre dar tempo al tempo, se si vuol portare a termine qualcosa in maniera esatta e confacente.
193 Fà 'e ccose a capa 'e 'mbrello.
Agire a testa (manico) di ombrello. Il manico di ombrello è usato eufemisticamente in luogo di ben altre teste. La locuzione significa che si agisce con deplorevole pressappochismo, disordinatamente, grossolanamente, alla carlona.
194 Chi nun sente a mmamma e ppate, va a murì addò nun è nato...
Letteralmente: chi non ascolta i genitori, finisce per morire esule. Id est: bisogna ascoltare e mettere in pratica i consigli ricevuti dai genitori e dalle persone che ti vogliono bene, per non incorrere in disavventure senza rimedio.
195 E' gghiuta 'a mosca dint' a 'o Viscuvato...
Letteralmente: E' finita la mosca nella Cattedrale. E' l'icastico commento profferito da chi si lamenta d' un risibile asciolvere somministratogli, che non gli ha tolto la fameIn effetti un boccone nello stomaco, si sperde, quasi come una mosca entrata in una Cattedrale... Per traslato la locuzione è usata ogni volta che ciò che si riceve è parva res, rispetto alle attese...

196 Si 'a morte tenesse crianza, abbiasse a chi sta 'nnanze.
Letteralmente: Se la morte avesse educazione porterebbe via per primi chi è più innanzi, ossia è più vecchio... Ma, come altre volte si dice, la morte non ha educazione, per cui non è possibile tenere conti sulla priorità dei decessi.
197 Pure 'e cuffiate vanno 'mparaviso.
Anche i corbellati vanno in Paradiso. Così vengono consolati o si autoconsolano i dileggiati prefigurando loro o auto prefigurandosi il premio eterno per ciò che son costretti a sopportare in vita. Il cuffiato è chiaramente il corbellato cioè il portatore di corbello (in arabo: quffa)
198 'O purpo se coce cu ll'acqua soja.
Letteralmente: il polpo si cuoce con la propria acqua, non ha bisogno di aggiunta di liquidi. Id est: Con le persone di dura cervice o cocciute è inutile sprecare tempo e parole, occorre pazientare e attendere che si convincano da se medesime.
199 'A gatta, pe gghì 'e pressa, facette 'e figlie cecate.
La gatta, per andar di fretta, partorì figli ciechi. La fretta è una cattiva consigliera. Bisogna sempre dar tempo al tempo, se si vuol portare a termine qualcosa in maniera esatta e confacente.
200 Fà 'e ccose a capa 'e 'mbrello.
Agire a testa (manico) di ombrello. Il manico di ombrello è usato eufemisticamente in luogo di ben altre teste. La locuzione significa che si agisce con deplorevole pressappochismo, disordinatamente, grossolanamente, alla carlona.
201 Chi nun sente a mmamma e ppate, va a murì addò nun è nato...
Letteralmente: chi non ascolta i genitori, finisce per morire esule. Id est: bisogna ascoltare e mettere in pratica i consigli ricevuti dai genitori e dalle persone che ti vogliono bene, per non incorrere in disavventure senza rimedio.
202 E' gghiuta 'a mosca dint' a 'o Viscuvato...
Letteralmente: E' finita la mosca nella Cattedrale. E' l'icastico commento profferito da chi si lamenta d' un risibile asciolvere somministratogli, che non gli ha tolto la fameIn effetti un boccone nello stomaco, si sperde, quasi come una mosca entrata in una Cattedrale... Per traslato la locuzione è usata ogni volta che ciò che si riceve è parva res, rispetto alle attese...









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Me staje abbuffanno 'e zifere 'e viento.
Mi stai riempiendo di refoli di vento. - Cioè: mi stai riempiendo la testa di fandonie
204 Passa 'a vacca...
Transita la vacca. - Cioè: è poverissimo. L'espressione dialettale è una derivazione dal latino: transit vacuus, usata nelle dogane latine per indicare i carri transitanti senza merce, quindi non soggetti a balzelli.
205 Ògne capa è 'nu tribbunale
Ogni testa è un tribunale - Cioè:ognuno decide secondo il proprio metro valutativo.
206 'O pesce fète d''a capa.
Il pesce puzza dalla testa. Cioè: il cattivo esempio parte dall'alto.
207 Pare 'a varca 'e mastu tTore:a poppa cumbattevano e nun 'o sapevano a propra...
Sembra la barca di mastro Salvatore: a poppa combattevano e lo ignoravano a prua - Cioè:il massimo della disorganizzazione!...
208 Mazze e panelle, fanno 'e figlie bbelle...,panelle senza mazze, fanno 'e figlie pazze!
Botte e cibo saporito, fanno i figli belli, cibo senza percosse fanno i figli matti! - Cioè: nell'educazione dei figli occorre contemperare le maniere forti con quelle dolci.
209 Chi s'annammora d''e capille e d''e diente, s'annammora 'e niente...
Chi si lascia conquistare dai capelli e dai denti, s'innamora di niente, perché capelli e denti sono beni che sfioriscono presto..
210 Chiagnere cu 'a zizza 'mmocca...
Piangere con la tetta in bocca - Cioè: piangere ingiustificatamente
211 Guàllere e ppazze, venono 'e razza...
Ernie e pazzia sono ereditarie(non si possono eludere).
212 'E fesse so' sempe 'e primme a se fà sèntere...
I fessi son sempre i primi a parlare - cioè: gli sciocchi sono sempre i primi ad esprimere un parere...
213 Dicette Pulicenella:'A MEGLIA MMEDICINA? VINO 'E CANTINA E PURPETTE 'E CUCINA...
Disse Pulcinella:LA MIGLIOR MEDICINA? VINO STAGIONATO E POLPETTE FATTE IN CASA...
214 STANNO CAZZA E CUCCHIARA.
STANNO SECCHIO DELLA CALCINA E CUCCHIAIA. - Cioè:vanno di pari passo, stanno sempre insieme.
215Stammo asseccanno 'o mare cu 'a cucciulella...
Stiamo prosciugando il mare con la conchiglia - Cioè: ci siamo imbarcati in un'impresa impossibile...
78 arrostere 'o ccaso cu 'o fummo d''a cannela.
arrostire il formaggio con il fumo di una candela - cioè:tentare di far qualcosa con mezzi inadeguati.
79'A mala nuttata e 'a figlia femmena.
La notte travagliata e il parto di una figlia - cioè: Le disgrazie non vengono mai sole.
80Nun tené manco 'a capa 'e zi' Vicienzo.
Non aver nemmeno la testa del sig. Vincenzo. Cioè:esser poverissimo. 'a capa 'e zi' Vicienzo è la corruzione dell'espressione latina:caput sine censu ovverossia:persona priva di reddito, quindi esentata dal pagar tasse.
Dicette munsignore a 'o cucchiere:"Va' chiano , ca vaco 'e pressa!"
Disse il monsignore al suo cocchiere:"Va' piano, ché ho premura!" Ossia:la fretta è una cattiva consigliera
CHI D'AUSTO N'E' VESTUTO, 'NU MALANNO LL'E' VENUTO
CHI ALLA FINE DELL' ESTATE NON SI COPRE BENE, INCORRERA' IN QUALCHE MALATTIA...cioè:OCCORRE SEMPRE ESSER PREVIDENTI
Senza denare nun se cantano messe.
Senza denaro non si celebrano messe cantate. Cioé: tutto ha il suo prezzo.
A cuoppo cupo poco pepe cape.
Nel cartoccetto conico pieno entra poco pepe. Cioè: chi è sazio non può riempirsi di più(in tutti i sensi)
Giacchino mettette 'a legge e Giacchino fuie 'mpiso.
Chi è causa del suo mal, pianga se stesso: Con riferimento a Gioacchino Murat ucciso a Pizzocalabro in attuazione di una norma da lui stesso dettata
A aldare sgarrupato nun s'appicceno cannele.
Ad altare druto non portar ceri accesi. - Figuratamente: Non corteggiare donne anziane.
Si ll'aucielle canuscessero 'o ggrano, nun ne lassassero manco n' aceno!
Se gli uccelli conoscessero il grano, non ne lascerebbero un chicco! - Cioè: se gli uomini fossero a conoscenza di tutti i benefici che la vita offre, ne approfitterebbero sempre.
Dicette Pulicenella: PE MARE NUN CE STANNO TAVERNE.
Disse Pulcinella: IN MARE NON VI SONO RIPARI.
Scarte fruscio e piglie primera.
Cader dalla padella nella brace.
Va' dinto 'e chiesie granne ca truove segge e scanne...
Va' nelle chiese grandi dove troverai sedie e scranni - Cioè: Chi vuol qualcosa lo deve cercare nei negozi più grandi che sono i più forniti.
Femmene, ciucce e crape tenono tutte una capa.
Donne, asini e capre hanno tutti una testa.
Ll'ommo cu 'a parola e 'o vojo cu 'e ccorne.
L'uomo si conquista con la parola, il bue per le corna.
'Ntiempo'e tempesta, ogne pertuso è ppuorto!
In caso di necessità, qualunque buco può servire da porto!
Quanno 'o piro è ammaturo, cade senza turceturo.
Quando la pera è matura, cade senza il bastone. IL turceturo è un bastone uncinato atto a pigare il ramo al fine di scuoterlo per far cadere il frutto.Id Est: Quando un'azione è compiuta fino alle sue ultime conseguenze queste non si lasciano attendere. senza alcun reddito, persona che pertanto non pagava tasse.

Quanno chiovono passe e ficusecche.
Letteralmente: quando piovono uva passita e fichi secchi - Id est: mai. La locuzione viene usata quando si voglia sottolineare l'impossibilità di un accadimento che si pensa possa avverarsi solo quando dal cielo piovano leccornie, cosa che avvenne una sola volta quando il popolo ebraico ricevette il dono celeste della manna...
Chi ato nun tène, se cocca cu 'a mugliera...
Chi non ha altre occasioni, si accontenta di sua moglie, id est:far di necessità virtù.
Nun sputà 'ncielo ca 'nfaccia te torna!
Non sputare verso il cielo, perché ti ricadrebbe in volto! Id est: le azioni malevole fatte contro la divinità, ti si ritorcono contro.
Chijarsela a libbretta.
Letteralmente:piegarsela a libretto. E' il modo più comodo dper consumare una pizza, quando non si può farlo comodamente seduti al tavolo e si è costretti a farlo in piedi. Si procede alla piegatura in quattro parti della pietanza circolare che assume quasi la forma di un piccolo libro e si può mangiarla riducendo al minimo il pericolo di imbrattarsi di condimento. Id est: obtorto collo, per necessità far buon viso a cattivo gioco.
Vennere 'a scafarea pe sicchietiello.
Letteralmente:Vendere una grossa insalatiera presentandola come un secchiello.Figuratamente,la locuzione la si adopera nei confronti di chi decanta la nettezza dei costumi di una donna, notoriamente invece è stata conosciuta biblicamente da parecchi.
S'è arreccuto Cristo cu 'nu paternostro.
Illudersi di cavarsela con poca fatica e piccolo impegno, come chi volesse ingraziarsi Iddio e trarlo dalla propria parte con la semplice recita di un solo pater.
'E sàbbato, 'e sùbbeto e senza prevete!
Di sabato, di colpo e senza prete! E' il malevolo augurio che si lancia all'indirizzo di qualcuno cui si augura di morire in un giorno prefestivo, cosa che impedisce la sepoltura il giorno successivo, di morire di colpo senza poter porvi riparo e di non poter godere nemmeno del conforto religioso
A pesielle ne parlammo.
Letteralmente: Parliamone al tempo dei piselli -(quando cioè avremo incassato i proventi della raccolta e potremo permetterci nuove spese...) Id est: Rimandiamo tutto a tempi migliori.
Jì cercanno ova 'e lupo e piettene 'e quinnice.
Letteralmente:Andare alla ricerca di uova di lupo e pettini da quindici (denti). Id est: andare alla ricerca di cose introvabili o impossibili; nulla quaestio per le uova di lupo che è un mammifero per ciò che concerne i pettini bisogna sapere che un tempo i più conosciuti nel popolo erano i pettini dei cardalana e tali attrezzi non contavano mai più di tredici denti.
Chi tène mali ccerevelle, tène bboni ccosce...
Chi ha cattivo cervello, deve avere buone gambe, per sopperire con il moto alle dimenticanze o agli sbagli conseguenti del proprio cattivo intendere.
Mettere 'o ppepe 'nculo a' zòccola.
Letteralmente:introdurre pepe nel deretano di un ratto. Figuratamente: Istigare,sobillare, metter l'uno contro l'altro. Quando ancora si navigava, capitava che sui bastimenti mercantili, assieme alle merci solcassero i mari grossi topi, che facevano gran danno. I marinai, per liberare la nave da tali ospiti indesiderati, avevano escogitato un sistema strano, ma efficace: catturati un paio di esemplari, introducevano un pugnetto di pepe nero nell'ano delle bestie, poi le liberavano. Esse, quasi impazzite dal bruciore che avvertivano si avventavano in una cruenta lotta con le loro simili. Al termine dello scontro, ai marinai non restava altro da fare che raccogliere le vittime e buttarle a mare, assottigliando così il numero degli ospiti indesiderati. L'espressione viene usata con senso di disappunto per sottolineare lo scorretto comportamento di chi, in luogo di metter pace in una disputa, gode ad attizzare il fuoco della discussione...
Pure 'e pulice tenono 'a tosse...
Anche le pulci tossiscono - Id est: anche le persone insignificanti tossiscono, ossia voglione esprimere il proprio parere.
Dice bbuono 'o ditto 'e vascio quanno parla della donna: una bbona ce ne steva e 'a facettero Madonna...
Ben dice il detto terrestre allorché parla della donna: ce n'era una sola che era buona ma la fecero Madonna... Id est: La donna è un essere inaffidabile - La quartina, violentemente misogina è tratta dal poemetto 'MPARAVISO del grande poeta Ferdinando Russo
Dicere 'a messa cu 'o tezzone.
Celebrare la messa con un tizzone ardente(in mancanza di ceri...)Id est: quando c'è un dovere da compiere, bisogna farlo quale che siano le condizioni in cui ci si trovi.
Jammo, ca mo s'aiza!
Muoviamoci ché ora si leva(il sipario)! - Era l'avviso che il servo di scena dava agli attori per avvertirli di tenersi pronti , perché lo spettacolo stava per iniziare. Oggi lo si usa per un avviso generico sull'imminenza di una qualsiasi attività.
Chello è bbello 'o prutusino, va 'a gatta e ce piscia a coppa...
Il prezzemolo non è rigoglioso, poi la gatta vi minge sopra - Amaro commento di chi si trova in una situazione precaria e non solo non riceve aiuto per migliorarla, ma si imbatte in chi la peggiora maggiormente...
Quanno vide 'o ffuoco a' casa 'e ll'ate, curre cu ll'acqua a' casa toja...
Quando noti un incendio a casa d'altri, corri a spegnere quello in casa tua - Cioè: tieni per ammonimento ed avvertimento ciò che capita agli altri per non trovarti impreparato davanti alla sventura.
Giorgio se ne vò jì e 'o vescovo n' 'o vò caccià.
Giorgio intende andar via e il vescovo vuole cacciarlo. L'icastica espressione fotografa un rapporto nel quale due persone intendono perseguire il medesimo fine, ma nessuno ha il coraggio di prendere l'iniziativa, come nel caso del prelato e del suo domestico...
Fa mmiria a 'o tre 'e bastone.
Fa invidia al tre di bastoni- Ironico riferimento ad una donna che abbia il labbro superiore provvisto di eccessiva peluria, tale da destare l'invidia del 3 di bastoni, che nel mazzo di carte napoletano è rappresentato con nell'incrocio di tre randelli un mascherone di uomo provvisto di esorbitanti baffi a manubrio.
Si 'a fatica fosse bbona, 'a facessero 'e prievete.
Se il lavoro fosse una cosa buona lo farebbero i preti(che per solito non fanno niente. Nella considerazione popolare il ministero sacerdotale è ritenuto cosa che non implica lavoro.
Avimmo cassato n' atu rigo 'a sott' a 'o sunetto.
Letteralmente: Abbiamo cancellato un altro verso dal sonetto, che - nella sua forma classica - conta appena 14 versi. Cioè: abbiamo ulteriormernte diminuito le nostre già esigue pretese. La frase è usata con senso di disappunto tutte le volte che mutano in peggio situazioni di per sè non abbondanti...
He vippeto vino a una recchia.
Hai bevuto vino a una orecchia - Ossia vino scadente che fa reclinare la testa da un lato. Pare che il vino buono sia quello che fa reclinare la testa in avanti. Lo si dice per sottolineare i pessimi risultati di chi ha agito dopo di aver bevuto vino scadente.
Purtà'e fierre a sant' Aloja.
Recare i ferri a Sant'Eligio. Alla chiesa di sant'Eligio i vetturini da nolo solevano portare, per ringraziamento, i ferri dismessi dei cavalli ormai fuori servizio.Per traslato l'espressione si usa con riferimento furbesco agli uomini che per raggiunti limiti di età, non possono più permettersi divagazioni sessuali...
'O Pataterno 'nzerra 'na porta e arape 'nu purtone.
Il Signore Iddio se chiude una porta, apre un portoncino - Cioè: ti dà sempre una via di scampo
Nun tené pile 'nfaccia e sfottere 'o barbiere
Non aver peli in volto e infastidire il barbiere - Cioè: esser presuntuosi al punto che mancando degli elementi essenziali per far alcunchè ci si erge ad ipercritico e spaccone.
E' gghiuto 'o caso 'a sotto e 'e maccarune 'a coppa.
E' finito il cacio sotto e i maccheroni al di sopra. Cioè: si è rivoltato il mondo.
Ha fatto marenna a sarachielle.
Ha fatto merenda con piccole aringhe affumicate - Cioè: si è dovuto accontentare di ben poca cosa.
Fà ll'arte 'e Michelasso: magnà, vevere e gghì a spasso.
Fare il mestiere di Michelaccio:mangiare, bere e andar bighellonando - cioè la quintessenza del dolce far niente...
So' ghiute 'e prievete 'ncopp''o campo
Sono scesi a giocare a calcio i preti - Cioè: è successa una confusione indescrivibile:i preti erano costretti a giocare indossando la lunga talare che contribuiva a render difficili le operazioni del giuoco...
Nun vulè nè tirà, nè scurtecà...
Non voler né tendere, né scorticare - Cioè: non voler assumere alcuna responsabilità, come certi operai conciatori di pelle quando non volevano né mantener tese le pelli, né procedere alla scuoiatura.
Accunciarse quatt' ove dinto a 'nu piatto.
Sistemarsi quattro uova in un piatto - cioè:assicurarsi una comoda rendita di posizione, magari a danno di altra persona (per solito la porzione canonica di uova è in numero di due...).
Farse 'nu purpetiello.
Bagnarsi fino alle ossa come un piccolo polpo tirato su grondante d'acqua.
Jì a ppère 'e chiummo.
Andare con i piedi di piombo - Cioè: con attenzione e cautela.
Tené'a sciorta 'e Maria Vrenna.
Avere la sorte di Maria DI Brienne - Cioè:perder tutti propri beni ed autorità come accadde a Maria di Brienne sfortunata consorte di Ladislao di Durazzo, ridotta alla miseria alla sua morte (1414) dalla di lui sorella Giovanna II succedutagli sul trono.
Jì a 'o battesimo, senza criatura.
Recarsi a battezzare un bimbo senza portarlo... - Cioè comportarsi in maniera decisamente errata, mettendosi nella situazione massimamente avversa all'opera che si vorrebbe intraprendere.
Pare ca s''o zucano 'e scarrafune...
Sembra che se lo succhino gli scarafaggi.- E' detto di persona così smunta e rinsecchita da sembrar che abbia perduto la propria linfa vitale preda degli scarafaggi, notoriamente avidi di liquidi.
Abbruscià 'o paglione...
Incendiare il pagliericcio - Cioè darsi alla fuga, alla latitanza, lasciando dietro di sé terra bruciata, come facevano le truppe sconfitte che incendiavano i propri accampamenti, dandosi alla fuga.(procurare un danno definitivo)
Ogne scarrafone è bbello a mmamma soja...
Ogni blatta(per schifosa che sia)è bella per la sua genitrice - Ossia: per ogni autore la sua opera è bella e meritevole di considerazione.
S’è aunito, ‘a funicella corta e ‘o strummolo a tiriteppole…
Si sono uniti lo spago corto e la trottolina scentrata - Cioè si è verificata l'unione di elementi negativi che compromettono la riuscita di un'azione...
Chi saglie ‘ncopp’ê ccorna ‘e chillo, pô dà ‘a mano ô Pataterno.
Chi si inerpica sulle corna di quello, può stringer la mano al Signore -(tanto sono alte...)- Iperbole per indicare un uomo molto tradito dalla moglie.
Quanno 'o diavulo tuoio jeva a' scola, 'o mio era maestro.
Quando il tuo diavolo era scolaro, il mio era maestro - Cioè: non credere di essermi superiore in intelligenza e perspicacia.
'O CANE MOZZECA 'O STRACCIATO.
IL CANE ASSALE CHI VESTE DIMESSO - Cioè: il destino si accanisce contro il diseredato.
Tre songo 'e putiente:'o papa, 'o rre e chi nun tène niente...
TRE SONO I POTENTI DELLA TERRA:IL PAPA, IL RE E CHI NON POSSIEDE NULLA
Ė gghiuta ‘a fessa 'mmano a 'e criature, 'a carta 'e musica 'mmano a 'e barbiere, 'a lanterna 'mmano a 'e cecate...
La vulva è finita nelle mani dei bambini, lo spartito musicale in mano ai barbieri, la lanterna nelle mani dei ciechi. - l'espressione viene usata con senso di disappunto, quando qualcosa di importante finisce in mani inesperte o inadeguate che pertanto non possono apprezzare ed usare al meglio, come accadrebbe nel caso del sesso finito nelle mani dei fanciulli o ancora come l'incolto barbiere alle prese con uno spartito musicale o un cieco cui fosse affidata una lanterna che di per sè dovrebbe rischiarare l'oscurità.
S' a' dda jì add' 'o patuto, no add' 'o miedeco.
Bisogna recarsi a chiedere consiglio da chi ha patito una malattia, non dal medico - Cioè:la pratica val più della grammatica.
Aùrio senza canisto, fa' vedé ca nun l'he visto.
Augurio senza dono, mostra di non averlo ricevuto - Cioè: alle parole occorre accompagnare i fatti.
A 'o pirchio pare ca 'o culo ll'arrobba 'a pettula...
All'avaro sembra che il sedere gli rubi la pettola della camicia - Cioè: chi è avaro vive sempre nel timore d'esser derubato.
Chi fatica'na saraca, chi nun fatica, 'na saraca e mmeza.
Chi lavora guadagna una salacca, chi non lavora, una salacca e mezza - Cioè: spesso nella vita si è premiati oltre i propri meriti.
'A MAMMA D''E FESSE è SEMPE INCINTA.
LA MAMMA DEGLI SCIOCCHI è SEMPRE INCINTA - Cioè: il mondo brulica di stupidi.
Dicette 'o pappice vicino a' noce: Damme 'o tiempo ca te spertoso!
L'insetto punteruolo disse alla noce: Dammi tempo e ti perforerò - Cioè: chi la dura la vince!
A ghiennere e nepute, chello ca faje è tutto perduto.
A generi e nipoti quel che fai, è tutto perso - Cioè: va perduto il bene fatto ai parenti prossimi
'O figlio muto, 'a mamma 'o 'ntenne.
Il figlio muto è compreso dalla madre - Lo si dice di due persone che abbiano un'intesa perfetta.
San Luca nce s'è spassato...
San Luca ci si è divertito...- Lo si dice di una donna così bella che sembra dipinta dal pennello di San Luca, che la tradizione vuole pittore. Ma anche in senso antifrastico quando ci si imbatte in una donna decisamente brutta.
Quanno siente 'o llatino d' 'e fesse, sta venenno 'a fine d' 'o munno...
Quando senti i fessi parlare in latino, s'approssima la fine del mondo. Cioè: quando gli sciocchi prendono il comando a parole e con i fatti, si preparono tempi grami.
Quanno dduje se vònno, ciento nun ce pònno...
Quando due si vogliono, cento non possono contrastarli... Cioè: E' inutile opporsi all'amore di due persone che si amano
Me staje abbuffanno 'e zifere 'e viento.
Mi stai riempiendo di refoli di vento. - Cioè: mi stai riempiendo la testa di fandonie
Passa 'a vacca...
Transita la vacca. - Cioè: è poverissimo. L'espressione dialettale è una derivazione dal latino: transit vacuus, usata nelle dogane latine per indicare i carri transitanti senza merce, quindi non soggetti a balzelli.
Ògne capa è 'nu tribbunale
Ogni testa è un tribunale - Cioè:ognuno decide secondo il proprio metro valutativo.
'O pesce fète d''a capa.
Il pesce puzza dalla testa. Cioè: il cattivo esempio parte dall'alto.
Pare 'a varca 'e mastu tTore:a poppa cumbattevano e nun 'o sapevano a prora...
Sembra la barca di mastro Salvatore: a poppa combattevano e lo ignoravano a prua - Cioè:il massimo della disorganizzazione!...
Mazze e panelle, fanno 'e figlie bbelle...,panelle senza mazze, fanno 'e figlie pazze!
Botte e cibo saporito, fanno i figli belli, cibo senza percosse fanno i figli matti! - Cioè: nell'educazione dei figli occorre contemperare le maniere forti con quelle dolci.
Chi s'annammora d''e capille e d''e diente, s'annammora 'e niente...
Chi si lascia conquistare dai capelli e dai denti, s'innamora di niente, perché capelli e denti sono beni che sfioriscono presto..
Chiagnere cu 'a zizza 'mmocca...
Piangere con la tetta in bocca - Cioè: piangere ingiustificatamente
Guàllere e ppazze, venono 'e razza...
Ernie e pazzia sono ereditarie(non si possono eludere).
'E fesse so' sempe 'e primme a se fà sèntere...
I fessi son sempre i primi a parlare - cioè: gli sciocchi sono sempre i primi ad esprimere un parere...
Dicette Pulicenella:'A MEGLIA MMEDICINA? VINO 'E CANTINA E PURPETTE 'E CUCINA...
Disse Pulcinella:LA MIGLIOR MEDICINA? VINO STAGIONATO E POLPETTE FATTE IN CASA...
STANNO CAZZA E CUCCHIARA.
STANNO SECCHIO DELLA CALCINA E CUCCHIAIA. - Cioè:vanno di pari passo, stanno sempre insieme.
Stammo asseccanno 'o mare cu 'a cucciulella...
Stiamo prosciugando il mare con la conchiglia - Cioè: ci siamo imbarcati in un'impresa impossibile...
arrostere 'o ccaso cu 'o fummo d''a cannela.
arrostire il formaggio con il fumo di una candela - cioè:tentare di far qualcosa con mezzi inadeguati.
'A mala nuttata e 'a figlia femmena.
La notte travagliata e il parto di una figlia - cioè: Le disgrazie non vengono mai sole.
Nun tené manco 'a capa 'e zi' Vicienzo.
Non aver nemmeno la testa del sig. Vincenzo. Cioè:esser poverissimo. 'a capa 'e zi' Vicienzo è la corruzione dell'espressione latina:caput sine censu ovverossia:persona senza alcun reddito, persona che pertanto non pagava tasse.
Dicette munsignore a 'o cucchiere:"Va' chiano , ca vaco 'e pressa!"
Disse il monsignore al suo cocchiere:"Va' piano, ché ho premura!" Ossia:la fretta è una cattiva consigliera
CHI D'AUSTO N'E' VESTUTO, 'NU MALANNO LL'E' VENUTO
CHI ALLA FINE DELL' ESTATE NON SI COPRE BENE, INCORRERA' IN QUALCHE MALATTIA...cioè:OCCORRE SEMPRE ESSER PREVIDENTI
Senza denare nun se cantano messe.
Senza denaro non si celebrano messe cantate. Cioé: tutto ha il suo prezzo.
A cuoppo cupo poco pepe cape.
Nel cartoccetto conico pieno entra poco pepe. Cioè: chi è sazio non può riempirsi di più(in tutti i sensi)
Giacchino mettette 'a legge e Giacchino fuie 'mpiso.
Chi è causa del suo mal, pianga se stesso: Con riferimento a Gioacchino Murat ucciso a Pizzocalabro in attuazione di una norma da lui stesso dettata
A aldare sgarrupato nun s'appicceno cannele.
Ad altare druto non portar ceri accesi. - Figuratamente: Non corteggiare donne anziane.
Si ll'aucielle canuscessero 'o ggrano, nun ne lassassero manco n' aceno!
Se gli uccelli conoscessero il grano, non ne lascerebbero un chicco! - Cioè: se gli uomini fossero a conoscenza di tutti i benefici che la vita offre, ne approfitterebbero sempre.
Dicette Pulicenella: PE MARE NUN CE STANNO TAVERNE.
Disse Pulcinella: IN MARE NON VI SONO RIPARI.
Quanno te miette 'ncopp' a ddoje selle, primma o poie vaje cu 'o culo 'nterra.
Quando ti metti su due selle, prima o poi finisci col sedere in terra. Id est: il doppio gioco alla fine è sempre deleterio
'E fatte d' 'a tiana 'e ssape 'a cucchiara.
Letteralmente:i fatti della pentola li conosce il mestolo. La locuzione sta a significare che solo gli intimi possono essere a conoscenza dell'esatto svolgimento di una faccenda intercorsa tra due o più persone e solo agli intimi di costoro ci si deve rivolgere se si vogliono notizie certe e circostanziate. La locuzione è anche usata da chi non voglia riferire ad altri notizie di cui sia a conoscenza.

Senza 'e fesse nun caparriano 'e deritte
Senza gli sciocchi, non vivrebbero i dritti. Id est: i furbi prosperano perché c'è chi glielo permette, non per loro forza intrinseca.
Nun fà pìrete a chi tene culo...
Non fare scorregge contro chi ha sedere. Id est: Non metterti contro chi ha mezzi adeguati e sufficienti per risponderti per le rime...
Quanno 'o piro è ammaturo, cade senza turceturo.
Quando la pera è matura, cade senza il bastone. IL turceturo è un bastone uncinato atto a pigare il ramo al fine di scuoterlo per far cadere il frutto.Id Est: Quando un'azione è compiuta fino alle sue ultime conseguenze queste non si lasciano attendere.
Jirsene a cascetta(te ne vaie a cascetta!.
Letteralmente: Andarsene a cassetta.(te ne vai a cassetta!). La cassetta in questione è quella del vespillone: il posto più alto, ma anche il più scomodoe il più faticoso da raggiungere, delle antiche vetture da trasporto passeggeri. L'espressione viene usata quando si voglia sottolineare la dispendiosità o la fatica cui si va incontro, impegnandosi in un'azione ritenuta gravosa per cui se ne sconsiglia il porvi mano.
A' casa d' 'o ferraro, 'o spito 'e lignamme...
Letteralmente: In casa del ferraio, lo spiedo è di legno. La locuzione è usata a commento sapido allorché ci si imbatta in persone dalle quali, per la loro supposta, vantata professionalità ci si attenderebbero nelle loro azioni, risultati adeguati ben diversi da quelli che invece sono sotto gli occhi di tutti.
Pigliatella bbella e coccate pe tterra.
Letteralmente:sposala bella e coricati in terra. Id est: accasati con una donna bella, ma tieniti pronto a sopportarne le peggiori conseguenze;la bellezza di una moglie comporta danno e sofferenze.
Abbaccà cu chi vence.
Colludere col vincitore - Schierarsi dalla parte del vincitore. Comportamento nel quale gli Italiani sono maestri: si racconta, ad esempio, che al tempo dell'ultima guerra, all'arrivo degli americani non fu possibile trovare un fascista. Tutti quelli che per un ventennio avevano indossato la camicia nera, salirono sul carro dei vincitori e i militari anglo-americani si chiedevano, riferendosi a Mussolini: Ma come ha fatto quell'uomo a resistere vent'anni se non aveva nessuno dalla sua parte?
Quanno 'a cunnimma è ppoca, se ne va p' 'a tiella.
Quando il condimento è poco, si disperde nel tegame, invece di attaccarsi alle pietanze; id est: chi non ha mezzi sufficienti, facilmente li disperde e non riesce ad usarli per portare a compimento un'opera cominciata.
Venì armato 'e pietra pommece, cuglie cuglie e ffierre 'e cazette.
Letteralmente: giungere munito di pietra pomice, aghi sottili e ferri(più doppi)da calze ossia di tutto il necessario ed occorrente per portare a termine qualsivoglia operazione cui si sia stati chiamati. Id est: esser pronti alla bisogna, essere in condizione di attendere al richiesto in quanto armati degli strumenti adatti.
BRAK

SE SO' RROTTE 'E GGIARRETELLE ETC.

SE SO’ RROTTE ‘E GGIARRETELLE oppure
RUMPIMMO ‘E GGIARETELLE!
Ad litteram: Si son rotte le chicchere! oppure Infrangiamo le chicchere! Nel primo caso: È avvenuta la procurata rottura delle domestiche tazzine, brocchettine etc. Nel secondo: Rompiamo le domestiche tazzine! Id est: si è spezzata un’amicizia consolidata, o è il caso di infrangere un’amicizia consolidata; è venuta meno o è opportuno che venga meno una frequentazione che un tempo fu abituale in quanto fondata su di un’antica amicizia.
Per comprendere appieno il significato vero (quello indicato dopo il precedente id est:) della locuzione in epigrafe, occorrerà conoscere cosa si suole indicare, in lingua napoletana con la voce ggiarretelle. Orbene la voce
ggiarretella di cui ggiarretelle è il plurale è un sost. femm. diminutivo (vedi suffisso etella/etelle) di giarra che (con etimo dall’arabo ğarra passato nello spagnolo e provenzale jarra e nel francese jarre) indica dapprima un grosso recipiente di terracotta per conservare olio, vino, acqua o granaglie e poi una brocca (con manico) di vetro o terracotta per bere acqua, birra ed altre bevande; il diminutivo ggiarretella/e indica invece esclusivamente una minuscola brocca, una chicchera, una piccolissima giara o un gottino tutti recipienti forniti di manico in materiali rigorosamente poveri, umili (vetro, terracotta e simili) usati per servir domesticamente caffè, rosolî, gelati ad amici, parenti e sodali coi quali si abbia una dimestichezza, intimità, familiarità, confidenza o frequentazione cosí intense e continuate da non necessitare l’uso di vasellame in materiali nobili (cristallo, porcellana etc.) Tutto ciò è stato valido però fino a poco tempo addietro, quando è invalso il pedestre uso di servire domesticamente caffè, rosolî, gelati ad amici, parenti e sodali in laidi, terrificanti contenitori di maleolente plastica…ed è oramai quasi impossibile trovare nelle moderne case napoletane le affettuose giarretelle d’antan! Va da sé che con il venir meno l’amicizia con relativa dimestichezza, intimità, familiarità, confidenza e frequentazione, si rende inutile l’uso delle umili giarretelle che possono essere infrante ed eliminate, per far posto a vasellami piú importanti in cui servire caffè, rosolî, gelati a nuovi conoscenti che non potrebbero ritenersi amici, parenti o sodali.D’altro canto il rompere le giarretelle può bene indicare che si siano infrante quelle amicizie che davano il destro per l’uso delle suddette.
Delle giarretelle ò detto,
so’ rrotte =sono rotte voce verbale (3° pers. plur. ind. pres. passivo) dell’infinito rompere= rompere, infrangere (dal tardo lat. rumpere).
rumpimmo = rompiamo, infrangiamo voce verbale (2° pers. plur. ind. pres.con valore esortativo oppure2° pers. plur. imperativo ) del medesimo infinito rompere= rompere, infrangere


Raffaele Bracale

GENNARINO NUN DICE BUSCIE ETC.

Gennarino nun dice buscie; dice ‘nu cuofano ‘e fessarie.
Ad litteram: Gennarino non dice bugie; dice un cumulo di sciocchezze.
Così, con la locuzione indicata si suole prender giuoco di ogni persona notoriamente bugiarda , poco credibile, millantatrice; l’espressione nacque allorché esistette in Napoli un tal Gennarino, venditore ambulante di panzarotti fritti (gustosissime frittelle di patate, di origine meridionale che, come alibi scrissi, sarebbe più giusto, anche in italiano, continuare a chiamare panzarotti e che invece impropriamente vengon dette crocchette) che era solito magnificare la propria merce in modo esagerato sottolineando le sue parole con l’aggiunta di una sorta di giuramento: Gennarino nun dice buscie (Gennarino non mente!). Atteso che la merce, invece, non era così buona come magnificato dal venditore, gli scugnizzi napoletani presero a canzonarlo aggiungendo al suo giuramento una caustica chiosa: dice ‘nu cuofano ‘e fessarie. (dice un cumulo di sciocchezze) volendo significare che il sullodato Gennarino, in qualsiasi caso (si trattasse di bugie o di sciocchezze) mentiva e la sua merce era scadente!
buscía (di cui buscíe è il plurale) = bugia, menzogna ed altrove piattello ansato per ragger le candele; nel significato di bugia è parola derivante dal provenzale bauzía che è dal francone bausi = menzogna, malignità; nel senso di piattello ansato per regger candele deriva dal nome della città algerina Bugiaya dove si producevano tali piattelli e da dove, pare, s’importasse la cera per produrre le candele;
cuofano = cesto, corbello e per traslato gran quantità, abbondanza; dal latino cophinu(m)= cesta, normale il passaggio della i atona ad a atona, in parole sdrucciole;
fessaria= cosa da nulla, sciocchezza, inezia e per traslato bugia macroscopica; etimologicamente da fesso (rotto, spaccato e poi sciocco) p.pass. del verbo findere (rompere, spaccare) + il suff. di pertinenza arius/aro + la desinenza tonica ìa; rammenterò che la stessa parola con i medesimi significati si ritrova pure nella lingua ufficiale sebbene in quest’ultima l’originaria ed etimologica a implicata ed aperta, la si sia sostituita con una pretestuosa e chiusa (ritenuta forse, ma scioccamente, più consona dell’aperta a alla elegante (sic?) dialetto di Alighieri Dante, ottenendo cosí in luogo di fessaria una non migliore fesseria. Raffaele Bracale

GALLINA & dintorni.

GALLINA & dintorni.

Illustro qui di sèguito alcune locuzioni e proverbi partenopei in cui si coinvolge il bipede domestico indicato in epigrafe.


1-'A gallina fa ll'uovo e ô vallo ll'abbruscia 'o mazzo.
Letteralmente:la gallina fa l'uovo e al gallo brucia l'ano. Id est: Uno lavora o sopporta pesi e disagi ed un altro si lamenta della fatica che non à fatto, o fa le viste di avere sulle proprie spalle il peso di disagi altrui. La locuzione è usata quando si voglia redarguire qualcuno che si sia vestito della pelle dell'orso catturato da altri, o che si voglia esortar qualcuno a non lamentarsi per fatiche che non abbia compiute, e di cui invece faccia le viste di portare il peso.
2- Quanno 'a gallina scacateja è ssigno ca à fatto ll'uovo.
Quando la gallina starnazza è segno che à fatto l'uovo. Al di là del senso letterale, il proverbio vuol significare(rendendo quasi il latino: excusatio non petita, accusatio manifesta) che quando ci si scusi reiteramente di qualcosa, tale fatto è indizio certo che se ne è colpevoli.
3- 'A gallina ca cammina torna â casa cu 'a vozza chiena.
La gallina che cammina torna a casa con il gozzo pieno. Id est: anche chi è sciocco ed inetto (come lo è una gallina), se si mette in azione riesce, in una maniera o in un'altra, a sbarcare il lunario o quanto meno – come si dice a Napoli – a sceppà ‘a campata (a vivacchiare)
4- Parla sulo quanno piscia 'a gallina!
Ad litteram: Parla solo quando orina la gallina! Perentorio icastico monito rivolto a chi (e segnatamente saccenti o supponenenti) si voglia indurre al silenzio e a non metter mai lingua nelle faccende altrui; monito che è rivolto, prendendo -però erroneamente - a modello la gallina che non è vero che non orini mai, ma compie le sue funzioni fisiologiche in un'unica soluzione attraverso un organo onnicomprensivo detto cloaca.
5- Aizammo 'a gallina e avasciammo 'a cecoria...
Letteralmente: aumentiamo la gallina e diminuiamo la cicoria... Id est: diamo maggior consistenza alla minestra aumentandone la carne e diminuendone i vegetali. La locuzione viene usata quando si voglia convincere qualcuno a curar maggiormente la sostanza delle faccende in cui si è impegnati e a non esagerare con il conferimento di aggiunte attinenti più alla forma che alla sostanza.
Analizziamo le singole parole, cominciando da
gallina:tipico animale da cortile, femmina del gallo, piú piccola del maschio, con piumaggio meno vivacemente colorato, coda piú breve, cresta piccola o mancante, speroni e bargigli assenti; viene allevata per le uova e per le carni (ord. Galliformi); nell’immaginario comune è inteso animale stupido e di nessuna intelligenza e ciò forse perché – avendo testa piccola – si pensa che abbia poco cervello; etimologicamente il nome è dal lat. gallina(m), deriv. di gallus 'gallo';
uovo: l'uovo degli animali ovipari, che viene espulso dal corpo materno prima che l'embrione si sviluppi: uovo d'uccello, di pesce, d'insetto
ma in partic., l'uovo di gallina o altri bipedi: oche, struzzo etc., usati dall'uomo come alimento; etimologicamente il nome è dal lat.ovu(m);
vallo è il gallo: uccello domestico commestibile, con piumaggio brillante, testa alta con grossa cresta carnosa e bargigli, zampe fornite di speroni, coda falciforme dai colori spesso vivaci; la voce vallo risulta essere un adattamento metaplasmatico popolare dell’originario gallo che a sua volta è dal latino gallu(m) sebbene non gli sia estranea la radice centroeuropea kar,kal (risuonare); qualcuno poi à supposto un latino *gannus donde gannulus→gan’lus→gallus che troverebbe un suo parallelo nell’ant. tedesco *hano da un verbo *hanan (= lat. canere(cantare)) con riferimento al canto mattutino del gallo; a mio avviso questa di *gannus è tesi interessante e forse perseguibile;
abbruscia: brucia – voce verbale (3° p.sing. ind. pres.) dell’infinito abbruscià = ardere, bruciare, tendere al bruciore; etimologicamente da un tardo latino *ad-brusiare = bruciare, tendere al bruciore, con tipica palatalizzazione di si→sci come per simia → scimmia ed altrove;
mazzo: di per sé è il culo, sedere, deretano, il complesso delle natiche ed ano che è tipico degli esseri umani e degli animali quadrupedi di grossa taglia; gli uccelli come il gallo non son forniti di natiche, ma del solo ano; ciononpertanto si è preferito mantenere la voce mazzo riferito al gallo, piú rapido e forse meno volgare di ‘o buco d’’o culo con cui in napoletano si indica l’ano; etimologicamente la voce mazzo è dall’acc. lat. matia(m)=intestino; la voce femminile matiam è stata poi maschilizzata ed in luogo di dare mazza à dato mazzo;
scacateja: starnazza – voce verbale (3° p. sing. ind. pres.) dell’infinito scacatïà o anche scacateïà: starnazzare, schiamazzare (propr. dei polli) il verbo è stato evidentemente modellato sull’altro verbo scacà= smettere, cessare ( nella fattispecie: di fare temporaneamente le uova) con derivazione dal latino excacare;
vozza gozza = la voce risulta essere un adattamento regionale di gargozza/o, canna della gola (dal lat.gargutium), con soppressione semplificativa della prima sillaba (gar ) e successivo passaggio della g a v come in gallo → vallo;
sceppà letteralmente strappare, togliere, svellere – è un infinito che si ritrova anche come scippà, ed ambedue le forme con etimo dal lat. ex-cippare; il verbo a margine in unione con il sostantivo campata(= necessario e sufficiente al sostentamento personale di un giorno, è un denominale di campus= campo, quello che un tempo fu il principale mezzo di procacciarsi il necessario per vivere) vale: vivacchiare quasi che fosse strappare alla vita il sostentamento quotidiano;
quanno: avverbio = in quale tempo, in quale momento; dal latino quando con tipica assimilazione progressiva nd→nn;
piscia = voce verbale (3° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito piscià = orinare, espellere per via urinaria; etimologicamente derivato dal greco pytízein = gettar fuori che diede un basso latino *pitissare, pit’sare;
aizammo = voce verbale (2° pers. plur. ind. pres., (ma pure 2° pers. plur. imperativo ) dell’infinito aizà = alzare, ma pure aumentare; etimologicamente da un lat. volg. * altiare, deriv. del lat. class. altus 'alto'; il napoletano antico dal verbo *altiare trasse dapprima auzà donde poi aizà;
avasciammo = voce verbale (2° pers. plur. ind. pres., (ma pure 2° pers. plur. imperativo ) dell’infinito avascià = abbassare, calare portare, mettere qualcosa più in basso; etimologicamente derivato dal denominale latino ad+bassus donde dapprima un abbassà→abbascià e poi per semplificazione della labiale esplosiva →abascià che divenne, con consueta alternanza partenopea b/v avascià;
cecoria = cicoria; una delle piú comuni e famose piante erbacee coltivate un po’ dovunque, ma soprattutto negli orti napoletani per le foglie commestibili, la radice di detta pianta tostata fu anche usata – soprattutto in periodo bellico - come surrogato del caffè; la cicoria (dal lat. cichorìa, neutro pl. di cichorìum, dal gr. kichórion ), in unione con altri teneri e gustosi vegetali quali scarola(voce napoletana pervenuta poi all’italiano, con derivazione dal lat. volg. *escariola(m), deriv. del lat. escarius 'che serve per mangiare', da ìsca 'cibo, esca') e borraggine o borragine ( che a Napoli è burraccia/vurraccia derivata per l’italiano dal lat. mediev. borragine(m), mentre il napoletano, con tipica alternanza partenopea b/v è dritto per dritto dall’arabo abu rach=burraccia con tipico raddoppiamento interno popolare della r e della c e deglutinazione della a iniziale intesa articolo: aburach= ‘a burraccia; di per sé abu rachc significa "padre del sudore" forse per la particolare attività di questo vegetale che è sudorifero); la borraggine o borragine è usata a Napoli nella preparazione di minestre quasi esclusivamente vegetali, di frittelle etc. ; quando poi si addizionano ai vegetali (cicoria, scarola, borraggine o borragine e verza) varî tipi di carni: bovine, avicole e suine si ottiene la famosa minestra maritata detta pure pignato grasso ed in terra iberica olla potrida.
Raffaele Bracale

Un antico verbo napoletano: fucechïà

Un antico verbo napoletano: fucechïà
Parlo questa volta di un antico verbo partenopeo: fucechïare/fucechïà, verbo tanto antico e appartenente quasi del tutto ai lessici popolari e/o familiari, da non trovar posto in nessuno dei numerosi calepini della lingua partenopea da me consultati che ànno tutti (con qualche rara eccezione) il torto d’esser stati compilati attingendo quasi esclusivamente e solo negli scritti dei classici e non anche nel parlar popolare.
Cominciamo súbito col fornire il significato italiano del verbo fucechïare/fucechïà che vale: frugare insistentemente e continuamente, rovistare con insistenza, cercare e reiteratamente indagare, ma non allo scopo di trovare un quid, quanto per dar libero sfogo al proprio bisogno, per vizio o curiosità, di rimestare insistentemente nelle cose (tasche, scatole, mobili ed affini) anche senza un preordinato fine; tale comportamento un tempo fu tipico dei bambini, ma pure di taluni adulti.
Prima di soffermarci sull’etimologia del verbo in esame, rammenterò che il verbo fucechïare/fucechïà avendo la ï comporta una coniugazione dell’ind. presente del tipo: fucechéjo – fucechje – fucecheja – fucechjammo – fucechjate – fucechejano (e non fúceco – fúceche – fúceca – fucecàmmo – fucecàte – fúcecano) come vedemmo altrove per i verbi terminanti in ïare; è ovvio che tale tipo di coniugazione valga ugualmente per tutti gli atri tempi, avendosi ad es. per il pass. remoto fucechiïaje e non fucecaje e cosí via.
E veniamo infine all’etimologia del verbo in epigrafe.
Fucechïare/fucechïà à una evidente derivazione da un
Lat. volg. *furicare, dal class. furari 'rubare', che è da fur furis 'ladro', secondo il seguente percorso morfologico:
furicare→ per metatesi fruicare donde con epentesi eufonica di una c frucicare e successiva sincope totale della prima liquida r ottenendo fucicare ed infine con ulteriore epentesi vocalica della i (che è poi occorso fornir di dieresi per non incorrere nel dittongo ià) si giunge al napoletano fucechïare.
raffaele bracale

FRESELLA

FRESELLA
Cominciamo con una citazione importante: Getta il tuo pane nell’acqua, perché dopo molto tempo lo ritroverai (L’Ecclesiaste, 11,1).
Queste parole, sebbene non si riferiscano espressamente alla fresella,ma al pane raffermo, calzano alla fresella come un guanto; infatti la fresella napoletana, e meridionale in genere, altro non è che una fetta di pane messa nuovamente nel forno (e dunque biscottata): ma basta spugnarla con un po’ d’acqua, ed ecco che, “dopo molto tempo”, quel pane lo si ritrova, pronto all’uso. La fresella è un cibo povero. Nel senso di “adatto ai poveri”, perché costa poco.
Ma è povera anche lei, priva com’è di tutto. Anche di grassi, il che la rende perfetta per le diete. Assai piú dei crackers, e dei grissini che son grassi anzi che no, essendo fatti con l’olio, o con altri grassi, nel maldestro tentativo di dar loro un po’ di sapore. Ma proprio qui sta la grandezza della fresella: lei non pretende nemmeno di avercelo, il sapore. La fresella si candida come umile compagna di viaggio, e in questo è impagabile. La sua asciuttezza le rende resistente al tempo e alla distanza: trattandosi di pane già secco in partenza, non può infatti diventare secca.
E soprattutto, non va a male.
Va piuttosto a mare: i marinai, costretti a lunghi mesi di navigazione senza toccare terra, se ne portavano appresso quantità ragguardevoli. Se la mangiavano sul mare, e col mare: spugnandola cioè in un po’ d’acqua salata. In modo da ammorbidirla e salarla al punto giusto.
Non che abbiano smesso di farlo: le classiche gallette, ultima risorsa alimentare in condizioni di emergenza, sono strette parenti della fresella. Forse per via della storia di esploratrice e di giramondo che à, la fresella sta bene con tutto. E con tutti. La morte sua? Amica dei marinai com’è, il suo elemento è l’acqua. Da quella di mare, già citata, all’acqua dei fagioli. E per restare nel liquido, il brodo di polpo, ed il sugo della trippa (zuppa ‘e carnacotta).
La fresella è l’ingrediente-base della caponata. Una caponata senza la fresella è come Roma senza il Colosseo, Milano senza il Duomo, Napoli senza il Vesuvio: un’assurdità. Per fare la vera caponata, insieme alla fresella devono esserci l’olio, il pomodoro e il sale (un pizzico). Almeno in origine: poi vi si aggiungeranno ad libitum le acciughe (per l’apporto proteico), uova sode e, talvolta, le olive verdi.
Caponata è nome antico, ma cosí antico che non si sa piú da dove sia arrivato. Certo è che gli antichi osti latini si chiamavano cauponares; e molto piú avanti, alla fine del 700, si lègge del cappone di galera alla siciliana, o cappone di magro. Tornando alla fresella, della sua presenza nel sud d’Italia ci sono testimonianze già a partire dal 1300. Di lei rimane l’eco nelle voci dei venditori ambulanti. A Napoli le freselle le vendeva il tarallaro, che batteva incessantemente le strade della città coi suoi mitici taralli ‘nzogna e ppepe contenuti entro una grande sporta, e tenuti in caldo con una coperta. Spesso il tarallaro si portava appresso anche un po’ di freselle (come si vede, ancora una volta in posizione subalterna, mai protagoniste).
Intorno al 1870 questo era il grido del tarallaro: “pe ve scarfà lu vernecale (lo stomaco) dinto a chesta piattella, cótene (cotiche) cu freselle ogneduno sta a magnà!”
Cibo per lo stomaco del popolo, la fresella è perciò presente nella lingua del popolo: il dialetto. E proprio in dialetto la citano due grandi della poesia napoletana, Salvatore Di Giacomo e Ferdinando Russo.
A segnalare la familiarità dei napoletani con la fresella, a Napoli questo termine passò, nei secoli scorsi, ad indicare le percosse (‘e mazzate), e l’organo sessuale femminile (“Chella guagliona teneva sotto ‘na fresella….”) .
Nel passaggio dal vernacolo alla lingua; dal popolino alla cultura, la fresella sparisce. Nei dizionari italiani non compare affatto, se non in quelli gastronomici. Uno per tutti, il Piccinardi, che alla voce frisella (a mio avviso improvvido ed inutile adattamento dell’originaria fresella) o frisedda” recita: “Pane biscottato a forma di ciambella tipico della Puglia e della Campania. Viene fatto con farina bianca o integrale, acqua e lievito di birra. E dopo una prima cottura viene tagliato a metà e rimesso in forno a biscottare. Prima di essere consumato va ammorbidito in acqua fredda….”
Come per la caponata, sull’origine del termine fresella non vi sono certezze. Sgomberiamo per prima cosa il campo dalle false etimologie, che chissà perché sono di solito le piú accreditate: fresella non deriva da fresa. Semanticamente le due cose non ànno visibilmente niente in comune, senza contare che la fresa è nata molto dopo.
E nemmeno proviene da fresillo: in napoletano, nastrino. Anche se la forma oblunga di talune freselle potrebbe richiamare, alla lontana, un nastro.
Certe etimologie verrebbe voglia di accreditarle solo per rendere omaggio alla fantasia degli studiosi che le ànno partorite. È il caso di questa che segue : frisoles, che però in spagnolo vuol dire fagioli. Ed è appunto nella già ricordata acqua di fagioli che un tempo veniva spugnata la fresella. Peccato che, questa pratica fosse solo una delle tante, e certamente non la piú diffusa, tale da poter determinare il nome del biscotto intinto nell’acqua dei fagioli!
Fresella deriva invece, con buona probabilità, se non certezza, dal latino frendere, che vuol dire, spezzettare, macinare, pestare, stritolare. Plinio usava infatti questo verbo nell’accezione di ridurre in piccoli pezzi, e dalla medesima radice verbale proviene l’aggettivo friabile. Ed in effetti la croccante e ruvida fresella, per esser consumata dev’essere piú o meno ammorbidita nell’acqua o in altri liquidi, poi sminuzzata per essere assunta con soddisfazione, anche senza l’aggiunta di condimenti o altro.
brak

FRAVAGLIA – FRAAGLIO e dintorni

FRAVAGLIA – FRAAGLIO e dintorni
Nell’italia meridionale con le voci riportate in epigrafe: collettivamente fravaglia e singolarmente fravaglio o fraaglio
si intendono collettivamente, o singolarmente i giovani pesci di una determinata specie (fravaglia ‘e treglia, fravaglie di sarde, d’alici ) e piú genericamente l’insieme di novellame (escluso il novellame appena nato: i cosiddetti bianchetti che in napoletano son detti cicenielli) di specie diverse messo in vendita mescolato ed adatto soprattutto alla frittura.
Cominciamo col dire che la voce napoletana fravaglia ( che - contrariamente a quanto ritenuto dai piú - io non reputo sia da collegarsi al verbo lat. frangere= spezzare giacché (per quanto si faccia) sia morfologicamente che semanticamente non si riesce a trovar nessi soddisfacenti. Mi pare invece piú perseguibile sia per la morfologia, che per la semantica, la strada di un sia pure non attestato neutro plurale *fragalia da un sing. *fragalium = cose odorose inteso poi femminile, derivato dal lat. fragare= essere odoroso ); dicevo dunque che la voce napoletana fravaglia è pervenuta con i medesimi significati del napoletano nella lingua nazionale dove però è fragaglia. E non faccia meraviglia che fravaglia sia diventato fragaglia; spesso in napoletano o dal napoletano si à l’alternanza v/g o g/v (vedi ad es.: vulio/gulio – volpe/golpe etc.)

Torniamo al napoletano per dire che nel parlato comune spesso la voce femminile (ma in origine probabilmente neutra) fravaglia è erroneamente reso con un inconferente masch. sing. fravaglio o addirittura fraaglio ed un plurale masch. fravagli, ma di tali stravolgimenti non se ne comprende ragione o motivo: è cosí bello e musicale il femm.(ex neutro) ‘a fravaglia !
raffaele bracale

FORCHETTA ETC.

forchetta, piatto, pantaloni, gonna, sedia, tavolo, libro

Forchetta/furchetta: cioè piccola forca; dal franc. Fouchette con epentesi di una erre eufonica.
Piatto: essenzialmente quello piano da un greco platys attraverso un latino platus: largo, piano; originariamente il piatto da minestra fu detto scodella dal lat. scutella(m) diminutivo di uno scutra, vaso di terracotta. Molto più acconciamente rispetto all’italiano, il napoletano à piatto schiano (piatto piano) e piatto accupputo (piatto per minestra): schiano: dal lat. planu(m)con protesi di una esse intensiva.
Pantaloni: originariamente nomignolo affibbiato dai francesi ai veneziani devotissimi di un tal san Pantalone o Pantaleone; successivamente usato per designare un tipo di braghe larghe usate appunto dai veneziani in alternativa con i più stretti e scomodi calzoni (da grosse calze) che erano indossati proprio come le calze infilandoli ai piedi e poi lungo tutto le gambe ( a mo’ dei moderni collant femminili: non v’è nulla di nuovo sotto il sole!)
Gonna: da un basso latino gunna da collegarsi ad un basso greco gouna per il classico gòny /gònata (ginocchio) in quanto indumento che copriva le ginocchia; si capisce perché l’indumento creato da Mary Quant, usurpi il nome di gonna sia pure mini!
Sedia: arnese mobile per sedere forgiata sul latino: sedire da un suppusto sèdula→sed’la→ sedia.
Tavolo: il mobile per lo piú ligneo fornito di tre o piú zampe e di un piano orizzontale da appoggio, costituito da una o piú tavole legate fra di loro, che dal latino tabula presta il nome al mobile.
Libro: dal latino librum che è l’accusativo di liber indicante il piú interno dei tre strati della corteccia degli alberi, quello comunemente usato per la fabbricazione del materiale su cui anticamente si soleva scrivere; donde ogni altro oggetto contenente scritti.
brak

martedì 29 aprile 2008

FIORAIO – FIORISTA e dintorni.

FIORAIO – FIORISTA e dintorni.
Affronto l’argomento delle due voci (fioraio – fiorista ) in epigrafe spinto dal fatto che la vecchia voce della lingua italiana fioraio (s. m. [f. -a] venditore di fiori) à malamente ceduto il posto, sia pure nell’italiano mediatico, mutuato dal dialetto toscano (che, purtroppo, per bocca di taluni sedicenti presentatori della T.V. di Stato, oramai la fa da padrone accanto al romanesco nei programmi televisivi), dicevo à malamente ceduto il posto alla voce fiorista nella pretesa che essa voce possa avere il medesimo significato di fioraio= venditore di fiorni. Sgombro súbito il campo dagli equivoci; in realtà la voce fiorista s. m. e f. [pl. m. -sti] nacque, posteriormente a fioraio innanzi tutto per indicare in primis chi fabbricasse fiori artificiali o chi dipingesse fiori, e solo erroneamente ed estensivamente (sulla bocca del popolo basso) chi vendesse o coltivasse fiori, cioè il fioraio o il floricoltore.
Chiarisco: l’originario antico suffisso latino con cui si coniarono i sostantivi indicanti arti e mestieri,tra i quali i venditori di merci e/o generi alimentari, fu arius che diede nell’italiano aio (ad es.: lattaio, beccaio,merciaio, fioraio etc.), e in molte lingue regionali (come il napoletano) aro (ad es.: lattaro,magliaro, sciuraroetc.); solo nel Rinascimento (come à chiaramente osservato l’ottimo prof. Rohlfs) si cominciò ad usare il suffisso ista per formare sostantivi o aggettivi che indicassero arti, mestieri relativi ad alcune azioni particolari riconducibili in genere a verbi in izzare (ad es.: latinizzare>latinista – grecizzare>grecista ) e solo piú tardi, sganciandosi dai verbi in izzare con il suffisso ista si coniarono sostantivi o aggettivi che indicassero arti, mestieri (ad es.: artista, giurista, giornalista,pianista, turista,barista, protagonista); accanto a queste ed altre voci della lingua ufficiale il suffisso ista attecchí molto sia nella lingua ufficiale e moltissimo in taluni dialetti e nelle parlate del popolo basso, ad es.: fiaccherista, fiacarista = vetturino (nel milanese, toscano, marchigiano etc.), pumpista= pompiere, cardista=garzatore,cardatore, bibista= ubriacone (nel piemontese),farenista=farinaiuolo (nel pugliese)fiorista=fioraio (nel toscano e nel milanese) etc.
Da tutto ciò se ne deduce, a mio sommesso, ma deciso avviso, che la voce piú corretta (come che nata prima e da un originario suffisso latino: arius>aio>aro), la voce piú corretta per indicare il venditore di fiore è fioraio (con i corrispondenti in aro delle lingue regionali (napoletano: sciuraro/a) e non fiorista voce dei dialetti toscano e milanese, voce che non è necessario recepire nella lingua ufficiale italiana dove già esiste il piú che corretto e bastevole fioraio (da flos+arius). Fiorista lasciamolo a taluni sciocchi, incolti, provinciali presentatori televisivi che, se non esistesse Mamma R.A.I. potrebbero al massimo aspirare (absit iniuria!...) ad un posto di mendicanti sulle scale delle basiliche romane o del duomo di Milano!
raffaele bracale