TRUPẾA, TRUBBẾA, TRUBBẾJA ETC.
Questa volta, prendendo spunto dalle condizioni atmosferiche di questa sera, allorché a conclusione di un’afosa giornata di sole e calore, si è scatenato improvviso e ventoso un acquazzone, scuotendo e scompigliando  violentemente le chiome degli alberi e facendo sbatacchiare i vetri di finestre e balconi;    intendo perciò  parlare della voci in epigrafe, anzi della voce e cioè di trupéa giacché come si può facilmente intendere la voce successiva trubbéa non è che un adattamento quasi gergale della prima voce  mentre trubbeja non è che una diversa forma della medesima trubbéa, forma diversa di probabile origine popolare con epentesi di un suono di transizione (j) per evitare lo iato dell’incontro di vocali (èa) incontro inteso cacofonico; il cammino morfologico fu il seguente:  l’originaria trupéa si adattò in  trubbéa  che a sua volta si trasformò in trubbéja  mantenendo tuttavia  inalterato significato e campo di apllicazione.
Cominciamo súbito col vederli e diciamo che  con le voci in epigrafe si indica un improvviso,inatteso, ventoso e violento acquazzone, oppure una gran pioggia inaspettata accompagnata da vorticosi venti tali da determinare in città lo sbatacchiamento dei vetri  di finestre e/o balconi ed in aperta campagna lo scompigliamento delle chiome degli alberi che, se da frutti,  li vedono cascare in terra  anche quando non siano perfettamente maturi;proprio tenendo presente questa evenienza a Napoli e nel napoletano è in uso il dire
- ‘a trupéa o anche ovviamente ‘a trubbéa o ‘a trubbéja  d’’e cerase  con riferimento a gli improvvisi, inattesi violenti acquazzoni che si manifestano intorno alla metà del mese di maggio e che determinano una raccolta precoce delle ciliegie che vengono messe in commercio al minuto al grido: So’ cchelle d’’a trubbeja per indicare che si tratta di autentiche primizie la cui raccolta si è avuta a sèguito  d’improvviso,inatteso, ventoso e violento acquazzone,o di una gran pioggia inaspettata;
- la medesima cosa avviene per la cosiddetta  trupéa o anche ovviamente  trubbéa o trubbéja  d’’e cresòmmole  con riferimento a gli improvvisi, inattesi violenti acquazzoni che si manifestano intorno alla fine del mese di giugno  e che determinano una raccolta precoce delle albicocche  che vengono messe ugualmente  in commercio al minuto al grido: So’ cchelle d’’a trubbeja per indicare che si tratta di autentiche primizie la cui raccolta si è avuta a sèguito  d’improvviso,inatteso, ventoso e violento acquazzone, di una gran pioggia inaspettata di fine mese di giugno o principî di luglio;
per non parlare poi  della cosiddetta  trupéa o anche ovviamente  trubbéa o trubbéja  d’’e ddoje Maronne   con riferimento a gli improvvisi, inattesi violenti acquazzoni che si manifestano intorno alla metà del mese di luglio in occasione della ricorrenza della festa della Madonna del Carmine (16 luglio) o a quelli che si manifestano intorno alla metà del mese di agosto in occasione della ricorrenza della festa della Madonna Assunta (15 agosto).
Poiché  in occasione della trupéa – trubbéa – trubbéja delle due Madonne non si verifica nessuna particolare raccolta di primizie, ma ci si accorge – volenti o nolenti – dell’approssimarsi della fine della buona stagione (luglio – agosto) va da sé che delle varie trupée – trubbée – trubbéje dal popolo siano ben accolte ‘a trupéa – trubbéa – trubbéja d’’e cerase e quella d’’e cresòmmole che comunque comportano la raccolta di saporiti frutti ed invece quel medesimo popolo sopporti solo come sgradita, ma ineluttabile evenienza  ‘a trupéa – trubbéa – trubbéja d’’e ddoje Maronne  che – come ò detto – precorrono soltanto la fine della buona stagione (luglio ed agosto).
E passiamo ad illustrare le parole piú significative incontrate in questo excursus.
Cominciamo ovviamente con
- trupéa o con morfologia diversa trubbéa o trubbéja   sost. femm. sing. vale improvviso, inatteso violento acquazzone, gran pioggia accompagnata da impetuoso vento; per ampliamento semantico sta pure talvolta per zuffa, rissa improvvise ed impetuose.
l’etimologia è tranquillamente greca dal sost. tropaía=tempesta; la voce a margine trupéa à conservato del greco la sorda p mentre nelle forme popolari (se non addirittura gergali con riferimento all’ampliamento semantico di cui antea) trubbéa e trubbéja   si è avuto il passaggio della sorda p alla sonora b esplosiva labiale rafforzata con la  geminazione; del suono transitorio j  di  trubbéja ò già detto precedentemente;
- cerase sost. femm.plur. al sing. cerasa = ciliegia, il gustoso, appetibile   frutto del ciliegio, costituito da una piccola drupa polposa e dolce, di forma rotondeggiante e di colore rosso
Quanto all’etimologia mentre la voce italiana ciliegia (che anticamente fu ciriegia (e pare che i toscani operassero poi  – per una questione di eufonia (?) -  la mutazione della r in l) è dal lat. volg. *ceresea(m), deriv. di cerasus 'ciliegio', la voce napoletana cerasa  risulta invece  essere un neutro plurale del lat. *cerasju(m) derivato dal greco keràsion neutro plurale poi inteso femminile come altrove cfr. cenisa= cenere dall’agg.vo neutro plurale.
A margine della voce dell’italiano ciliegia, mi corre l’obbligo di rammentare che  in un  corretto italiano il plurale di ciliegia  deve essere  ciliegie e non ciliege cosí come improvvidamente riportato da talune moderni dizionarî e/o grammatiche post-sessantottine, dizionarî e grammatiche curati da imberbi iconoclasti sedicenti studiosi che ànno fatto piazza pulita d’ogni regola d’antan  per abbracciare la pilatesca  corrente di pensiero basata sul : Fate come vi pare; è permesso tutto!Non si sbaglia mai! In base a tale assurdo pensiero onnipermissivo il plurale di ciliegia  è ciliegie o  ciliege ad libitum,  come meglio aggrada!... Una volta non fu cosí! Quando esistevano le regole e chi le faceva rispettare (parlo degli anni tra il 1950 ed il 1960 e la scuola fu degna di questo nome) il plurale di ciliegia fu incontrovertibilmente ciliegie secondo quanto riportato sui dizionarî compilati da saggi  esperti e/o professori della lingua italiana e tra di essi il compianto Fernando Palazzi che nella sua insuperata grammatica  IL GOVERNO DELLE PAROLE   rammentava che le parole che al singolare terminano in cia e gia atone fanno al plurale in cie e gie quando le desinenze atone cia e gia son precedute da una vocale (ed è il caso di ciliegia) mentre fanno al plurale in ce e ge quando le desinenze atone cia e gia son precedute da una consonante (come nel caso di provincia che fa province, né v’è ragione che faccia provincie come invece talvolta maldestramente si trova nell’uso di incolti commentatori dei media televisivi o di  alcuni pennaruli della carta stampata.
- cresòmmole sost. femm. plur. di cresòmmola= albicocca, frutto dell'albicocco albero con frutti dolci e saporosi di color giallo aranciato; per traslato giocoso in napoletano la voce cresòmmola indica anche o una sesquipedale fandonia, sciocchezza o anche  una violenta percossa portata a mano serrata e diretta essenzialmente al volto; il passaggio semantico del traslato quale violenta percossa  è da ricercarsi nel fatto che dettà percossa può lasciare sul viso una tumefazione rapportabile per grandezza al polputo frutto dell’albicocco; meno intuibile il passaggio semantico del traslato quale sesquipedale fandonia, sciocchezza grande a meno che anche in questo caso non si mettano in rapporto la grandezza del frutto  con la vastità della sciocchezza, ma lo reputo un arrampicarsi sugli specchi del ragionamento.
Passiamo alle etimologie:
- albicocca Dall'ar. al-barquq, che è dal lat. (persica) praecocia '(pesche) precoci' (rammenterò che dalla voce persica praecocia piú acconciamente il napoletano non vi trasse albicocca, ma trasse perzeca= pesca rossa, mentre la pesca gialla da praecocia fu detta per metatesi  percoca  mentre come voce per indicare l’albicocca in napoletano si à 
- cresòmmola  che è  derivazione del greco khrysós =aureo + melon= frutto; cresòmmola vale dunque frutto dorato e non significa invece frutto del re Creso cosí come à improvvidamente sdottorato (tirandolo fuori non so da dove) un tal Sergio Grasso sedicente antropologo alimentare, gastrosofo di RAI 1, durante una nota trasmissione del mattino pagata ovviamente con i  danari dei contribuenti  e da quello degli abbonati!
Satis est.
Raffaele Bracale 01/07/08
A margine e completamento di quanto ò detto sulla voce cresòmmola, su specifica richiesta dell’amica sig.ra Rosalia d’Ambrosio da Eboli, mi soffermo ad illustrare brevissimamente le voci  libbèrgio  e la derivata libbèrgina
che son voci attestate pure come  libèrgio  e   libèrgina (con forma scempia della labiale esplosiva b, quantunque le forme con la b geminata appaiono di piú esatto e forse corretto originario  uso popolare, mentre le forme con la b scempia son d’uso marcatamente letterario e  libresco e quindi a mio avviso, da non seguirsi.
Con dette voci  libbèrgio (con cui si indica l’abero fruttifero delle albicocche) e   libbèrgina(il frutto dell’albero albicocco) son  voci (come ò detto     attestate pure come  libèrgio  e   libèrgina ) con cui nella zone del salernitano e dell’ebolitano si indicano, dicevo, rispettivamente l’albero ed i frutti di  quelle albicocche che nel napoletano sono cresòmmole (ed il relativo albero è il  cressuómmolo). 
Potrà sembrare strano che Salerno, Eboli e loro circondarî, luoghi che son  cosí prossimi al capoluogo campano (che vanta una lingua che à influenzato in lungo e largo le parlate centro- meridionali),potrà sembrare strano, dicevo,  che adottino, nel loro parlato popolare voci tanto diverse da quelle napoletane per indicare il medesimo frutto (l’albicocca) ed il relativo albero che lo produce. Ma l’apparire strano della faccenda cade solo se si pensa che  Salerno, Eboli e loro circondarî son sí vicini a Napoli, ma ugualmente son prossimi alla Calabria e spesso voci in uso nelle città calabresi (soprattutto quelle rivierasche) ànno passato il confine e son giunte in talune città campane.
In effetti le voci libbèrgio  e la derivata libbèrgina
 attestate pure come  libèrgio  e   libèrgina  son voci d’uso calabrese  dove con etimo per adattamento morfologico dal mozarabico nonché spagnuolo alberchiga indicano il nocepersico  ed il relativo frutto nocepersica.
Non è chiaro tuttavia il percorso semantico seguíto nel salernitano ed ebolitano  per assegnare all’albicocca il nome usato in Calabria per indicare la nocepersica  (quel frutto a pasta soda e succosa e a buccia gialla che a Napoli è detto percoca   voce derivata da un acc.vo del lat. volgare *percoca(m)= frutto del tutto maturo  alterazione di praecoqua(m)= frutto precoce, mentre  quel frutto a pasta bianca e succosa, buccia rossa e vellutata che in italiano è pèsca  in napoletano è perzeca  con etimo dall’ acc.vo lat. persica(m) (la medesima voce da cui con evidenti capriole morfologiche l’italiano ricavò pèsca) con normale passaggio per il napoletano di rs→rz. Dicevo che non è chiaro tuttavia il percorso semantico seguíto nel salernitano ed ebolitano  per assegnare all’albicocca il nome usato in Calabria per indicare la nocepersica e probabilmente non vi è stato un codificato percorso semantico; probabilmente si è trattato di una semplice erronea  confusione e/o cattivo riferimento   protrattisi – come talvolta càpita – nel tempo! 
Rammento infine che le voci libbèrgio  e   libbèrgina  oppure libèrgio  e   libèrgina  sono attestate con diversa morfologia variamente adattata, ma uguale significato ( nocepersica ed  albicocca) in altre zone centro- meridionali: nel siciliano infatti  abbiamo sbèrgia,sbergiu,  sbèggia, svèrgia, smèrgia  nel calabrese meridionale troviamo aspèrgia, nell’avellinese arbèrcia
E questa volta veramente satis est.
raffaele bracale
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