domenica 18 settembre 2011

FÀ ‘NA PALÏATA.O FÀ ‘NA LARDÏATA

FÀ ‘NA PALÏATA.O FÀ ‘NA LARDÏATA
Questa volta è stato il caro amico P. G. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) a chiedermi via e-mail di chiarirgli significato e portata delle due espressioni partenopee in epigrafe. Gli rispondo súbito dicendo che si tratta di espressioni analoghe che a senso nell’uno e l’altro caso valgono :Conferire a qualcuno un gran numero di gravi, dolorose batoste; id est: percuoterlo violentemente ed a lungo. Il termine che connota il primo caso, originariamente si riferiva al fatto che le percosse fossero inferte con un palo donde il nome (palïata) riferito in epigrafe; in prosieguo di tempo è venuta meno la particolarità del palo, ma è rimasta l’idea della gran quantità di percosse che la palïata comporta.Rammento che morfologicamente dal sostantivo palo ci si sarebbe atteso come corretta derivazione la voce palata e non paliata, ma poi che il napoletano aveva già la voce palata con tutt’altro significato (filone di pane di ca un kg. che occupa per intero la pala con cui è infornato (donde il nome)) ecco che per indicare la bastonatura inferta con un palo si ricorse al termine paliata che necessitò dell’anaptissi di comodo di una i nella voce palata. La locuzione non piú molto usata, un tempo, invece, era sulla bocca di tutte le mamme che con essa espressione minacciavano i loro vivaci figlioletti insensibili a piú dolci rimbrotti, affinché si calmassero e recedessero dal loro irrequieto atteggiamento; ben piú dura e dolorosa la portata della seconda espressione: fà ‘na lardïata; oggi è ancora intesa come somministrazione di un gran numero di percosse, ma in origine riprendeva l’antica (epoca viceregnale1503 -1688 e ss.) abitudine per la quale era concesso alla peggiore plebaglia che facesse ala al cammino di un condannato a morte verso il patibolo, di espandere ad libitum le sofferenze dell’infelice con sputi, percosse, dilianamento delle carni con tenaglie infuocate e soprattutto scottature operate con l’uso di pezzi di lardo ( da cui lardïata) bollente che venivano soffregati sul corpo del condannato; da questa barbarica usanza, per estensione il termine lardïata passò a significare: solenne bastonatura. Per la precisione, antecedentemente al 1651 tale barbaro modo di espandere il supplizio del condannato a morte era perpretato dallo stesso boia adibito all’esecuzione; il boia (prezzolato allo scopo dalla plebe accorsa ad assistere all’esecuzione) provvedeva in prima persona o per il tramite del suo aiutante ad aumentare le sofferenze del condannato a morte e tale abitudine perdurò fino al 1651 anno in cui fu afforcato il boia Antonio Sabatino che nel 1650, dietro pagamento, aveva espanso (per il divertimento della plebaglia) le sofferenze di due condannati: il gentiluomo Antonio Taglialatela (decapitazione) ed il popolano Nunzio Di Fazio (impiccagione). Arrestato (per ordine dei giudici della Gran Corte della Vicaria) in flagranza di reato, il Sabatino fu rinchiuso nelle carceri della Vicaria, poi venne processato e condannato ad essere afforcato per mano d’un boia proveniente dalla campagna e che poi l’avrebbe sostituito nella mansione di boia del tribunale maggiore.
Dopo questo episodio i boia, temendo di fare la medesima fine del Sabatino, si rifiutarono di prendere dagli spettatori (plebe) un pagamento sottomano per provvedere in prima persona o per il tramite di un aiutante ad aumentare le sofferenze del condannato a morte e tale abitudine diventò perciò di pertinenza della medesima plebaglia,che provvide in proprio come ò accennato.
palïata s.vo f.le = grave percossa, bastonatura inferta con un palo etimo: deverbale di palïà che è da palo (dal lat. palu(m)) =percuotere con un palo;
lardïata s.vo f.le = di per sé salsa rustica a base di lardo di gola (lardiciello o guanciale), ma qui estensivamente vale solenne bastonatura con riferimento a tutte le sofferenze inflitte al destinatario nella maniera e con i mezzi ricordati precedentemente; quanto all’etimo è voce deverbale di lardïà (sminuzzare il lardo e per traslato percuotere; lardià è da lardo che è dal lat. laridu(m)/lardu(m): lo strato di grasso sottocutaneo del maiale, che si conserva salato o affumicato per uso di cucina.
Vicaria notissimo antico quartiere popolare napoletano, un tempo noto con il nome di ‘a via d’’e chianche per la presenza di numerose macellerie (in napoletano chianche dal lat. planca(m)= panca ché in origine nelle macellerie la carne veniva esposta e sezionata su di una panca di legno) notissimo antico quartiere situato a ridosso del centro antico;si espandeva in origine tra la zona di Forcella (Vicaria vecchia) e la zona posta al di qua ed al di là della porta capuana nel quale sorge il famoso Castelcapuano che è il piú antico castello di Napoli. Di origine normanna, è situato allo sbocco dell'attuale via dei Tribunali ed è sede della sezione civile del tribunale di Napoli. Deve il suo nome al fatto di essere ubicato a ridosso di Porta Capuana, che si apre sulla strada che conduceva all'antica Capua.Tra il 1537 ed il 1540, Don Pedro de Toledo, marchese di Villafranca del Bierzo (1532 – 1553 ) vicerè di Napoli, trasferí il Tribunale della Vicaria, ed altri uffici giudiziari in Castelcapuano.
Fino al 1535, infatti, la giustizia civile e penale del vicereame napoletano veniva amministrata in diversi luoghi:
la Gran Corte della Vicaria si trovava in un edificio della Vicaria vecchia a Forcella;
il Sacro Consiglio nel chiostro di Santa Chiara;
la Real Camera della Sommaria nella casa del marchese del Vasto;
il Tribunale della Bagliva era sulle scale della chiesa di San Paolo (in pieno centro storico) ;
e il Tribunale della Zecca nel palazzo di fronte alla chiesa di Sant’Agostino.
L’esigenza avvertita dal Viceré spagnolo,su istanza di avvocati e sudditi, era quella di accentrare in un unico luogo tutte le attività legate all’amministrazione della giustizia. Parte di Castelcapuano divenne carcere giudiziario per i nobili e per il popolo. Esso occupava tre livelli: il piano ammezzato era riservato ai nobili carcerati, il piano terra era destinato ai criminali comuni, i sotterranei ospitavano gli elementi peggiori; altre carceri per criminali comuni erano ubicate nella vicinissima piazza San Francesco nell’edificio che un tempo era stato il convento dei monaci di sant’Anna ed in seguito e fino a poco tempo fa ospitò gli uffici della Pretura di Napoli.

Il carcere vero e proprio venne chiuso nel 1886, ma fino al novembre 1995, quando le sezioni penali lasciarono Castelcapuano, parte di esse restarono per i detenuti che dovevano assistere ai processi. Ancóra oggi alcune gabbie fatiscenti fanno bella mostra di sé in alcuni angusti corridoi del piano terra e del piano interrato.
Oggi il nuovo quartiere Vicaria (piú noto con il nome di Vasto forse perché nella zona il marchese di Vasto, v’ebbe alcune proprietà, ma piú probabilmente perché Vasto è corruzione di Guasto per i guasti (incendi, saccheggi)operati nella zona a ridosso della porta Capuana degli eserciti invasori) è nato dopo il Risanamento della città di Napoli,iniziato nel 1885 quando debellata l'epidemia di colera che nel 1884 aveva colpito la città , si iniziò ad operare lo sventramento di interi quartieri popolari e la creazione -tra l'altro- del Corso Umberto I° e della Galleria Umberto I° con l'attuazione delle leggi che prevedevano un'espansione verso la zona orientale: le abitazioni prevalentemente di carattere popolare furono realizzate dalla Società pel Risanamento, dalle cooperative dei ferrovieri, e da istituzioni private come La Banca d’Italia. Successivamente agli eventi bellici che colpirono fortemete la zona, una parte di esso venne ricostruito ed è stato anche vittima della speculazione edilizia (difatti molte abitazioni sono in calcestruzzo armato). E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico P.G. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
Raffaele Bracale

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