giovedì 26 febbraio 2015
VARIE 15/125
1.MARE A CCHI À DDA AVÉ E VVIATO A CCHI À DDA DÀ
Letteralmente: Meschino chi deve avere e beato chi deve dare. A prima vista parrebbe il contrario, ma l'attenta osservazione della realtà fa concludere che è esatto ciò che afferma il proverbio; . Spieghiamoci: la locuzione recita: Male (compete) a colui che deve ricevere, (mentre è) beato colui che deve dare (qualcosa)! Id est: il creditore sta messo peggio del debitore; in effetti il debitore sta godendo d’un bene ricevuto ed anche se è oberato dall’obbligo di doverlo restituire o conferirne il corrispettivo à dalla sua il fatto di non doverlo fare súbito e/o in tempi rapidi e – quand’anche ciò fósse - à dalla sua l’augurio di buona salute che gli riserva il creditore preoccupato, in caso di infausto esito della vita del debitore, di veder volatilizzato con lui il suo credito;al contrario il meschino creditore che à elargito qualcosa sta nella condizione sfavorevole attendendo una restituzione o un pagamento che non sa se e quando avverranno; nelle more per certo gli saranno indirizzate le maledizioni del debitore che augurandosi un decesso del creditore, ritiene di liberarsi, con esso, del proprio debito per cui giustamente Mare a cchi à dda avé e vviato a cchi à dda dà!(Male (compete) a colui che deve ricevere, (mentre è) beato colui che deve dare (qualcosa))!
mare forma rotacizzata osco-mediterranea di male s.vo m.le [ dal lat. malum «male fisico o morale», rifatto secondo male avverbio] In senso ampio, il contrario del bene, tutto ciò che arreca danno turbando comunque la moralità o il benessere fisico ed è perciò temuto, evitato, oggetto di riprovazione, di condanna o di pietà, ecc.
viato agg.vo m.le e s.vo m.le [dal lat. beatus, propr. part. pass. di beare].1 in primis benedetto, eletto. 2. ( per estensione) contento, felice, gioioso, lieto. estasiato,appagato, sereno, soddisfatto, spensierato, tranquillo.
2.'MMARCARSE SENZA VISCUOTTE.
Letteralmente:Imbarcarsi senza biscotti. Id est: agire da sprovveduti, accingersi ad un'operazione, senza disporre dei mezzi necessari o talvolta, senza le occorrenti capacità mentali e/o pratiche. Anticamenti i pescatori che si mettevano in mare per un periodo che poteva durare anche più giorni si cibavano di carni salate, pesci sotto sale e gallette o biscotti, preferiti al pane perché non ammuffivano, ed anche secchi erano sempre edibili ammollati nell'acqua naturalmente marina non ancora inquinata.
3.SÎ ARRIVATO Â MONACA ‘E LIGNAMMO.
Letteralmente: sei giunto presso la monaca di legno.
I d est. sei prossimo alla pazzia.
Anticamente la frase in epigrafe veniva rivolta a coloro che davano segni di pazzia o davano ripetutamente in escandescenze. La monaca di legno dell’epigrafe altro non era che una statua lignea raffigurante una suora nell’atto di elemosinare . Detta statua era situata sulla soglia del monastero delle Pentite presso l’ Ospedale Incurabili di Napoli, ospedale dove fin dal 1600 si curavano le malattie mentali
4.SÎ ‘NA VAJASSA D’ ‘O RRE DE FRANZA
Letteralmente: Sei una serva del re di Francia. L a frase è un’offesa gravissima che si può rivolgere ad una donna e con essa frase non solo si intende dare della puttana alla donna, ma accusarla anche di essere affetta dalla sifilide o lue .
Tale malattia è stata nei corso dei secoli chiamata dai napoletani mal francese, morbo gallico o celtico; i napoletani sostenevano che detto morbo era stato importato in Napoli dai soldati al seguito di Carlo VIII. Per converso il morbo era detto dai francesi mal napoletano poiché affermavano che il morbo era stato diffuso tra i soldati francesi di Carlo VIII dalle prostitute partenopee.
vajassa= serva, fantesca; dall’arabo: baassa attraverso il francese bajasse da cui in italiano: bagascia= meretrice.
5.TRÒVATE NCHIUSO E PPIÉRDETE CHIST' ACCUNTO...
Letteralmente: Tròvati chiuso e perditi questo cliente... Locuzione violentemente ironica che si usa quando si voglia sottolineare e sconsigliare il cattivo mercato che si sta per compiere o che si compierebbe, avendo a che fare con un contrattante che dal negozio pretenderebbe solo vantaggi a danno dell' altro contraente, o anche quando si voglia sottolineare la incresciosa situazione di un negoziante che veda entrare in bottega una persona, che invece di acquistare, guarda, indaga, chiede e non si decide mai a comprare. Va da sé che la locuzione a margine si adatta per ampliamento semantico nei confronti di chiunque in qualsiasi tipo di contrattazione pretenda solo vantaggi a danno dell' altro contraente o pretestuosamente faccia perder tempo e non addivenga al dunque!
Nchiuso/chiuso voce verbale part. pass. m.le aggettivata = chiuso, serrato, stretto, sbarrato; inaccessibile; è voce del verbo chiudere (che è dal lat. tardo cludere→chiudere, per il class. claudere ) da notare che spesso in napoletano il verbo chiudere/chiurere viene addizionato in posizione protetica di una N eufonica che non necessita di alcun segno d’aferesi e si ottiene nchiudere/nchiurere utilizzato al posto di chiudere/chiurere. ò détto e ribadisco che essendo la N usata come protesi una consonante eufonica, non esige segni diacritici poi che non è il residuo dell’aferesi di in che darebbe ‘n come càpita di trovare scritto in qualche sprovveduto sedicente esperto del napoletano, come addirittura un compilatore di dizionario dove in luogo del corretto nchiudere/nchiurere m’è occorso inopinatamente di trovare ‘nchiudere/’nchiurere
Accunto = cliente acquirente, avventore, compratore abituale; voce dal latino ad + cognitu(m)→accognitu(m)→acco(g)n(i)tu(m)→accunto id est: piú chenoto, molto conosciuto, atteso che un cliente abituale è persona che frequenta quasi quotidianamente una bottega e quindi è ben conosciuto dal bottegaio di cui è cliente.
6. PUBBELLA
Ci troviamo a parlare d’un vecchissimo vocabolo (fine XVII sec.) completamente desueto e quasi scomparso che si può ritrovare esclusivamente nel parlato di qualche vecchissimo napoletano aduso al linguaggio popolare se non plebeo.
Diciamo súbito che con la voce in epigrafe i popolani napoletani tra la fine del 1800 ed i primi del 1900 indicarono il secchio per l’immondizia, la pattumiera domestica.
Per comprendere la nascita e la formazione di tale vocabolo dell’idioma napoletano, occorrerà fare un passo all’indietro nella storia d’Europa e risalire al 1884, allorché il prefetto di Parigi, Eugenio Poubelle, obbligò i parigini a procurarsi 3 scatoli o secchi per i loro rifiuti: uno per le materie bio-degradabli, uno per gli stracci e la carta ed un altro per il vetro, i cocci di terraglia ed i gusci delle ostriche... Riciclatore ante litteram, monsieur Poubelle non immaginava allora che i secchi per i rifiuti sarebbero veramente entrati nelle case degli europei soltanto dopo la seconda guerra mondiale!
In Italia invece Napoli ebbe anche tale primato e già fin dalla fine del 1800 adottò,sotto la deprecata ( ovviamente) per i malevoli a digiuno di storia patria...) dinastia del Borbone sebbene senza intenti riciclatori,il secchio, anzi i secchi per la spazzatura domestica dandogli il nome di pubbella, dritto per dritto dal cognome del sig. Eugenio Poubelle che ne aveva imposto l’uso.
Oggi che Napoli e la Campania ànno (per l’ignavia e l’incapacità dei propri amministratori passati, presenti e – speriamo, non anche futuri) il grave problema della spazzatura, sembra quasi una barzelletta che Napoli un tempo adottasse tra le prime città dello stivale, il secchio per la spazzatura domestica e procedesse ad una sorta di raccolta differenziata!Non sempre il fluire del tempo apporta progresso o miglioramenti. Tutto sommato, si stava meglio quando si stava (a voler credere ai proff. giacobini Scirocco, Marotta ed altri ) peggio!
Precisazione
Non leva e non mette se alla fine del 18oo quando monsieur Poubelle instituí a Parigi la raccolta differenziata, copiata poi a Napoli, da noi si fossero insediati gli invasori piemontesi,per cui (come dice qualche giacobino risorgimentalista) il merito dell’idea della raccolta differenziata spetterebbe a loro e non al Borbone; non leva e non mette perché i curatori della cosa pubblica napoletana erano, negli anni 1861 e ss., i medesimi amministratori del tempo del Borbone, vendutisi però a gli italiani invasori, ma conservando le idee ed i comportamenti voluti sotto Ferdinando II e Francesco II di Borbone
7.'A BBELLA ZITA, 'NCHIAZZA SE MMARITA
La bella ragazza trova marito appena arriva in piazza
Il proverbio ripete un noto assunto e cioè che la bellezza è arma vincente quando però sia esposta palesamente a tutti.
Nella fattispecie una bella ragazza trova marito appena si mostri a tutti, giungendo nella piazza (luogo frequentato anche da uomini forse in cerca di moglie.
zita= ragazza da marito etimologicamente è voce derivata da un antico cita/citta (da ricondurre ad un med. alt. tedesco zitze),= giovane donna nubile presente anche al maschile cito/citto = giovane uomo celibe, nel toscano d’antan!
‘nchiazza ( = in+ chiazza) chiazza = piazza; etimologicamente da un accusativo latino: platea(m) con consueti sviluppi di pl→chi mentre te + voc. dà tj→zz.
8.A LA SANFRASÒN OPPURE SANFASÒN.
Ad litteram: alla carlona; detto di tutto ciò che venga fatto alla meno peggio, senza attenzione e misura, in modo sciatto e volutamente disattento, con superficialità e senza criterio.L’espressione è formata con le voci sanfrasòn/zanfrasòn o sanfasòn che sono , pari pari, corruzione del francese sans façon (senza misura) e sono tra le pochissime, se non quasi uniche ( se si eccettua la negazione nun) voci del napoletano che terminano per consonante in luogo di una consueta vocale evanescente paragogica finale (e/a/o) e raddoppiamento della consonante etimologica: normalmente in napoletano ci si sarebbe atteso sanfrasònne/zanfrasònne o sanfasònne come altrove barre per e da bar o tramme per e da tram etc.
9. AVIMMO FATTO TRENTA, FACIMMO TRENTUNO!
Esclamazione esortativa che intende consigliare una solerte operatività: Quando manchi poco per raggiungere lo scopo prefisso, conviene fare quell'ultimo piccolo sforzo ed agguantare la meta: in fondo da trenta a trentuno v'è un piccolissimo lasso. La locuzione rammenta l'operato di papa Leone X (nato Giovanni di Lorenzo de' MediciFirenze, 11 dicembre 1475 - † Roma, 1 dicembre 1521), fu il 217° papa della Chiesa cattolica dal 1513 alla sua morte.
Fu il secondogenito di Lorenzo de' Medici e Clarice Orsini portò alla corte pontificia lo splendore e i fasti tipici della cultura delle corti rinascimentali, oltre uno spiccato nepotismo…)
Tale Papa fatto 30 cardinali, in extremis ne creò un trentunesimo, senza che ve ne fosse necessità, ma solo per contentare una richiesta avuta.
10.'A TAVERNA D''O TRENTUNO.
Letteralmente: la taverna del trentuno. Cosí, a Napoli sogliono, inalberandosi, paragonare la propria casa tutte quelle donne che vedono i propri uomini e/o la numerosa prole ritornare in casa alle più disparate ore, pretendendo che venga servito loro un veloce pasto caldo. A tali pretese, le donne si ribellano affermando che la casa non è la taverna del trentuno, nota bettola del contado napoletano, situata in quel della zona vecchia di Pozzuoli in via san Rocco 16, all’insegna : Taverna del trenta e trentuno che prendeva il nome dal civico dove era ubicata e che aveva due ingressi contigui: ai civici 30 e 31, bettola dove si servivano i pasti in modo continuato a qualsiasi ora del giorno e della notte
Brak
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