domenica 15 febbraio 2015
VARIE 15/165
1-'O GALANTOMO APPEZZENTÚTO, ADDEVENTA 'NU CHIAVECO.
Ad litteram: il galantumo che va in miseria, diventa un essere spregevole. In effetti la disincantata osservazione della realtà dimostra che chi perde onori e gloria, diventa il peggior degli uomini giacché si lascia vincere dall'astio e dal livore verso coloro che il suo precedente status gli consentiva di tenere sottomessi e che nella nuova situazione possono permettersi di alzare la testa e contrattare alla pari con lui.
2. - 'E FRAVECATURE, CACANO 'NU POCO PE PPARTE E NNUN PULEZZANO MAJE A NNISCIUNU PIZZO.
Ad litteram: i muratori defecano un po' per parte, ma non nettano nessun luogo che ànno imbrattato. Il proverbio, oltre che nel suo significato letterale è usato a Napoli per condannare l'operato di chi inizia ad occuparsi di cento faccende, ma non ne porta a compimento nessuna, lasciando ovunque le tracce del proprio passaggio.
3. -'E VRUOCCOLE SO' BBUONE DINT’Ô LIETTO.
Letteralmente: i broccoli sono buoni nel letto. Per intendere il significato del proverbio bisogna rammentare che a Napoli con la parola vruoccole si intendono sia la tipica verdura che per secoli i napoletani mangiarono,tanto da esser ricordati come "mangiafoglie", sia le moine, le carezze che gli innamorati son soliti scambiarsi specie nell'intimità; il proverbio sembra ripudiare ormai la verdura per apprezzare solo i vezzi degli innamorati.
4 -STATTE BBUONO Ê SANTE: È ZZUMPATA 'A VACCA 'NCUOLL’Ô VOJO!
Letteralmente: buonanotte!la vacca à montato il bue. Id est: Accidenti: il mondo sta andando alla rovescia e non v'è rimedio: ci troviamo davanti a situazioni cosí contrarie alla norma che è impossibile raddrizzare.
5. -QUANNO 'O VINO È DDOCE, SE FA CCHIÚ FORTE ACÌTO.
Letteralmente: quando il vino è dolce si muta in un aceto piú forte, piú aspro.Id est: quando una persona è d'indole buona e remissiva e paziente, nel momento che dovesse inalberarsi, diventerebbe così cattiva, dura ed impaziente da produrre su i terzi effetti devastanti.
6. 'O DULORE È DDE CHI 'O SENTE, NO 'E CHI PASSA E TTÈNE MENTE.
Letteralmente: il dolore è di chi lo avverte, non di coloro che assistono alle manifestazioni del dolente.Id est:per aver esatta contezza di un quid qualsiasi - in ispecie di un dolore - occorre riferirsi a chi prova sulla propria pelle quel dolore, non riferirsi al parere, spesso gratuito e non supportato da alcuna pratica esperienza, degli astanti che - per solito - o si limitano ad una fugace commiserazione del dolente , o - peggio! - affermano che chi si duole lo fa esagerando le ragioni del proprio dolere.
7. 'O FATTO D''E QUATTO SURDE.
Letteralmente: il racconto dei quattro sordi. Il raccontino che qui di seguito si narra, adombra il dramma della incomunicabilità e la locuzione in epigrafe viene pronunciata a Napoli a sapido commento in una situazione nella quale non ci si riesca a capire alla stregua di quei quattro sordi che viaggiatori del medesimo treno, giunti ad una stazione, così dialogarono: Il primo: Scusate simmo arrivate a Napule? (Scusate, siamo giunti a Napoli?) Il secondo: Nonzignore, cca è Napule!(Nossignore, qua è Napoli!) Il terzo: I' me penzavo ca stevamo a Napule (Io credevo che stessimo a Napoli). Il quarto concluse: Maje pe cumanno, quanno stammo a Napule, m'avvisate? (Per cortesia, quando saremo a Napoli, mi terrete informato?).
8. A 'NU CETRANGOLO SPREMMUTO, CHIÀVECE 'NU CAUCIO 'A COPPA.
Schiaccia con una pedata una melarancia premuta.Id est: il danno e la beffa; la locuzione cattivissima nel suo enunciato, consiglia di calpestare un frutto già spremuto; ossia bisogna vilipendere e ridurre a mal partito chi sia già vilipeso e sfruttato, per modo che costui non abbia né la forza, nè il tempo di risollevarsi e riprendersi.Il tristo consiglio è dato nel convincimento che se si lascia ad uno sfruttato la maniera o l'occasione di riprendersi, costui si vendicherà in maniera violenta e allora sarà impossibile contrastarlo; per cui conviene infeierire e non dar quartiere, addirittura ponendoselo sotto i tacchi come un frutto spremuto ed inutile ormai.
9.CHI VA PE CCHISTI MARE, CHISTI PISCE PIGLIA.
Letteralmente: chi corre questi mari può pescare solo questo tipo di pesce. Id est: chi si sofferma a compiere un tipo di operazione difficile e/o pericolosa, non può che sopportarne le conseguenze, né può attendersi risultati diversi o migliori.
10. AMMORE, TOSSE E RROGNA NUN SE PONNO ANNASCONNERE.
Amore, tosse e scabbia non si posson celare; le manifestazioni di queste tre situazioni sono così eclatanti che nessuno può nasconderle; per quanto ci si ingegni in senso opposto amore, tosse e scabbia saranno sempre palesi; la locuzione è usata sempre che si voglia alludere a situazioni non celabili.
11. 'MPÀRATE A PPARLÀ, NO A FFATICÀ.
Letteralmente: impara a parlare, non a lavorare. Amaro, ammiccante proverbio napoletano dal quale è facile comprendere che la disincantata osservazione della realtà ci costringe a stabilire che è piú opportuno fondare la propria esistenza sul fumo dell'eloquio, ritenuto però estremamente utile al conseguimento di mezzi di sussistenza, molto piú dell'onesto e duro lavoro (FATICA); in fondo la vita è dei furbi di quelli capaci di riempirti la testa di vuote chiacchiere e di non lavorare mai vivendo ugualmente benissimo.
12. CHI TROPPO S''O SPARAGNA, VENE 'A 'ATTA E SE LU MAGNA.
Letteralmente: chi troppo risparmia,viene la gatta e lo mangia. Il proverbio- che nella traduzione toscana assume l'aspetto di un anacoluto sta a significare che non conviene eccedere nel risparmiare, perché spesso ciò che è stato risparmiato viene dilapidato da un terzo profittatore che disperde o consuma tutto il messo da parte.
13 'A SOTTO P''E CHIANCARELLE.
Letteralmente: attenti ai panconcelli! Esclamazione usata a sapido commento di una narrazione di fatti paurosi o misteriosi un po' piú colorita del toscano: accidenti!Essa esclamazione richiama l'avviso rivolto dagli operai che demoliscono un fabbricato affinché i passanti stiano attenti alle accidentali cadute di panconcelli(chiancarelle)le sottili assi trasversali di legno di castagno, assi che poste di traverso sulle travi portanti facevano olim da supporto ai solai e alle pavimentazione delle stanze.Al proposito a Napoli è noto l'aneddoto relativo al nobile cavaliere settecentesco Ferdinando Sanfelice che fattosi erigere un palazzo nella zona detta della Sanità, vi appose un'epigrafe dittante: eques Ferdinandus Sanfelicius fecit(il cav. Ferdinando Sanfelice edificò) ed un bello spirito partenopeo per irridere il Sanfelice paventando il crollo dello stabile, aggiunse a lettere cubitali Levàteve 'a sotto (toglietevi di sotto! ). Il termine chiancarella è un diminutivo derivato del lat. planca (asse di legno)lo stesso termine che diede dritto per dritto il napoletano Chianca (macelleria/rivendita di carne) perché un tempo la carne era esposta e sezionata su di un asse di legno.
14 -'O TURCO FATTO CRESTIANO, VO' 'MPALÀ TUTTE CHILLE CA GHIASTEMMANO.
Ad litteram: il turco diventato cristiano vuole impalare tutti i bestemmiatori. Id est: I neofiti sono spesso troppo zelanti e perciò pericolosissimi.
15 -'O PATATERNO ADDÓ VEDE 'A CULATA, LLÀ SPANNE 'O SOLE
Ad litteram: il Padreterno dove vede un bucato sciorinato, lí invia il sole. Id est: la bontà e la provvidenza del Cielo sono sempre presenti là dove occorre.
16.SPARTERSE 'A CAMMISA 'E CRISTO.
Letteralmente: dividersi la tunica di Cristo. Così a Napoli si dice di chi, esoso al massimo, si accanisca a fare proprie porzioni o parti di cose già di per sé esigue, come i quattro soldati che spogliato Cristo sul Golgota , divisero in quattro parti l'unica tunica di cui era ricoperto il Signore.
17. ESSERE AÚRIO 'E CHIAZZA E TRÍBBULO 'E CASA.
Letteralmente: aver modi cordiali in piazza e lamentarsi in casa. Cosí a Napoli si suole dire di coloro - specialmente uomini - che in piazza si mostrano divertenti e disposti al colloquio aperto simpatico, mentre in casa sono musoni e lamentosi dediti al piagnisteo continuo, anche immotivato.
18. AVENNO, PUTENNO, PAVANNO.
Letteralmente: avendo, potendo, pagando. Strana locuzione napoletana che si compendia in una sequela di tre gerundi e che a tutta prima pare ellittica di verbo reggente, ma che sta a significare che un debito contratto, ben difficilmente verrà soddisfatto essendone la soddisfazione sottoposta a troppe condizioni ostative quali l'avere ed il potere ed un sottinteso volere, per cui piú correttamente il terzo gerundio della locuzione dovrebbe assumere la veste di verbo reggente di modo finito; ossia: pagherò quando (e se) avrò i mezzi occorrenti e quando (e se) potrò.
19.AMMESÚRATE 'A PALLA!
Letteralmente: Misúrati la palla; id est: misura preventivamente ciò che stai per fare cosí eviterai di incorrere in grossolani errori; non fare il gradasso!: Rènditi conto di e con chi stai contrattando o con chi ti stai misurando per non trovarti davanti ad esiti poco convenienti per te, derivanti dalle tue errate azioni. La locuzione originariamente - pronunciata, però, con diverso accento ossia: Ammesuràte (misurate!)era il perentorio ordine rivolto dagli artiglieri ai serventi ai pezzi affinché portassero proiettili di esatto calibro adatti alle bocche da fuoco in azione.
20. VULÉ ‘O COCCO AMMUNNATO E BBUONO…
Si tratta di una divertente espressione che fu antica nel suo significato originario casto ed ironico, ma che fu poi letta successivamente (anni postbellici) attribuendole un senso sarcastico, furbesco se non volgare. Illustro dapprima il significato originario casto ed ironico,per poi soffermarmi sul significato furbesco.
In primis ed ad litteram l’espressione si traduce : volere l'uovo sgusciato e buono ( id est: pronto per esser mangiato).
Detto ironicamente di chi sia cosí tanto scansafatiche, poltrone, lavativo da non volersi impegnare neppure nei piú piccoli lavori e preferisca esser servito di tutto punto; nella fattispecie il cialtrone di turno non intende sottostare neppure alla risibile fatica di sgusciare un uovo bollito...
Il cocco della locuzione in effetti non è il frutto della pianta tropicale, ma semplicemente l'uovo che, con voce gergale fanciullesca, è chiamato cocco richiamandosi al noto verso della gallina: cocco(dè);
l'aggettivo buono unito al precedente aggettivo ammunnato (mondato,sgusciato)è usato in questa e simili costruzioni( es.:cuotto e bbuono, pronto e bbuono) del parlar napoletano non per significare la bontà del sostantivo cui è riferito, quanto per designare l'immediata fruibilità del medesimo sostantivo di riferimento; qui nel caso dell'uovo, una volta che sia mondato del guscio, viene buono per esser súbito mangiato.
E passo ad illustrare il significato furbesco che fu attribuito all’espressione negli anni postbellici (1944 e ss.), allorché, a seguito dell’intervento liberatorio degli alleati anglo-americani, la città di Napoli fu invasa da militi cui, in cambio di poche am-lire, generi di prima necessità (pane, pasta, cioccolato, grasso alimentare etc.) e/o generi di voluttà (liquori, tabacchi etc.), le giovani e meno giovani donne popolane si concedevano;orbene, atteso che (nel linguaggio gergale dei militi anglo-americani) il membro maschile è détto cock (lètto alla napoletana cocco atteso che l’idioma napoletano rifugge da termini terminanti per consonante e – nel caso lo siano – è d’uso adattarli con la paragoge d’ una vocale finale (a/e/o) di timbro evanescente) ecco che con l’espressione vulé ‘o cocco ammunnato e bbuono… non ci si riferí piú a chi fosse cosí infingardo da non voler neppure accollarsi la fatica di sgusciare un uovo,ma ci si riferí piuttosto a quelle tali sfacciate popolane che, pur di ottenere qualche lira e generi di vettovagliamento per sé e la propria famiglia, non disdegnavano di concedersi anche in assenza di qualsiasi protezione: condom, profilattico, guanto che fósse e l’espressione vulé ‘o cocco ammunnato e bbuono… venne intesa appunto volere il fallo, l’asta (anche) nudo di protezione...incurandosi del pericolo di infezioni e/o gravidanze indesiderate; in tale nuova accezione poi l’espressione venne riferita a chiunque, pur di ottenere qualcosa, non mettesse in conto pericoli o insidie, azzardi,incognite; va da sé che in tale seconda lettura il termine cocco non fu piú voce onomatopeica usata per indicare l'uovo, voce richiamante il verso della gallina, ma fu l’aperta palese corruzione/adattamento – come ò détto - dell’anglo-americano cock = membro maschile.
21.CANTA CA TE FAJE CANONICO!
Letteralmente: Canta ché diventerai canonico Id est: Urla piú forte ché avrai ragione Il proverbio intende sottolineare l'abitudine di tanti che in una discussione, non avendo serie argomentazioni da apportare alle proprie tesi, alzano il tono della voce ritenendo cosí di prevalere o convincere l'antagonista.Il proverbio rammenta i canonici della Cattedrale che son soliti cantare l'Ufficio divino con tonalità spesso elevate, per farsi udire da tutti i fedeli.
22. ARMAMMOCE E GGHIATE.
Letteralmente: armiamoci, ma andate! Id est: Tirarsi indietro davanti al pericolo; come son soliti fari troppi comandanti, solerti nel dare ordini, ma mai disposti a muovere i passi verso il luogo della lotta; cosí soleva comportarsi il generale francese Manhès che inviato dal re Gioacchino Murat in Abruzzo a combattere i briganti inviò colà la truppa e restò a Napoli a bivaccare e non è dato sapere se raggiunse mai i suoi soldati.
23. A - CANE E CCANE NUN SE MOZZECANO B- CUOVERE E CUOVERE NUN SE CECANO LL'UOCCHIE.
Letteralmente: A- CANI E CANI NON SI AZZANNANO B- CORVI E CORVI NON SI ACCECANO Ambedue i proverbi sottolineano lo spirito di corpo che esiste tra le bestie, per traslato i proverbi li si usa riferire anche agli uomini, intendosi sottolineare che persone di cattivo stampo non son solite farsi guerra, ma - al contrario - usano far causa comune in danno dei terzi.
24.CCA 'E PPEZZE E CCA 'O SSAPONE.
Letteralmente: Qui gli stracci e qui il sapone. Espressione che compendia l'avviso che non si fa credito e che al contrario a prestazione segue immediata controprestazione. Era usata temporibus illis a Napoli dai rigattieri che davano in cambio di abiti smessi o altre cianfrusaglie, del sapone per bucato[détto sapone ‘e piazza, preparato artigianalmenteche aveva quel nome perché era venduto non in negozi, ma esclusivamente per istrada]; quei rigattieri per il fatto di dare sapone erano detti sapunare.
25.TENÉ 'A SÀRACA DINT' Â SACCA
Letteralmente: tenere la salacca in tasca. Id est: mostrarsi impaziente e frettoloso alla stregua di chi abbia in tasca una maleodorante salacca (aringa)e sia impaziente di raggiungere un luogo dove possa liberarsi della scomoda compagna.
26.T'AGGI''A FÀ N'ASTECO ARETO Ê RINE...
Letteralmente Ti devo fare un solaio nella schiena.Id est: Devo percuoterti violentemente dietro le spalle. Per comprendere appieno la portata di questa grave minaccia contenuta nella locuzione in epigrafe, occorre sapere che per asteco (dal greco ostrakon→ostakon→asteco) a Napoli si intende il solaio di copertura delle case, solaio che anticamente era formato con abbondante lapillo vulcanico ammassato all'uopo e poi violentemente percosso con appositi martelli al fine di grandemente compattarlo e renderlo impermeabile alle infiltrazioni di acqua piovana.
27.ÒGNE ANNO DDIO 'O CUMANNA
Letteralmente: una volta all'anno lo comanda Iddio. La locuzione partenopea traduce quasi quella latina: semel in anno licet insanire, anche se i napoletani con il loro proverbio chiamano in causa Dio ritenuto corresponsabile delle pazzie umane quale ordinante delle medesime.
28. PE GGULÍO 'E LARDO, METTERE 'E DDETE 'NCULO Ô PUORCO.
Letteralmente: per desiderio di lardo, porre le mani nell'ano del porco. Id est: per appagare un desiderio esser pronto a qualsiasi cosa, anche ad azioni riprovevoli e che comunque non assicurano il raggiungimento dello scopo prefisso. La parola gulío attestato anche come vulío= voglia, desiderio pressante non deriva dall'italiano gola essendo il gulío/vulío non espressamente lo smodato desiderio di cibo o bevande; piú esattamente la parola gulío/vulío è da riallacciarsi al greco boulomai=volere intensamente con consueta trasformazione della B greca nella napoletana G come avviene per es. anche con il latino dove àbeo è divenuto in napoletano aggio o come rabies divenuta (a)rraggia.
29.SCIORTA E MMOLE SPONTANO 'NA VOTA SOLA.
Letteralmente:la fortuna ed i molari compaiono una sola volta. Id est: bisogna saper cogliere l'attimo fuggente e non lasciarsi sfuggire l'occasione propizia che - come i molari - spunta una sola volta e non si ripropone
30.LL'ARTE 'E TATA È MMEZA 'MPARATA.
Letteralmente: l'arte del padre è appresa per metà. Con questa locuzione a Napoli si suole rammentare che spesso i figli che seguano il mestiere del genitore son favoriti rispetto a coloro che dovessero apprenderlo ex novo. Partendo da quanto affermato in epigrafe spesso però capita che taluni si vedano la strada spianata laddove invece al redde rationem mostrano di non aver appreso un bel nulla dal loro genitore e finisce che la locuzione nei riguardi di tali pessimi allievi debba essere intesa in senso ironico ed antifrastico.
31.ATTACCARSE Ê FELÍNIE.
Letteralmente: appigliarsi alle ragnatele. Icastica locuzione usata a Napoli per identificare l'azione di chi in una discussione - non avendo solidi argomenti su cui poggiare il proprio ragionamento e perciò e le proprie pretese - si attacchi a pretesti o ragionamenti poco solidi, se non inconsistenti, simili -appunto - a delle evanescenti ragnatele.
Il termine felinia che in napoletano indica oltre che la ragnatela, anche la fuliggine, etimologicamente deriva da un tardo latino felinea a sua volta plasmato sul piú classico fuligo/inis
32. JÍ FACENNO 'O GGIORGIO CUTUGNO.
Letteralmente: andar facendo il Giorgio Cotugno. Id est: andare in giro bighellonando, facendo il bellimbusto, assumendo un'aria tracotante e guappesca alla stessa stregua di tal mitico Cotugno scolpito in tali atteggiamenti su di una tomba della chiesa di san Giorgio maggiore a Napoli. Con la locuzione in epigrafe il re Ferdinando II Borbone Napoli soleva apostrofare il duca Giovanni Del Balzo che era solito incedere con aria tracotante anche davanti al proprio re.
33. 'NCASÀ 'O CAPPIELLO DINT' Ê RRECCHIE.
Letteralmente: calcare il cappello fin dentro alle orecchie ossia calcarlo in testa con tanta forza che il cappello con la sua tesa faccia quasi accartocciare i padiglioni auricolari. A Napoli, l'icastica espressione fotografa una situazione nella quale ci sia qualcuno che vessatoriamente, approfittando della ingenuità e disponibilità di un altro richieda a costui e talvolta ottenga prestazioni o pagamenti superiori al dovuto, costringendo - sia pure metaforicamente - il soccombente a portare un supposto cappello calcato in testa fin sulle orecchie.
34. ROMPERE 'O NCIARMO.
Letteralmente: spezzare l'incantesimo. A Napoli la frase è usata davanti a situazioni che per potersi mutare ànno bisogno di decisione e pronta azione in quanto dette situazioni si ritengono quasi permeate di magia che con i normali mezzi è impossibile vincere per cui bisogna agire quasi armata manu per venire a capo della faccenda. La parola nciarmo= magia, fascino, incantesimo non deriva dal lat. in+ carmen ma da un francese
n(eufonico) + càrme
35.'NGRIFARSE COMME A 'NU GALLERINIO.
Letteralmente:arruffar le penne come un tacchino. Il tacchino o gallo d'india (da cui gallerinio) allorché subodora un pericolo, si pone in guardia arruffando le penne segno questo - per chi si accosti ad esso - che non lo troverà impreparato.La locuzione è usata a mo' di dileggio nei confronti di chi si mostri spettinato, quasi con i capelli ritti in testa; di costui si dice che sta 'ngrifato comme a 'nu gallerinio, anche se il soggetto 'ngrifato non sia arrabbiato o leso, ma solamente spettinato.
Brak
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