giovedì 19 novembre 2015
VARIE 15/857
Ancóra una volta tenterò di dare adeguata risposta ad una richiesta dell’amico P.G. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) che mi à chiesto di mettere a fuoco portata, significato e valenza di cinque antiche espressioni napoletane , molto usate un tempo e che ancóra si possono cogliere sulle labbra dei napoletani d’antan. Prima di esaminarle analiticamente, le elenco qui di sèguito:1)FESSARIA ‘E CAFÈ
2)PARÉ ‘A SCIGNA ‘NCOPP’Ô RUCCHIELLO
3)ESSERE FIGLIO ‘E VIECCHIE
4) PÍGLIALO CU ‘A PEZZA
5) FÀ COMM’Ê TURRUNARE.
E cominciamo ad esaminarle singolarmente:
1)FESSARIA ‘E CAFÈ Ad litteram: Sciocchezza di caffé o da caffè; id est cosa da nulla, sciocchezzuala , inezia che possono esser rappresentate ugualmente dalla inconferente fessurina che insiste sul chicco di caffé [ed in tale accezione si parla esattamente di fessaria ‘e cafè dove la ‘E è la preposizione DE aferizzata che introduce un complemento di specificazione] oppure da altro. Infatti con fessaria ‘e cafè talora non si intende la fessurina che insiste sul chicco di caffé, ma l’ inconferente chiacchiera, il vuoto discorrere tra gli sfaccendati avventori di un caffé (locale dove si sorbisce la bevanda di caffé) [ed in tale accezione pur parlandosi di fessaria ‘e cafè , la ‘E non è la preposizione DE aferizzata che introduce un complemento di specificazione, ma è un utilizzazione impropria della medesima preposizione usata al posto della corretta da→ ‘a che avrebbe dovuto introdurre un complemento di fine o scopo ed avrebbe dovuto essere espresso con fessaria ‘a cafè (sciocchezza da caffé) ]
fessaria s.vo f.le cosa da nulla, sciocchezza, inezia e per traslato bugia macroscopica; etimologicamente da fesso (rotto, spaccato e poi sciocco) p.pass. del verbo findere (rompere, spaccare) + il suff. di pertinenza arius/aro + la desinenza tonica ía; rammenterò che la stessa parola con i medesimi significati si ritrova pure nella lingua ufficiale sebbene in quest’ultima l’originaria ed etimologica a ovviamente aperta, la si sia sostituita con una pretestuosa e chiusa (ritenuta forse, ma scioccamente, piú consona dell’aperta a all’ elegante (sic?) dialetto di Alighieri Dante, ottenendo cosí in luogo di fessaria una non migliore fesseria
cafè s.vo m.le o neutro Con la medesima parola, una volta di genere maschile, un’altra di genere neutro si indica in napoletano la pianta di caffé e la bevanda che se ne ricava [ed in tal caso il s.vo è di genere neutro e comporta nel caso sia preceduto dall’art. ‘o, comporta la geminazione della consonante iniziale, per cui occorerà scrivere ‘o ccafé comportante la pronuncia forte come avviene sempre allorché in napoletano esistono delle voci che possono avere una doppia forma grafica: o con la geminazione della consonante d’avvio o con la consonante scempia; quando la grafia e quindi la lettura di tipo forte presenta la geminazione iniziale, ci si trova difronte ad una voce neutra e solitamente son voci che si riferiscono a generi alimentari o inanimati ovvero che non contemplano l’intervento umano (ad. es.: ‘o ccafè, ‘o ppane, ‘o ssale, ‘o ppepe, ‘o ffierro(inteso come metallo)]; allorché invece la parola presenta la consonante scempia: ‘o cafè si à a che fare con una voce maschile usata per significare la mescita o negozio dove viene servita la bevanda di caffè.
Etimologicamente la voce cafè è dal turco kahve, e questo dall'ar. qahwa, orig. bevanda eccitante';
2)PARÉ ‘NA SCIGNA ‘NCOPP’Ô RUCCHIELLO
Ad litteram: sembrare una scimmia sul rocchetto. Locuzione ironica se non sarcastica usata a dileggio di chi in palese difficoltà di argomentazioni per giustificare un suo comportamento errato o non meritevole di considerazione,arzigogoli ragionamenti pretestuosi, quasi arrampicandosi su figurati specchi razionali nel tentativo, il più delle volte vano, di reggere un equilibrio precario se non impossibile e tale atteggiamento viene paragonato a quello di talune bestie da circo equestre (segnatamente scimmie catarrine e/o platirrine ) che eseguono numeri di funambolismo o di equilibrismo tenendosi in bilico su rotanti cilindri e/o rocchetti.
scigna s.vo f.le sg
1scimmia, nome generico di mammiferi superiori, per lo piú arboricoli, con quattro o due estremità prensili, dentatura completa, occhi frontali, arti anteriori piú lunghi dei posteriori; si distinguono in catarrine e platirrine (ord. Primati)
2 (fig.) persona brutta, dispettosa e maligna: è ‘na vera scigna! | fà ‘a scigna a quaccuno, imitarlo in quello che fa, che dice; scimmiottarlo | 3 ubriacatura, sbornia: pigliarse ‘na scigna; voce dal lat. simia→simja, con consueta risoluzione di s+ vocale in sci: (cfr. alibi semum→scemo) e mj→gn (come in ca(m)mjare→cagnà).
‘ncopp’ô = sullo una delle locuzioni articolate formate da ‘ncoppa a e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) che sono esattamente ‘ncopp’ô ‘ncopp’â, ‘ncopp’ê e che rendono rispettivamente sul/sullo,sulla,sugli/sulle.
rocchiello/rucchiello s.vo m.le di doppia morfologia di cui la seconda con la vocale chiusa velare[u] di maggior uso nel parlato rocchetto, arnese per incannare la seta,trespolo con base rotante,cilindro per giuochi d’equilibrismo; voce diminutiva di rocchio 1 (arch.) blocco di pietra di forma cilindrica che compone il fusto di una colonna
2 (estens.come nel caso che ci occupa) pezzo cilindrico.
voce dal lat.rŏtŭlus.
3)ESSERE FIGLIO ‘E VIECCHIE Ad litteram: essere figlio (generato) da persone anziane. Espressione usata per riferirsi ad un bambino che si mostri molto piú maturo della sua età anagrafica quasi che, nell’inteso comune, abbia ereditato scienza, sapienza ed esperenzia derivategli dal fatto di essere stato messo al mondo da persone anziane, perciò esperte e presumibilmente in possesso di quelle scienza, sapienza ed esperenzia trasmesse al loro figliolo.
viecchie s.vo m.le pl. di viecchio vecchio,persona avanti negli anni; voce etimologicamente da un acc. lat. vetulu(m) (diminutivo di vetus) che diede il tardo lat. vĕclu(m)→viecchio con la vocale tonica breve che dittonga in ie.Da notare che il s.vo pl. a margine, pur essendo il plurale solo del maschile (infatti il f.le che è vecchia à il pl. in vecchie) nella locuzione esaminata è onnicomprensivo dei due generi e deve essere inteso come riferito ai vecchi ed alle vecchie.
Passiamo ora a
4)PÍGLIALO CU ‘A PEZZA! Ad litteram:Prendilo con una pezzuola!Locuzione assolutamente ironica ed addirittura sarcastica usata per dileggiare chi sia cosí tanto schifiltoso ed ostinato nelle sue eccessive manie igieniche da rifiutarsi, per iperbole, di toccare il proprio membro per procedere alla minzione, se non proteggendo la mano con una pezzuola. Estensivamente l’espressione è riferita oltre che a chi abbia manie di tipo igienico, anche a chiunque prenda eccessive ed inutili preacauzioni ogni volta che debba fare alcunché.
píglialo = prendilo voce verbale imperativo [2ª pers. sg.] dell’infinito piglià, addizionata in posizione enclicitica del pronome lo (che nella fattispecie è usato per indicare furbescamente il membro maschile, l’organo deputato e alla minzione e alla riproduzione della specie); rammento che il verbo napoletano piglià (prendere, pigliare) sebbene abbia il medesimo etimo (lat. volg. piliare, dal class. pilare rubare, saccheggiare, sottrarre ) del corrispondente pigliare della lingua italiana, si differenzia da quest’ultimo per un molto piú ampio ventaglio di significati; infatti l’italiano pigliare quanto ai significati non va oltre il prendere, specialmente in modo energico e rapido;afferrare; mentre il napoletano piglià sta per: prendere, comprare, comprendere, attecchire, arrestare, catturare, confondere oltre altri numerosi significati giusta il complemento cui sia legato e per la esemplificazione rimando ad altrove.
pezza s.vo f.le =1(in primis e come nel caso che ci occupa) cencio, straccio, brandello di stoffa ;2(per traslato giocoso) ducato/scudo/piastra napoletana, moneta di argento massiccio popolarmente détto alternativamente piezzo janco o pezza (corrispondente a 436,5 lire it. del 1850), pari a 100 grani/grana; ogni grana era corrispondente a 4,365 lire italiane; voce dal lat. volg. *pettia(m)→pezza , di origine celtica = pezza; normale nel napoletano la risoluzione di tti in zz.
E prendiamo infine in cosiderazione l’espressione:
5)FÀ COMM’Ê TURRUNARE.
Ad litteram: fare come i venditori di torroni. Ancóra una locuzione ironica usata contro gli inguaribili scrocconi, contro gli incalliti presidenzialisti che son soliti presenziare, anche quando non invitati,feste o ricorrenze domestiche comportanti il piú delle volte distribuzione, spesso grande, di cibi e bevande; la locuzione è altresí riferita a tutti coloro che abbiano l’abitudine di presentarsi, senza preventivamente annunciarsi,addirittura tra i primi in casa di amici e/o semplici conoscenti all’orario del desinare nell’intento di scroccare un invito alla tavola imbandita.Tutti costoro sono oltre tutto gli stessi che lasciano per ultimi le case dove ànno... onorato il desco scroccando a sbafo pasti e/o rinfreschi.Di tali sbafatori presenzialisti s’usa dire che facciano come i venditori di torroni che sono tra i primi ad invadere con le loro mercanzie piazze e strade dove si svolgono feste popolari per accaparrarsi tra i primi gli avventori e sono tra gli ultimi a lasciar piazze e strade al termine della festa, quando ànno lucrato abbastanza dopo avere esaurite le leccornie poste in vendita.
turrunare s.vo m.le e f.le pl. di turrunaro artigiano produttore e venditore al minuto (durante le feste rionali) di dolciumi vari e di torrone,dolce duro o morbido a base di zucchero, miele, mandorle tostate, pistacchi o nocciole, confezionato per lo piú a stecche; voce denominale di turrone addizionato in posizione enclitica del suffisso aro
suff. di competenza per sostantivi o aggettivi derivati dal latino o formati in italiano, che indicano oggetti,ma soprattutto mestieri (putecaro/bottegaio,rilurgiaro/orologiaio) oppure luoghi(lutammaro/letamaio), ambiente pieno di qualcosa o destinato a contenere o accogliere qualcosa suffisso che continua il lat. arius→aro/ero; lo stesso latino a(r)iu(s) à dato l’italiano aio che in napoletano è spesso nei suffissi composti ajo; la voce turrone è dallo sp. turrón, deriv. di turrar 'arrostire', che è dal lat. torríre.
E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico P.G. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste sette paginette.Satis est.
Raffaele Bracale
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