martedì 26 gennaio 2016
IPOTESI SULLA CANZONE MICHELEMMÀ.& dintorni.
IPOTESI SULLA CANZONE MICHELEMMÀ.& dintorni.
Come è riportato da tutti i testi di storia della CANZONE NAPOLETANA, la composizione rammentata in epigrafe, chiaramente di autori ignoti, si fa risalire al 1600 circa prendendo a spunto la citazione contenuta nel testo che fa riferimento alle prime invasioni di turchi.
Salto a pié pari la nota querelle intorno al falso operato da Salvatore Di Giacomo che tentò pedestremente di far risalire la composizione di questa notissima tarantella all’estro di Salvator Rosa e mi soffermo proprio sul titolo: MICHELEMMÀ.
Cosa vorrà mai dire Michelemmà?
La domanda non à una risposta univoca o ovvia avendo il detto termine suscitato varie ipotesi; la piú accreditata è che MICHELEMMÀ significhi: Michela è mia; ma recentemente alcuni autori come il compianto Max Vajro, il vulcanico Salvatore Palomba, sulla scia del ricercatore Gaetano Amalfi, ipotizzano che la parola sia un intercalare del tipo Michela e ba un intercalare modellato sullo schema di ‘o mare e ba presente in altre canzoni partenopee.
Non condivido né l’una, né l’altra opinione: la prima perché un nome chiaramente maschile (Michele)lo trasforma, ma non si capisce per quale ragione o strada semantica in uno femminile (Michela) ed arbitrariamente fa divenire un MA,MIA con una capriola non spiegabile;
Ugualmente non percorribile mi appare l’opinione piú nuova che oltre a continuare con l’equivoco del maschile fatto femminile fa un vero salto mortale trasformando un MA in un BA. ancora piú fantasioso,ma non comprovabile, del MIA della prima ipotesi.
E allora?
Allora bisogna armarsi di pazienza e seguirmi in un ragionamento.
Innanzi tutto occorrerà rammentare che il termine MICHELE nel linguaggio napoletano non indica solamente un nome proprio di persona, ma è usato anche come aggettivo sostantivato di grado positivo nel significato di sciocco, tontolone e si usa dire eufemisticamente in luogo del becero far fesso (ingannare), far michele. La ragione della degradazione semantica del nome proprio Michele a quello di aggettivo nel significato di sciocco, tontolone è da ricercarsi nel fatto che nel sec. XVII i soldati di fanteria leggera dell'esercito spagnolo, ritenuti inetti, incapaci, incompetenti, inesperti, incapaci, buoni a nulla oltre che tonti, stupidi, idioti etc. furono detti micheletti quale traduzione dello sp. miquelete, perché originariamente reclutati nel distretto pirenaico di San Miguel de Cuxa; da micheletto a michele (aggettivo) il passo è breve.
Nel linguaggio familiare poi tale accezione è usata dai genitori quasi a mo’ di scherno affettuoso nei confronti dei propri figliuoli, quando vogliono scherzare con loro ed in luogo di dire: ‘o fesso mio, lo scemo mio, dicono, ma affettuosamente: ‘o michele mio.
Ciò premesso, dirò che ad un attento esame di tutta la canzone si può ragionevolmente pensare che si tratti di un racconto che una mamma stia facendo al proprio figliolo.
Se ci poniamo in tale ottica possiamo giungere ad una conclusione che senza stravolgere il sesso della persona chiamata in causa e senza capriole semantiche, ci può condurre a dire che MICHELEMMÀ possa essere una corruzione trascrittoria o del cantato di un ipotizzabile originario michele ‘e ma’ (michele di mamma) corrottosi nel corso del tempo in michelemmà, trasformando la preposizione ‘e (di) nella congiunzione e che comportò la geminazione della successiva consonante nasale bilabiale (m).
Ipotizzo cioè che ci sia stata una mamma che, stringendo tra le braccia un suo bambino cui per scherzo ed affetto dava bonariamente dello sciocco (michele), gli raccontava la favola della nascita di un’isola (ISCHIA?)ricoperta di fronzuta vegetazione (scarola) e che su tale isola sbarcassero Turchi (Saraceni) e se la disputassero chi per conquistarne il monte (la cimma), chi per impadronirsi della spiaggia (lo streppone) .
Questa ipotesi poggia sul fatto accertato che una delle versioni piú accreditate del testo sia quella raccolta proprio da Gaetano Amalfi in Serrara d’Ischia , che è località situata nel cuore dell’isola verde e ben potrebbe essere quella stella Diana portata ‘mpietto proprio come riportato nel testo della canzone.
Del resto nelle canzoni napoletane non è unico il caso della colpevole trasformazione (per sciatteria, impreparazione e pressappochismo) della preposizione ‘e (de) = di, nella congiunzione e; rammento infatti che come l’ipotizzato Michele ‘e ma (Michele di mamma) fu stravolto e trasformato in Michelemmà, interpretando l’ ‘e(di) come la congiunzione e, cosí in un’altra famosissima canzone: Fenesta vascia datata 1500 non c’è cantante (anche famoso o famosissimo come Sergio Bruni, Massimo Ranieri, Roberto Murolo etc.) che non legga frettolosamente male e colpevolmente stravolga la lettera ed il senso del primo verso della canzone facendo diventare Fenesta vascia e ppadrona crudele (finestra bassa e padrona crudele) quello che in origine è Fenesta vascia ‘e padrona crudele (finestra bassa di padrona crudele)…, né sciattamente nessuno di essi si rende conto che se il verso fósse Fenesta vascia e ppadrona crudele (finestra bassa e padrona crudele) non potrebbero proseguire cantando quanta suspire m’aje fatto jettare, ma dovrebbero render plurale la voce verbale e trasformare aje in ate atteso che Fenesta vascia e ppadrona crudele sostanzierebbero un soggetto plurale che esigerebbe il verbo coniugato al plurale!
E transeat per i cantanti defunti, ma quelli in vita potrebbero e dovrebbero emendarsi dell’errore e tornare a cantare esattamente Fenesta vascia ‘e padrona crudele (finestra bassa di padrona crudele) evitando altresí il raddoppiamento della consonante occlusiva bilabiale sorda iniziale p di padrona raddoppiamento esatto dalla congiunzione e, ma non dalla preposizione ‘e. Hoc est in votis!
Raffaele Bracale
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