1.FÀ
CACÀ LL’UVA, LL’ACENO I ‘O STREPPONE.
Ad
litteram: far defecare il grappolo d’uva,
gli acini(vinacciuoli) ed il raspo relativi.Locuzione, spesso usata sotto
forma di minaccia: te faccio cacà ll’uva,
ll’aceno e ‘o streppone (ti faccio
defecare la pigna d’uva, i singoli acini(vinacciuoli) ed il raspo) con la
quale si significa l’azione violenta di
chi costringa o intenda costringere un ladro o anche solo un
profittatore a restituire tutto il mal
tolto, e cioè pretenda di farsi
restituire, sia pure sotto forma di feci, non solo la pigna d’uva che gli sia
stata sottratta, ma addirittura i singoli acini
e persino ad abundantiam il vuoto raspo che non viene mangiato, ma che
si intende far restituire da digerito.La minaccia estensivamente poi viene usata
nei confronti di chiunque (adulti e/o bambini) siano messi in condizione di
dover esser severamente puniti per eventuali malefatte trascorse.
cacà= cacare, defecare voce verbale infinito derivata dal lat. cacare= andar di corpo;
uva = uva, il frutto
della vite, costituito da un grappolo composto di acini: dal lat. uva(m) nell’espressione in epigrafe vale grappolo
di uva che a Napoli più spesso è detto pigna d’uva per la forma a cono
rovesciato vagamente simile al frutto conico delle
conifere, costituito da squame legnose che nascondono i semi (pinoli);
aceno= acino,
chicco dell’uva o di frutta similare dal latino acinu(m);
in napoletano con il termine a margine non si intende però solo il vero e
proprio acino/chicco d’uva, ma anche il vinacciuolo e cioè ciascuno dei semi che si trovano
in un acino d'uva; il fiocine che molti,
mangiando un grappolo d’uva, evitano di ingoiare e sputano via, per cui sarebbe
poi difficilissimo renderlo digerito, atteso che non viene mangiato ; la
medesima cosa avviene anche con lo
streppone= raspo,
grappolo di uva privo dei chicchi, gambo, fusto di fiori recisi; la voce
etimologicamente è dal lat. stirpe(m) attraverso
un accrescitivo *sterpone(m) con metatesi
e raddoppiamente espressivo della p→pp.
2.
JÍ TRUVANNO CRISTO ‘INT’ Ê
LUPINE o meglio JÍ TRUVANNO CRISTO DINTO A LA PINA
ad litteram: Andar cercando Cristo fra i lupini o meglio
Andar cercando Cristo nella
pigna. Id est: mettersi alla ricerca di
una cosa difficile da trovarsi o da conseguirsi;
cosa pretestuosa e probabilmente inutile, per cui, il piú delle volte, non metterebbe conto il mettersene alla
ricerca.
Come ò segnalato la prima locuzione è meno esatta della
seconda che risulta essere quella
originaria, mentre la prima ne è solo una frettolosa corruzione; ed in effetti
se si analizza la seconda locuzione (quella consigliata), si può intendere a
pieno la valenza delle espressioni,
valenza che è difficile cogliere accettando la prima locuzione che fa
riferimento ad incoferenti e pretestuosi lupini; quanto piú
corretta la seconda, quella che fa
riferimento alla pigna in quanto i pinoli in essa contenuti presentano un
ciuffetto di cinque peli comunemente détto: manina di Cristo e la locuzione
richiama appunto la ricerca di détta
manina, operazione lunga e che non sempre si conclude positavamente:
infatti occorre innanzitutto procurarsi
una pigna fresca, abbrustolirla al fuoco per poi spaccarla ed estrarne i contenitori dei pinoli, da cui trar fuori i
suddetti ed alla fine andare alla ricerca della manina e cioè per metinomia,di
Cristo; spesso càpita però che i contenitori siano vuoti di pinoli e dunque
tutta la fatica fatta vada sprecata e si riveli inutile. Qualche altro
scrittore di cose napoletane nel vano
tentativo di fare accogliere la prima locuzione, fa riferimento ad una non
meglio annotata o rammentata
leggenda che vede stranamente la
Vergine Maria non esser misericordiosa
con la pianta di lupini; nelle mie ricerche tale leggenda è risultata
pressocché sconosciuta, mentre non v’è
anziano popolano che non sia a conoscenza della manina di Cristo.
3.JÍ
TRUVANNO CHI LL’ACCIDE nell’espressione: VA TRUVANNO CHI
LL’ACCIDE
Ad litteram: andare in
cerca di chi l’uccida nell’espressione va in cerca di chi l’uccida
espressione usata per
commentare le antipatiche azioni del
provocatore, di chi stuzzichi il prossimo fino a destare, anche se
figuratamente, nei meno pazienti, istinti omicidi.
4.JÍ
TRUVANNO GUAJE CU ‘A LANTERNELLA
Ad litteram: andare in
cerca di guai con un lanternino; detto di chi
per suo puro masochismo e non
per sopraggiunte casualità, si vada cacciando di proposito nei guai, quasi andandone alla ricerca con una lanterna per meglio
trovarli.
5.JÍ PE
FFICHE E TRUVÀ CETRÓLE
Ad litteram: andare in cerca
di fichi e trovare cetrioli. Locuzione di portata simile a quella ricordata alibi: (jí p’ajuto
e truvà sgarrupo) cioè andare in cerca di qualcosa di buono ed imbattersi nel
contrario atteso che il cetriolo pure essendo un ortaggio buono ed
edibile, non è certo saporito e gustoso come un fico. Con significato furbesco:
andare in cerca di vulve ed imbattersi in péni.
Di analogo significato e portata
è la locuzione molto becera, ma molto icastica: (JÍ PE ‘NU CULO TRUVÀ ‘NU CAZZO) con la quale si adombra l’incresciosa
situazione di chi vada in cerca di una persona da sodomizzare e si imbatta in
una che lo sodomizzi.
6. JÍ Ô
BBATTESEMO SENZA ‘O CRIATURO
Ad litteram: recarsi al fonte battesimale senza il bambino (da
battezzare) locuzione usata per bollare situazioni macroscopicamenti carenti degli elementi
essenziali alla loro esistenza, riferita spercialmente a tutti coloro che
distratti per natura, o perché colpevolmente poco attenti si accingono ad operazioni destinate a fallire perché prive del necessario sostrato dimenticato per distrazione o non conferito per disattenzione.
7.JÍ A PPUORTECE PE ‘NA RAPESTA.
Ad litteram: recarsi a
Portici per (acquistare) una rapa. Id est: Agire sconsideratamente impegnandosi
eccessivamente, affaticandosi oltremodo
per raggiungere un risultato modesto o meschino. Cosí si dice, a dileggio, di chi
si comporta in maniera poco giudiziosa, assennata, attenta, accorta o riflessiva sprecando energie e – nella
fattispecie - si recasse al mercato ortofrutticolo all’ingrosso
di Portici, piccolo comune agricolo nei pressi di Napoli, per acquistare una
sola, insignificante rapa.
7 bis.JÍ
A PPUORTO P’ ‘A RAPESTA. Ad litteram: recarsi al porto per
la rapa. L’espressione in esame è una corruzione della precedente, ma è
di significato alquanto diverso; questa in esame è una locuzione usata a
dileggio di chi si comporti in maniera
imprudente, scriteriata, dissennata mettendosi in situazioni pericolose, come quella di frequentare la malfamata e
perigliosa zona portuale, e lo
faccia non per necessità o per lavoro,
ma al solo scopo di dar soddisfazione alle proprie esigenze sessuali
frequentando le prostitute stanziali del porto atte ad occuparsi della ... rapesta del loro cliente. Infatti nella
locuzione il s.vo rapesta [1 in primis rapa; 2 per traslato furbesco membro maschile; 3per traslato offensivo uomo inetto e dappoco; la voce rapa è dal lat. rapa←rapu-m = rapa,
mentre la voce napoletana rapesta è dal neutro
lat. rapistru-m attraverso il pl. rapistra poi inteso f.le e lètto
rapista→ rapesta con semplificazione di
str→st come in fenesta da fenestra(m)
] qui rapesta è usato appunto nel senso traslato/furbesco.A
margine rammento infatti che è da collegarsi alla rapa l’agg.vo arrapato che è il part. pass. usato anche come agg.vo
dell’infinito arrapà (arrapare), v.bo tr.vo
di origine meridionale,pervenuto anche nel lessico italiano sia pure
come voce volgare. è un denominale del
lat. rapa, propr. neutro pl. di rapum
'rapa', poi considerato come f.le sg.in senso maliziosamente allusivo alla
durezza dell’ortaggio] = eccitare sessualmente; piú spesso usato come intr. o
intr. pron. (arrapà, arraparse, fà arrapà), eccitarsi sessualmente; quantunque
sia piú comunemente usata al maschile (arrapato= eccitato ) nulla vieta che la
voce sia coniugata anche al f.le
(arrapata= eccitata) quantunque l’eccitazione maschile meglio si presti in pratica ad esser
rappresentata dalla turgidità della rapa!
8.JÍ
DINT’ A LL’OSSA.
Ad litteram: andare nelle ossa
detto di tutto ciò che risulti ampiamente giovevole, utile e proficuo
che faccia quasi assaporarne i benefici
fin dentro le ossa; la locuzione però non attiene esclusivamente al piano
fisico , potendosi usare anche o spesso
con riferimenti morali.
9. JÍ
‘NFREVA
Ad litteram: andare in febbre
id est: adontarsi, lasciarsi cogliere da moti di rabbia innanzi a
situazioni ritenute cosí ingiuste o prevaricanti da destare agitazione, foriera di febbre.
10.JÍ
METTENNO ‘A FUNE ‘E NOTTE
Ad litteram: Andar mettendo la fune di notte. Locuzione che si usava pronunciare
risentitamente, in forma negativa ( nun
vaco mettenno ‘a fune ‘e notte) (non vado tendendo la fune di notte)oppure
sotto forma di domande retoriche:ma che ghiesse mettenno fune ‘e notte?(forse
che vado tendendo funi di notte?),oppure ma che te cride ca vaco mettenno fune
‘e notte? (pensi forse ch’io vada tendendo funi di notte?) per protestare la
propria onestà, davanti ad eccessive richieste
di carattere economico; a mo’ d’esempio
quando un figlio chiede troppo al proprio genitore, costui nel negargli il richiesto usa a mo’ di spiegazione la locuzione in
epigrafe, volendo significare: essendo
una persona onesta e non un masnadiero
abituato a rapinare i viandanti tendendo una fune traverso la strada, per farli
inciampare e crollare al suolo, non ò i mezzi economici che occorrerebbero per
aderire alle tue esose richieste; perciò
règolati e mòderale !
11.JÍ
TRUVANNO OVA ‘E LUPO E PIETTENE ‘E QUINNECE.
Ad litteram: andare in cerca di uova di lupo e pettini da quindici
(denti) id est: impegnarsi in ricerche assurde , faticose ma vane come sarebbe
l’andare alla ricerca di uova di lupo
che è un animale viviparo o
cercare pettini di quindici denti, laddove tradizionalmente i pettini da
cardatura non ne contavano mai piú di
tredici.
12.JÍ
TRUVANNO SCESCÉ
Espressione intraducibile ad litteram con la quale si identifica chi, in ogni occasioni cerchi cavilli,
pretesti, adducendo scuse per non
operare come dovrebbe o facendo le viste
di non comprendere, per esimersi;
talvolta chi si comporta come nella
locuzione in epigrafe lo fa allo scopo dichiarato di litigare, pensando di
trovare nel litigio il proprio tornaconto. La parola scescé è un chiara
corruzione del francese chercher (cercare), ma non ci sono certezze circa il
suo primo utilizzo nel senso indicato. Si può però tranquillamente ipotizzare
che durante la dominazione murattiana, se non durante quella angioina, un milite francese si fermasse a chiedere una informazione ad un
popolano dicendogli forse: “Je cherche (io cerco) oppure usasse una frase
analoga contenente l’infinito: chercher”
Il popolano che con ogni probabilità non conosceva la lingua francese fraintese lo chercher, che gli giunse
all’orecchio come scescè e pensando che questo scescé fosse qualcosa o qualcuno
di cui il milite andava alla ricerca, comunicò agli astanti che il milite jeva
truvanno scescé (andava alla ricerca di un non meglio identificato scescé).
13.ESSERE
LL’URDEMU LAMPIONE ‘E FOREROTTA.
ad litteram: essere l’ ultimo lampione di Fuorigrotta id est: essere l’ultimo, inutile,
insignificante individuo di un cossesso quale esso sia. La locuzione si riferisce al fatto che un tempo a Napoli i
lampioni dell’illuminazione stradale
erano numerati ed accesi a sera
progressivamente secondo la loro numerazione cardinale. l’ultimo di essi lampioni contrassegnato con il num. 6666
era ubicato nella periferica zona occidentale
della città nel quartiere detto
di Fuorigrotta ed era l’ultimo ad essere
acceso , quando già le prime luci del giorno
ne sminuivano l’utilità;alla luce
di quanto detto si comprende che è solo un
divertente, ma incoferente
esercizio mentale considerare che con la quadruplice sequenza del num.
6 che nella smorfia indica tra l’altro
lo sciocco, il lampione contrassegnato
6666 possa indicare un gran babbeo.
14.LL’OMMO
‘NCOPP’Â SALÈRA
Ad litteram: l’uomo sulla saliera. Cosí con l’espressione in
epigrafe a Napoli si è soliti prendersi giuoco
di uomini che siano piccoli e non fisicamente prestanti, assimilati a quella statuina posta come impugnatura alla sommità dei coperchi delle saliere di
terracotta, statuina che riproduceva le
sembianze di un tal Tom Pouce(nome d’arte di Charles S. Stratton, nanetto
inglese [che si esibiva nel circo dell’impresario Barnum Phineas Taylor(Bethel,
Connecticut, 1810 - † Bridgeport, Connecticut, 1891)] ,pagliaccio inglese,
venuto a Napoli sul finire del 1860,ad esibirsi in un circo equestre;costui fu uomo molto piccolo e ridicolo e per questo fu preso a modello dagli
artigiani napoletani che lo raffigurarono a tutto tondo come maniglia del
coperchio delle stoviglie in terracotta di uso quotidiano.
15.LLOCO
TE VOGLIO, ZUOPPO, A ‘STA SAGLIUTA
Ad litteram: Lí ti voglio (vedere), zoppo, innanzi a questa salita
(vediamo cosa saprai fare...). Locuzione che ricorda quasi il dantesco: Qui si
parrà la tua nobilitate e che viene usata
nei confronti di tutti i
saccenti, supponenti millantatori che
certamente crolleranno innanzi alle prime autentiche difficoltà, quando non saranno sufficienti per raggiungere un
risultato le parole di cui i
millantatori sono ricchi e vacui dispensatori, ma occorreranno invece i
fatti che i soliti millantatori sono
incapaci di produrre.
16.LEVAMMO
‘ACCASIONE
Ad litteram: Togliamo l’occasione
id est: facciamo in modo da non lasciare ad altri il destro di
inopportuni interventi, rinunciamo magari a qualche piccolo vantaggio pur di
non favorire la maldestra commistione di terzi, in faccende che non dovrebbero riguardarli.
17.
LEVAMMO ‘A TAVERNA ‘A NANTE A CCARNEVALE.
Ad litteram: Togliamo la taverna
di davanti a Carnevale. Icastica locuzione di valenza simile alla
precedente, ma con un piú marcato riferimento ad eventuali ipotetici
eccessi alimentari che si potrebbero produrre se non si
procedesse ad eliminare eventuali occasioni
scatenanti detti eccessi. Un tempo la locuzione in epigrafe era usata ad
esempio in tutte le case dove, preparata
una buona torta, si correva il rischio che i bambini ne mangiassero continuatamente fino, forse ad
incorrere in fastidiose indigestioni; in tali occasioni un adulto, provvedendo a metter la torta
fuori della portata dei ragazzi , si
esprimeva con la locuzione in epigrafe, usata in occasioni analoghe quando
occorresse sottrarre qualcosa ad un utilizzo sfrenato ed incontrollato.
18.
LEVÀTE ‘O BBRITO.
Ad litteram: Togliete il vetro
id est: Raccogliete, mettete via, lavate e riponete i bicchieri usati in
quanto la giornata è finita e la mescita chiude.Secco comando che gli osti
solevano dare ai garzoni nell’approssimarsi dell’ora di chiusura dell’osteria,
affinché raccogliessero e lavassero i
bicchieri usati dagli avventori, che - a quel comando dato dall’oste ai garzoni
- capivano che dovevano abbandonare il locale; per traslato oggi la locuzione è
usata ogni qualvolta si voglia fare intendere
che si approssima la fine d’una qualunque operazione intrapresa e quindi
occorre affrettarsi.
Brak
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