MERETRICIO e voci collegate
Questa volta per rispondere alla cortese richiesta del mio carissimo amico P.G. ( del quale i consueti problemi di privatezza mi impongono l’indicazione delle sole iniziali di nome e cognome)che mi invoglia a parlarne, qui di sèguito ci addentreremo nel campo pericoloso del meretricio e delle voci toscane e napoletane ad esso collegate.
Comincerò col dire che con la parola meretricio etimologicamente dal latino meretricium che è da merere= guadagnare, si intende la prostituzione, il prostituire, il prostituirsi; in partic., l’attività di chi fa commercio abituale del proprio corpo al fine procurarsi immediato e facile guadagno; s’usa dire che tale attività, che è innanzi tutto femminile, ma talora pure maschile, sia stato il mestiere (quale attività individuale o organizzata) piú antico del mondo; non stento a crederlo: come commercio individuale è l’unico commercio che non abbisogna di ingenti capitali o di avviamento,non è neppure vero che sia richiesta una particolare avvenenza fisica, si può svolgere all’aperto ed al chiuso indifferentemente, gli strumenti di lavoro son forniti gratis da madre natura e non necessitano di particolare manutenzione e, adottando piccole precauzioni, è mestiere che può svolgersi per lungo tempo assicurando lauti guadagni oggi esenti da tassazione statale, quantunque non da quella del cosidddetto protettore o magnaccia ( voce d’origine romanesca etimologicamente forgiata sul verbo magnà=mangiare addizionato del suffisso dispregiativo accia) e cioè lo sfruttatore di prostitute ed estensivamente l’ uomo che vive alle spalle di una donna.Ricorderò súbito che in napoletano tale sfruttatore è detto ricuttaro; la parola napoletana fu ricavata verso la fine del 1800 per adattamento corruttivo della parola recoveta che diede recotta donde il derivato recuttaro o ricuttaro; ‘a recoveta era quella raccolta di fondi, raccolta vessatoria operata (tra i piccoli bottegai ed il popolino di taluni rioni popolari della città bassa) ad opera di taluni malavitosi dediti altresí al lenocinio (dal latino lenocinium che è da lenone(m)=in origine mercante di schiave, poi protettore), raccolta necessaria per sostenere le spese di difesa di camorristi e piccoli furfanti finiti nelle maglie della giustizia e sottoposti a giudizio per il quale si rendeva necessaria l’opera di avvocati difensori che quando non fossero affiliati alla camorra, occorreva pagare.
La donna che esercita il meretricio è ovviamente la meretrice (etimologicamente dall’acc. latino meretrice(m) che è come meretricium da merere= guadagnare);ma è voce eccessivamente dotta e di àmbito forense; altra voce toscana usata per indicare la donna che faccia commercio del proprio corpo è ovviamente prostituta che è dal lat. prostituta(m), s.vo f.le da prostitutus, part. pass. di prostituere =prostituire e piú esattamente mettere in vendita o a disposizione da pro (a favore) e statuere (porre); ma la voce piú tipica, usata fin dal 14° sec. (accanto a voci –poi vedremo - regionali,per indicare chi eserciti il mestiere di cui dico, fu ed ancora è - nel gergo ed in talune espressioni artistiche (cinema, teatro e t.v.) – mignotta; i piú recenti calepini la ritengono di derivazione francese da mignotte= favorita da un antico mignon, ma penso – tenendo presente che prima che divenisse (1400) toscana, la voce fu essenzialmente laziale - che non sia peregrina l’idea che mignotta sia la corruzione dell’rspressione m(ater) ignota abbreviato in m. ignota corrotta in mignota e poi mignotta; mater ignota fu l’annotazione apposta a margine di taluni nomi di trovatelli in antichi elenchi dell’anagrafe capitolina.
Altra voce dell’italiano per indicare sia pure in senso estensivo chi esercita il meretricio è sgualdrina che come s.vo f.le (spreg.) in primis indica solo una donna di facili costumi e per estensione la prostituta vera e propria; non tranquillissima l’etimologia della voce in esame:si cominciò con il pensarla derivazione di sgualdracca, variante ant. di baldracca, con suff. diminutivo, ma la voce sgualdracca non l’ò trovata attestata se non nel Baldus poemetto scritto in versi di un latino maccheronico da Teofilo Folengo ((Mantova, 8 novembre 1491 – † Bassano del Grappa, 9 dicembre 1544), sotto lo pseudonimo di Merlin Cocaio. ; penso perciò che sia piú perseguibile, con il Delâtre, l’idea di una derivazione dal tedesco gualdana= donna da gualdo(=selva) secondo un percorso che prevede i seguenti passaggi morfologici:gualdana→gualdrana→gualdrina→sgualdrina = donna pubblica, per i cacciatori, per la truppa, per i soldati: gualdana è un derivato digualdo← wald=selva; sempre che invece sgualdrina non derivi, come io reputo, direttamente dal tedesco schwellendrine = donna che sta sulla soglia (in attesa di clienti), meretrice, donna da trivio: la voce tedesca schwellendrine è formata da schwelle= soglia e dirne→drine = ragazza di facili costumi.
Prima di sconfinare nel napoletano, segnalo l’ultima voce usata in toscano per indicare la meretrice; essa è puttana ma è voce essenzialmente pluriregionale trasmigrata nel lessico toscano; questa parola etimologicamente è d’origine latina-barbarica: putana che è da puta= fanciulla, ma ci è pervenuta con l’aggiunta di una desinenza (na) rispondente alla declinazione debole dei tedeschi; è parola che oggi à un senso dispregiativo che però in origine non ebbe (infatti puttana valse dapprima ragazza e poi meretrice),ed è pervenuta nelle lingue regionali italiane e da queste al toscano illustre per il tramite del francese putain e l’antico spagnolo putaña.
E veniamo finalmente al napoletano dove è viva e vegeta (accanto a molte altre che ora qui dirò) la voce pluriregionale –
- puttana voce sulla quale si sono forgiate: puttanizio/a che è il meretricio in genere e
puttaniere usato per indicare chi sia solito avere rapporti sessuali con meretrici ed estensivamente ed iperbolicamente colui che ami circuire o correr dietro le donne avvenenti o meno;
- malafemmena altra voce molto conosciuta (anche per merito di una fortunata canzonetta del principe A. de Curtis Totò nome d'arte di Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio Gagliardi, più noto come Antonio De Curtis (Napoli, 15 febbraio 1898 † Roma, 15 aprile 1967), fortunata canzonetta che si intitola appunto Malafemmena, quantunque la donna adombrata nella canzone non faccia il mestiere piú antico, ma si sia limitata forse a saltuarî tradimenti in danno del suo innamorato); la parola è formata dall’unione di mala (dal latino malus/a = cattivo/a) + femmena (dall’acc. latino foemina(m) = femmina, donna)con tipico raddoppiamento espressivo popolare della postonica m in parole sdrucciole; ‘e - --ffemmena ‘e Casanova =ad litteram la donna di Casanova ma da leggersi come: la sacerdotessa d’amore è locuzione nominale usata in luogo di uno dei tanti sinonimi napoletani di prostitute, meretrici,sin qui esaminati:
femmena s.vo. f.le1 nome generico di ogni individuo umano o animale portatore di gameti femminili atti a essere fecondati da quelli maschili, e quindi caratterizzato dalla capacità di partorire figli o deporre uova;2 essere umano di sesso femminile; donna, bambina ( voce dall’acc. latino foemina(m) = femmina, donna)con tipico raddoppiamento espressivo popolare della postonica m in parole sdrucciole); Casanova Giovanni Giacomo. – Dissoluto avventuriero, donnaiolo, gran tombeur de femmes (Venezia 1725 -† Dux, Boemia, 1798); figlio di attori, presto orfano di padre ed affidato dalla madre (Giovanna Maria C., detta Zanetta) alla nonna materna, fu studente a Padova, chierico a Venezia e in Calabria, segretario del cardinale P. Acquaviva a Roma, soldato dell'armata veneta in Oriente, violinista dal 1746 nel teatro S. Samuele a Venezia. Accolto come figlio dal senatore M. G. Bragadin, nel 1750 riprese la sua vita randagia attraverso la Francia, Dresda, Praga e Vienna, finché, tornato a Venezia nel luglio 1755, fu rinchiuso nei Piombi sotto l'accusa d'aver tentato di diffondere la massoneria. Evaso, tornò in Francia, ove introdusse il gioco del lotto nel 1757, e, sotto il nome di cavaliere di Seingalt, fu in Olanda, Germania, Svizzera, Italia, Polonia, Russia, seducendo donne, giocando, battendosi a duello, esercitando la magia, speculando sui valori pubblici e facendo perfino il confidente degli inquisitori di stato di Venezia. Finí la sua vita come segretario e bibliotecario del conte C. G. di Waldstein. Attivo, energico, intraprendente, il C. fu un avventuriero anche della penna e scrisse, tra l'altro, la Confutazione della storia del governo veneto di A. de la Houssaie (1769), la Storia delle turbolenze della Polonia (1774), una traduzione, incompleta, in ottava rima dell'Iliade (1775), l'opuscolo Scrutinio del libro: Eloges de M. de Voltaire par differens auteurs (1779), il romanzo Icosameron (1788); ma la sua notorietà è dovuta soprattutto alla drammatica narrazione dell'evasione dai Piombi (Histoire de ma fuite, 1788) e ai fantasiosi e licenziosi Mémoires, sostanzialmente veridici quanto alla rappresentazione della società di gaudenti e intriganti del Settecento. Stucchevole, ma forse veritiera, invece, la rappresentazione di sé stesso quale genio della seduzione.
- zoccola che – come illustrai sub TOPO etc – è in primis il grosso topo di fogna ed estensivamente la prostituta che come quel topo frequenta nottetempo i marciapiedi;
etimologicamente zoccola è da sorcula diminutivo latino femm. di sorex-ricis;
- le ultime seguenti voci sono tutte usate figuratamente per indicare la prostituta o meretrice e di tutte già alibi dissi; per cui qui le elenco solo per amore di completezza; esse sono: saittella, lòcena, lumèra,péreta dette voci possono essere usate sí per indicare la prostituta, ma piú spesso servono ad indicare una donna solo volgare o chiassosa o lercia;analiticamente si à:
1) lòcena la locena pur essendo un taglio di carne gustosissimo, è un taglio che, ricavato dal quarto anteriore della bestia, il meno pregiato e meno costoso, è da ritenersi di mediocre qualità, quasi di scarto, e di tutti i vari nomi con cui è connotato in Italia, quello che piú si attaglia a simili minime qualità, è proprio il napoletano lòcena.
Etimologicamente infatti la parola lòcena nel suo precipuo significato di vile, scadente è forgiato come il toscano ocio/a ed i successivi locio/locia (dove è evidente l’agglutinazione dell’articolo) sul latino volgare avicus mediante una forma aucius che in toscano sta per: scadente, di scarto; da locio a locia e successiva locina con consueta epentesi di una consonante (qui la N) per facilitare la lettura, si è pervenuto a locina→locena.
Chiarito il concetto di partenza, passiamo al significato traslato: fu quasi normale in un’epoca: fine ‘500, principio ‘600 in cui la donna non era tenuta in gran conto (a quell’epoca risalgono, a ben pensare, quasi tutti i proverbi misogini della tradizionale cultura partenopea …), trasferire il termine lòcena da un taglio di carne di scarto, ad una donna… di scarto, quale poteva esser ritenuta una donna becera, villana, sciatta,sguaiata, volgare, sfrontata ed, a maggior ragione,una donna di malaffare o anche solo chi fosse una demi vierge o che volesse apparir tale..
2) saittella La saittella è quella sorta di feritoia che si trova alla base dei marciapiedi, feritoia il cui compito è quello di favorire il deflusso delle acque piovane ed incanalarle nei condotti fognarii che si trovano appena sotto il piano stradale; normalmente i ratti che stazionano nelle fogne usano queste feritoie, che non sono assolutamente protette, ma aperte e libere per sortire ed invadere l’abitato.
Etimologicamente la parola saittella è corruzione del termine toscano saiettera o saettiera che era nelle antiche mura, lo spazio tra i merli, spazio da cui i difensori potevano tirare con l'arco, la balestra e sim., rimanendo al coperto; tale spazio e la parola che lo indicava è preso a riferimento per la forma di tronco di piramide che è sia della saiettiera (orizzontata in senso verticale) che della saittella(che invece è aperta orizzontalmente).
Rammenterò appena, per amor di completezza, che con linguaggio triviale, la parola saittella è usata anche per indicare, estensivamente, una donna di facili costumi, la stessa che come ò segnalato altrove è pure detta alternativamente: péreta o lòcena.
3) lumèra è esattamente il lume a gas ma viene per traslato riferito a donna becera e volgare ed a maggior ragione ad una prostituta che abbia nel suo quotidiano costume l’accendersi iratamente per un nonnulla; tale prender fuoco facilmente richiama quello simile del lume a gas (lumera) o di quello a petrolio ( lume a ggiorno) ambedue altresí maleolenti tali quale una pereta. Faccio notare – come ò già detto – che péreta è il femm. riscostruito del masch. pírito e deve perciò intendersi che la péreta è un gran peto, una grande scorreggia maggiormente rumorosa e forse fastidiosa del corrispondente pírito= peto, scorreggia; e ciò perché in napoletano – come passim ò molte volte rammentato - i nomi femminili si intendono riferiti a cose, oggetti etc. intesi maggiori dei corrispondenti maschili: cfr. cucchiara piú grande di cucchiaro, tammora piú grande di tammurro carretta piú grande di carretto etc. l’etimo di lumera= lume a gas è dal fr. ant. lumière,ricavato dal lat. luminaria, neutro pl. di luminare 'lampada, fiaccola';
4)péreta donna becera, villana, sciatta,sguaiata, volgare, sfrontata ed, a maggior ragione,una donna di malaffare o anche solo chi fosse una demi vierge o che volesse apparir tale, soprattutto quando tale donna le sue pessime qualità faccia di tutto per metterle in mostra appalesandole a guisa di biancheria esposta al balcone; tale tipo di donna è detto péreta, soprattutto quando quelle sue pessime qualità la donna le inalberi e le metta ostentatamente in mostra; le ragioni di questo nome sono facilmente intuibili laddove si ponga mente che il termine péreta(nella locuzione a margine usata per dileggio quasi come nome proprio di persona) è come ò già détto, il femminile ricostruito di píreto (dal b. lat.:peditu(m)) cioè: peto, scorreggia che sono manifestazioni viscerali rumorose rispetto alla corrispondente loffa (probabilmente dal tedesco loft= aria) fetida manifestazione viscerale silenziosa, ma olfattivamente tremenda.
Abbiamo infine le ultime due voci che sono:
5)sittantotto in riferimento al numero 78 che nella smorfia napoletana o cabala indica appunto la prostituta;
6)quatturana che sta esattamente per quattro grana corrispondente all’importo della tassa che su ogni prestazione, sotto il regno di Ferdinando I (di Aragona e di Sicilia), detto Il Giusto (circa 1380-†1416), re di Aragona e di Sicilia (1412-†1416)le meretrici dovevano pagare allo stato; detto termine passò poi ad indicare la prostituta in genere e con valenza piú triviale, l’organo sessuale delle meretrici. Aggiungo a mo’ di completezza
altre antiche (tardo ‘800) desuete voci:
7)-caccavella s.vo f.le= letteralmente la parola a margine vale pentolina ,piccolo paiolo di creta o talora di rame usato per la cottura di alimenti; per traslato e figuratamente valse anche grosso cappello da donna sempre per traslato come (alibi) buatta indicò l’organo femminile esterno della riproduzione cui semanticamente è avvicinata per esser come quello un contenitore;partendo da tale accostamento con la voce a margine si indicò anche per metonimia la prostituta, soprattutto se non particolarmente avvenente e di forme sgraziate, che quel contenitore usasse; infine con la voce a margine (etimologicamente dal lat. tardo caccabella succedaneo di caccabulusdiminutivo di caccabus = paiolo,pentolone, dal greco kàkabos) per traslato sarcastico si indicò una donna che fosse grossa,grassa e bassa; piú precisamente tale donna fu détta caccavella ‘e Sessa: Sessa Aurunca (comune della provincia di Caserta, noto con il solo nome di Sessa,in origine Suessa, città appartenete alla Pentapoli Aurunca; il nome di Sessa derivò dalla felice posizione (sessio = sedile - dolce collina dal clima mite)fu una località dove veniva prodotto vasellame in terracotta, d’uso quotidiano;
8)pontonèra/puntunèra doppia morfologia alternativa di cui la prima adottata da scrittori meno adusi alla verace parlata popolare napoletana d’un'unica voce che sostanzia un epiteto altamente offensivo rivolto ad una donna e solo a donne; ambedue le forme, con la distinzione che ò fatto, furono usate sia in letteratura (cfr. Ferdinando Russo che però adoperò la piú esatta e veracemente popolare puntunèra ) che nel parlato della città bassa quale epiteto offensivo; il significato fu univoco senza possibilità di confusione: prostituta, donna di malaffare, donna da strada, donna da marciapiede, sgualdrina, baldracca; la voce etimologicamente è un denominale di pontone/puntone (angolo di strada, spigolo di muro,cantonata di via,) addizionato del suff. di competenza f.le èra che al m.le è iere (cfr.salum-era ma salum-iere, panett-era ma panett-iere etc.); pontone/puntone s.vo m.le = angolo di strada, spigolo di muro, cantonata; voce ricavata dal s.vo puncta(m) con riferimento allo spigolo del muro, addizionato del suff. accr. m.le one.Rammento altresí che nella medesima valenza e significato della voce in esame fu usato sebbene piú in letteratura che nel parlato un analogo
9)cantonèra/cantunèra (marcato sul s.vo - che non è della parlata napoletana cantone) voce mutuata dal siciliano;
10)puppeca prostituta, malafemmina, battona etc. ; totalizzante offesa rivolta a donna e solo a donne; di per sé la voce a margine varrebbe (donna)pubblica in quanto voce etimologicamente derivata per adattamento locale dall’agg.vo lat. publĭca (passato inalterato nello spagnolo cfr. mujer publica=prostituta) secondo il seguente percorso morfologico publĭca→pubbica→pubbeca→puppeca;
Rammento comunque che le ultime tre voci furono usate quali epititi (cfr. alibi) e poco nella letteratura. A margine ed a completamento di tutto quanto fin qui scritto, rammento che nel gergo dei protettori/camorristi le prostitute venivano indicate con termini diversi a seconda della loro età o condizione; si usavano i termini pullanca (dallo spagnolo pullancòn/a) riferito a prostituta giovane ed ancóra illibata, gallenella (diminutivo di gallina nome che è dal lat. gallina(m), deriv. di gallus 'gallo') riferito a prostituta giovane ma non piú illibata, ed infine voccola (che etimologicamente piú che da un greco del Ponto kloka (che è invece affine a chioccia), ritengo derivato da un lat. volg. *vòcca deverbale di vocare=chiamare che è tipico della chioccia con i suoi pulcini) riferito a prostituta ancóra giovane, ma che già sia madre. E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento e soddisfatto l’amico P.G., interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
Raffaele Bracale
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