1.VULÉ PISCIÀ E GGHÍ 'NCARROZZA.
Letteralmente: voler mingere e al tempo stesso andare in
carrozza Id est: pretendere di voler conseguire due risultati utili, ma
incompatibili fra di essi.Per mingere bisogna necessariamente smontar di
carrozza.
2.VULÉ FÓTTERE E SBATTERE ‘E MMANE.
Letteralmente: voler coire sbattendo le mani. Pretendere di
voler conseguire due risultati utili, ma incompatibili fra di essi. Cosa
impossibile soprattutto per l’uomo nella posizione détta del missionario.
3.VULÉ PISCIÀ TUTTE DINT'Ô RINALE oppure VULÉ PISCIÀ TUTTO
DINT'Ô RINALE
Ad litteram: voler minger tutti nell'orinale oppure voler
mingere completamente nell’orinale ; in ambedue i casi le espressioni stanno
per : pretendere l'impossibile; infatti non a tutti è concesso di fare tutte le
medesime cose, come non è possibile che tutti possano mingere nell'orinale,
qualcuno dovrà contentarsi di farlo all'aperto e - come i cani - contro il
muro. Nella variante si manifesta l’acclarata certezza che orinando non si può
depositare tutto l’orina nel pitale; inevitabilmente si finisce per versarne
fuori una parte!
rinale s.vo m.le = orinale, pitale, piccolo vaso da notte;
voce dal lat. *urinale(m)→rinale per aferesi della u diventata o e deglutinata
in quanto inteso articolo: *urinale(m)→ orinale(m)→ ‘o rinale.
4.VULISSE METTERE ‘O CÀNTERO CU ‘ARCIULO?
Letteralmente: Vorresti porre (a confronto) il pitale con
l’orcio? Id est: Avresti forse intenzione, con il tuo errato comportamento,e/o
argomentare di entrare in una tale confusione da non essere in grado piú di
cogliere le differenze intercorrenti tra un volgare contenitore di deiezioni
(il càntaro) ed un signorile, magari pregiato grande vaso panciuto di
terracotta usato per conservare olio o derrate alimentari (l’orcio)?
L’espressione in epigrafe ripete, ma in maniera quanto piú
colorita ed icastica, il concetto dell’italiano confondere la lana con la seta
espressione quest’ultima che, oltre ad essere meno colorita della napoletana, à
in sé un che di anòdino, ambiguo, dubbio, enigmatico, oscuro atteso che non è
semplicissimo intendere quale tra la lana e la seta sia il filato da tenere in
maggior considerazione; al contrario nell’espressione napoletana che non
ingenera dubbi, facilmente si coglie quale tra i due sia il contenitore piú
nobile; l’espressione napoletana è usata come sarcastico, salace commento al
vacuo, vuoto, inconsistente, futile, fatuo ragiomento di uno sciocco
sprovveduto che pone a paragone due soggetti o concetti diametralmente opposti
e tra i quali non vi dovrebbe essere confusione e/o competizione; l’espressione
è usata altresí come salace commento all’ inconsistente, futile, fatuo
atteggiamento che tenga uno spocchioso supponente che, privo di ogni acclarata
dote fisica (forza,energia, vigore etc. ) e/o morale (cultura,preparazione,
istruzione, coraggio etc.) pretenderebbe di entrare in competizione con chi
invece di quelle doti sia indubbiamente e patentemente fornito; va da sé che in
tale ipotetico confronto il supponente rappresenterebbe il càntaro e l’antagonista
l’arciulo.
vulisse letteralmente volessi, ma qui vorresti voce verbale
(2 ªprs. sg. dell’imperfetto congiuntivo) dell’infinito vulere/é= volere che è
dal lat. volg. *volíre→*vulire→vulére, per il class. velle, ricostruito sul
tema del pres. volo e del perfetto volui; la voce a margine come détto è la
2ªprs. sg. dell’imperfetto congiuntivo e correttamente andrebbe reso con il
congiuntivo volessi , ma spesso il napoletano usa il congiuntivo come
condizionale (modo che pure esiste in grammatica napoletana, ma che è raramente
usato preferendoglisi il congiuntivo imperfetto ed è presente quasi soltanto
negli scritti di poeti canzonieri o giornalisti letterati fattisi condizionare
per un motivo od un altro dalla lingua ufficiale: cfr. ad es.: Vincenzo Russo I’
te vurria vasà e Armando Pugliese Vurria;bizzarrie di chi si lascia influenzare
se non addirittura mettere le pastoie dall’italiano o di chi vi si abbandona
temendo di incorrere in qualche strafalcione grammaticale; un popolano nel suo
istintivo eloquio veracemente napoletano non potrebbe mai dire: I’ te vurria
vasà” direbbe sempre “I’ te vulesse vasà”, né direbbe “Vurria”, ma sempre
“vulesse” con buona pace di V. Russo, A.Pugliese e qualche altro!; per tale
motivo l’attesto congiuntivo volessi è stato reso qui con il condizionale
vorresti;
mettere = disporre,
collocare, porre (anche fig.) indossare, vestire etc. dal lat. mittere
'mandare' e poi 'porre, mettere';
càntaro s.m. alto vaso cilindrico di terracotta rivestito
all’interno ed all’esterno di uno smalto o patina idrorepellente che, dopo
l’uso favorisse la pulizia di tale vaso di comodo,contenitore provvisto, per lo
spostamento, di due anse laterali e di un’ampia bocca con cordolo doppio su cui
potersi comodamente sedere; tale vaso fu usato un tempo per raccogliere le
deiezioni solide; per quelle liquide ci si serviva di un piú piccolo e
maneggevole contenitore di ceramica patinata o, piú spesso, di ferro smaltato
che ebbe come nome alternativamente o ruagno o piú comunemente rinale(voce però
piú moderna, evidentemente ricavata per deglutinazione da (o)rinale ;) ruagno
fu invece voce piú antica usata ancóra negli anni ’50 sia pure soltanto sulla
bocca delle persone piú vecchie: nonni, nonne e/o zii molto anziani,voce usata
anche come bruciante offesa(cfr. l’espressione: Sî ‘na scarda ‘e ruagno!(Sei un
coccio di orinale!); quanto all’etimo di ruagno dirò che essendo solitamente
questo piccolo vaso di comodo ubicato nei pressi del letto per essere
prontamente reperito in caso di impellente necessità, scartata l’ipotesi
fantasiosa che ne fa derivare il nome da un troppo generico greco organon
(strumento), penso si possa aderire all’ipotesi che fa derivare la voce ruagno
dal greco ruas che indica lo scorrere, atteso che il ruagno era destinato ad
accogliere improvvisi scorrimenti derivanti o da cattiva ritenzione idrica,
oppure da attacchi diarroici viscerali; tornando alla voce càntaro,
etimologicamente esso è un derivato del lat. cantharu(m) che è dal greco
kantharos;rammento che il termine càntaro non va assolutamente confuso con la
voce cantàro che è voce indicante una misura: quintale ed è derivata dall’arabo
qintar (cfr. l’espressione Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo! Meglio
un quintale in testa che un'oncia nel sedere! Id est: meglio patire un danno
fisico, che sopportare il vilipendio di uno morale. In pratica gli effetti del
danno fisico, prima o poi svaniscono o si leniscono, quelli di un danno morale
perdurano sine die. A margine di tale espressione rammento che talvolta sulla
bocca di napoletani meno consci della propria lingua l’espressione Meglio ‘nu
cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo! è resa con una scorretta È mmeglio ‘nu càntaro
‘ncapo ca n’onza ‘nculo cioè Meglio portare un càntaro in testa che un’oncia in
culo espressione che comunque non à una ragione logica in quanto è incongruo
mettere in relazione un pitale (càntaro) con un peso (oncia) piuttosto che
rapportare due misure: quintale (cantàro) ed oncia (onza)).
arciulo s.m. orcio; come ò già détto: grande vaso panciuto
di terracotta, che soprattutto un tempo era usato per conservare liquidi, in
partic. l'olio e /o altre derrate alimentari come olive in salamoia, oppure
ortaggi bolliti in aceto e conservati sott’olio(melanzane, peperoni, sedano ed
altro) oggi si impiega per lo piú come vaso da piante; l’etimo di arciulo è dal
lat. *urceolu(m) diminutivo di urce(um).
5.VUÓ CAMPÀ LIBBERO E VVIATO: MEGLIO SULO CA MALE
ACCUMPAGNATO.
Ad litteram: vuoi vivere libero e beato: meglio solo che
male accompagnato Il proverbio in epigrafe, in fondo traduce l'adagio latino:
beata solitudo, oh sola beatitudo., ma precisa che se proprio si debba andare
in compagnia, che questa sia buona e non foriera di danno.
BRAK
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