venerdì 14 giugno 2013
‘O PATE D’ ‘E CCRIATURE E DINTORNI
‘O PATE D’ ‘E CCRIATURE E DINTORNI
Questa volta faccio sèguito ad una provocazione fattami dall’amico N.C. [al solito, motivi di riservatezza mi impongono di riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche] che avendo létto ciò che alibi scrissi intorno alla nomenclatura dell’organo sessuale riproduttivo femminile, mi à sfidato ad illustrare anche le voci napoletane usate per indicare l’organo sessuale riproduttivo maschile. Non mi lascio intimidire dalla richiesta che può apparire, ma non lo è, pruriginosa e provvedo alla bisogna precisando súbito che sono numerosissime le voci usate lasciando libero sfogo alla fantasia; lasciando da parte la voce cazzo che non è segnatamente napoletana, ma è usata su tutto il territorio nazionale,ed ugualmente tenendo separate un paio di espressioni che non son riconducibili a classificazioni e cioè: ‘o pate d’ ‘e ccriature e ‘o dito ‘e san Paolo ca ‘ntorza ‘a panza
dirò che quelle che son voci d’uso strettamente meridionale possono genericamente esser suddivise in tre gruppi; del primo fanno parte le voci mutuale dal mondo animale: pesce,cefalo,palàmmeto, capitone senza recchie, piccione,suricillo; del secondo quelle attinte dal regno vegetale: fenucchio, cetriuolo, fava, fungio, pipero, rafaniello ed infine del terzo gruppo fanno parte quelle in prestito tra altri dolciumi o alimenti: franfellicco, saciccio, bbabbà, panzarotto oppure tra gli oggetti:chiuovo, junco,penniello,spruoccolo, martino.
E passo ad analizzare le voci cosí come elencate:
cazzo s.vo m.le1(in primis e come nel caso che ci occupa ) membro virile, pene
2 (fig.) persona sciocca, minchiona; testa di cazzo, (fig.) imbecille, minchione
3 (fig.) nulla, niente:
voce del gergo marinaresco dal greco (a)kàtion = albero della nave); è ovvio l’accostamento semantico tra l’albero della nave ed il pene in erezione.
‘o pate d’ ‘e ccriature ad litteram: il padre dei piccoli; id est padre di bambini/e e cioè l’organo maschile della riproduzione, senza del quale si pensava fosse impossibile mettere al mondo dei nati, il péne; il giro di parole fu eufemisticamente usato per evitare di pronunciare parole piú disdicevoli; per vero tale circonlocuzione non è solo napoletana, ad un dipresso la si ritrova anche altrove; nel dialetto romanesco il poeta G.G.Belli trattando del medesimo organo riproduttivo intitolò un suo divertente sonetto addirittura Er padre de li santi e in riferimento all’organo femminile La madre de li santi.
Prendiamo in esame la voce ‘e ccriature; scritta con la geminata iniziale cc essa è il plurale di criatura/o (che etimologicamente vengono dal latino creatura(m)) comprendente i due generi maschile e femminile: insomma ‘e ccriature sono onnicomprensivamente i nati maschi e le nate femmine e talvolta anche solo le nate femmine; mentre usando la c scempia: ‘e criature si indica il plurale del maschile criaturo e dunque i soli nati maschi.
‘o dito ‘e san Paolo ca ‘ntorza ‘a panza ad litteram: il dito di san Paolo che gonfia la pancia; espressione eufemistica/furbesca nella quale al pene, per evitare di assegnargli altro nome triviale è dato il nome di dito di san Paolo nell’inteso che al miracoloso santo fósse sufficiente l’uso del solo dito e di non altro per riuscire ad ingravidare una donna. Non è dato però sapere perché mai si parli di san Paolo e non di altro santo miracoloso a meno che con l’espressione non si faccia riferimento al fatto che san Paolo da lussurioso gentile fu convertito in credente purificandosi in età matura dopo d’aver abbondantemente esercitato svariate pratiche sessuali durante la sua gioventú.
‘ntorza = gonfia, indurisce voce verbale (3ª pers. sg. ind. pr. dell’infinito ‘nturzà= gonfiare, indurire, rendere incinta verbo denominale dal lat. in + tursu-m);
panza = s.vo f.le pancia, epa; nella fattispecie ventre ingravidato; voce dal basso latino panticem con metaplasmo e sincope della sillaba ti donde pantice(m)→ *pan(ti)cja→*pancja→panza);
pesce s.vo m.le
1 animale vertebrato acquatico di varia grandezza, per lo piú fusiforme, rivestito di squame e provvisto di pinne per nuotare, con respirazione branchiale e scheletro osseo o cartilagineo: pesce ago, pesce marino dal corpo lungo e sottile, comune nel Mediterraneo; pesce corvo, ombrina dalla tinta bruna scura e con i fianchi a strisce dorate; pesce dorato (o rosso), originario della Cina, allevato per ornamento; pesce farfalla, dotato di una pinna dorsale la cui parte anteriore è simile a un'ala di farfalla; pesce vela, istioforo; pesce pappagallo, pesce marino, presente nel Mediterraneo, con livrea vivacemente colorata; pesce rondine (o volante), pesce di mare dal corpo allungato, grigio e roseo a macchie, con capo grosso e arrotondato; le ampie pinne pettorali gli permettono di compiere lunghi salti fuori dell'acqua | natà comme a ‘nu pesce nuotare come un pesce, (fig.) benissimo ' essere, sentirese ‘nu pesce fora d’acqua essere, sentirsi un pesce fuor d'acqua, (fig.) sentirsi a disagio in un ambiente che non si conosce nun sapé che pisce piglià non sapere che pesci pigliare, (fig.) non sapere che decisione prendere 'menarse a ppesce buttarsi a pesce (su qualcosa), (fig.) con entusiasmo; riferito a cibo, cominciare a mangiarlo con avidità | fà ‘o pesce ‘mbarile fare il pesce in barile, (fig.) fare l'indifferente, far finta di nulla | piglià a ppisce ‘nfaccia prendere (qualcuno) a pesci in faccia, (fig. popolarmente) trattarlo in malo modo | pesce ‘e cannuccia' pesce da canna' (fig.) essere credulone, abboccare facilmente | pesce gruosso, piccerillo ' pesce grosso, piccolo, (fig.) persona molto, poco potente | pesce d’abbrile pesce d'aprile, burla che si fa tradizionalmente il primo di aprile ' prov. :’e pisce gruosse se magnano ê piccerille i pesci grossi mangiano quelli piccoli, i potenti ànno sempre la meglio.
2 (estens.) la carne del pesce come cibo; vivanda di pesce: pesce scaurato, ‘mbianco,â pezzajuola, affummecato; pesce lesso, in bianco, in umido, affumicato; zuppa, fritto ‘e pesce zuppa, fritto di pesce | pesce luvardo pesce azzurro, denominazione comune di alici, sardine, acciughe e sgombri | tené ‘na faccia ‘e pesce scauratoavere una faccia da pesce lesso, (fig.) avere un viso inespressivo
3 pl. (zool.) la classe di vertebrati acquatici cui appartiene ogni pesce
4 (pl.) Pesci, (astr.) costellazione e segno dello zodiaco in cui il Sole transita dal 20 febbraio al 20 marzo
5 (estens.) persona nata sotto questo segno
6 (tip.) errore di stampa che consiste nel saltare una parola o una frase del testo originale.
7 ( popolarmente come nel caso che ci occupa) pene. Da notare che nel sud d’Italia, circondato dal mare, popolarmente per pene s’usa, quale termine rappresentativo, un termine ittico (pesce), mentre nel centro-nord d’Italia, cioè in zone lontane dal mare, popolarmente per pene s’usa, quale termine rappresentativo un termine venatorio (uccello); la voce a margine è dal lat. pisce-m.
piccione s.vo m.le
1 [f. -a] nome comune del colombo domestico, uccello di media grandezza, forte e veloce, con piumaggio grigio scuro e becco leggermente arcuato; è addomesticabile e viene allevato per le sue carni gustose (ord. Colombiformi) | tiro al piccione, gara sportiva nella quale i concorrenti cercano di abbattere con un colpo di fucile un piccione fatto uscire improvvisamente da una gabbia; piccione di gesso, di rame, bersagli di forma simile al piccione usati un tempo nelle gare di tiro al volo | piglià dduje picciune cu ‘na fava prendere due piccioni con una fava, (fig.) ottenere due risultati in una sola volta | fanno gluglú comme a dduje picciune tubano come due piccioni, (fig.) si dice di due innamorati che amoreggiano teneramente.
2 (fig. e popolarmente come nel caso che ci occupa) pene, persona sempliciotta, che si può raggirare con facilità (cfr. sub cazzo n°2)
3 in macelleria, taglio di carne di bue compreso fra la rosa e le costole. Piccolo taglio triangolare situato sopra la noce, particolarmente tenero e saporito, si utilizza farne arrosti, ben legato.la voce piccione è voce in uso nel nord dell’Italia da Bologna in su; nel sud e segnatamente nel napoletano il termine piccione è sostituito con cularda/codarda e cucuizzo mentre in Calabria e Lucania è d’uso la voce tudisco.
piccione è voce dal lat. tardo pipione(m), deriv. di pipiare 'pigolare' cfr. piccià←pipiare; rammento che nel napoletano l’accostamento del pene al piccione lo si ritrova nel commento al numero 29 della smorfia dove sotto l’espressione d’accompagnamento della sortita del numero: “Piccione e ova” giocata sull’assonanza tra nove ed ova, piccione è ovviamente il pene e le ove,sono i testicoli!
cefalo s.vo m.le 1 (in primis) pesce di mare commestibile dal corpo quasi cilindrico,grossa testa e dorso scuro a squame argentee (ord. Mugiliformi) 2( fig. e popolarmente come nel caso che ci occupa) pene. voce dal lat. tardo cephalu(m), che è dal gr. képhalos, deriv. di kephalé 'testa'; l’accostamento semantico tra la voce cefalo ed il pene è da cercarsi proprio nella turgicità del glande in erezione che nell’inteso popolare richiama la grossa testa del cefalo.
palàmmeto s.vo m.le 1 (in primis) pesce di mare commestibile simile al tonnetto (ord. Perciformi)
2( fig. e popolarmente come nel caso che ci occupa) pene.voce dal gr. pílamís –ídos; come per la precedente voce l’accostamento semantico tra la voce palàmmeto ed il pene nel furbesco inteso popolare è da cercarsi nella voluminosità del pesce palamida con il turgore dell’asta in erezione.La voce infatti è usata quando iperbolicamente e per vanteria si intenda millantare le dimensioni del proprio membro.
capitone s.vo m.le 1 (in primis) famosa anguilla femmina di grosse dimensioni, pregiata per le sue carni, che è cibo tradizionale delle feste di Natale;di essa si dice che sia provvista di orecchi: in effetti il capitone e cioè la grossa anguilla femmina, regina delle napoletane tavole di magro della vigilia di Natale, allorché viene ammannito arrostito alla brace, in carpione, in umido, all’agro o fritto à una morfologia particolare e la sua grossa testa appare fornita di due minuscole appendici laterali traslucide, volgarmente détte orecchie; 2 (per traslato furbesco e giocoso. e popolarmente come nel caso che ci occupa) pene; tuttavia in tale accezione si precisa che trattasi di un capitone privo di orecchie; la voce capitone etimologicamente è dall’accusativo latino capitone(m) da capito/onis collaterale di caput/tis in quanto oltre il corpo à una testa molto pronunciata; rammenterò che nelle tombole familiari quando si estraesse il num. 32 chi lo estraeva annunciava trionfante: trentaroje ‘o capitone!,ma súbito chiosava: cu ‘e rrecchie volendo significare che si intendeva riferire proprio alla grossa anguilla provvista ai lati del capo di due piccole, trasparenti appendici ritenute orecchie, e non intendeva, col dire capitone, riferirsi ad altro furbesco richiamo non ittico, di appendice maschile spesso ricordata come ò détto con la voce: ‘o capitone senza recchie (il capitone privo d’orecchie).
suricillo s.vo m.le diminutivo 1 (in primis) topino, piccolo topo; 2 (per traslato furbesco e giocoso. e popolarmente come nel caso che ci occupa) pene;nell’accezione sub 2 la voce a margine è rammentata in una famosa esclamazione/maledizione : mannaggia ô suricillo e ppezza ‘nfosa che ad litteram è : accidenti al topino ed (alla) pezza bagnata;Il motto viene pronunciato a mo’ di imprecazione da chi voglia evitare di pronunciarne altra piú triviale specialmente davanti a situazioni negative sí, ma poco importanti.
di tale esclamazione/maledizione diffusamente dissi alibi e lí rimando chi volesse approfondire; qui mi limito a rammentare l’etimo della parola che deriva da uno xurikilla tardo latino usato in luogo del piú classico mentula per indicare il membro maschile.
Abbandoniamo ora il regno animale e passiamo a quello vegetale,nel quale si pescano alcuni nomi di ortaggi per assegnarli al pene sempre con riferimento alla durezza o alla forma allungata dell’ortaglie; vi incontriamo:
fenucchios.vo m.le 1 (in primis) pianta erbacea con foglie basali dal picciolo largo, bianco e carnoso che vengono consumate come ortaggio; i semi sono usati per aromatizzare i cibi (fam. Ombrellifere) | finocchio dolce, si coltiva negli orti per consumarne la testa carnosa ed il fusto ingrossato; 2 (per traslato furbesco e giocoso. e popolarmente come nel caso che ci occupa) membro maschile; rammento che in questa seconda accezione si fa riferimento semantico al finocchio dolce, quello dalla grossa testa carnosa e dal fusto ingrossato; voce dal lat. tardo fenuculum→ fenuclum→fenucchio, per il class. feniculu(m), deriv. di fìnum 'fieno'.
cetriuolo s.vo m.le 1 (in primis) pianta erbacea rampicante con foglie lobate e fiori gialli, coltivata per i frutti commestibili verdi, allungati e carnosi (fam. Cucurbitacee). 2 (fig.) uomo sciocco, goffo
3 (per traslato furbesco e giocoso. e popolarmente come nel caso che ci occupa) pene, membro virile; di tutto riposo l’accostamento semantico da cercarsi nella forma e nel turgore dell’ortaggio;
voce dal lat. volg. *citriolum, deriv. di citrus 'cedro', per il colore verde
fava s.vo f.le 1 (in primis) pianta erbacea con foglie paripennate, fiori bianchi macchiati di nero e legume a baccello contenente semi commestibili, di color verde e della forma di un grosso fagiolo appiattito (fam. Leguminose) | (estens.) il seme commestibile della pianta: piglià dduje picciune cu ‘na fava - prendere due piccioni con una fava, (fig.) raggiungere due obiettivi in un colpo solo
2 (ant.) voto in un'assemblea che si esprimeva deponendo in un vaso fave bianche o nere
3 (per metafora furbesca e giocosa e popolarmente come nel caso che ci occupa) glande; e per estens., pene: voce dal lat. faba-m; anche in questo caso l’accostamento semantico è da cercarsi nella forma allungata dell’ortaglia; rammento che nell’accezione sub 3 il s.vo in esame è presente in una canzone di Raffaele Viviani [Castellammare di Stabia10/1/ 1888 – †Napoli22/3/1950] La rumba degli scugnizzi lí dove il poeta mette sulla bocca di uno scugnizzo l’espressione, rivolta ad una procace contadinella:”Pacchianè, chi s’ ‘o ppenzava, tiene chistu campo ‘e fave!” con riferimento salace al fondoschiena della ragazza ritenuto terreno da poterci piantare metaforiche fave.
fungio s.vo m.le 1 (in primis) vegetale inferiore privo di clorofilla, e perciò obbligato a vita parassitaria o saprofitica, costituito da cellule disposte lungo filamenti detti ife | nell'uso comune, corpo fruttifero dei funghi piú grandi, di solito formato da un gambo sormontato da un cappello; può essere velenoso o commestibile: funghi freschi, secchi; funghi velenosi, mangerecci; risotto coi funghi; funghi trifolati, fritti | andare a, per funghi, a cercarli nei boschi | crescere, venir su come funghi, (fig.) rapidamente e in gran quantità | a fungo, a forma di fungo.
2 (estens.) qualsiasi oggetto a forma di fungo
3 (per traslato furbesco e giocoso. e popolarmente come nel caso che ci occupa) pene, membro virile; ancóra un accostamento semantico da cercarsi nella forma del vegetale con particolare attenzione al turgido e lungo gambo del fungo ed al cappello che lo sormonta; voce dal lat. fungu-m→fungio (dove il pl. funge giustifica anche la palatalizzazione del sg. fungio laddove in italiano fungo continua il suono gutturale latino mantenuto anche nel pl. attraverso l’acca diacritica: funghi; rammento che nell’accezione sub 3 anche il s.vo in esame pure se addizionato dello specificativo cinese è presente in una gustosa, salace canzonetta di Renato Carosone [pseudonimo di Renato Carusone (Napoli , 3 gennaio 1920 – †Roma , 20 maggio 2001),] ‘Stu fungo cinese nella quale il vegetale, con evidente metafora è accreditato della potenzialità di ingravidare una donna!
pipero s.vo m.le ( al plurale pipere)1(in primis) nella parlata napoletana si identifica un tipo particolare di gustoso peperone,di vario colore (rosso, giallo, verde chiaro), non quadrilobato, ma di pizzuta forma conica allungata e di sapore piuttosto forte come dal nome che con derivazione dall’ acc.vo neutro tardo latino pipere(m) indica appunto un peperone dal sapore intenso, quasi pepato); è una bacca di colore verde chiaro , rosso o giallo di gustoso sapore piuttosto piccante, di media grandezza e di forma conica richiamante quella di un corno di toro ed in effetti nel resto d’Italia questo peperone è détto appunto corno di toro; si presta ad essere consumato per intero o ridotto in piccole falde fritto o imbottito e talvolta è usato nella elaborazione di risotti o altri primi piatti oppure nella preparazione di spezzatini di maiale (cfr. alibi); 2(per traslato furbesco e giocoso come nel caso che ci occupa ) la voce nel parlato vale pene, membro maschile con riferimento semantico alla tipica forma di questo peperone.
rafaniello s.vo m.le 1(in primis) ravanello, pianta erbacea che si coltiva per la radice commestibile di colore rosso o bianco, dal sapore forte (fam. Crocifere). 2(per traslato furbesco e giocoso come nel caso che ci occupa ) la voce nel parlato vale pene, membro maschile con riferimento semantico non solo alla tipica forma allungata e puntuta di questo ortaggio, ma anche alla sua piccantezza. voce diminutiva (cfr. suffissi i + ello del s.vo rafano che è dal lat. raphanu(m),marcato sul greco rháphanos.
Abbandonato cosí il regno vegetale, passiamo ad altri alimenti dolci o rustici; troveremo:
franfellicco s.vo m.le 1(in primis) duro, dolcissimo bastoncino di zucchero filato, da succhiare, a forma di J che è l’iniziale del nome Jesus e nella tradizione popolare napoletana il franfellicco essendo un dolce, in origine natalizio, destinato ai bambini fu ritenuto figurazione del Bambino Gesú, roccia su cui fonda la salvezza dell’uomo. 2(per traslato furbesco e giocoso come nel caso che ci occupa ) la voce nel parlato vale pene, membro maschile con riferimento semantico alla forma ed alla durezza del dolciume;
la voce franfellicco etimologicamente è un adattamento locale del fr. franfeluche.
bbabbà s.vo m.le 1(in primis) dolce soffice e cedevole monoporzione di forma tronco-conica sormontata da un gonfio cappello, dolce principe, accanto alla sfogliatella ed alla mitica pastiera, della cucina partenopea.
Esso dolce pur essendo originario della Polonia pervenne a Napoli (divenendo uno dei dolci piú graditi della pasticceria partenopea) attraverso i cuochi francesi (i famosissimi monzú[voce corruttiva del fr. monsieur]) chiamati a Napoli dalla regina Maria Carolina d’Asburgo (sorella della notissima Maria Antonietta, quella che finí i suoi giorni ghigliottinata con il consorte Luigi XVI al tempo (1793 rispettivamente 21/1 il re e 16/10 la regina) della rivoluzione francese) in occasione delle proprie nozze ( 7 aprile 1768) con Ferdinando IV Borbone – Napoli. Il dolce deve il suo nome alla morbidezza e cedevolezza dell’impasto atto alla malferma dentatura delle persone anziane;baba in lingua polacca vale:nonna,donna vecchia; quando poi il baba polacco, al seguito del re Stanislao Leszczinski, (che qualcuno vuole ne sia stato casualmente l’inventore)re di Polonia dal 1704 al 1735, giunse in Francia dapprima a Luneville e di lí a Parigi alla pasticceria Sthorer, dove tutti lo conobbero ed apprezzarono, esso vide il suo nome pronunciato alla francese con la a finale accentata babà e tale fu anche a Napoli (che anzi ne raddoppiò espressivamente la seconda esplosiva labiale e babà diventò babbà e preceduto dall’articolo addirittura ‘o bbabbà); nella città partenopea , come ò détto, prese stabile dimora per il tramite dei monzú francesi (cuochi di corte); anzi a Napoli vide raddoppiata b intervocalica diventando babbà e fu dolce tanto amato ed apprezzato da pervenire in talune locuzioni napoletane; Cito,ad es. : Sî ‘nu bbabbà! (Sei un babà) détto di persona (uomo) d’indole buona e mansueta fino alla prona accondiscenza, mentre riferito ad una donna Sî ‘nu bbabbà vale Sei tanto bella e buona (che meriteresti d’esser mangiata, come un babà!).
Rammento altresí che soprattutto nell’ icastico parlato della città bassa la voce bbabbà è usata 2quale traslato furbesco e giocoso come nel caso che ci occupa per indicare il pene, il membro virile con riferimento semantico alla forma del dolce monoporzione.
panzarotto s.vo m.le 1(in primis) specialità della cucina napoletana; voce con cui si indica una tipica frittella di forma cilindrica, frittella lunga 10, 12 cm.ricavata da un impasto di patate lesse e schiacciate, farina, rossi d’uova, sale, pepe, erbe aromatiche, farcita di pezzetti di salame e bastoncini di mozzarella o provola affumicata ,frittella intinta nella chiara d’uovo, rollata nel pan grattato e fritta in olio bollente e profondo; allor che la parola napoletana panzarotto emigrò nella lingua toscana ecco che, inopinatamente,forse per confusione con il panzerotto pugliese, perdette la seconda a (per altro etimologica e dunque sacrosanta) in favore della chiusa E ritenuta piú elegante e consona alla lingua di Alighieri Dante,e si ridusse a panzerotto voce con la quale, come ò detto, non si indicò piú la frittella di pasta di patata, ma una sorta di piú o meno grosso raviolo di semplice pasta lievitata rustica o dolce adeguatamente imbottito di ingredienti salati (ricotta, formaggi etc.) o dolci (marmellate, uvetta etc.) e la frittella di patate divenne, nell’italiano, crocchetta o crocchè, assegnandole scioccamente ed erroneamente (la frittella di patate non deve esser croccante, ma morbida e tenera!) un nome mutuato dal francese croquant = che crocca, nella fallace convinzione che una preparazione di origine popolare e rustica si ingentilisca e diventi di nobile prosapia se le si assegna un elegante nome francesizzante, come alibi già capitò con l’umile, ma gustosa frittata di sole uova, formaggio sale e pepe frittata che,diventata omelette, non migliorò…, né d’altra parte lo poteva: era già buona di suo! Etimologicamente sia il panzerotto pugliese che il panzarotto napoletano derivano quali diminutivi con riferimento al rigonfiamento sia del panzerotto che del panzarotto. dal s. panza (lat.pànticem→pan(ti)cem, donde per metaplasmo pan(ti)cia→ pan(ti)cja→panza.). Nella città bassa la voce panzarotto, con riferimento semantico alla sua forma, è usato anche per indicare 2quale traslato furbesco e salace come nel caso che ci occupa il membro maschile.
Esaurite cosí anche le voci alimentari passiamo a vedere quali oggetti sono presi a prestito per indicare il membro virile. Troviamo:
chiuovo, chiuovo s.vo m.le
(in primis)1 barretta metallica di varie forme e dimensioni, generalmente appuntita a un'estremità e con una testa piú o meno larga all'altra, che serve a unire fra loro parti di metallo, legno o altro materiale, o per appendere oggetti alle pareti: conficcare, piantare un chiodo con il martello; chiodi da tappezziere, da calzolaio, da carpentiere | elemento metallico da applicare a suole di scarpe, pneumatici ecc. per rinforzarli e migliorarne l'aderenza al suolo | in alpinismo, attrezzo che si conficca in parete per sostenere una corda: chiodo da roccia, da ghiaccio | essere sicco comme a ‘nu chiuovo -esseremagro come un chiodo, magrissimo | rrobba ‘a chiuove - roba da chiodi, (fam.) cosa incredibile o gravemente riprovevole, meritevole d’essere inchiodata al muro a mo’ di ricordo o ammonimento | chiuovo leva chiuovo - chiodo scaccia chiodo, (fig.) una preoccupazione ne fa dimenticare un'altra | attaccà quaccosa ô chiuovo - attaccare qualcosa al chiodo, (fig.) cessare di usarla: attaccà ‘e guantune, ‘a bicicletta ô chiuovo- attaccare i guantoni, la bicicletta al chiodo, ritirarsi dal pugilato, dal ciclismo | tené ‘nu chiuovo ‘nfronte, dint’ô scianco avere un chiodo in fronte, al fianco, (fig.) avere mal di testa, provare una fitta al fianco | tené ‘nu chiuovo ‘ncapa-avere un chiodo in testa, (fig.) un'idea fissa, una preoccupazione assillante;
2 (fig. fam.) debito: piantà e levà chiuove-piantare e levar chiodi, fare, pagare debiti
3 (figuratamente e semanticamente collegato al sentimento d’amore, perché – come questo – punge e perfora (l’animo))i figli, la prole definiti chiuove ‘e dDio.)
4 chiuovo ‘e carofano = chiodo di garofano, (bot.) gemma florale di un albero esotico delle mirtacee che, essiccata, si usa come spezie
voce derivazione del lat. clavu(m);normale nel napoletano la risoluzione in chi del digramma cl (cfr. clausum→chiuso, ecclesia→chiesa, clave-m→chiave etc.)
5(per traslato furbesco e salace, come nel caso che ci occupa ) la voce nel parlato della città bassa vale pene, membro maschile con riferimento semantico alla tipica forma di una grossa barretta metallica appuntita ed alla sua attitudine a penetrare qualcosa.
junco s.vo m.le [pl. -che] 1(in primis) pianta erbacea monocotiledone dallo stelo flessibile, che cresce spontanea nei terreni umidi e paludosi, pianta le foglie forniscono materiale d'intreccio (fam. Giuncacee)
2 (estens.) il fusto stesso della pianta, fusto che mondato delle foglie viene usato per produrre flessuosi bastoncini da passeggio;
3(per traslato furbesco e salace, come nel caso che ci occupa ) la voce nel parlato della città bassa vale pene, membro maschile in erezione con riferimento semantico alla rigidezza, elasticità e fllessuosità del fusto giuncaceo [cfr. Raffaele Viviani in ‘O guappo ‘nnammurato]; voce dal lat. iuncu-m
penniello 1(in primis) attrezzo costituito da un mazzetto di peli naturali o di fibre sintetiche fissato all'estremità di un supporto di legno, per lo piú adoperato per dipingere, per verniciare o per spalmare sostanze liquide o semiliquide: pennello di setole di maiale, di tasso; pennello da imbianchino, da pittore | penniello p’ ‘a barba pennello per la (o da) barba, con cui ci si insapona il viso prima della rasatura ' pennello per labbra, per occhi, pennellino usato per il trucco ' pennello da spolvero, per la pulizia di mobili intagliati o di oggetti delicati 'll’arte d’ ‘o penniello l'arte del pennello, la pittura ' a pennello, alla perfezione: chillu vestito te sta a ppenniello -quel vestito ti sta a pennello;
2(per traslato furbesco e caustico, come nel caso che ci occupa ) la voce nel parlato della città bassa vale pene, membro maschile con riferimento semantico non solo alla tipica forma dell’attrezzo, ma salacemente con riferimento alla capacità del pennello e del pene di splamare sostanze liquide o semiliquide; voce dal lat. volg. *penĕllu(m), dim. di pínis 'coda, pene' con dittongazione della breve ĕ e raddoppiamento espressivo della consonante nasale dentale (n)
spruoccolo s.vo m.le1(in primis) stecco, pezzetto di legno 2o di ramo, bastoncello, zeppa 2(per traslato furbesco e salace, come nel caso che ci occupa ) la voce nel parlato della città bassa vale pene, membro maschile con riferimento semantico non soltanto alla forma dell’aggeggio ma anche rammentandosi di una tipica espressione partenopea che associa lo stecco ad un buco.Questa la locuzione:'Nfila 'nu spruoccolo dinto a 'nu purtuso!
Letteralmente: Infila uno stecco in un buco! La locuzione indica una perentoria esortazione a compiere l'operazione indicata che deve servire a farci rammentare l'accadimento di qualcosa di positivo, ma talmente raro da doversi tenere a mente mediante un segno ben visibile come l'immissione di un bastoncello in un buco di casa, per modo che passandovi innanzi e vedendolo ci si possa rammentare del rarissimo fatto che si è verificato. Per intenderci, l'espressione viene usata, a sapido commento allorchè, per esempio, un uomo politico mantiene una promessa, una donna è puntuale ad un appuntamento et similia.L’espressione rammenta una cerimonia in uso nell’antica Roma repubblicana allorché il Sommo sacerdote, a fini eponimi, soleva ad inizio d’anno infiggere un chiodo in una delle pareti del tempio di Giano. Nel salace inteso della città bassa partenopea il purtuso/buco dell’espressione richiamò d’acchito quello anatomico femminile per cui lo spruoccolo finí per indicare il membro maschile deputato a riempire quel purtuso (buco); etimologicamente spruoccolo è da un tardo lat. *(e)xperŏccolo→sp(e)roccolo→spruoccolo (da ex + pedunculu-m) con sincope, assimilazione regressiva nc→cc dittongazione della ŏ diventata tonica e roticizazione osco/mediterranea d→r;
pertuso/purtuso s.vo m.le = buco, foro, fessura, passaggio stretto voce da un lat. tardo pertusiu(m), deriv. del class. pertusus, part. pass. di pertundere 'bucare, forare', comp. di per 'attraverso' e tundere 'battere.
martino s.vo m.le1(in primis) coltello , pugnale, generica arma bianca affilata ed appuntita; 2(per icastico traslato furbesco e salace, come nel caso che ci occupa ) la voce in tale accezione desueta nel parlato della città bassa valse pene, membro maschile con riferimento semantico non soltanto alla forma dell’aggeggio ed alla sua attitudine a perforare e/o deflorare, ma soprattutto rammentandosi di una tipica espressione partenopea dalla quale la voce fu mutuata.Questa la locuzione:Chiave ‘ncinta e martino dinto!
Letteralmente:Chiave nella cintola,e membro dentro! Antichissima locuzione risalente addirittura al tempo della ultima crociata [1271-1272] e che si riferí alla disavventura occorsa ad un geloso cavaliere che, partito portando seco la chiave della cintura di castità di cui aveva fornito la consorte,ritornando ebbe la sgradita sorpresa di imbattersi nel fabbro (costruttore della cintura)che, evidentemente in possesso di un duplicato della chiave, gli stava violando la moglie con il suo martino. Etimologicamente la voce martino è una voce furbesca – gergale ricavata sul nome , del soldato san Martino che perdura ancóra nell’agg.vo ammartenato : che è precisamente colui che incede con aria di gradasso, di spavaldo, di prepotente , come chi sia – in linea con la etimologia – provvisto di martino alternativamente la spada, lo stocco, il coltello, l’arma bianca insomma qualsiasi arma che offra sicurezza, quando non sicumera a chi ne sia provvisto.
Non mi pare ci sia altro da aggiungere per cui mi fermo qui, sperando d’avere accontentato l’amico N.C. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e chi forte dovesse imbattersi in queste paginette. Satis est.
Raffaele Bracale
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