Cominciamo con un esempio che penso ci potrà spianare la strada per illustrare ciò che è in epigrafe.
Prendiamo la seguente frase della lingua italiana:
“Se sei tu a dirmi di sí etc.”
Essa va resa in lingua napoletana con:
Si sî tu a dirme ‘e sí etc.
Va da sé che se la frase è letta o pronunciata i significati dei varî monosillabi si che si susseguono possono essere facilmente colti riconoscendo nel primo si la congiunzione italiana se, nel secondo la voce verbale che in italiano è sei e nell’ultimo si l’avv.bio affermativo sí; il problema si complica quando la frase napoletana bisogna metterla per iscritto; chi non è molto versato nella grafia della lingua napoletana (e quanti, ahimé, se ne annoverano anche tra coloro che si dicono napoletani e con baldanzosa sicumera usano a continuato sproposito la nostra lingua madre, per i loro sedicenti componimenti poetici e/o teatrali ) potrebbe incorrere nell’errore di usare una anonima sequela di si indistinti che metterebbe in forse il significato della intera frase.
Ed invece, tenendo presente una semplice regoletta grammaticale, che lo prescrive, occorrerà fare un esatto uso di diversi segni diacritici (distintivi) per ognuna delle parole ed a maggior ragione per quelle monosillabiche, omofone in modo da poterne far stabilire e cogliere d’acchito il reale valore e/o significato pur avulso dal contesto della frase.
Vediamo dunque che nella fattispecie avremo:
1) si scritto senza alcun segno diacritico, per rendere negli identici significati e medesime funzioni la congiunzione italiana se che vale: posto che, ammesso che (con valore condizionale; introduce la protasi, cioè la subordinata condizionale, di un periodo ipotetico); il si a margine è dal tardo lat. si(d), dall'incrocio del class. si 'se' col pron. quid 'che cosa';
2) sî scritto con il segno diacritico dell’accento circonflesso sulla i , per rendere negli identico significato e medesime funzioni la voce verbale italiana sei (2° pers. sing. ind. presente dell’infinito essere); il sî a margine può tanto essere scrittura contratta dell’italiano sei, quanto piú probabilmente derivato del sis (si(es)) (2° pers. sing. cong. presente dell’infinito lat. esse);
3) sí scritto con il segno diacritico dell’accento acuto sulla i , per rendere negli identico significato e medesime funzioni l’omografo ed omofono avverbio sí della lingua italiana che si usa (spesso contrapposto a no) nelle risposte come equivalente di un'intera frase affermativa; l’etimo di questo sí a margine è dal lat. sic 'cosí', forma abbr. della loc. sic est 'cosí è'. Rammento qui (per incidens) che la í accentata, cosí come la ú, essendo le vocali piú chiuse dei sette suoni vocalici noti, esigono, contrariamente a quanto disposto sulle tastiere in uso dei nostri computers, esigono – dicevo – l’accento acuto (chiuso) e non quello grave (aperto) che è di pertinenza delle vocali con suono aperto: à – è -ò.
E faccio punto qui convinto d’aver chiarito a sufficienza in quanti e quali modi son da scrivere i tre si della lingua napoletana e nella speranza di far qualche proselito fra chi si accosti da neofita alla scrittura della lingua partenopea.
Raffaele Bracale 28/02/08
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento