CARCARA E DINTORNI
In napoletano la voce toscana calcara (dal tardo latino:fornacem calcaria(m) ) è resa, con un consueto adattamento che comporta l’alternanza L/R, con il termine carcara e con tale termine si identificano un po’ tutte le fornaci a cielo aperto usate per la produzione di svariati materiali, e cioè non solo quella della calce, ma quella dello zolfo etc.e perfino quella del carbone di legna, la cui fornace di produzione in toscano è reso con il termine: carbonaia, mentre per i napoletani il cumulo di terra ed argilla sotto cui vengon fatti bruciare i ciocchi di castagno, o di leccio,o di corbezzolo, o di cerro ed orniello, nonché di quercia,, per la produzione del carbone, è detta semplicemente: ‘a carcara d’’o gravone; altrove come a Caserta e sua provincia, tale carbonaia è detta ‘o catuozzo, con derivazione dal lat. catoptium a sua volta forgiato su di un greco katoptos = ben cotto; in altre province campane s’usa impropiamente, per indicar la carbonaia il termine catuoio, che di per sé (con derivazione dal lat. catogenum, a sua volta dal greco katogheion )sta ad indicare il porcile, o un piccolo vano ben serrato; tale particolarità della carbonaia che è appunto un ammasso di legna, terra ed argilla ben stipate salvo che per la bocca d’alimentazione ubicata alla sommità della catasta, la fa ricollegare, sebbene impropriamente al catuoio; per la precisione,infine, la fornace a cielo aperto usata per la produzione di zolfo è detta in Sicilia, estremo lembo del Reame delle Due Sicilie borbonico, terra dove esistette durante il regno suddetto il 90% delle industrie estrattive della intera penisola, è detta, dicevo, con significativo accrescitivo‘u carcarone.
Una particolarità interessante della lingua napoletana, a proposito del vocabolo in epigrafe è il fatto che partendo dal termine carcara, si è pervenuti al verbo scarcarí (scarcarire) usato per significare l’agitazione violenta e preoccupata di chi, anelando a qualcosa, vi tende con eccessiva premura di azioni o di intendimenti; di costui, prendendo a modello il violento bollore della calce nella calcara, bollore che talora può provocare il tracimare dei materiali fusi fuor della calcara, si usa dire con icastica e significativa espressione : sta scarcarenno quasi: sta venendo fuori della calcara dove la S d’avvio del verbo scarcarì, non è la tipica S intensiva della lingua napoletana, ma riproduce l’ex latino per significare appunto il fuori da.
Raffaele Bracale
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