modi di dire
1 Paré 'o marchese d''o Mandracchio.
Letteralmente: sembrare il marchese del Mandracchio. Id est: Tentare di darsi le arie di persona dabbene ed essere in realtà di tutt'altra pasta. La locuzione, che viene usata per bollare un personaggio volgare ed ignorante che si dia delle arie, millantando un migliore ascendente sociale di nascita, si incentra sul termine Mandracchio che non è il nome di una tenuta, ma indica solo la zona a ridosso del porto(dallo spagnolo mandrache: darsena)frequentata da facchini e scaricatori che non usavano di certo buone maniere ed il cui linguaggio non era certo forbito o corretto.
2 Ncarisce, fierro, ca tengo n'aco 'a vennere!
Letteralmente: oh ferro, rincara ché ho un ago da vendere. E' l'augurio che si autorivolge colui che ha parva materia da offrire alla vendita e si augura che possa riceverne il maggior utile possibile. La locuzione è usata nei confronti di chi si lascia desiderare pur sapendo bene di non aver grosse capacità da conferire in qualsivoglia contrattazione.
3 Chianu chiano 'e ccoglio e senza pressa, 'e vvengo.
Letteralmente: piano piano li raccolgo e senza affrettarmi li vendo. La locuzione sottolinea l'indolenza operativa di certuni, che non si affrettano mai nè nel loro incedere né nel portare a compimento alcunché.
4 Fà comme ê funare.
Agire come i fabbricanti di corde. Id est: non fare alcun progresso né nello studio, né nell'apprendimento di un mestiere. Quando ancora non v'erano le macchine ed i robot che fanno di tutto, c'erano taluni mestieri che venivano fatti da operai ed esclusivamente a mano. Nella fattispecie i cordari solevano fissare con i chiodi ad un asse di legno i capi delle corde da produrre e poi procedendo come i gamberi le intrecciavano ad arte. La locuzione prende in considerazione non i risultati raggiunti ma solo il modo di procedere tenuto dai cordari
5 Dà zizza pe gghionta.
Letteralmente: dar carne di mammella per aggiunta di derrata, un di piú generosamente concesso, ma trattandosi di vile mammella la concessione non è poi veramente positiva e tutta l'espressione è da intendere in senso ironico ed antifrastico equivalente ad accrescere un danno, conciar male qualcuno, cagionandogli ulteriori danni.
6 Ma addò t'abbije senza 'mbrello?
Letteralmente: Ma dove ti dirigi senza ombrello (se già piove?)? La domanda traduce sarcasticamente l'avvertimento di non affrontare qualsivoglia situazione se non si è preparati e pronti, armati cioè oltre che della buona volontà, degli strumenti atti alla bisogna e a farti da scudo ove ne occorra il caso.
7 Meglio essere cap' 'alice ca coda 'e cefaro.
Letteralmente: meglio (esser) testa di alice che coda di cefalo. Id est: meglio comandare, esser primo sia pure in un ristretto consesso, che ultimo in un'imponente accolta.
8 Se pigliano cchiú mosche cu 'na goccia 'e mèle, ca cu 'na votta 'acito.
Letteralmente: si catturano piú mosche con una goccia di miele che con una botte di aceto. Id est: i migliori risultati, i piú sostanziosi si ottengono con le manieri dolci, anziché con quelle aspre.
9 A pavà e a murì, quanno cchiú tarde se pò.
A pagare e a morire quando piú tardi sia possibile. Trattandosi di due faccende dolorose, la filosofia popolare le ha accomunate, consigliando di procrastinarle ambedue sine die.
10 Si 'o ciuccio nun vo’ vevere aje voglia d''o siscà.
Letteralmente: se l'asino non vuol bere, puoi fischiare quanto vuoi per invitarlo a bere, non otterrai nulla. La locuzione viene usata quando si voglia sottolineare la testarda mancanza di volontà di qualcuno, stante la quale tutte le esortazioni sono vane...
11 Aria scura e fète 'e caso!
Letteralmente: Aria torbida che puzza di formaggio. Lo si dice a salace commento di errate affermazioni di qualcuno che abbia confuso situazioni diverse tra di loro e le abbia messe in relazione incorrendo in certo errore come accadde in una farsa popolare a Pulcinella che, confondendo la porta della dispensa con la finestra, si espresse con la frase in epigrafe...
12 Chi tène cchiú ssante va 'mparaviso.
Letteralmente: Chi à piú santi va in Paradiso; ma è chiaro che la locuzione non si riferisce al premio eterno, ma molto piú prosaicamente ai beni terreni,a prebende e posti di comando e ben remunerati; e i santi - manco a dirlo - non sono quelli che ànno praticato in maniera eroica le virtú cristiane, ma molto piú semplicemente coloro che son capaci di dare una spinta, di raccomandare o - come eufemisticamente si dice oggi, di segnalare qualcuno a chi gli possa giovare nel senso suaccennato.
13 I' te cunosco piro a ll' uorto mio.
Letteralmente: Io ti conosco pero nel mio orto. Id est: Io conosco bene le tue origini e ciò che sei in grado di produrre; non mi inganni: perciò è inutile che tenti di far credere di esser capace di mirabolanti o produttive imprese... La cultura popolare attribuisce le parole in epigrafe ad un contadino che si era imbattuto in una statua di un Cristo circondata di fiori e ceri. Il popolino aveva attribuito alla statua poteri taumaturgici, ma il contadino che sapeva che la statua era stata ricavata da un suo albero di pero, tagliato perché improduttivo, apostrofò la statua con le parole in epigrafe, volendo far intendere che non si sarebbe fatto trasportare dalla credenza popolare e conoscendo le origini del Cristo effiggiato, non gli avrebbe tributato onori di sorta.
14 Essere fetente dint' a ll' ossa.
Letteralmente: essere fetente fin dentro le ossa. Id est: appalesarsi perfido, spregevole, di animo cattivo, ma non solo esteriormente quanto fin dentro la quintessenza dell'essere.
15 'O Pataterno dà 'o ppane a chi nun tène 'e diente e 'e viscuotte a chi nun s''e ppo’ rusecà...
Letteralmente: Il Signore concede il pane a chi non tiene i denti e i biscotti a chi non può sgranocchiarli... Id est: Spesso nella vita accade di esser premiati oltre i propri meriti o di venire in possesso di fortune che si è incapaci di gestire.
16 'A carcioffola s'ammonna a 'na fronna a' vota.
Letteralmente: il carciofo va mondato brattea a brattea. Id est: le cose vanno fatte con calma e pazienza, se si vogliono ottenere risultati certi bisogna procedere lentamente e con giudizio.
17 Acqua santa e Terra santa, pure lota fanno.
Letteralmente: acqua santa e terra santa pure fango fanno. Id est: l'unione di due cose di per sè buone, non è detto che non possano produrre effetti spiacevoli. Lo si dice con riferimento alla società di due individui che, presi singolarmente, mai farebbero sospettare esser capaci di produrre danno e che invece, uniti producono grave nocumento ai terzi.
18 Chi se mette paura, nun se cocca cu 'e ffemmene bbelle.
Letteralmente: chi à paura, non va a letto con le donne belle. È l'icastica trasposizione dell'algido toscano: chi non risica, non rosica. Nel napoletano è messo in relazione il comportamento coraggioso, con la possibilità di attingere la bellezza muliebre, che è un gran bel rosicchiare.
19 Essere 'o rre cummanna a scoppole.
Letteralmente. essere il re comanda a scappellotti. Cosí è detto chi voglia comandare o decretare maniere comportamentali altrui senza averne né l'autorità certificata, né il carisma derivante da doti morali o conclamate esperienze, un essere insomma che potrebbe comandare giusto ai ragazzini, magari assestando loro qualche scappellotto, per essere preso in considerazione e forse ubbidito.
20 Cca sotto nun ce chiove!
Letteralmente: Qui sotto non ci piove. L'espressione, tassativamente accompagnata dal gesto dell' indice destro puntato contro il palmo rovesciato della mano sinistra, sta a significare che oramai la misura è colma e non si è piú disoposti a sopportare certe prese di posizioni o certi comportamenti soprattutto di certuni che sono adusi a voler comandare, impartire ordini et similia, non avendone né l'autorità, né il carisma; la locuzione è anche usata col significato di: son pronto a render pane per focaccia , nei confronti di chi abbia negato un favore, avendolo invece reiteratamente promesso.
21 'A cera se struje e 'a prucessiona nun cammina.
Letteralmente: le candele si consumano, e la processione non cammina. La locuzione viene usata quando si voglia con dispetto sottolineare una situazione nella quale, invece di affrontare concretamente i problemi, ci si impelaga in discussioni oziose, vani cavilli e dispersive chiacchiere che non portano a nulla di concreto.
22 Tutto pò essere, fora ca ll'ommo priéno.
Tutto può essere, fuorchè l'uomo incinto. La cosa è ancóra vera anche se l'alchimie della moderna scienza non ci permette di essere sicuri... La locuzione viene usata per sottolineare che non ci si deve meravigliare di nulla, essendo, nella visione popolare della vita, una sola cosa impossibile.
23 Abbiarse a curalle.
Letteralmente: avviarsi verso i coralli. Id est: Anticiparsi, muovere rapidamente e prima degli altri verso qualcosa. Segnatamente lo si dice delle donne violate ed incinte che devono affrettare le nozze. La locuzione nasce nell'ambito dei pescatori torresi (Torre del Greco -NA ), che al momento di mettersi in mare lasciavano che per primi partissero coloro che andavano alla pesca del corallo.
24 Aggiu visto 'a morte cu ll' uocchie.
Letteralmente: Ò veduto la morte con gli occhi. Con questa locuzione tautologica si esprime chi voglia evidenziare di aver corso un serio pericolo o rischio mortale tale da portarlo ad un passo dalla morte e di esserne fortunatamente restato indenne.
25 Vulé piscià e gghí 'ncarrozza.
Letteralmente: voler mingere ed (al tempo stesso) andare in carrozza Id est: pretendere di voler conseguire due risultati utili, ma incompatibili fra di essi.
26 Ve dico 'na buscìa.
Vi dico una bugia. È il modo sbrigativo e piuttosto ipocrita di liberarsi dall'incombenza di dare una risposta, quando non si voglia prender posizione in ordine al richiesto e allora si avverte l'interlocutore di non continuare a chiedere perché la risposta potrebbe essere una fandonia, una bugia...
27 Fà 'o francese.
Letteralmente: fare il francese, id est: mostrare, dare a vedere o - meglio - fingere di non comprendere, di non capire quanto vien detto, allo scoperto scopo di non dare risposte, specie trattandosi di impegnative richieste o ordini perentorii.
È l'equivalente dell'italiano: fare l'indiano, espressione che, storicamente, a Napoli non si comprende, non avendo i napoletani avuto nulla a che spartire con gli indiani, sia d'India che d' America, mentre ànno subìto una dominazione francese ed ànno avuto a che fare con gente d'oltralpe, con la quale ci furono numerose confusioni di intesa.
28 'O pesce fète d''a capa.
Letteralmente: Il pesce puzza dalla testa. Id est: il cattivo esempio viene dall'alto, gli errori maggiori vengon commessi dai capi. Per cui: ove necessario, se si vogliono raddrizzare le cose, bisogna cominciare a prender provvedimenti innanzi tutto contro i comandanti.
29 'O purpo s' ha dda cocere cu ll'acqua soja.
Letteralmente: il polpo va fatto cuocere con la sola acqua di cui è pieno. La locuzione si usa quando si voglia commentare l'inutilità degli ammonimenti, dei consigli et similia, che non vengono accolti perché il loro destinatario, è di dura cervice e non intende collaborare a recepire moniti e o consigli che allora verranno da lui accolti quando il soggetto si sarà autoconvinto della opportunità di accoglierli.
30 Acqua 'a 'nnanze e vviento 'a reto...
Letteralmente: Acqua da davanti e vento da dietro. È il malevolo augurio con cui viene congedato una persona importuna e fastidiosa cui viene indirizzato l'augurio di essere attinto di faccia da un violento temporale e di spalle da un impetuoso vento che lo spingano il piú lontano possibile.
31 Abbuffà 'a guallera.
Letteralmente: gonfiare l'ernia. Id est: annoiare, infastidire, tediare qualcuno al punto di procurargli una metaforica enfiagione di un'ipotetica ernia. Si consideri però che in napoletano con il termine "guallera" (dall’arabo wadara) si indica oltre che l'ernia anche il sacco scrotale, ed è ad esso che con ogni probabilità fa riferimento questa locuzione.
32 Quanno 'a femmena vo’ filà, l'abbasta 'nu spruoccolo.
Letteralmente: quando una donna vuol filare le basta uno stecco - non à bisogno di aspo o di fuso.Id est: la donna che vuole raggiungere uno scopo, una donna che voglia qualcosa, è pronta ad usare tutti i mezzi pur di centrare l'obbiettivo, non si ferma cioè davanti a nulla...
33 Tené 'e gghiorde.
Letteralmente: essere affetto da giarda, malattia che colpisce giunture ed estremità di taluni animali; le parti colpite si gonfiano impedendo una corretta andatura. La locuzione è usata nei confronti di chi appare pigro, indolente e scansafatiche quasi avesse difficoltà motorie causate da enfiagione delle gambe che appaiono come contratte ed attanagliate da nodi. In turco, con il termine jord si indica il tipico doppio nodo dei tappeti - da jord a gghiorde il passo è breve.
34 Farse chiovere 'ncuollo.
Letteralmente: farsi piovere addosso, ossia lasciarsi cogliere impreparato a qualsivoglia bisogna, non prendere le opportune precauzioni e sopportarne le amare conseguenze.
35 Farse 'a passiata d''o rraú.
Letteralmente: fare la passeggiata del ragú. Id est: andare a zonzo senza fretta. Un tempo, quando ancora la TV non rompeva l'anima cercando di imporci diete e diete, i napoletani, erano soliti consumare nel dì di festa un canonico piatto di maccheroni al ragú. Il ragú è una salsa che à bisogno di una lunghissima, sorvegliata cottura, tanto che la sua preparazione cominciava il sabato sera e giungeva a compimento la domenica mattina e durante il tempo necessario alla bisogna, gli uomini ed i bambini di casa si dedicavano a lente e salutari passeggiate, mentre le donne di casa accudivano la salsa in cottura e preparavano la tavolata domenicale.
36 Stà sempe 'ntridice.
Letteralmente: stare sempe in tredici.Id est: esser sempre presente, mostrarsi continuatamente, partecipare ad ogni manifestazione, insomma far sempre mostra di sé alla stregua di un candelabro perennemente in mostra in mezzo ad un tavolo, e poiché nella smorfia napoletana il candelabro, come le candele, fa 13 ecco che viene fuori l'espressione con la quale a Napoli si è soliti apostrofare gli impenitenti presenzialisti...
37 - Aspettà cu ll'ove 'mpietto.
Letteralmente: attendere con le uova in petto. Id est: attendere spasmodicamente, con impazienza, preoccupazione... L'espressione viene usata quando si voglia sottolineare la spasmodicità dell'attesa di un qualsivoglia avvenimento. E prende le mosse dall'uso invalso in certe campagne del napoletano, allorché le contadine, accortesi che la chioccia, per sopraggiunti problemi fisici, non portava a termine la cova, si sostituivano ad essa e si ponevano tra le mammelle le uova per completare con il loro calore l'operazione cominciata dalla chioccia.Non è dato sapere se la cosa andasse a buon fine, ma da quest’uso derivò l’espressione a margine, nel significato illustrato di attesa spasmodica e/o preoccupata.
38'A sciorta 'e Cazzetta:jette a piscià e se ne cadette.
La cattiva fortuna di Cazzetta: si dispose a mingere e perse...il pene. Iperbolica notazione per significare l'estrema malasorte di un ipotetico personaggio cui persino lo svolgimento delle piú ovvie necessità fisiologiche comportano gravissimo pericolo e nocumento.
39 - Attacca 'o ciuccio addó vo’ 'o patrone
Letteralmente: Lega l'asino dove vuole il padrone Id est: Rassegnati ad adattarti alla volontà altrui, specie se è quella del capintesta(e non curarti delle conseguenze) È quasi una sorta di trasposizione del militaresco: gli ordini non si discutono...
40 'E maccarune se magnano teniente teniente
I maccheroni vanno mangiati molto al dente: è questa la traduzione letterale dell'adagio che, oltre a dare una indicazione di buon gusto, sta a significare che occorre avere sollecitudine nella conduzione e conclusione degli affari.
41 Si 'o dicesse 'a mòra, 'e ffemmene jarriano cu 'o culo 'a fora...
Letteralmente: se lo dettasse la moda, le donne andrebbero col sedere scoperto. Ma al di là del significato letterale che pure in tempi recenti à avuto letterale, pratica attuazione, la locuzione viene usata quando si voglia sottolineare lo scorretto comportamento di taluni, che agiscono non secondo logica o raziocinio, ma seguendo il vento del momento o la moda imposta dall'alto.
42 'Nu maccarone, vale ciento vermicielle.
Letteralmente: Un maccherone, vale cento vermicelli. Ma la locuzione non si riferisce alla pietanza in sè. Il maccherone della locuzione adombra la prestanza fisica ed economica che la vincono sempre sulle corrispondenti gracilità.
43 Acrus est!
Letteralmente: È acre! Cosí esclama un napoletano davanti ad una situazione ineludibile pur essendo difficile da sopportare. Un vecchio sacrestano, per far dispetto al suo parroco, aveva messo dell'aceto nell'ampollina del vino. Giunto al momento di comunicarsi il prete si adontò dicendo, appunto, acrus est - è acre - ed il sacrista replicò: te ll'hê 'a vevere (lo devi bere) controreplica del prete: Dopp''a messa t'aspetto dint’ â sacrestia - dopo la messa ti attendo in sacrestia... - il sacrista: Hê 'a vedé si me truove... - È probabile che non mi troverai... -
44 Alesio, Alè, 'stu lucigno quanno se stuta?
Letteralmente: Alessio, Alessio, questo lucignolo quando si spenge? La locuzione viene usata nei confronti di chi fa discorsi lunghi, noiosi, oziosi e ripetitivi nella speranza, il piú delle volte vana, che costui, punto dal richiamo, zittisca e la pianti. È da rammentare che in napoletano la parola cantilena si traduce, appunto, cantalesia.
45 Agge pacienza e fatte jí 'nculo so' 'a stessa cosa...
Porta pazienza e fatti sodomizzare son la medesima cosa!L'invito proposto dalla prima parte della locuzione a sopportare, ad aver pazienza, viene dalla saggezza popolare equiparato a quello ben piú doloroso di lasciarsi sodomizzare: in fondo portar pazienza, accettando uno stato di fatto duramente fastidioso, può esattamente esser considerato simile all’essere sodomizzato ugualmente molto fastidiososenon doloroso.
46 Nun sputà 'ncielo ca 'nfaccia te torna...
Letteralmente: Non sputare verso il cielo, perché ti ritorna in viso. Id est: chi si pone contro la divinità, ne subisce le pronte conseguenze.
47 'E fodere cumbattono e 'e sciabbole stanno appese.
Letteralmente: I foderi combattono e le sciabole stanno appese. La locuzione viene usata per commentare l'inettitudine di taluni che demandano, per indolenza o incapacità, il loro compito ad altri, cercando di esimersi dal lavoro.
48 Stà 'ncappella.
Letteralmente: stare in cappella Id est: essere male in arnese, stare mal combinati, anzi stare alla fine della vita , al punto di aver necessità degli ultimi sacramenti. La locuzione fa riferimento ai condannati al patibolo della fine del 1600, che, a Napoli, prima dell'esecuzione venivano condotti in una cappella della Chiesa del Carmine Maggiore, adiacente la piazza Mercato, dove era innalzato il patibolo e nella cappella ricevevano l'estremo conforto religioso.
49 Ll' avimmo fatto 'e stramacchio.
Letteralmente: l'abbiamo compiuto alla chetichella,- o anche di straforo, di soppiatto, quasi "alla macchia", ai margini della legalità. L'espressione di stramacchio deriva pari pari dal latino extra mathesis, id est: al di fuori dei retti insegnamenti, dalle buone regole di condotta e perciò clandestinamente.
50 Chisto è cchillo ca tagliaje 'a recchia a Mmarco.
Letteralmente: Questo è quello che recise l'orecchio a Marco. La locuzione è usata per indicare un attrezzo che abbia perduto le proprie precipue capacità di destinazione; segnatamente p. es. un coltello che abbia perduto il filo e non sia piú adatto a tagliare, come la tradizione vuole sia accaduto con il coltello con il quale Simon Pietro, nell'orto degli ulivi recise l'orecchio a Malco (corrotto in napoletano in Marco), servo del sommo sacerdote.
51 'O cummannà è mmeglio d''o ffottere.
Letteralmente: Il comando è migliore del coito. Id est: c'è piú soddisfazione nel comandare che nel coire. La locuzione viene usata per sottolineare sarcasticamente lo scorretto comportamento di chi - pur non avendone i canonici poteri - si limita ad impartire ordini e non partecipa alla loro esecuzione.
52 Mentre 'o miedeco sturéa, 'o malato se ne more.
Letteralmente: Mentre il medico studia, il malato se ne muore. La locuzione è usata per sottolineare e redarguire il lento improduttivo agire di chi predilige il vacuo pensiero alla piú proficua, se rapida, opera.
53 M' hê dato 'o llardo 'int' â fijura
Letteralmente: Mi ài dato il lardo nel santino. L'espressione si usa nei confronti di chi usi eccessiva parsimonia nel conferire qualcosa a qualcuno e prende l'avvio dall'uso che avevano i monaci di Sant'Antonio Abate a Napoli che gestivano in piazza Carlo III un minuscolo ospedale, annesso al piccolo convento della omonima chiesa di sant’Antonio Abate per cure dermatologiche ed usavano il lardo dei maiali con il quale producevano unguenti curativi. Allorché poi dimettevano un infermo erano soliti consegnare al medesimo, per il prosieguo della cura, una piccolissima quantità di lardo benedetto, avvolto in un santino raffigurante Sant'Antonio abate. Pur se benedetto la quantità del lardo era veramente irrisoria e pertanto assai poco bastevole alla bisogna.
54 Fà cuófano saglie e cuófano scenne.
Letteralmente: far cesto sale e cesto scende - Il cuófano (dal latino cophinus) è un particolare cesto di vimini piú p stretto alla base e provvisto di manici,usato per il trasporto delle merci piú varie. La locuzione significa: lasciare che le cose vadano secondo la loro naturale inclinazione, evitare di interessarsi di qualche cosa, non curarsi di nulla.
55 Se pava niente? E sedúgneme da capa ô père!
Letteralmente: Si paga niente? Ed ungimi da capo al piede. Così si dice di chi voglia ottenere il massimo da qualsivoglia operazione che sia gratuita ed eccede a quel fine nelle sue richieste come quel cresimando che, saputo che l'unzione sacramentale era gratuita, apostrofò il vescovo con le parole in epigrafe chiedendo di essere unto completamente.
56 Sciorta e mole spontano 'na vota sola.
Letteralmente:la fortuna ed i molari compaiono una sola volta. Id est: bisogna saper cogliere l'attimo fuggente e non lasciarsi sfuggire l'occasione propizia che - come i molari - spunta una sola volta e non si ripropone
57 'A ch' è mmuorto 'o cumpariello, nun simmo cchiú cumpare.
Letteralmente: Da quando è morto il figlioccio, non siamo piú compari. Id est: da quando non c'è piú chi aveva favorito il nostro legame uniti, è finito anche il legame. La locuzione viene usata con senso di disappunto davanti ad incomprensibili e repentini mutamenti di atteggiamento in certi rapporti interpersonali o davanti ad inattesi raffredamenti di rapporti un tempo saldi e cordiali, quasi che la scomparsa del figlioccio potesse far cessare del tutto le pregresse buone relazioni intercorrenti tra il padrino e i parenti del defunto figlioccio.
58 Ll' ammore da luntano è comme a ll' acqua 'int'ô panaro.
L'amore di lontano è come acqua nel cestino di vimini Id est: è un lavorío inutile ed infruttuoso quale quello di trasportar l’acqua in un paniere, lavorío che si tramuta in tormento.
59 Santa Chiara: dopp'arrubbato, 'e pporte 'e fierro!
Letteralmente - Santa Chiara: dopo aver subíto un furto, apposero le porte di ferro. La locuzione è usata, con sarcasmo, per redarguire chi sia tardo nel porre rimedi o attenda di subire un danno per correre ai ripari, mentre sarebbe stato opportuno il prevenire che è sempre migliore del curare.
60 'Mbarcarse senza viscuotte.
Letteralmente:Imbarcarsi senza biscotti. Id est: agire da sprovveduti, accingersi ad un'operazione, senza disporre dei mezzi necessari o talvolta, senza le occorrenti capacità mentali e/o pratiche. Anticamenti i pescatori che si mettevano in mare per un periodo che poteva durare anche piú giorni si cibavano di carni salate, pesci sotto sale e gallette o biscotti, preferiti al pane perché non ammuffivano, ed anche secchi erano sempre edibili ammollati nell'acqua naturalmente marina non ancora inquinata.
61 'O sparagno nun è maje guadagno...
Il risparmio non è mai un guadagno... Id est:non bisogna mai fidarsi dell’apparente facile guadagno, perché nasconde sempre la fregatura
62 S'à dda fà 'o pireto pe quanto è gruosso 'o culo.
Letteralmente: occorre fare il peto secondo la grandezza dell'ano. Id est: bisogna commisurare le proprie azioni alle proprie forze e capacità fisiche e/o morali evitando di eccedere per non incorrere o in brutte figure o in pessimi risultati.
63 Chi se mette cu 'e criature, cacato se trova.
Letteralmente: chi intrattiene rapporti con i bambini, si ritrova sporco d'escrementi. Id est: chi entra in competizione con persone molto piú giovani di lui è destinato a fine ingloriosa; come chi contratta con i bambini dovrà sopportarne le amare conseguenze, che derivano dalla naturale mancanza di serietà ed immaturità dei bambini, cosí corre il metaforico rischio di trovarsi imbrattato di escrementi,l’adulto che intrattenesse rapporti con un altro adulto, ma immaturo o poc serio tal quale un bambino.
64 'A gallina fa ll'uovo e ô vallo ll'abbruscia 'o mazzo.
Letteralmente:la gallina fa l'uovo e al gallo brucia l'ano. Id est: Uno lavora ed un altro si lamenta della fatica che in realtà non à fatto. La locuzione è usata quando si voglia sarcasticamente redarguire o prendersi gioco di qualcuno che si sia vestito della pelle dell'orso catturato da altri, o che si voglia convincere qualcuno a non lamentarsi per fatiche che non abbia compiute, e di cui invece faccia le viste di portare il peso.
65 Mo abbrusciale pure'a bbarba e doppo dice ca so' stat' io!
Letteralmente: Adesso ardigli anche la barba e poi di' che sono stato io... La locuzione viene usata con gran risentimento da chi si voglia difendere da un'accusa, manifestamente falsa. Si narra che nella basilica del Carmine maggiore, durante un'Agonia (predica del venerdì santo)un agitato predicatore brandendo un crocefisso accusava, quasi ad personam, i fedeli presenti in chiesa dicendo volta a volta che essi, peccatori, avevano forato mani e piedi del Cristo, Gli avevano inferto il colpo nel costato, Gli avevano calzato in testa la corona di spine Lo avevano flaggellato con i loro peccati e cosí via. Nell'agitazione dell'eloquio finí per avvicinare il crocefisso in maniera maldestra ad un cero acceso correndo il rischio di bruciare la barba del Cristo. Al che, uno dei fedeli interloquí con il predicatore ed iratamente lo apostrofò con la frase in epigrafe, entrata a far parte della cultura popolare...
66 Quanno 'a gallina scacatea, è signo ca à fatto ll'uovo.
Letteralmente: quando la gallina starnazza vuol dire che à fatto l'uovo. Id est: quando ci si scusa reiteratamente, significa che si è colpevoli.
67 Quanno si 'ncunia statte e quanno si martiello vatte
Letteralmente: quando sei incudine sta’ fermo, quando sei martello, percuoti. Id est: ogni cosa va fatta nel momento giusto, sopportando quando c'è da sopportare e passando al contrattacco nel momento che la sorte lo consente perché è favorevole.
68 Miettele nomme penna!
Letteralmente: Chiamala penna! La locuzione viene usata iromnicamente , quasi volendo consigliare e suggerire rassegnazione, allorchè si voglia far intendere a qualcuno che à irrimediabilmente perduto una cosa, un oggetto, divenuto quasi piuma d'uccello. La piuma essendo una cosa leggera fa presto a volar via, come ad es. sparisce un oggetto prestato a qualcuno che per solito non restituisce ciò che à ottenuto in prestito. La locuzione cioè sottintende il non tanto velato consiglio a non operar prestiti di alcun genere. A maggior conferma del fatto si usa dire che se il prestito fosse una cosa buona, si impresterebbe la moglie...
69 Fà 'o farenella.
Letteralmente:fare il farinello. Id est: comportarsi da vagheggino, da manierato cicisbeo. L'icastica espressione non si riferisce - come invece erroneamente pensa qualcuno - all'evirato cantore settecentescoCarlo Broschi detto Farinelli, (Andria, 24 gennaio 1705 – Bologna, 16 settembre 1782), ma prende le mosse dall'ambito teatrale dove le parti delle commedie erano assegnate secondo rigide divisioni. All'attor giovane erano riservate le parti dell'innamorato o del cicisbeo. E ciò avveniva sempre anche quando l'attore designato , per il trascorrere del tempo non era piú tanto giovane e allora per lenire i danni del tempo era costretto a ricorre piú che alla costosa cipria, alla piú economica farina.
70 À fatto 'o pireto 'o cardillo.
Letteralmente: Il cardellino à fatto il peto. Commento salace ed immediato che il popolo napoletano usa quando voglia sottolineare la risibile performance di un insignificante e maldestro individuo che per sue limitate capacità ed efficienza non può produrre che cose di cui non può restar segno o memoria come accade appunto delle insignificanti flautolenze che può liberare un piccolo cardellino.
71 Pigliarse 'o Ppusilleco.
Letteralmente: Prendersi il Posillipo. Id est: Darsi il buon tempo, accompagnarsi ad una bella donna, per trascorrere un po' di tempo in maniera gioiosa.La locuzione fa riferimento ad una famosa collina partenopeaPosillipo,che dal greco Pausillipon significa tregua all'affanno, luogo amenissimo dove gli innamorati son soliti appartarsi. In senso antifrastico e furbesco però la locuzione sta per: buscarsi la lue (contratta, magari, con qualche poco affidabile donna con la quale ci si sia appartati.)
72 Nun lassà 'a via vecchia p''a via nova, ca saje chello ca lasse e nun saje chello ca truove!
Letteralmente: Non lasciare la via vecchia per la nuova, perchè conosci ciò che lasci, ma ignori ciò che troverai. L'adagio consiglia cioè di non imboccare strade diverse da quelle note, ché, se cosí si facesse si andrebbe incontro all'ignoto, con conseguenze non facilmente valutabili e/o sopportabili.
73 Petrusino, ogne menesta.
Letteralmente: Prezzemolo in ogni minestra. Cosí è detto l'incallito presenzialista, che non si lascia sfuggire l'occasione di esser presente,di intromettersi in una discussione e dire la sua, quasi come il prezzemolo,(che però è una gstosissima erba aromatica...) che si usa mettere in quasi tutte le pietanze o salse partenopee.
74 Acqua ca nun cammina, fa pantano e fète.
Letteralmente: acqua che non corre, ristagna e puzza. Id est: chi fa le viste di zittire e non partecipare, è colui che trama nell'ombra e che all'improvviso si appaleserà con la sua puzza per il tuo danno!
75 'Nfila 'nu spruoccolo dinto a 'nu purtuso!
Letteralmente: Infila uno stecco in un buco! La locuzione indica una perentoria esortazione a compiere l'operazione indicata che deve servire a farci rammentare l'accadimento di qualcosa di positivo, ma talmente raro da doversi tenere a mente mediante un segno come l'immissione di un bastoncello in un buco di casa, per modo che passandovi innanzi e vedendolo ci si possa rammentare del rarissimo fatto che si è verificato. Per intenderci, l'espressione viene usata, a sapido commento allorchè, per esempio, un uomo politico mantiene una promessa, una donna è puntuale ad un appuntamento et similia.
76 Astipate 'o milo pe quanno te vène sete.
Letteralmente:Conserva la mela, per quando avrai sete. Id est: Non bisogna essere impazienti; non si deve reagire subito sia pure a cattive azioni ricevute;insomma la vendetta è un piatto da servire freddo, allorché se ne avvertirà maggiormente la necessità.
77 Puozz'avé mez'ora 'e petriata dinto a 'nu vicolo astritto e ca nun sponta, farmacie 'nchiuse e miedece guallaruse!
Imprecazione malevola rivolta contro un inveterato nemico cui si augura di sottostare ad una mezz'ora di lapidazione subíta in un vicolo stretto e cieco, che non offra cioè possibilità di fuga ed a maggior cordoglio gli si augura di non trovare farmacie aperte per acquistarvi linimenti, ed imbattersi in medici erniosi e pertanto lenti al soccorso.
78 Aje voglia 'e mettere rumma, 'nu strunzo nun addiventa maje babbà.
Letteralmente: Puoi anche irrorarlo con parecchio rum,tuttavia uno stronzo non diventerà mai un babà. Id est: un cretino, uno sciocco per quanto si cerchi di truccarlo, edulcorare o esteriormente migliorare, non potrà mai essere una cosa diversa da ciò che è...
79 Si 'a morte tenesse crianza, abbiasse a chi sta 'nnanze.
Letteralmente: Se la morte avesse educazione porterebbe via per primi chi è piú innanzi, ossia è piú vecchio... Ma, come altre volte si dice, la morte non à educazione, per cui non è possibile portar conti certi sulla priorità dei decessi.
80 Pure 'e cuffiate vanno 'mparaviso.
Anche i corbellati vanno in Paradiso. Cosí vengono consolati o si autoconsolano i dileggiati prefigurando loro o auto prefigurandosi il premio eterno per ciò che son costretti a sopportare in vita. Il cuffiato è chiaramente il corbellato cioè il portatore di corbello (in arabo: quffa)
81 'O purpo se coce cu ll'acqua soja.
Letteralmente: il polpo si cuoce con la propria acqua, non à bisogno di aggiunta di liquidi. Id est: Con le persone di dura cervice o cocciute è inutile sprecare tempo e parole, occorre pazientare e attendere che si convincano da se medesime.
82 'A gatta, pe gghí 'e pressa, facette 'e figlie cecate.
La gatta, per andar di fretta, partorí figli ciechi. La fretta è una cattiva consigliera. Bisogna sempre dar tempo al tempo, se si vuol portare a termine qualcosa in maniera esatta e confacente.
83 Fà 'e ccose a capa 'e 'mbrello.
Agire a testa (manico) di ombrello. Il manico di ombrello è usato eufemisticamente in luogo di ben altre teste. La locuzione significa che chi si comporta come affermato in epigrafe, agisce con deplorevole pressappochismo, disordinatamente, grossolanamente, alla carlona.
84 Chi nun sente a mmamma e ppate, va a muríaddó nun è nnato...
Letteralmente: chi non ascolta i genitori, finisce per morire esule (cioè a dire lontano dai proprî affetti, le proprie radici...) . Id est: bisogna ascoltare e mettere in pratica i consigli ricevuti dai genitori e dalle persone che ti vogliono bene, per non incorrere in disavventure senza rimedio.
85 È gghiuta 'a mosca dint' ô Viscuvato...
Letteralmente: È finita la mosca nella Cattedrale. È l'icastico commento profferito da chi si lamenta d' un risibile asciolvere somministratogli, che non gli à tolto la fame. In effetti un unico, esiguo boccone di cibo nello stomaco, si sperde, quasi come accade ad una mosca entrata in una Cattedrale... Per traslato la locuzione è usata ogni volta che si voglia ironicamente commentare ciò che si riceve che risulti essere parva res, rispetto alle attese...
86 Cu 'nu sí te 'mpicce e cu 'nu no te spicce.
Letteralmente: dicendo di sí ti impicci, dicendo no ti sbrighi. La locuzione contiene il consiglio, desunto dalla esperienza, di non acconsentire sempre alle richieste ricevute , perché chi acconsente, spesso poi si trova nei pasticc... Molto meglio, dunque, è il rifiutare, che può evitare fastidi prossimi o remoti.
87 Tené'a salute d' 'a carrafa d’’a Zecca.
Letteralmente:avere la salute (cioè la consistenza) della caraffa della Zecca. Ossia essere gracilissimo e cagionevole di salute quasi come l'ampolla di circa un litro usata per le tarature, esistente presso la Zecca di Napoli, ampolla che era di sottilissimo vetro e perciò fragilissima.
88 Tengo 'e lappese a quadrigliè, ca m'abballano pe capa.
Letteralmente: Ò le matite a quadretti che mi ballano in testa. Presa alla lettera la locuzione non significa, né potrebbe significare alcunché. In realtà "lappese a quadrigliè" è la corruzione dell'espressione latina lapis quadratus che fu nel latino parlato diminuito in quadrellatus che attraverso la lettura iberica del gruppo ll→gli diede il napoletano quadrigliè ,il lapis quadratus fu detto anche opus reticulatum e fu un’ antica tecnica di costruzione muraria romana consistente nel sovrapporre, facendo combaciare le facce laterali e tenendo la base rivolta verso l'esterno, ed il vertice verso l'interno, di piccole piramidi di tufo o altra pietra, per modo che chi guardasse il muro, cosí costruito, avesse l'impressione di vedere una serie di piccoli quadrati orizzontati diagonalmente. Questa costruzione richiedeva notevole precisione ed attenzione con conseguente applicazione mentale tale da procurare un pernicioso nervosismo, rappresentato nell’epigrafe da un ballo di pietre quadrate.
89 Paré 'a sporta d''o tarallaro.
Sembrare la cesta del venditore dei taralli. La locuzione è usata innanzi tutto per indicare chi, per motivi di lavoro o di naturale instabilità, si sposta continuamente, come appunto il venditore di taralli che con la sua cesta, per smaltire tutta la merce fa continui lunghi giri. C'è poi un'altra valenza della locuzione. Poiché gli avventori di taralli son soliti servirsi con le proprie mani affondandole nella cesta colma di tartalli per scegliere, alla stessa maniera c'è chi consente agli altri di approfittare e servirsi delle sue cose, ma lo fa piú per indolenza che per magnanimità.
90 Lasseme stà ca stongo'nquartato!
Lasciami perdere perché sono irritato, scontroso, adirato. Per cui non rispondo delle mie reazioni... La locuzione prende il via dal linguaggio degli schermidori: stare inquartato, ossia in quarta posizione che è posizione di difesa, ma anche di prevedibile prossimo attacco il che presuppone uno stato di tensione massima da cui possono scaturire le piú varie reazioni.
91 Se fruscia Pintauro, d''e sfugliatelle jute 'acito.
Si vanta PINTAURO delle sfogliatelle inacidite. Occorre sapere che Pintauro era un antico pasticciere napoletano che, normalmente, produceva, oltre altri buonissimi dolci di sua ideazione, delle ottime sfogliatelle dolce tipico inventato peraltro dalle suore del convento partenopeo detto Croce di Lucca. La locuzione è usata nei confronti di chi continua a pavoneggiarsi vantandosi di propri supposti meriti, anche quando invece i risultati delle sue azioni, che son peraltro sotto gli occhi di tutti sono piuttosto deprecabili.
92 Carcere, malatia e necissità, se scanaglia 'o core 'e ll'amice.
Carcere, malattia e necessità fanno conoscere la vera indole, il vero animo, degli amici.
93 Murí cu 'e guarnemiente 'ncuollo.
Letteralmente: morire con i finimenti addosso. La locuzione di per sé fa riferimento a quei cavalli che temporibus illis, quando c'erano i carretti e non i camioncini, tiravano le cuoia per istrada, ammazzati dalla fatica, con ancora i finimenti addosso.Per traslato l'espressione viene riferita, o meglio veniva riferita a quegli inguaribili lavoratori che oberati di lavoro, stramazzavano, ma non recedevano dal compiere il proprio dovere.... Altri tempi! Oggi dove mai si può trovare, non dico uno stakanovista, ma un lavoratore che faccia per intiero il suo dovere?...
94 Nisciuno te dice: Làvate 'a faccia ca pare cchiú bbello 'e me.
Nessuno ti dice: Làvati il volto cosí sarai piú bello di me. Ossia:non aspettarti da nessuno consigli atti a migliorarti, in ispecie non te li aspettare da coloro con cui devi confrontarti.
95 Quann' uno s'à dda 'mbriancà, è mmeglio ca 'o ffa cu 'o vino bbuono.
Quando uno decide d'ubriacarsi è meglio che lo faccia con vino buono. Id est: Se c'è da perdere la testa è piú opportuno farlo per chi o per qualcosa per cui valga la pena.
96 Sciorta e cauce 'nculo, viato a cchi 'e ttène!
Beato chi à fortuna e spintarelle ovvero raccomandazioni
97 Ancappa pe primmo, fossero pure mazzate!
Letteralmente: Acchiappa per primo, anche se fossero botte! L'atavica paura della miseria spinge la filosofia popolare a suggerire iperbolicamente di metter le mani su qualsiasi cosa, anche rischiando le percosse, per non trovarsi - in caso contrario - nella necessità di dolersi di non aver niente!
98 A pavà e a murí, quanno cchiú ttarde se po’.
A pagare e morire, quando piú tardi sia possibile!
È la filosofia e strategia del rimandare sine die due operazioni molto dolorose, nella speranza che un qualche accadimento intervenuto ce le faccia eludere.
99'Na vota è prena, 'na vota allatta, nun 'a pozzo maje vatte'
Letteralmente:una volta è incinta, una volta dà latte, non la posso mai picchiare...Come si intuisce la locuzione era in origine usata nei confronti di una donna. Oggi la si usa per significare la situazione di chi in generale non riesce mai a sfogare il proprio rancore e/ o rabbia a causa di continui e forse ingiustificati scrupoli di coscienza.
100 Lèvate 'a miezo, famme fà 'o spezziale.
Letteralmente: tògliti di torno, làsciami fare lo speziale...Id est:làsciami lavorare in pace – ‘O spezziale era il farmacista, l'erborista, non il venditore di spezie (quantunque la voce spezziale derivi da spezia + il suff. di competenza alis→ale). Sia l'erborista che il farmacista un tempo erano soliti approntare in loro piccoli laboratorii annessi alle botteghe, specialità galeniche nella cui preparazione era richiesta la massima attenzione poiché la minima disattenzione o distrazione generata da chi si intrattenesse a perder tempo nel negozio o laboratorio dello speziale avrebbe potuto procurar seri danni: con le dosi in farmacopea non si scherza! Oggi la locuzione è usata estensivamente nei confronti di chiunque intralci l'altrui lavoro; ed in ispecie la si usa nei confronti di quelli (soprattutto incompetenti) che si affannano a dare consigli non richiesti sulla miglior maniera di portare avanti un'operazione qualsivoglia!
101 Articolo quinto:chi tène 'mmano à vinto!
La locuzione traduce quasi in forma di brocardo scherzoso il principio civilistico secondo il quale il possesso vale titolo. Infatti chi tène 'mmano, possiede e non è tenuto a dimostrare il fondamento del titolo di proprietà.In nessuna pandetta giuridica esiste un siffatto articolo quinto, ma il popolo à trovato nel termine quinto una perfetta rima al participio vinto.
102 Cu muonece, prievete e ccane, hê 'a stà sempe cu 'a mazza 'mmano.
Con monaci, preti e cani devi tener sempre un bastone fra le mani.(per poterli scacciare) Id est: ti devi sempre difendere.
103 Chi fraveca e sfraveca, nun perde maje tiempo.
Chi fa e disfa, non perde mai tempo. La locuzione da intendersi chiaramente in senso antifrastico, si usa a commento delle inutili opere di taluni, che non portano mai a compimento le cose che cominciano, di talché il loro comportamento consistente nel fare e disfare si traduce in una perdita di tempo non finalizzata a nulla.
104 'A sciorta d' 'o piecoro: nascette curnuto e murette scannato...
Letteralmente: la cattiva fortuna del becco: nacque con le corna e morí squartato. La locuzione è usata quando si voglia sottolineare l'estrema malasorte di qualcuno che viene paragonato al maschio della pecora che oltre ad esser destinato alla fine tragica della sgozzatura deve portare anche il peso fisico e/o morale delle corna (emblema del disonore).
105 È fernuta 'a zezzenella!
Letteralmente: è terminata - cioè s'è svuotata - la mammella. Id est: è finito il tempo delle vacche grasse, si appressano tempi grami!
106 È mmuorto 'alifante!
Letteralmente:È morto l'elefante! Id est: Scendi dal tuo cavallo bianco, è venuto meno il motivo del tuo sussiego, della tua importanza, non conti piú nulla. La locuzione, usata nei confronti di chi continua a darsi arie ed importanza pur essendo venute meno le ragioni di un suo inutile atteggiamento di comando e/o sussiego , si ricollega ad un fatto accaduto sotto il Re Carlo di Borbone al quale, nel 1742, il Sultano della Turchia regalò un elefante che venne esposto nei giardini reali e gli venne dato come guardiano un vecchio caporale che annetté al compito una grande importanza mantenendo un atteggiamento spocchioso per questo suo semplice compito. Morto l'elefante, il caporale continuò nel suo spocchioso atteggiamento e venne beffato dal popolo che, con il grido in epigrafe, gli voleva rammentare che non era piú tempo di darsi arie...
107Chi se fa puntone, 'o cane 'o piscia 'ncuollo...
Letteralmente: chi si fa cantonata di strada, spigolo di muro, il cane gli minge addosso. È l'icastica e piú viva trasposizione dell'italiano: "Chi si fa pecora, il lupo se la mangia" e la locuzione è usata per sottolineare e sconsigliare i troppo arrendevoli comportamenti di coloro che o per codardía o per ingenuità, non riescono a farsi valere.
108 Tròvate chiuso e piérdete chist' accunto...
Letteralmente: Tròvati chiuso e perditi questo cliente... Locuzione ironica che si usa quando si voglia sottolineare sarcasticamente e sconsigliare il cattivo mercato che si sta per compiere, avendo a che fare con un contrattante che dal negozio pretenderebbe solo vantaggi a danno dell' altro contraente.
Il termine accunto= cliente deriva dal latino adcognitus= conosciuto; infatti chi per abitudine frequenta una determinata bottega o negozio (ne è cioè cliente fisso) finisce per esser ben noto al bottegaio.
109 È mmeglio a essere parente ô fazzuletto ca â coppola.
Conviene esser parente della donna piuttosto che dell' uomo. In effetti, formandosi una nuova famiglia, è tenuta maggiormente in considerazione la famiglia d'origine della sposa, piuttosto che quella dello sposo, ma non è dato conoscere i motivi di tali preferenze...
110 Ogne strunzo tène 'o fummo sujo.
Letteralmente: Ogni stronzo sprigiona un fumo. Id est:ogni sciocco à modo di farsi notare , di mettersi in mostra (ovviamente in senso negativo!).
111 Cunsiglio 'e vorpe, rammaggio 'e galline.
Lett.:consiglio di volpi, danno di galline. Id est: Quando confabulano furbi o maleintenzionati, ne deriva certamente un danno per i piú sciocchi o piú buoni. Per traslato: se parlottano tra di loro i superiori, gli inferiori ne subiranno le conseguenze.
112 Chiacchiere e tabbacchere 'e lignammo, 'o bbanco nun ne 'mpegna.
Letteralmente: chiacchiere e tabacchiere di legno non sono prese in pegno dal banco. Il banco in questione era il Monte dei Pegni sorto a Napoli nel 1539 per combattere la piaga dell'usura. Da esso prese vita il Banco di Napoli, fiore all'occhiello di tutta l'economia meridionale, Banco che è durato sino all'anno 2000 quando, a completamento dell'opera iniziata nel 1860 da Cavour e Garibaldi e da casa Savoia, non è stato fagocitato dal piemontese Istituto bancario San Paolo di Torino. La locuzione proclama la necessaria concretezza dei beni offerti in pegno, beni che non possono essere evanescenti come le parole o oggetti non preziosi. Per traslato l'espressione si usa nei confronti di chi vorrebbe offrirci in luogo di serie e conclamate azioni, improbabili e vacue promesse.
113 Femmene e gravune: stutate tégnono e appicciate còceno.
Letteralmente: donne e carboni: spenti tingono e accesi bruciano. Id est: quale che sia il loro stato,in qualsiasi modo si presentino, donne e carboni sono ugulmente pericolosi e/o deleterî.
114 Vení armato 'e pietra pómmece, cuglie cuglie e fierre 'e cazette.
Letteralmente: giungere munito di pietra pomice, aghi sottili e ferri( piú doppi)da calze ossia giungere munito di tutto il necessario ed occorrente per portare a termine qualsivoglia operazione cui si sia stati chiamati. Id est: esser pronti alla bisogna, essere in condizione di attendere al richiesto in quanto armati degli strumenti idonei ed in sovrappiú di altri probabilmente adattabili alle occorrenze impreviste.
115 Jí stocco e turnà baccalà.
Letteralmente: andare stoccafisso e ritornare baccalà. La locuzione viene usata quando si voglia commentare ironicamente e negativamente un'azione compiuta senza che abbia prodotto risultati apprezzabili. In effetti sia che lo si secchi ed affumichi(stoccafisso), sia che lo si sali (baccalà), il merluzzo rimane la povera cosa che è.
116 Essere ll'urdemu lampione 'e Forerotta.
Letteralmente:essere l'ultimo fanale di Fuorigrotta. Id est: Non contare nulla, non servire a niente. La locuzione prese piede verso la fine dell' '800 quando l'illuminazione stradale napoletana fu fornita da fanali a gas in numero di 666; l'ultimo lampione (fanale) contraddistinto appunto col numero 666 era situato nel quartiere di Fuorigrotta, zona limitrofa di Napoli, per cui il fanale veniva acceso per ultimo, quando già splendevano le prime luci dell' alba e la di lui utilità veniva ad essere molto limitata.
117 Jí truvanno Cristo ‘int’ ê lupine
o meglio Jí truvanno Cristo dinto a la pina
ad litteram: Andar cercando Cristo fra i lupini o meglio Andar cercando Cristo nella pigna. Id est: mettersi alla ricerca di una cosa difficile da trovarsi o da conseguirsi; cosa pretestuosa e probabilmente inutile, per cui, il piú delle volte, non metterebbe conto il mettersene alla ricerca, per estensione: cercare il pelo nell’uovo o cercar pretesti.
Come ò segnalato la prima locuzione (quantunque sia la piú usata e conosciuta) è meno esatta della seconda che risulta essere quella originaria, mentre la prima ne è solo una frettolosa corruzione determinata da un’erronea agglutinazione dell’articolo la con il sostantivo pina, agglutinazione che produsse lo scorretto lupine ( che sono i semi commestibili di una pianta erbacea che produce appunto dei semi gialli che bolliti e salati sono gustosi e commestibili, simili alle fave (fam. Leguminose)) ; ed in effetti se si analizza la seconda locuzione, quella consigliata, si può intendere a pieno la valenza delle espressioni, valenza che è difficile cogliere accettando la prima locuzione che fa riferimento ad incoferenti e pretestuosi lupini (che – ribadisco - son dei semi di una leguminosa e non le piccole arselle che a Napoli ànno il medesimo nome di lupini) in effetti prendendo per buona la versione che parla di lupini sia che li si intenda semi o pianta, sia li si intenda arselle non si comprende perché Nostro Signore Gesù Cristo vi si sia nascosto, costringendo qualcuno ad andarne in cerca!; ; quanto piú corretta la seconda ipotesi, quella che fa riferimento alla pigna!Occorre infatti sapere che i pinoli in essa contenuti presentano spesso un ciuffetto di cinque peli, ciuffo comunemente detto: manina di Cristo e la locuzione richiama la ricerca di detta manina, operazione lunga e fastidiosa che non sempre si conclude positavamente: infatti occorre innanzitutto procurarsi una pigna fresca, abbrustolirla al fuoco per poi spaccarla ed estrarne i contenitori dei pinoli, da cui trar fuori i suddetti ed alla fine andare alla ricerca della manina di Cristo o piú semplicemente di Cristo; spesso capita però che i contenitori siano vuoti di pinoli e dunque tutta la fatica fatta vada sprecata e si riveli inutile.
lupine plurale di lupino pianta leguminosa dai semi gialli commestibili – il seme stesso etimologicamente derivato del lat. lupinu(m), agg. deriv. di lupus 'lupo'; propr. 'erba dei lupi'; con altra accezione con la voce lupine si indica nel meridione tutto, forse per la forma tondeggiante simile a quella del seme giallo, una piccola vongola detta altrove arsella
vongola mollusco bivalve di mare ed anche panzana, sciocchezza; voce in origine partenopea derivata dal lat. concula(m)→gongola→ongola→vongola trasmigrata poi nell’italiano;
arsella nome popolare di varie specie di molluschi bivalvi marini commestibili. derivato dal lat. tardo arcella(m) 'astuccio', dim. di arca;
pina sost. femm. = pigna frutto conico delle conifere, costituito da squame legnose che racchiudono i semi (pinoli) dal lat. (nucem) pinea(m)= noce del pino.
Qualche altro scrittore di cose napoletane nel vano tentativo di fare accogliere la prima locuzione, fa riferimento ad una non meglio annotata o rammentata leggenda che vede stranamente la Vergine Maria non esser misericordiosa durante una sua presunta fuga, con la pianta di lupini; nelle mie ricerche tale leggenda è risultata pressocché sconosciuta e del resto non chiarirebbe l’espressione , mentre non v’è anziano popolano partenopeo che non sia a conoscenza della manina di Cristo.
Jí truvanno o Jí ascianno = andare in cerca letteralmente: jí = andare infinito del verbo jí/jire dal latino ire; truvanno voce verbale (gerundio) dell’infinito truvà =trovare, ma anche e qui cercare forse dal lat. volg. *tropare,(esprimersi per tropi) dal class. tropus 'tropo'(qualsiasi uso linguistico che trasferisca una parola dal significato suo proprio a un altro figurato; traslato: la metafora, la metonimia, la sineddoche, l'antifrasi, l'iperbole sono tropi ); ma l'etimo è incerto; ascianno voce verbale (gerundio) dell’infinito asciare/ ascià= cercare con impegno, quasi affannosamente con etimo dal lat. volgare adflare>afflare =annusare con il normale esito fl→sci;
Cristo appellativo riservato a Ns. Signore Gesù; Unto dal lat. Christu(m), traslitterazione del gr. Christós, che traduce l'ebr. mashiah =Messia e cioè Unto (dal Signore).
118 Quanno te miette 'ncopp' a ddoje selle, primma o doppo vaje cu 'o culo 'nterra.
Quando ti metti su due selle, prima o poi finisci col sedere in terra. Id est: il doppio gioco alla fine è sempre deleterio e non ripaga.
119 'E fatte d' 'a tiana 'e ssape 'a cucchiara.
Letteralmente:i fatti della pentola li conosce il mestolo. La locuzione sta a significare che solo gli intimi possono essere a conoscenza dell'esatto svolgimento di una faccenda intercorsa tra due o piú persone e solo agli intimi di costoro ci si deve rivolgere se si vogliono notizie certe e circostanziate. La locuzione è anche usata da chi non voglia riferire ad altri notizie di cui sia venuto a conoscenza.
120 Senza 'e fesse nun caparríano 'e deritte
Senza gli sciocchi, non vivrebbero i dritti. Id est: i furbi prosperano perché c'è chi glielo permette, non per loro forza intrinseca.
121 'A soccia mano sta appesa dint' ê guantare.
Letteralmente: la medesima mano sta appesa nei guantai. La locuzione viene usata per connotare chiunque sia avaro o eccessivamente parsimonioso al punto da non elargire mai un'elemosina o ,peggio ancora, al punto da non concorrere mai fattivamente, con elargizione di danaro, ad un'opera comunitaria. La mano della locuzione ricorda quella enorme, ma immobile che, a fini di pubblicità, era esposta a Napoli nel quartiere dei Guantai dove aprivano bottega numerosi fabbricanti di guanti.
122 Quanno 'o piro è ammaturo, cade senza turceturo.
Quando la pera è matura, cade senza il bastone.
Il turceturo è un alto bastone terminante con una forcella atto a pigare un ramo al fine di scuoterlo per far cadere il frutto.Id Est: Quando un'azione è compiuta fino alle sue ultime conseguenze queste non si lasciano attendere.
123 Jirsene a cascetta(te ne vaie a cascetta!).
Letteralmente: Andarsene a cassetta.(te ne vai a cassetta!). La cassetta in questione è quella del vespillone: il posto. piú alto, ma anche il piú scomodo e i faticoso da raggiungere, delle antiche vetture da trasporto passeggeri. L'espressione viene usata quando si voglia sottolineare la dispendiosità o la fatica cui si va incontro, impegnandosi in un'azione ritenuta gravosa per cui se ne sconsiglia il porvi mano.
124 A' casa d' 'o ferraro, 'o spito 'e lignammo...
Letteralmente: In casa del ferraio, lo spiedo è di legno. La locuzione è usata a commento sapido allorché ci si imbatta in persone dalle quali, per la loro supposta, vantata, ma probabilmente inesistente professionalità ci si attenderebbero nelle loro azioni, risultati adeguati ben diversi da quelli che invece sono sotto gli occhi di tutti.
125 Quanno 'a cunnimma è ppoca, se ne va p' 'a tiella.
Quando il condimento è poco, si disperde nel tegame, invece di attaccarsi alle pietanze; id est: chi non à mezzi sufficienti, facilmente li disperde e non riesce a finalizzarli e/o ad usarli per portare a compimento un'opera cominciata.
126 -A lu frijere siente 'addore; - Allu cagno,siente 'o chianto.
Letteralmente: - Al momento di friggere sentirai l'odore;
-Al momento del cambio, piangerai. Un disonesto pescivendolo aveva ceduto ad un povero prete del pesce tutt' altro che fresco e richiesto dall'avventore intorno alla bontà della merce si vantava di avergli dato una fregatura asserendo che l'odore del pesce tutt’altro che fresco si sarebbe manifestato al momento di cucinarlo, ma il furbo sacerdote , che aveva capito tutto e lo aveva ripagato con danaro falso, gli replicò per rime dicendogli che al momento che avesse tentato di scambiare la moneta ricevuta, avrebbe avuto la cattiva ventura di doversene dolere in quanto si sarebbe accorto della falsità del danaro.La locuzione è usata nei confronti di chi pensa di aver furbescamente dato una fregatura a qualcuno e non intende di esser stato ripagato con medesima moneta...
127 Voca fora ca 'o mare è maretta...
Rema verso il largo ché il mare è agitato...Consiglio pressante, quasi ingiunzione ad allontanarsi, rivolto a chi chieda insistentemente qualcosa che non gli spetti, affinché receda dalle richieste e vada via evitando probabili cattivi risultatidelle insistenze inopportune.
In effetti i marinai sanno che quando il mare è molto agitato, è conveniente remare verso il largo piuttosto che bordeggiare a ridosso della riva contro cui ci si potrebbe infrangere
128 Mettere ll'uoglio 'a copp' ô peretto.
Letteralmente: aggiungere olio al contenitore del vino. Id est:colmare la misura. La locuzione viene usata sia per indicare che è impossibile procedere oltre in una situazione, perché la misura è colma, sia per dolersi di chi, richiesto d'aiuto, à invece completato un'azione distruttrice o contraria al richiedente. Un tempo sulle damigiane colme di vino veniva versato un piccolo strato d'olio a mo' di suggello e poi si procedeva alla tappatura, avvolgendo una tela di sacco intorno alla imboccatura del contenitore vitreo.
129 Quanno jesce 'a strazziona, ogne ffesso è prufessore...
Quando è avvenuta l'estrazione dei numeri del lotto, ogni sciocco diventa professore, vaticinando i numeri realmente sortiti dall’urna.
La locuzione viene usata per sottolineare lo stupido comportamento di coloro che,incapaci di fare qualsiasi previsione o di dare documentati consigli, s'ergono a profeti e professori, solo quando, verificatosi l'evento de quo, si vestono della pelle dell' orso...volendo lasciar intendere che avevano previsto l'esatto accadimento o le certe conseguenze...di un comportamento.
130 'A moneca 'e Chianura:muscio nun 'o vuleva ma tuosto le faceva paura...
La suora di Pianura:tenero non lo voleva, ma duro le incuoteva paura (si sottointende :il pane. La locuzione viene usata nei confronti degli incontentabili o degli eterni indecisi...
131 Fà 'e scarpe a uno e coserle 'nu vestito.
Letteralmente:confezionare scarpe ad uno e cucirgli un vestito.Id est: far grave danno a qualcuno o augurargli di decedere.Un tempo alla morte di qualcuno gli si metteva indosso un abito nuovo e gli si facevano calzare scarpe approntate a bella posta.
132 Tiene 'a casa a ddoje porte.
Letteralmente: Ài la casa con due porte d'ingresso.Locuzione ingiuriosa in cui si adombra l'infedeltà della moglie di colui cui la frase viene rivolta.In effetti la casa con due usci d'ingresso consentirebbe l'entrata e l'uscita del marito e dell'amante senza che i due venissero a contatto.
133 Ll'aurienza ca dette 'o papa ê curnute.
Letteralmente: l'udienza che il papa dette ai mariti traditi. Cosí viene definita un'istanza che venga disattesa completamente da parte del suo destinatario; ciò che avvenne allorché una accolita di mariti traditi si rivolse al pontefice affinchè autorizzasse lo scioglimento del loro matrimonio, ma il papa, opponendo la indissolubilità del vincolo matrimoniale quale sacramento della Chiesa, disattese completamente l'istanza. La locuzione è usata per sottolineare una situazione nella quale ci sia qualcuno che faccia orecchi da mercante...
134Abbaccà cu chi vence.
Colludere col vincitore - Schierarsi dalla parte del vincitore. Comportamento nel quale gli Italiani sono maestri: si racconta, ad esempio, che al tempo dell'ultima guerra, all'arrivo degli americani non fu possibile trovare un fascista. Tutti quelli che per un ventennio avevano indossato la camicia nera, salirono sul carro dei vincitori e i militari anglo-americani si chiedevano, riferendosi a Mussolini: Ma come à fatto quest’ uomo a resistere tanto tempo, se non aveva nessuno con lui?
135 Grannezza 'e Ddio: era monaco e pure pisciava.
Letteralmente: grandezza di Dio: era monaco eppure mingeva. La locuzione è usata per bollare chi faccia le viste di meravigliarsi delle cose piú ovvie e naturali come qualcuno che si stupisse nel vedere un frate portare a compimento una sua funzione fisiologica qual è quella della minzione.
136 Paré 'o marchese d''o Mandracchio.
Letteralmente: sembrare il marchese del Mandracchio. Id est: Tentare di darsi le arie di persona dabbene ed essere in realtà di tutt'altra pasta. La locuzione, che viene usata per bollare un personaggio volgare ed ignorante che si dia delle arie, millantando un migliore ascendente sociale di nascita, si incentra sul termine Mandracchio che non è il nome di una tenuta, ma indica solo la zona a ridosso del porto(dallo spagnolo mandrache: darsena)frequentata da facchini e scaricatori che non usavano di certo buone maniere ed il cui linguaggio non era certo forbito o corretto.
137 'Stu ventariello ca a tte t'arrecrea, a mme me va 'nculo!
Letteralmente: quel venticello che ti soddisfa, frega me. Non sempre da un'identica situazione scaturisce un medesimo effetto per chiunque. Nella fattispecie, un soffio di vento che magari è piacevole per uno, può essere deleterio per un altro, che per esempio è cagionevole di salute.
138 Chianu chiano 'e ccoglio e senza pressa, 'e vvengo.
Letteralmente: piano piano li raccolgo e senza affrettarmi li vendo. La locuzione sottolinea l'indolenza operativa di certuni, che non si affrettano mai nè nel loro incedere né nel portare a compimento alcunché.
139 'o perucchio è caduto dint' a' farina.
Letteralmente: il pidocchio è caduto nella farina. La locuzione viene usata per indicare coloro che a seguito di una calamità, o una guerra, si sono arricchiti e ànno preso dimora nei luoghi piú chic della città e si danno l'aria di gran signori quasi fossero discendenti di antica, provata nobiltà,ed in realtà non lo sono essendo simili ad un pidocchio che, caduto nella farina, si imbianca esteriormente pur restando, in sostanza, un vile insetto.
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140 Ogni ccapa è 'nu tribbunale.
Letteralmente: ogni testa è un tribunale. Id est: ognuno decide secondo il proprio metro di giudizio, ognuno è pronto ad emanar sentenze.
141 Fà comme ê funare.
Agire come i fabbricanti di corde. Id est: non fare alcun progresso né nello studio, né nell'apprendimento di un mestiere. Quando ancora non v'erano le macchine ed i robot che fanno di tutto, c'erano taluni mestieri che venivano fatti da operai ed esclusivamente a mano. Nella fattispecie i cordari solevano fissare con i chiodi ad un asse di legno, o ad un muro i capi delle corde da produrre e poi procedendo come i gamberi le intrecciavano ad arte. La locuzione prende in considerazione non i risultati positivi raggiunti dai cordari ma solo il modo di procedere tenuto dai medesimi.
raffaele bracale
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