ABBUFFÀ ‘A GUALLERA.
nella locuzione me staje abbuffanno 'a guallera
Ad litteram: enfiare l'ernia nella locuzione mi stai gonfiando l'ernia id est: mi stai tediando, mi stai oltremodo infastidendo, procurandomi una figurata enfiagione dell'ernia; locuzione che si ritrova con gran risentimento sulla bocca di chi, già tediato di suo, veda aumentare a dismisura il proprio fastidio, per l'azione di un rompiscatole che insista nel suo disdicevole atteggiamento. Ricorderò che il termine guallera (ernia) è mutuato dall'arabo wadara di pari significato e con esso termine il napoletano indica la vera e propria affezione erniale dove che sia ubicata, ma anche per traslato, il sacco scrotale ed è a quest'ultimo che con ogni probabilità si riferisce la locuzione, prestandosi, data la sua sfericità, ad essere sia pure figuratamente gonfiato; la voce verbale abbuffanno= gonfiando, è il gerundio dell’infinito abbuffà che etimologicamente deriva da un latino ad +bufo→adbufo→abbufo→abbuffo= farsi gonfio come un rospo (lat. bufo/onis).
Segnalo ora, qui di sèguito altre icastiche locuzioni di medesima portata di quella in epigrafe, locuzioni che vengono usate a secondo il grado del tedio che si prova; la prima, mutuata dall'àmbito culinario, proclama: me staje facenno oppure m’ hê fatto ‘a guallera â pezzaiuola(mi stai facendo oppure mi hai fatto l'ernia alla pizzaiola)pezzaiuola ( e cioè alla maniera del pizzaiolo che in napoletano è pezzaiuolo con derivazione, attraverso i suffissi di pertinenza iuolo/iuola,della voce pizza che etimologicamente qualcuno opta forse per un’origine germ., dal longob. bizzo 'morso, focaccia';altri piú fantasiosamente da un non attestato *apicia (pàtina) preparazione culinaria attribuita (ma non è dato sapere in base a quali risultanze o reperti) al cuoco romano Marco Gavio Apicio( nato intorno al 25 a.C. e morto verso la fine del regno di Tiberio). A mio avviso, essendo la pizza una focaccia, una schiacciata di pasta di farina lievitata, lavorata e spianata, si può quanto alla semantica tranquillamente far riferimento al p. p. sostantivato pinsa del verbo latino pinsere=pigiare, schiacciare; e morfologicamente partendo da pinsa con un tranquillo, consueto passaggio di ns ad nz e successiva assimilazione regressiva nz→zz si può approdare a pizza evitando di scomodare i morsi longobardi o pretese e non comprovate preparazioni culinarie attribuite a Marco Gavio Apicio. Altra locuzione usata è quella che mutuata dal linguaggio del lavoro d'ebanisteria, proclama: me staje scartavetranno 'a guallera ( mi stai levigando l'ernia con la carta vetrata)dove la voce verbale scartavetranno è il gerundio dell’infinito scartavetrà = carteggiare, denominale di carta vetrata con una consueta protesi di una s intensiva. Infine esisite una locuzione che- mutuata dall'ambito sartoriale -nella sua espressività barocca, se non rococò, afferma: me staje facenno 'a guallera a plissé (mi stai facendo l'ernia pieghettata) quasi che fosse possibile trattare l'ernia come una gonna, pieghettandola longitudinalmente in modo minutissimo. plissé è voce fr.; propr. part. pass. di plisser 'pieghettare', deriv. di pli 'piega' ed è entrata tal quale nella lingua napoletana con il medesimo significato di pieghettatura.
In coda ed a margine di tutto quanto detto a proposito di guallera rammento che l’ernia, in napoletano, oltre che guallera à molti altri nomi che connotano quella noiosa affezione, fuoruscita di un viscere o di un organo dalla cavità in cui è normalmente contenuto: ernia addominale, inguinale, ombelicale, del disco; ernia strozzata etc. che in italiano si rende con la sola voce ernia (voce che, etimologicamente, piú che al lat. hira= budella, penso si possa acconciamente collegare al greco ernòs= ramo, pollone in quanto simulante a prima vista, una proliferazione o germinazione) addizionata, come visto, con degli specificativi inguinale, scrotale etc., in lingua napoletana, ò detto che è resa con numerosissimi sostantivi ad hoc; li illustro qui di seguito cominciando ovviamente con
1 - guallera/guallara segnatamente ernia scrotale con etimo dall’arabo wadara di identico significato;
2- ‘ntoscia che è propriamente l’ernia addominale con derivazione dal greco enthostídia= intestini;
3- burzone altra voce usata per indicare l’ernia scrotale o quella ombelicale s. m. accrescitivo (vedi suff. one) di borza derivato del lat. tardo bursa(m), dal gr. byrsa 'pelle, otre di pelle'ed in effetti di per sé la voce a margine indicò dapprima lo scroto ossia la borsa che contiene i testicoli, e solo successivamente un’ernia scrotale ;
4- paposcia voce usata per indicare l’ernia inguinale quel noioso rigonfiamento che talvolta afflige gli anziani inducendoli ad un’andatura circospetta e lenta; la voce a margine è un derivato del lat. parlato *papus (rigonfiamento) addizionato del suff. modale osa femm. di uso;
5- mellunciello letteralmente piccolo melone con il quale torniamo all’ ernia scrotale; la voce a margine è un diminutivo (vedi suffisso ciello) di mellone che è dall’ acc. tardo lat. melone(m), da mílo/onis, forma abbr. di melopepo -onis, che è dal gr. mílopépon -onos, comp. di mêlon 'melo, frutto' e pépon 'popone; la voce napoletana mellone comporta il raddoppiamento popolare della liquida rispetto all’acc. lat. melone(m);
6 - contrappiso letteralmente contrappeso che è voce (derivata come l’taliano dall’addizione di contra (contro) + (p)piso (peso)) usata per indicare un’ernia inguinale o addominale che insista su di un solo lato del corpo facendo quasi da contrappeso all’opposto lato;
7 - quaglia letteralmente quaglia voce usata indifferentemente per indicare un’ernia addominale, inguinale, o ombelicale, che abbia la tipica forma ad uovo dell’uccello colto nella posizione di riposo con le alucce chiuse e raccolte su se stesso; la voce nap. quaglia è dall'ant. fr. quaille, che è forse dal lat. volg. *coàcula(m), di probabile orig. onomat. se non, piú acconciamente, da un latino parlato *quà(r)uala che richiamava il verso dell’uccello;
8 - zeppula letteralmente zeppola voce che con derivazione dal latino serpula indica innanzi tutto un caratteristico dolce partenopeo, in uso per la festività di san Giuseppe(19 marzo) , di pasta bigné disposta, con un sac a poche, a mo’ di ciambella, poi doppiamente fritta: una prima volta in olio bollente e profondo, una seconda volta, a seguire nello strutto o (meno spesso e meno saporitamente) cotta al forno in un’unica soluzione, spolverata di zucchero e variamente guarnita con crema pasticciera ed amarene candite; il dolce à origini antichissime quando intorno al 500 a.C. si celebravano a Roma le Liberalia, le feste delle divinità dispensatrici del 'vino e del grano nel giorno del 17 marzo. In onore di Sileno, compagno di bagordi e precettore di Bacco, si bevevano fiumi di vino addizionato di miele e spezie e si friggevano profumate frittelle di frumento; le origini del dolce dicevo furono antichissime , anche se pare che la ricetta attuale delle napoletane zeppole di san Giuseppe sia opera di quel tal P. Pintauro che fu anche, come vedemmo alibi, l’ideatore della sfogliatella, e rivisitando le antichissime frittelle romane di semplice fior di frumento, diede vita alle attuali zeppole arricchendo l’impasto di uova, burro ed aromi varî e procedendo poi ad una doppia frittura prima in olio profondo e poi nello strutto; la tipica forma a ciambella della zeppola rammenta la forma di un serpentello (serpula) quando si attorciglia su se stesso da ciò è probabile sia derivato il nome di zeppola (è normale il passaggio di s a z e l’assimilazione regressiva rp→pp) ; d’altro canto l’esser détto dolce gonfio e paffutello ben può richiamare il rigonfiamento tipico di un’ ernia inguinale, addominale o ombelicale;
e siamo infine a
9 - pallèra voce con la quale si torna ad indicare estensivamente l’ernia scrotale; di per sé infatti la voce pallèra (con etimo da palla che è dal longob. *palla, che à la stessa radice di balla (dal fr. ant. balle, che è dal francone balla sfera) + il suff. di pertinenza era) indica in primis segnatamente lo scroto quale contenitore delle palle( cosí vengon detti in napoletano i testicoli intesi sbrigativamente sferici, anzi che ovoidali ); normale estendere il significato di pallèra da scroto ad ernia scrotale: lo scroto è pur sempre un rigonfiamento tal quale un’ ernia.
Giunti qui consentitemi una curiosità; nella lingua napoletana esiste un vocabolo papuscio di cui la precedente paposcia a tutta prima potrebbe erroneamente sembrare il suo femminile metafonetico; in realtà non vi è alcun nesso, se non una fuorviante assonanza…, tra paposcia e papuscio; la paposcia abbiamo visto cosa è e ne abbiamo indicato l’etimologia; il papuscio invece non indica alcuna affezione; è solo (con derivazione dall’arabo ba- bús- 'copripiedi'ricavato con tutta evidenza dall’indiano pa-push, di identico significato ) è solo il modo napoletano di render l’italiano babbuccia (che è mutuata dal franc. babouche).
Raffaele Bracale
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2 commenti:
Ebbi modo tempo fa di sottoporle una mia ipotesi etimologica sul termine guallera che lei correttamente indica come ernia, questo termine viene però usato in napoletano anche per indicare il sacco scrotale. Ora il fatto che in moltissime regioni italiane si usi la locuzione "gonfiare le balle", nelle sue varianti dialettali, per indicare senso di fastidio, rafforza la mia convinzione sulla reale origine del termine Guallera
che non andrebbe quindi ricondotto all'arabo, che oltretutto sulla cultura napoletana influì meno che su quella siciliana, dove per indicare l'ernia si usa il termine "waddara", questo si di chiara origine araba.
Non le ripeto le mie considerazioni sulla mia ipotesi, di cui lei è già a conoscenza, gradirei comunque conoscere un parere competente e soprattutto esaustivo sull'argomento.
Scusandomi per l'eventuale fastidio e ringraziandola per il prezioso lavoro da lei svolto, un cordiale saluto da Gennaro.
Esimio sig. SHELLENBERG non ricordo, né so dove reperire le sue considerazioni; gradirei che me le rinfrescasse all'indirizzo raffaele.bracale@fastwebnet.it Grazie! Bbona salute! Suo
Raffaele Bracale -
Napoli Regno 2 Sicilie
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