mercoledì 30 ottobre 2013
VARIE 2606
1.'O PURPO S'À DDA COCERE CU LL'ACQUA SOJA.
Letteralmente: il polpo si deve cuocere con l'acqua propria.Id est: bisogna che si convinca da se medesimo, senza interventi esterni. La locuzione fa riferimento a tutte quelle persone che recedono da certe posizioni solo se si autoconvincono; con costoro è inutile ogni opera di convincimento, bisogna armarsi di pazienza ed attendere che si autoconvincano, come un polpo che per cuocersi non necessita di aggiunta d'acqua, ma sfrutta quella di cui è composto.
2. DÀ 'NCOPP' Ê RECCHIE.
Letteralmente: dare sulle orecchie. La locuzione consiglia il modo di comportarsi nei confronti dei boriosi, dei supponenti, dei saccenti adusi ad andare in giro tronfi e pettoruti a testa elevata quasi fossero i signori del mondo, convinti di conoscere e sapere tutto o quasi lo scibile umano e d’essere attrezzati a risolvere ogni problema della vita quotidiana (sia propria che degli altri!) Nei loro confronti bisogna usare una sana metaforica violenza colpendoli sulle orecchie per fargliele abbassare.
3. N' AGGIO SCAURATO STRUNZE, MA TU ME JESCE CU 'E PIEDE 'A FORA...
Letteralmente: ne ò bolliti di stronzi, ma tu (sei cosí grosso)che non entri per intero nella eventuale pentola destinata all'uso. Iperbolica e barocca locuzione-offesa usata nei confronti di chi si dimostri cosí esageratamente pezzo di merda da meritarsi di esser paragonato ad uno stronzo che ecceda i limiti della pentola.
4.TANTE VALLE A CANTÀ NUN SCHIARA MAJE JUORNO.
Letteralmente: tanti galli a cantare non spunta mai il giorno. Id est: quando si è in tanti ad esprimere un parere intorno ad un argomento, a proporre una soluzione ad un problema, non si addiviene a nulla di concreto... Perché dunque farsi meraviglia se il parlamento italiano composto da un numero esorbitante di deputati e senatori non riesce mai a legiferare rapidamente e saggiamente: parlano in tanti...
5.SÍ, SÍ QUANNO CURRE E 'MPIZZE...
Letteralmente: sí quando corri ed infili! La sarcastica locuzione sottolinea icasticamente lo sciocco comportamento di chi sta ponendo speranza in qualcosa che molto difficilmente si potrà avverare e vale quasi: “quel che tu ti auguri avvenga,in realtà non avverrà mai!”. La locuzione fa riferimento ad un'antica gara che si svolgeva sulle piazze dei paesi meridionali. Si infiggeva nell'acciottolato della piazza del paese un'alta pertica con un anello metallico posto in punta ad essa pertica, libero di dondolare al vento. I gareggianti dovevano, correndo a cavallo, far passare nell'anello la punta di una lancia, cosa difficilissima da farsi.
6.MADONNA MIA, MANTIENE LL'ACQUA!
Letteralmente: Madanna mia reggi l'acqua. Id est: fa che la situazione non peggiori o non degeneri. L'invocazione viene usata quando ci si trovi davanti ad una situazione di contesa il cui esito si prospetti prossimo a degenerare per evidente cattiva volontà di uno o più dei contendenti.
7. OMMO 'E CIAPPA.
Letteralmente: uomo di bottone e, per traslato, uomo importante, di vaglia. La locuzione ebbe origini antichissime addirittura seicentesche allorché a Napoli esistette una consorteria particolare, la cosiddetta repubblica dei togati che riuniva un po' tutta la classe dirigente della città. Le ciappe (dal latino capula→cap(u)la→capla→clapa→ciappa) erano i grossi bottoni d'argento cesellato che formavano l'abbottonatura della toga simbolo, appunto, di détta consorteria.
8.'A NAVE CAMMINA E 'A FAVA SE COCE.
Letteralmente: la nave cammina, e la fava si cuoce. La locuzione mette in relazione il cuocersi della fava (che indica la sopravvivenza,rappresentando la continuata abbondanza di cibo) con il cammino della nave ossia con il progredire delle attività economiche, per cui è piú opportuno tradurre quando la nave va, la fava cuoce.
9. ESSERE 'NU CASATIELLO CU LL'UVA PASSA.
Letteralmente: essere una caratteristica torta rustica pasquale ripiena d'uva passita. Id est: essere una persona greve, fastidiosa, indigesta, noiosa quasi come la torta menzionata già greve di suo per esser preparata con una pasta lievitata intrisa abbondantemente di strutto e ripiena di molto formaggio, uova, salame, resa meno digeribile dalla presenza dell'uva passita...
10. NCE VONNO 'E CQUATTE LASTE E 'O LAMPARULO.
Letteralmente: occorono i quattro vetri laterali ed il reggimoccolo. Id est: il lavoro compiuto è del tutto inutilizzabile in quanto palesamente incompleto e non fatto a regola d'arte; quello della locuzione è una lanterna ultimata in modo raffazzonato al punto che mancano elementi essenziali alla sua funzionalità. La locuzione viene perciò usata nei confronti di chi, ingiustificatamente, si glori di aver fatto un eccellente lavoro, laddove ad un attento controllo esso risulta vistosamente carente.
11. ESSERE 'NU/’NA SECATURNESE.
Letteralmente: essere un sega tornesi.Id est: essere un avaraccio/a, super avaro/a al punto di far concorrenza a taluni antichi tonsori di monete, che al tempo che circolavano monete d'oro o d'argento, usavano limarle per poi rivender la limatura e far cosí piccoli truffaldini guadagni: venne poi la carta-moneta, le monete d’oro e d’argento vennero ritirate dalla circolazione e finí il divertimento.
12. ESSERE 'NA MEZA PUGNETTA.
Esser piccolo di statura, ma soprattutto valer poco o niente, non avere alcuna conclamata attitudine operativa, stante la ridottissima capacità fisica, intellettiva e morale essendo il risultato non di una normale copula, ma di un gesto onanistico non compiuto neppure per intero.
13. ESSERE 'NA GALLETTA 'E CASTIELLAMMARE.
Letteralmente: essere un biscotto di Castellammare. Id est: essere poco incline ad atti di generosità, anzi tener sempre saldamente chiusi i cordoni della borsa essendo molto restio ad affrontare spese di qualsiasi genere, in ispecie quelle destinate ad opere di carità, essere insomma cosí duro nei propri parsimoniosi intendimenti da essere paragonabile ai durissimi biscotti prodotti in Castellammare, biscotti a lunga conservazione usati abitualmente come scorta dalla gente di mare che li preferiva al pane perché non ammuffivano, ma che erano cosí tenacemente duri che - si diceva - neppure l'acqua di mare riuscisse ad ammorbidire.
14. 'E CURALLE LL'À DDA FÀ 'O TURRESE.
Letteralmente: i coralli li deve lavorare il torrese. Id est: ognuno deve fare il proprio mestiere, che però deve esser fatto secondo i crismi previsti; non ci si può improvvissare competenti; nella fattispecie la lavorazione del corallo è appannaggio esclusivo dell'abitante di Torre del Greco, centro campano famoso nel mondo appunto per la produzione di oggetti lavorati in corallo.
15. MO T''O PPIGLIO 'A FACCIA 'O CUORNO D''A CARNACOTTA
Letteralmente. adesso lo prendo per te dal corno per la carne cotta. Icastica ed eufemistica espressione con la quale suole rispondere chi, richiesto di qualche cosa, non ne sia in possesso né abbia dove reperirla o gli manchi la volontà di reperirla. Per comprendere appieno la locuzione bisogna sapere che la carnacotta è il complesso delle trippe o frattaglie bovine o suine che a Napoli vengono vendute (già sbiancate e lessate atte cioè ad essere consumate) o dai macellai o da appositi venditori girovaghi che le servono ridotte in piccoli pezzi su minuscoli fogli di carta oleata; i piccoli pezzi di trippa vengono dapprima irrorati col succo di limone e poi cosparsi con del sale che viene prelevato da un corno bovino scavato ad hoc proprio per contenere il sale e bucato sulla punta per permetterne la distribuzione. Detto corno viene portato dal venditore di trippa, appeso in vita per il tramite d’un lungo spago e lasciato pendente sul davanti del corpo. Proprio la vicinanza con intuibili parti anatomiche del corpo, permettono alla locuzione di significare che ci si trovi nell'impossibilità o che manchi la volontà di aderire alle richieste.
16. PURE 'E CUFFIATE VANNO 'MPARAVISO.
Letteralmente: anche i corbellati vanno in paradiso. Massima consolatoria con cui si tenta di rabbonire i dileggiati cui si vuol fare intendere che sí è vero che ora son presi in giro, ma poi spetterà loro il premio eterno del paradiso. Il termine cuffiato cioè corbellato è il participio passato del verbo cuffià che deriva dal sostantivo coffa = peso, carico, a sua volta dall'arabo quffa= corbello.
17. DICETTE 'O SCARRAFONE: PO’ CHIOVERE 'GNOSTIA COMME VO’ ISSO, MAJE CCHIÚ NIRO POZZO ADDEVENTÀ...
Disse lo scarafaggio: (il cielo) può far cadere tutto l'inchiostro che vuole, io non potrò mai diventare piú nero di quel che sono. La locuzione è usata da chi vuole far capire che à già ricevuto e sopportato tutto il danno possibile dall'esterno, per cui altri sopravvenienti fastidi non gli potranno procurar maggior danno.
18. ABBACCA ADDÓ VENCE.
Letteralmente: collude con chi vince. Di per sé il verbo abbaccare (dal lat. volg.*ad-vadicare→avvad’care→avvaccare→abbaccare= andare verso qlcn) presupporrebbe una segretezza d'azione che però ormai nella realtà non si riscontra, in quanto l'opportunista - soggetto sottinteso della locuzione in epigrafe non si fa scrupolo di accordarsi apertis verbis con il suo stesso pregresso nemico, se costui, vincitore, gli può offrire vantaggi concreti e repentini. Lo sport di salire sul carro del vincitore e di correre in suo aiuto è stato da sempre praticato dagli italiani.
Brak
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