giovedì 8 settembre 2016

ANTICHE ESPRESSIONI NAPOLETANE 3

ANTICHE ESPRESSIONI NAPOLETANE 3 21.VA FACENNO PILE PILE... 'A FESSA D'’A MADRE BADESSA Ad litteram: Va facendo pelo per pelo (id est: va spulciando minutamente) la vulva della madre badessa.Id est: indagare anche nei piú riposti fatti altrui. Becera sarcastica antica e desueta espressione usata per indicare e porre alla berlina il fastidioso e spiacevole comportamento di chi – soprattutto donna – metta naso e con manifesto piacere si impegoli, impelaghi, invischi nelle altrui faccende cercando di venire a capo minutamente di accadimenti che normalmente non sarebbero di sua competenza e perduri in tale atteggiamento seccante, noioso, irritante, sgradevole, spiacevole.L’espressione che furbescamente chiama in causa una madre badessa e la sua vulva non è da intendersi in senso reale, ma solo come icastica cioè significativa rappresentazione di un comportamento disdicevole quale è quello di chi tenti di indagare (per proprio gusto e senza essere autorizzato) minutamente fin nei piú segreti recessi del prossimo e non mette conto se questo sia un popolano o una persona di riguardo; in effetti la voce badessa è usata solo perché rimante acconciamente con fessa! fessa s.vo f.le il piú comune dei termini usati volgarmente per indicare la vulva femminile; fessura, apertura con etimo dal lat. fissa→féssa: part. pass. femm. del verbo lat. findere=fendere, aprire ;la voce a margine, semanticamente ripete il significato di porta, apertura che è anche del corrispondente vulva(dal lat. vulva(m), variante di volva(m)=porta, accesso) dell’italiano; per tutti gli altri termini usati nel napoletano per indicar la vulva rimando alibi sotto la voce sciuscia e altre. badessa s.vo f.le: superiora in un monastero femminile: madre badessa, ma ironicamente anche donna autoritaria, che si dia arie di superiorità; etimologicamente il termine badessa è una forma aferetica per (a)-badessa che viene dal latino abbatissa voce femminilizzata di abbas/abbate(m) che trae dal caldeo e siriaco âbâ o âbbâ= padre. 22.VENE, APPIZZA 'O CULO E SSE NE VA 'O MMUNNEZZARO Letteralmente:Lo spazzino viene,si accovaccia e va via.Détto risentitamente di chi è abituato a non compiere mai per intiero il proprio dovere come uno spazzino che venuto per raccogliere le immondizie, si limiti ad accovacciarsi per prelevare il secchio che le contenga, lo vuoti in un gran sacco di juta atto al prelievo e tiri via senza curarsi se nell’operazione si sia imbrattato anche parzialmente il pavimento. Espressione ormai desueta e superata atteso che sono decenni che non esiste piú la raccolta delle immondizie uscio per uscio, ma ogni famiglia pur pagando una congrua tassa per la raccolta dei rifiuti urbani, deve approntare uno o piú sacchetti dei propri rifiuti e depositarli in istrada in grandi contenitori metallici augurandosi che poi nottetempo la ditta deputata al ritiro ed al trasferimento alle discariche e/o termovalorizzatori lo faccia per davvero. Vène voce verbale (3ª pers. sg.ind. pr.)dell’infinito vení =venire, giungere, sopraggiungere, comparire, spuntare, piombare ed in senso furbesco godere; etimologicamente il termine venire è dal lat. veníre ; preciso che la voce a margine va pronunciata con la è aperta, atteso che pronunciata con la é chiusa significherebbe tutt’altro essendo véne il pl. di véna vaso o canale membranoso che porta il sangue dalla periferia al cuore; per estens., vaso sanguigno in genere; con etimo dal lat. vína(m). appizza voce verbale (3ª pers. sg.ind. pr.)dell’infinito appezzà = in primis appuntare, tendere, appuntire; per traslato furbesco rimetterci; aliquando come nel caso che ci occupa(in unione alla voce culo) accovacciarsi; tuttavia in tale accezione si usa piú spesso il verbo accuvà (dal lat. accubare). culo s.vo m.le 1 deretano, sedere, fondo schiena | essere culo e cammisa,: stare sempre insieme, andare molto d'accordo. 2 fondo di un recipiente di vetro: il culo di un fiasco, di una bottiglia ' culi di bicchiere, (scherz.) brillanti falsi, di vetro. Voce dal lat. culu(m) marcato sul greco koilos; ‘mmunnezzaro s.vo m.le spazzino, netturbino, operaio addetto alla raccolta e smaltimento dei rifiuti voce denominale di ‘mmunnezza con l’aggiunta del suffisso di competenza aro suffisso che, come l’taliano aio, continua il lat. -arius; compare in sostantivi, derivati dal latino o formati in napoletano o in italiano, che indicano mestiere (rilurgiaro/orologiaio) oppure luogo, ambiente pieno di qualcosa o destinato a contenere o accogliere qualcosa (lutammaro/letamaio, etc.). 23.'O GALLO/VALLO NCOPP' â ‘MMUNNEZZA. Letteralmente: il gallo sull'immondizia. Cosí, a buona ragione, viene definito dalla cultura popolare partenopea, il presuntuoso, il millantatore, colui che - senza particolari meriti, ma per mera fortuna o per naturale fluire del tempo - abbia raggiunto una piccola posizione di preminenza, e di lassú intenda fare il buono e cattivo tempo, magari pretendendo di far valere il proprio punto di vista, proprio come un galletto che, asceso un cumulo di rifiuti, ci si sia posto come su di un trono e, pettoruto, faccia udire i suoi chicchirichí. gallo/vallo s.vo m.le in doppia forma morfologica: uccello domestico commestibile, con piumaggio brillante, testa alta con grossa cresta carnosa e bargigli, zampe fornite di speroni, coda falciforme dai colori spesso vivaci ; voce etimologicamente dal lat. gallu(m)sebbene non gli sia estranea la radice centroeuropea kar,kal (risuonare); qualcuno poi à supposto un latino *gannus donde gannulus→ gan’lus→gallus che troverebbe un suo parallelo nell’ant. tedesco *hano da un verbo *hanan (= lat. canere(cantare)) con riferimento al canto mattutino del gallo; a mio avviso questa di *gannus è tesi veramente interessante e forse perseguibile; per il passaggio metaplasmatico di g a v cfr. gunnella/vunnella – golpe/volpe – gallina/vallina etc.) ; ‘mmunnezza. s.vo f.le = immondiza, rifiuto, sporcizia, roba sudicia; in partic., spazzatura; voce dal lat. immunditia(m)→’mmunnitia(m)→’mmunnezza, deriv. di immundus. 24.VOTTA 'A PRETELLA E ANNASCONNE 'A MANELLA Letteralmente: Lancia la pietra e nasconde la mano. Détto di chi pusillanime e privo di personalità non intende prendere le responsabilità dei proprî comportamenti e dopo d’avere proditoriamente arrecato un danno vero o figurato, fisico o morale cela la mano nel tentativo di non lasciarsi cogliere in flagranza, per non render ragione delle proprie azioni, o per evitare talora la giusta punizione o la naturale ritorsione. votta voce verbale (3ª pers. sg.ind. pr.)dell’infinito vuttà = buttare, lanciare, scagliare, tirare, scaraventare; voce dal fr. ant. bouter, provenz. botar, di orig. germ con normale alternanza b→v (cfr. barca→varca, bocca→vocca etc.); pretélla s.vo f.le dim.di preta = pietruzza, piccola pietra; etimologicamente lettura metatica del lat. petra(m), che è dal gr. pétra; da petra(m)→ preta(m) con l’aggiunta del suff. diminutivo élla; annasconne voce verbale (3ª pers. sg.ind. pr.)dell’infinito annasconnere = nascondere, coprire, infrattare, mettere in luogo riposto, in modo che altri non veda o non trovi; celare, occultare; etimologicamente deriv. dal lat. volg. ab-nascondere→annasconnere per il class. abscondere , comp. di ab 'via, lontano da' e condere 'riporre, celare' nella formazione di annasconnere si è verificata una doppia assimilazione: una regressiva ab→an ed una progressiva nd→nn; manélla s.vo f.le dim.di mana = manina, piccola mano ; etimologicamente la voce mana da cui manella con l’aggiunta del suff. diminutivo élla, deriva da un accusativo latino manu(m) reso femminile mana(m); anche nel toscano anticamente la mano fu mana. Da notare che nell’espressione in esame è usato il diminutivo manella che indica una mano piccola o di bambino, non solo per rimare con la voce petrella ma pure per sottolineare che chi si comporta da pusillanime e privo di personalità anche se è un adulto in realtà si comporta come un bambino! 25.COMME Sî BBONA, COMME Sî BBELLA, E 'A SPICULA S'AMMUCCAJE â SARDELLA Letteralmente Come sei buona, come sei bella e la sigola divorò la sardina. Icastica, antica espressione ancóra in uso, di tipo proverbiale se non addirittura didascalico. In effetti l’espressione viene pronunciata ad ammonimento dei piú giovani che da sprovveduti si fidano troppo delle apparenze e prendono per sincere le blandizie dei furbi che invece con i loro comportamenti falsi, finti, ipocriti, inattendibili, infidi, ingannevoli, illusori ànno mire ben diverse da quelle che mettono in mostra; nella fattispecie la grossa vorace spigola tenendo un atteggiamento ricco di allettamento, smanceria, adulazione mira a conquistare la fiducia della piccola sardina per poi divorarla; è buona norma dunque, trasportando l’esempio nella vita quotidiana, che i piú giovani, meno esperti e piú sprovveduti, per non restare vittime della loro stessa inesperienza, credulità, ingenuità, semplicità non facciano affidamento sulle carezze, lusinghe, moine dei piú vecchi che ànno maggiore esperienza della vita e son pronti egoisticamente a ricavarne il maggior utile possibile! comme avv. cong.e s.vo = come (dal lat. quomodo→q(u)omo(do)→como→comme con raddoppiamento espressivo della consonante nasale bilabiale (m)). 1 in quale modo, in quale maniera (in prop. interrogative dirette e indirette): comme staje?; comme è gghiuto viaggio? (come stai?; come è andato il viaggio?); dimme comme staje; comme maje?, (dimmi come stai; come mai?), perché mai, per quale ragione: comme maje nun è cchiú partuto? (come mai non è piú partito?) | comm'è ca...?, comme va ca...?, (com'è che...?, come va che...?), qual è il motivo per cui... | ma comme?!(ma come?!), per esprimere sdegno o meraviglia | comme dice?, comme hê ditto?, (come dici?, come ài detto?), per chiedere che si ripeta qualcosa | comme fósse a ddicere?(come sarebbe a dire?), per chiedere una spiegazione | comm'è, comme nun è, (com'è, come non è), (fam.) per introdurre un fatto che si è verificato all'improvviso | comme no?!, (come no?!), certamente | comme se permette?!, (come si permette?!), si guardi bene dal permettersi 2 quanto (in prop. esclamative, come nel caso che ci occupa): comme chiove!; comme sî bbuono!; comme me dispiace! (come piove!; come sei buono!; come mi dispiace!) | e comme! serve ad affermare o confermare energicamente: «Te sî stancato?» «E ccomme!»; «Ti sei stancato?» «Eccome!»; è overo, e ccome si è vero! (è vero, eccome se è vero!).. 3 il modo nel quale, in quale modo (introduce una prop. dichiarativa): lle raccuntaje comme ll’amico fosse partuto; nun t’ adduone comme sî fesso?! (gli raccontò come l'amico sarebbe partito; non ti accorgi come sei stupido?!) | preceduto da ecco, con lo stesso significato e funzione: ecco comme jettero ‘e ccose; ecco comme ce se po’ arruvinà (ecco come andarono le cose; ecco come ci si può rovinare). 4 nel modo in cui, quanto (introduce una prop. comparativa): è cchiúbbello ‘e comme credevo; arrivarrà cchiú ttarde ‘e comme aveva ditto; 6 sta a 3 comme 10 sta a 5 (è piú bello di come credevo; arriverà piú tardi di come aveva détto; 6 sta a 3 come 10 sta a 5) | in frasi comparative ellittiche del verbo stabilisce una relazione di somiglianza o di identità: janco comme â latte; ‘a figlia è àveta comme â mamma; poche so’ sfaticate comme a tte; ‘e juorno comme ‘e notte (bianco come il latte; la figlia è alta come la madre; pochi sono pigri come te; di giorno come di notte) | in espressioni rafforzative o enfatiche: io comme a io, nun accettasse, (io come io, non accetterei), per quanto mi riguarda, per conto mio; mo comme a mmo, oje comme a oje, (ora come ora, oggi come oggi), al momento attuale | con il sign. di nella condizione, in qualità di, introduce un'apposizione o un compl. predicativo ed è seguíta sempre da una a segnacaso: tu, comme a arbitro,hê ‘a essere ‘mparziale devi essere imparziale (tu, come arbitro, devi essere imparziale); fuje sciveto comme a testimmonio; tutte ‘a vulevano comme a mmugliera(fu scelto come testimone; tutti la richiedevano come moglie) 5 nel modo in cui, in quella maniera che (introduce una prop. modale): aggiu fatto come tu hê voluto (ò fatto come tu ài voluto; tutto è succieso comme speràvamo (tutto è accaduto come speravàmo) | preceduto da accussí: lassa ‘e ccose accussí comme so’ (lascia le cose cosí come sono) | in correlazione con accussí o con tanto (in luogo di quanto): non è accussí tarde comme penzavo;(non è cosí tardi come pensavo); tanto ll’une comme ll’ ate ( tanto gli uni come gli altri) ' comme (si), nello stesso modo che, quasi che: rispettalo comme (si) fosse pàteto (rispettalo come (se) fosse tuo padre) | comme non l’êsse ditto come non l’avessi detto, per ritirare una precedente affermazione. come cong. 1 appena, non appena; quando (introduce una prop. temporale): comme ‘o sapette, telefonaje (come lo seppe, telefonò) | a mano a mano che: ‘e nutizzie erano passate comme arrivavano (le notizie venivano comunicate come arrivavano) 2 (lett.) giacché, siccome (introduce una prop. causale): e comme n’effetto s’aveva avé… ( e siccome un effetto bisognava ottenere…) come s. m. invar. il modo, la maniera; la causa, il mezzo, spec. nelle loc.’o ccomme e ‘o ppecché( il come ed il perché), ‘o ccomme e ‘o cquanno( il come ed il quando) e sim.: spiegà ‘o ccomme e ‘o cquanno; stabbilí‘o ccomme e ‘o cquanno; mo mm’hê ‘a dicere ‘o ccomme e ‘o cche! mi dirai il che e il come. (spiegare il come e il quando; stabilire il come e il quanto; ora mi dirai il come ed il che). sî corrispondente all’italiano sei voce verbale (2° p.sg. indicativo pres.) dell’infinito essere dal lat. esse la forma sî forse derivata etimologicamente dal lat. si(s) esige un segno diacritico (accento circonflesso) non etimologica per distinguere la voce verbale a margine da altri omofoni si presenti nel napoletano e di cui parlerò successivamente qui di sèguito illustrando questa frase ad uso didascalico : Si si tu ‘o si’ prevete ca ce a beneditto quanno dicettemo ‘e si, pecche mo te ll’annieje? Letteramente Se sei tu il signor prete che ci à benedetti quando dicemmo di sí (quando sposammo) perché ora lo neghi? Questa frasetta c non à alcun recondito significato traslato e/o nascosto e la riporto solo per illustrare alcuni vocaboli partenopei tra i quali ben quattro differenti SI che avendo ognuno un ben preciso, differente significato necessitano di quattro diverse scritture che indichino d’acchito e precisamente la diversa funzione grammaticale dei quattro omofoni si. Cominciamo: il primo Si scritto senza alcun segno diacritico (accento o apostrofo) corrisponde all’italiano se nei significati e funzioni che seguono: 1) posto che, ammesso che (con valore condizionale; introduce la protasi, cioè la subordinata condizionale, di un periodo ipotetico): si se mette a pparlà,nun ‘a fernesce cchiú; si i’ fosse a tte ,me ne jesse a ffà ‘na scampagnata ; si tu avisse sturiato ‘e cchiú ,fusse o sarriste stato prumosso; si fosse dipeso ‘a me, mo nun ce truvarriamo o truvassemo a chistu punto; si fusse stato cchiú accorto , non te fusse o sarriste truvato dinto a ‘sta situazziona (o pop.: si ire cchiú accorto , non te truvave dinto a ‘sta situazziona ) | in espressioni enfatiche, in frasi incidentali che attenuano un'affermazione o in espressioni di cortesia: ca me venesse ‘na cosa si nun è overo!; pure tu, si vulimmo sî ‘nu poco troppo traseticcio; si nun ve dispiace, vulesse ‘nu bicchiere ‘e vino; pecché, si è llecito,aggio ‘a jirce semp’i’? | può essere rafforzata da avverbi o locuzioni avverbiali: si pe ccaso cagne idea, famme ‘o ssapé; si ‘mmece nun è propeto pussibbile, facimmo ‘e n’ata manera | in alcune espressioni enfatiche e nell'uso fam. l'apodosi è spesso sottintesa: ma si non capisce ‘o riesto ‘e niente!; si vedisse comme è crisciuto!; se sapessi!; se ti prendo...!; e se provassimo di nuovo...? | si maje, nel caso che: si maje venisse, chiàmmame; anche, col valore di tutt'al piú: simmo nuje, si maje, ca avimmo bisogno ‘e te; 2) fosse che, avvenisse che (con valore desiderativo): si vincesse â lotteria!; si putesse turnarmene â casa mia!; si ll’ avesse saputo primma! 3) dato che, dal momento che (con valore causale): si ne sî proprio sicuro, te crero; si ‘o ssapeva, pecché nun ce ll’ à ditto? 4) con valore concessivo nelle loc. cong. se anche, se pure: si pure se pentesse, ormaje è troppo tarde; si anche à sbagliato, no ppe cchesto ‘o cundanno 5) preceduto da come, introduce una proposizione comparativa ipotetica: aggisce comme si nun te ne ‘mportasse niente; me guardava comme si nun avesse capito; comme si nun si sapesse chi è! 6) introduce proposizioni dubitative e interrogative indirette: me dimanno si è ‘na bbona idea; nun sapeva si avarria o avesse fernuto pe ttiempo; nun saccio che cosa fà, si partí o restà; s’addimannava si nun se fosse pe ccaso sbagliato | si è overo?, si tengo pacienza?, sottintendendo 'mi chiedi', 'mi domandi' ecc. Rammento che questa congiunzione si napoletana non viene mai usata come sost. m. invar. come invece capita con il corrispettivo se dell’italiano. Andiamo oltre : si’ è l’apocope di si(gnore) e pertanto esige il segno diacritico dell’apostrofo finale; viene usato per solito davanti ad un sostantivo comune o davanti a nome proprio di persona (ad es.: ‘o si’ prevete= il signor prete, ‘o si’ Giuanne = il signor Giovanni.) L’etimo del lemma signore da cui l’apocope a margine si’ è dal francese seigneur forgiato sul latino seniore(m) comparativo di senex=vecchio,anziano. Ricordo che càpita spesso che sulla bocca del popolino, meno conscio o attento del/al proprio idioma, (la qual cosa non fa meraviglia)ma – inopinatamente – pure sulle labbra e sulla punta della penna di taluni pur grandi e grandissimi autori partenopei accreditati d’essere esperti e/o studiosi della parlata napoletana la voce a margine è resa con la trasformazione del corretto si’ (che è di per sé – come ò sottolineato - è l’apocope di si(gnore) ) con uno scorretto zi’ (zio) apocope appunto di zio che è dal lat. thiu(m). Proseguiamo dicendo che sî corrispondente all’italiano sei voce verbale (2ª p.sg. indicativo pres.) dell’infinito essere dal lat. esse la forma sî forse derivata etimologicamente dal lat. si(s) esige un segno diacritico (accento circonflesso) non etimologica per distinguere la voce verbale a margine, come abbiamo visto, da altri omofoni si presenti nel napoletano e di cui parlerò successivamente; --sí avverbio affermativo derivato dal lat. sic 'cosí', forma abbr. della loc. sic est 'cosí è' 1 si usa nelle risposte come equivalente di un'intera frase affermativa (può essere ripetuto o rafforzato): "Hê capito?" "Sí"; "Venarranno pure lloro?" "Sí"; anche, "Sí, sí", "Sí certo", "Sí overamente!", "Ma sí!" | facette segno ‘e sí, annuire ' dicere ‘e sí, acconsentire ' risponnere ‘e sí, affermativamente ' paré, sperà, credere ecc. ‘e sí, che sia cosí ' si è ssí, in caso affermativo: si è ssí, te telefono/' sí, dimane, (fam. iron.) no, assolutamente no 2 spesso contrapposto a no: dimme sí o no!; ‘nu juorno íí e uno no, a giorni alterni ' sí e no, a malapena, quasi ' te muove sí o no?, esprimendo impazienza ' cchiú sí ca no, probabilmente sí 3 con valore di davvero, in espressioni enfatiche: chesta sí ch’ è bbella!; chesta sí che è ‘na nuvità! come s.vo 1 risposta affermativa, positiva: m’ aspettavo ‘nu sí; risponnere cu ‘nu bbelul sí; ‘e spuse ànno ggià ditto sí; stare tra ‘o sí e ‘o no, essere incerto; 2 pl. voti favorevoli: se so’ avuti tre ssí e quattro no || Usato come agg. invar. (fam.) positivo, favorevole: ‘na jurnata sí. bbella e bbona agg.vi f.li = bella ed appetibile; bbella è il femm. di bello che è dal tardo lat. bellu(m) 'carino', in origine dim. di bonus 'buono' ed à il consueto significato attribuito a ciò che è dotato di bellezza o che suscita ammirazione, piacere estetico; mentre bbona (femm. di buono) nel significato a margine non vale conforme al bene; onesta, moralmente positiva, che à mitezza di cuore, mansueta, bonaria e non vale neppure abile, capace; oppure détto di cosa: utile, efficace, efficiente ma - pur mantenendo l’etimo dal lat. *bonam=buona – questa voce per solito sta per piacente, appetibile, che risveglia i sensi; da rammentare poi che in napoletano esiste un’espressione formata apparentemente da due agg.vi m.li, ma chè è invece un’espressione avverbiale temporale; l’espressione è bbello e bbuono che non si riferisce a persona o cosa di genere maschile, esteticamente gradevole o moralmente positiva, ma è, come ò anticipato un’ espressione avverbiale con valenza temporale e sta per all’improvviso con riferimento ad una situazione che da positiva (bella e buona) che era si sia mutata d’improvviso, senza che niente lo lasciasse presagire, in maniera negativa es.: bbello e bbuono s’è miso a chiovere spicula s.vo f.le = spigola, pesce di mare piuttosto grosso, vorace e velocissimo, dal corpo allungato di colore grigio argenteo e dalle carni pregiate; noto alibi in Italia anche con il nome di branzino; etimologicamente voce dal lat. spica 'punta', per via delle spine presenti sulle pinne dorsali; spica è addizionata del suff. diminutivo lat. olus/ola→ulo/ula. s’ ammuccaje verbale (3ª pers. sg. pass. rem.) dell’infinito riflessivo ammuccarse=imboccarsi, mangiare,divorare, mettersi in bocca (da un lat.parlato *ad+muccare→ammuccare con ass. regressiva; ). sardella s.vo f.le sardina, piccolo pesce marino di colore azzurro argenteo che vive in banchi; si consuma fresco o conservato sott'olio; la voce a margine è il diminutivo (suff. ella) di sarda che è dal lat. sarda(m) 26. CACARELLA SENZA FREVA, VIATO A CCHI ‘A TENE Ad litteram: Beato chi soffra di diarrea senza che sia accompagnata da febbre. Antica espressione ancóra in uso, di complessa spiegazione. Per venire a capo di questa locuzione e superare la pedissequa interpretazione letteraria che sottende l’autentico significato, bisogna por mente súbito ad alcune cose: a) la diarrea se accompagnata da febbre è sintomo di grave infezione intestinale e può essere prodromica di malattie ben piú gravi: tifo, colera etc.;b) un’improvvisa, ma breve diarrea non accompagnata da febbre, specie nei bambini, è procurata spesso da un grave spavento; c) in napoletano il s.vo cacarella è da intendersia sia come diarrea che ( figuratamente e piú spesso) come spavento che della diarrea è ritenuto esser causa; d) in napoletano il s.vo freva è da intendersi sia come febbre, ipotermia che come brama, passione, smania, collera , stizza, indignazione Tanto premesso, l’espressione è da intendersi o nel senso di Beato chi pur spaventato e perciò colpito da transitoria cacaiola non sia febbricitante perché non colpito da ben piú gravi malattie che non un semplice spavento; o anche Beato chi pure spaventato o impaurito non abbia atteggiamenti di smania,collera, stizza, indignazione. viato/a agg.vo m.le o f.le = beato, gioioso, felice, appagato, tranquillo, lieto, sereno, contento; voce che è part. pass. del lat. beare con normale alternanza b→v (cfr. bucca(m)→vocca – barca(m)→varca – bibere→vevere etc.) cacarella s.vo f.le (in primis) cacherella, diarrea, emissione di feci liquide o semiliquide. (figurate) spavento, paura; voce deverbale del lat. cacare senza prep. 1 indica mancanza, esclusione, privazione; 2 seguita da un infinito o da che e il verbo al congiunt., introduce una proposizione con valore modale: ascette senza pavà(uscí senza pagare) voce dal lat. absentia→(ab)sentia→senza, che all'ablativo significa 'in mancanza di'; freva s.vo f.le (in primis) febbre, piressia, ipertermia, temperatura; (figurate) brama, passione, smania,collera, stizza, indignazione; voce lettura metatetica del lat. febre( m)→frebe(m)→freva con normale alternanza b→v. 27.ÂMMO FATTO ZIMMARE E CRAPETTE UNA ‘MBULLETTA Ad litteram: Abbiamo sommato in un’unica fattura (i prezzi) di agnelloni e capretti. Id est: Abbiamo operato una colpevole confusione di qualità e/o meriti. Antichissima, ma ancóra usatissima espressione pronunciata con risentimento da superiori e rivolta ad inferiori che nel loro espletamento dei compiti loro assegnati operino, per disattenzione, incompetenza e/o cattiva volontà, confusioni sesquipedali producendo spesso gravi danni a gli utili attesi e non ottenuti per scambi, errori, sbaglî loro imputabili. âmmo fatto/îmmo fatto/avimmo fatto voce verbale (1ª pers. pl. pass. pross. dell’infinito fà, formata con l’indicativo del verbo avere ed il part. pass. di fà) ; da notare che l’ausiliare avere coniugato alla1ª pers. pl. in una triplice morfologia avimmo/ âmmo/îmmo (di cui la seconda e terza âmmo/îmmo sono crasi della prima avimmo) non dev’essere inteso come indicante una compartecipazione all’azione espressa dal verbo fare, ma va inteso come voce impersonale atteso che i superiori sulla cui bocca vive l’espressione in esame e da loro rivolta quale rampogna a gli inferiori, non intendono esser ritenuti corresponsabili della colpevole confusione di qualità e/o meriti da addebitare esclusivamente ai loro inferiori che ànno operato scambi, errori,e/o sbaglî . zímmare s.vo m.le pl. di zímmaro = (in primis)1maschio della pecora, agnellone, capro,becco; (figurate, alibi) 2 persona rozza, villana, scorbutica; voce etimologicamente dal greco khímaros con raddoppiamento della consonante nasale bilabiale (m) propiziato dal tipo di parola sdrucciolo; rammento che in napoletano in senso dispregiativo nei medesimi significati indicati sub 1 s’usa la voce curdisco s.vo m.le = maschio della pecora, agnellone, capro,becco che abbia superato l’anno di vita, agnello dalla carne meno tenera in quanto nato dopo la Pasqua dell’anno precedente; voce dal lat. cordus = nato in ritardo con l’aggiunta della voce pleonastica isco, lettura metatica di hircus→(h)iscu(r)→isco = capro, caprone. crapette s.vo m.le pl. di crapetto = capretto,piccolo della capra dalla carne morbida e di sapore delicato ancorché sui generis; la carne del capretto macellato prima che compia l’anno di vita, è usata in alternativa alla carne di agnello (zímmaro o curdisco) nella cucina tipica delle festività pasquali; la voce crapetto etimologicamente è una lettura metatetica del lat. capr(am) con l’aggiunta del suffisso diminutivo etto. mbulletta s.vo f.le bolletta, fattura, scontrino, polizza, contrassegno, contromarca voce etimologicamente dal lat. bŭlla che in età tarda assunse anche il sign. di «sigillo» con l’aggiunta del suffisso diminutivo etta f.le di etto, suffisso che altera in senso diminutivo, e spesso vezzeggiativo, sostantivi o aggettivi;la voce a margine è addizionata in posizione protetica di una n eufonica che non necessita di segno diacritico d’aferesi , non essendo un residuo di un in illativo che invece risolve in una n aferizzata: in →(i)n→’n (cfr. nc’è per c’è, mente in caso→’ncaso); nella fattispecie in esame la n eufonica protetica di un vocabolo che inizia con una consonante occlusiva bilabiale sonora (b) o sorda (p) si muta in m (cfr. in→(i)n→’n +braccio→’mbraccio - in→(i)n→’n +paraviso→’mparaviso etc.) 28.AITà, SCIóSCIAME ‘MMOCCA CA ‘A PATANA ME COCE! Letteralmente: Gaetano!Soffiami nella bocca ché la patata mi scotta!Détto sarcasticamente soprattutto di donna inetta e svogliata ed incapace di qualsiasi attività che invoca l’aiuto anche in situazioni irrilevanti; nella fattispecie, un’ anonima donna incapace, buona a nulla. invoca l’aiuto del suo uomo (Aitano cioè Gaetano) affinché la soccorra soffiandole in bocca per impedire che il cibo da lei assunto, ma ancóra troppo caldo (patata) le ustioni la bocca! Va da sé che la medesima locuzione la si possa attagliare con maggior ironia, irrisione, scherno, ludibrio, dileggio e/o pesante sarcasmo ad adulto o ragazzo di sesso maschile che ugualmente si mostri incapace, inetto, inabile, dappoco, maldestro, pasticcione, disadatto, inesperto. Aità vocativo del nome proprio Aitano,che è sistemazione nel napoletano di Gaetano→(G)aetano→Aitano→Aita(no)→Aità; l’apocope è resa graficamente con l’accento Aità piuttosto che con il segno d’apocope(‘)Aita’ per mantenere l’accento tonico della parola ed evitare un’erronea lettura Aíta’; Non meravigli la scelta del nome Gaetàno; il popolo napoletano nel cui àmbito nacque l’espressione fu ed ancóra è molto devoto di San Gaetàno da Thiene, notissimo sacerdote che operò in Napoli nella seconda metà del 1500 ; nato a Vicenza dalla nobile famiglia dei Thiene nel 1480, fu battezzato con il nome di Gaetàno, in ricordo di un suo celebre zio, il quale si chiamava cosí perché era nato a Gaeta.Protontario apostolico di Giulio II, lasciò sotto Leone X la corte pontificia maturando, specie nell'Oratorio del Divino Amore, l'esperienza congiunta di preghiera e di servizio ai poveri e agli esclusi. Fu restauratore della vita sacerdotale e religiosa, ispirata al modello della Chiesa apostolica. ed al discorso della montagna (un sermone di Gesú ai suoi discepoli e ad una grande folla riportato nel Vangelo secondo Matteo 5,1-7,28. Tradizionalmente si pensa che Gesú abbia rivolto questo discorso su una montagna al nord del mar di Galilea, vicino a Cafarnao. Tale discorso della montagna sè una specie di commentario al tema dei dieci comandamenti. e per molti pensatori, tra i quali Lev Tolstoj(Jasnaja Poljana, 28 agosto 1828 –† Astapovo, 20 novembre 1910), ]Martin Luther King(Atlanta, 15 gennaio 1929 – †Memphis, 4 aprile 1968) ed il Mahatma Gandhi(Porbandar, 2 ottobre 1869 –† Nuova Delhi, 30 gennaio 1948), questo discorso contiene i principali valori della fede cristiana. Devoto del presepe e della passione del Signore, fondò (1524) con Gian Pietro Carafa (Capriglia/Sant’Angelo della Scala AV1476 -†Roma 1559), vescovo di Chieti (Teate), poi Paolo IV (1555-1559), i Chierici Regolari Teatini per il rinnovamento della Chiesa, rimettendo ai suoi discepoli il dovere di osservare l’antico stile di vita degli Apostoli. Per la sua illimitata fiducia in Dio è venerato come il santo della provvidenza. A Napoli, dove è ancóra molto venerato si dedicò a pie opere di carità, in particolare adoperandosi per i malati incurabili, promosse associazioni per la formazione religiosa dei laici. sciosciame = soffiami voce verbale formata da scioscia (2ªpers. sg.imperativo, ma alibi anche ind. pres.)dell’infinito sciuscià= soffiare con agglutinazione in posizione enclitica della voce pronominale me per mi= a me; sciuscià= soffiare etimologicamente è dal lat. sufflare→suflare→sciusciare con normale palatizzazione (sci) della s seguita da vocale e normale evoluzione del gruppo lat. fl in sci (cfr. flos→sciore – flumen→sciummo – flacces→scioccele etc.); ‘mmocca = in bocca; la voce a margine è formata da un in illativo protetico del lat. bucca(m); questo il percoso: in+bucca(m)→ (i)n+bocca(m)→’nbocca(m) poi ‘mbocca (perché è normale il passaggio della n a m davanti a parole che principiano per consonante occlusiva bilabiale sonora o sorda (b o p)ed infine ‘mmocca per assimilazione progressiva; ca congiunzione che corrisponde all’italiano che 1) introduce prop. dichiarative (soggettive e oggettive) con il v. all’ind. o talvolta al congiunt..: se dice ca è partuto; fosse ora ca te decidisse; nun penzo ca chillo vene; te dico ca nun è overo; è inutile ca tu liegge chillu cartello, manco ‘o capisce... | può essere omesso quando il v. è al congiunt.: spero fosse accussí | con valore enfatico: nun è ca sta malato, pe ccerto è assaje stanco; è ca ‘e juorne nun passano maje!; forze ca nun ‘o sapive? 2) introduce prop. consecutive, con il v. all'indic. o al congiunt. (spesso in correlazione con accussí, tanto, talmente, tale ecc.): cammina ca pare ‘nu ‘mbriaco; parla pe mmodo ca te putesse capí; era talmente emozzionato ca nun riusciva a pparlà; stevo accussí stanco ca m’addurmette súbbeto; | entra nella formazione di locuzioni, come ô punto ca, pe mmodo ca etc : continuaje a bevere pe mmodo ca se ‘mbriacaje; 3) introduce prop. causali con il v. all'indic. o al congiunt.: cummògliate ca fa friddo; nun è ca m’’a vulesse scapputtà 4) introduce prop. finali con il v. all’indicativo o al congiunt.: fa' ca tutto prucede bbuono! ; se stevano accorte ca nun se facesse male; 5) introduce prop. temporali con il v. all'indic., nelle quali à valore di quando, da quando: te ‘ncuntraje ca era ggià miezojuorno; aspetto ca isso parte; sarranno dduje mesi ca nun ‘o veco | entra nella formazione di numerose loc. cong., come ‘na volta ca, doppo ca, primma ca, ògne vvota ca, d’’o juorno ca,: ll’hê ‘a farlo, primma ca è troppo tarde; ògne vvota ca ‘a ‘ncontro me saluta sempe; 6) introduce prop. comparative: tutto è fernuto primma ca nun sperasse 7) introduce prop. condizionali con il v. al congiunt., in loc. come posto ca,datosi ca, ‘ncaso ca, a ppatto ca, nell'ipotesi ca ecc.: posto ca avesse tutte ‘e ragioni, nun s’aveva ‘acumportarse comme à fatto!; t’’o ffaccio, ‘ncaso ca t’’o mierete;datosi ca hê ‘a partí, te ‘mpresto ‘sta balicia; 8) introduce prop. eccettuative (in espressioni negative, correlata con ato, ati, ‘e n’ata manera, per lo piú sottintesi): non fa (ato) ca dicere fessaríe ; nun aggio potuto (altro) ca dicere ‘e sí!; nun putarria cumpurtarme (‘e n’ata manera) ca accussí | entra a far parte delle loc. cong. tranne ca, salvo ca, a meno ca, senza ca: tutto faciarria o facesse, tranne ca darle raggione; vengo a truvarte, a meno ca tu nun staje ggià ‘nampagna; è partuto senza ca nesciuno ne fosse ‘nfurmato; 9) introduce prop. imperative e ottative con il v. al congiunt.: ca nisciuno trasesse!; ca ‘o Cielo t’aonna! Dio ; ca ‘stu sparpetuo fernesse ampressa; 10) introduce prop. limitative con il v. al congiunt., con il valore di 'per quanto': ca i’ sapesse non à telefonato nisciuno; 11) con valore coordinativo in espressioni correlative sia ca... sia ca; o ca... o ca: sia ca te piace sia ca nun te piace,stasera avimm’’a ascí ;i’ parto o ca chiove o ca nun chiove...; 12) introduce il secondo termine di paragone nei comparativi di maggioranza e di minoranza, in alternativa a di (‘e) (ma è obbligatorio quando il paragone si fa tra due agg., tra due part., tra due inf., tra due s. o pron. preceduti da prep.): Firenze è meno antica ca (o ‘e) Roma; sto’ cchiú arrepusato oje ca (o ‘e) ajere;tu sî cchiú sturiuso ca ‘nteliggente;; è cchiú difficile fà ca dicere; à scritto meglio dinto a ‘sta lettera ca dinto a cchella d’’o mese passato | (fam.) in correlazione con tanto, in luogo di quanto, nei comparativi di eguaglianza: la cosa riguarda tanto a mme ca a vvuje | in espressioni che ànno valore di superl.: songo cchiú ca certo; songo cchiú ccerto ca maje; 13) entra nella formazione di numerose cong. composte e loc. congiuntive: affinché, benché, cosicché, perché, poiché; sempe ca, in quanto ca, nonostante ca, pe mmodo ca e sim. L’etimo di questa congiunzione di cui forse ò già detto, ma nel dubbio ribadisco è dal lat. quia→q(ui)a→qa→ca sub che come mi pare d’aver forse parlato del pronome ca = che à il medesimo etimo del ca cong. ; rammento e preciso che la cong. a margine non va confuso con l’avv. di luogo cca (qua, qui) --cca avv = qui, in. questo luogo; vale l’italiano qua; etimologicamente dal lat. (ec)cu(m) hac; da notare che nell’idioma napoletano (cosí come avviene in italiano per il qua corrispettivo) l’avverbio a margine va scritto sempre senza alcun segno diacritico trattandosi di monosillabo che non ingenera confusione con altri; in lingua napoletana, come abbiamo visto , esistono , per vero, una cong. ed un pronome ca = (che), congiunzione e pronome che però si rendono ambedue con la c iniziale scempia, laddove l’avverbio a margine è scritto sempre con la c iniziale geminata ( cca) e basta ciò ad evitar confusione tra i due monosillabi e non necessita accentare l’avverbio, cosa che – invece – purtroppo capita di vedere negli scritti di taluni sedicenti, , ma pure affermati scrittori partenopei, dei quali qualcuno addirittura usa scrivere l’avverbio a margine cca’con un pleonastico segno (‘) d’apocope atteso che non v’è alcuna sillaba finale che sia caduta e che vada segnata con il segno diacritico ! Come per il sí ed il no anche questo avverbio a margine nell’eloquio familiare soprattutto delle parlate provinciali dei paesi rivieraschi e/o dell’entroterra (dove – mi ripeto! - il napoletano viene usato con un colpevole imbarbarimento locale) diventa, in prosa, patentemente bisillabo per la paragoge di un ne con valore rafforzativo, paragoge che trasforma il cca in uno strano ccane ed addirittura nel napoletano d’uso corrente in ambito cittadino talvolta il monosillabo cca si trasforma in un rafforzato bissillabo ccanno nelle tipiche espressioni ‘a ‘í ccanno= vedila qua, proprio qua -, ‘o ‘í ccanno= vedilo qua, proprio qua - ‘e vví ccanno= vedili qua, proprio qua; -- lla/(llà) avverbio di luogo corrispondente all’italiano là 1) in quel luogo (indica un luogo genericamente lontano da chi parla e da chi ascolta): puosalo lla; sta senz'altro lla ; venimmo nuje lla ; nun sta cchiú lla, va’ lla | talvolta si unisce a gli agg.vi o pron. chillo/u – chellu - chella o ad un sostantivo preceduto dai medesimi aggettivi , per determinare meglio la posizione di una persona o di una cosa: chillu guaglione lla; chillu libro lla; damme chellu ppane lla; piglia chella cosa lla; 2) con valore rafforzativo o enfatico: siente lla che casino! | chi è lla?, chi va lla?, fermo lla, usati da chi è di guardia o in ispezione ' arri lla (in questo caso però piú spesso il lla si semplifica in a per cui si à arri,a! !, per incitare bestie da soma o da tiro; 3) unito a un avverbio o a una determinazione di luogo: lla dinto; lla fora; lla attuorno; lla ssotto; lla’ncoppa; lla ‘ncopp’ a chella seggia; lla dint’ â casa; lla addó m’hê ditto | ‘a lla, da quel luogo: è partuto‘a lla ajeressera; curre‘a lla a cca ; pe gghí ‘a lla nfino â cimma nc'è vo’ n'ora bbona ‘e scarpinetto; | essere ‘a lla essere cchiú ‘a lla ca a cca, essere vicino a morire; ‘o spitale è assaje cchiú a lla; essere 4) in correlazione con qua e qui, per indicare luogo indeterminato: jí (andare) ‘nu poco cca, ‘nu poco lla; correre ‘a cca e’a lla;qui e là cca e lla; guardà cca e lla. L’ etimologia di questo avverbio di luogo, cosí come per il là dell’italiano è dal lat. (i)lla(c); in italiano si è stati costretti ad accentare l’avverbio per evitarne la confusione con il la art. determ. femm. sg;in napoletano invece non vi è altro monosillabo la con cui l’avverbio a margine ingeneri confusione, per cui in napoletano non v’à ragione per accentare questo la avverbio come invece purtroppo fanno tutti gli autori partenopei buoni o meno buoni che siano che si lasciano frastornare dal là accentato della lingua italiana e dimenticano che i segni diacritici vanno usati per marcare differenze di voci omofone, ma appartenenti al medesimo àmbito linguistico! Per cui l’avverbio di luogo la in napoletano va reso senza alcun accento, ma con la geminazione della consonante (che del resto ripete la doppia l etimologica e soddisfa l’attento udito partenopeo che avverte l’avverbio a margine con il suono forte d’avvio; e dunque lla e non llà con un inutile, pletorico accento che fa corona sulla a e tantomeno lla’ come qualche sedicente autore partenopeo à avuto il pessimo gusto di fare), non esistendo alcuna sillaba apocopata nell’ illac di partenza ed al solito la caduta di una consonante non può comportare segno diacritico! patana s.vo f.le = patata, noto tubero edule rammento che in napoletano per traslato furbesco la voce a margine è uno dei numerosi sinonimi della vulva e ciò perché la patata è preso semanticamente a riferimento poiché come essa vive nascosta e protetta sottoterra, alla stessa stregua s’usa tener nascosta e protetta la vulva femminile, che di suo è già posta anatomicamente in posizione riservata; l’etimo della voce a margine è per adattamento dallo sp. patata, sorto dall'incrocio di papa (di orig. quechua) con batata (di orig. haitiana); coce = scottavoce verbale (3ª pers. sg.ind.pr.)dell’infinito còcere=cuocere,scottare, bruciare còcere è dal lat. volg. *cocere, per il class. coquere. 29.ADDó CECA E ADDó FOCA Letteralmente : Dove acceca e dove strangola! Détto sarcasticamente di chi arrogante e presuntuoso, tracotante, protervo, ma vigliacco e pusillanime inceda dandosi le arie di prepotente, con atteggiamento insolente, impudente, sfrontato e teoricamente minaccioso, dando ad intendere di volere usar violenza chi accecando e chi strangolando. addó = avverbio di luogo e cong. usato in primis in proposizioni interrogative, ma anche in relative etc., 1 in quale luogo (in prop. interrogative dirette e indirette, e talora in prop. esclamative): addó vaje?(dove vai?); addó s’è ‘mpurtusato?(dove si è cacciato?); chi sa’ addó sta a chest’ora!(chissà dove sarà a quest'ora!); dimme addó staje ‘e casa(dimmi dove abiti);sta ‘e casa nun saccio addó( abita non so dove) | di, da dove, di, da quale luogo: ‘e addó sî?(di dove sei?); 2 nel luogo in cui (in prop. relative): stongo ‘e casa addó tu stive ‘e casa ‘na vota(abito dove tu abitavi un tempo); rieste addó staje!(resta dove sei!); jate addó ve pare e ppiace(andate dove vi pare ed aggrada); 3 il luogo in cui (in prop. relative): ‘o vvi’ cca addó ce simmo ‘ncuntrate(ecco dove ci siamo incontrati); cca è addó è succieso ‘o ‘mpiccio(qui è dove è accaduto l'incidente) | 4 preceduto da un sostantivo equivale a in cui, nel quale, nella quale ecc.: ‘a pultrona addó t’assiette solitamente(la poltrona dove siedi di solito); ‘a casa addó sta ‘e casa(la casa dove abita); ‘o paese addó stammo jenno(il paese dove siamo diretti); ripigliammo dô punto addó ero rummaso(riprendiamo dal punto dove ero rimasto); 5 (lett.) seguito da ca equivale a dovunque, in qualunque luogo: addó ca vaje vaje(dove che tu vada vada); addó ca fosse(dove che fosse); come cong. (lett.) 1 nel caso che, qualora, ove (con valore ipotetico-condizionale): Addó po ca nun fosse overo chello ca avimmo ditto, cagnammo pruggetto(Nel caso che poi non fosse vero ciò che abbiamo détto, cambieremo il progetto)addó nun te piacesse ‘e vení cca, vengo i’ addu te!(qualora non ti picesse di venire qui, verrò io da te!); 2 mentre, laddove (con valore avversativo): ‘E guagliune tenevano ‘na speranza ‘e jí a mmare, addó ca ‘o pate aveva deciso n’ata cosa…(I ragazzi avevano una speranza di andare al mare, mentre il padre aveva deciso diversamente.) comes.vo m.le (raro) luogo: nun saccio né addó, né ‘o cquanno (non so né il dove né il quando); etimologicamente addó→addove è da un latino de ubi→du(bi) con successivo rafforzamento espressivo attraverso un ad del de/du d’avvio secondo il percorso de ubi→du(bi)→du→ad du→addu→addó; rammento altresí che esistono tre locuzioni prepositive locative che seguono (indicanti rispettivamente provenienza, moto da luogo, moto per luogo) ; esse non sono costruite con addó, ma son costruite con l’avv.dove→ do’/ro’ e le preposizioni semplici ‘e←de (di), ‘a←da (da), pe (per), e sono: ‘e do’/’e ro’, ’a ro’, pe ddo’ di, da dove, per dove di, da quale luogo: ‘e ro’ site?(di dove siete?); ‘a ro’ me staje telefonanno?(da dove mi telefoni?); ‘a ro’ è trasuto(da (o di) dove sarà entrato?) ' per dove, per quale luogo: pe ddo’sî ppassato?( per dove sei passato?) | per dove, per il luogo per il quale: sî ppassato pe ddo’ so’ passato i’? (sei passato per dove sono passato io?). ceca = accecavoce verbale (3ª pers. sg.ind.pr.)dell’infinito cecà= accecare; cecà è un denominale del lat. caecu(m) foca = soffoca voce verbale (3ª pers. sg.ind.pr.)dell’infinito fucà= soffocare, strangolare,strozzare; fucà è dal lat. suffocare→(suf)focare→focare corradicale di faux faucis 'gola'; preciso che l’espressione a margine non va confusa con quella che recita 30.ADDó VEDE E ADDó CECA che ad litteram è Dove vede e dove acceca che à significato del tutto diverso dalla precedente ed è riferita all’ingiusto malevolo atteggiamento di taluni che mostrano di porre la giusta necessaria attenzione e serenità di giudizio verso alcuni avvenimenti e/o persona, mentre per una ingiustificata avversione, malevolenza, ostilità, insofferenza, intolleranza, repulsione verso altri avvenimenti e/o persone, mostrano di non volere usare la giusta attenzione e/o serenità di giudizio giungendo talora bocciatura e/o alla stroncatura di tali avvenimenti e/o persone.Piú chiaramente l’espressione in esame per solito viene riferita a caustico commento delle azioni di taluni individui proclivi ai facili entusiasmi e ad immotivate antipatie in forza dei quali esprimono giudizi e/o sentenze tali da o elevar agli onori degli altari i giudicati o, viceversa ridurli nella polvere. Il piú famoso a Napoli esponente storico di questa categoria di persone fu il filosofo don Benedetto Croce (Pescasseroli, 25 febbraio 1866 – †Napoli, 20 novembre 1952) di cui ancóra oggi si dice che dove vedeva e dove cecava e che, a mo’ d’esempio, se da un lato, elevò alla gloria Salvatore Di Giacomo (Napoli, 12 marzo 1860 – †Napoli, 4 aprile 1934), facendone, a suo dire (ed io dissento !), il massimo poeta partenopeo, d’altro canto, immotivatamente stroncò Ferdinando Russo (Napoli, 25 novembre 1866 – †Napoli, 30 gennaio 1927) (questo sí, a mio avviso il vero significativo poeta autenticamente napoletano !!), né mai rivide il suo pensiero malato di malevola partigianeria, che tanto piú è deleteria, quanto piú è altisonante il nome del soggetto da cui promana. vere/vede= vede voce verbale (3ª pers. sg.ind.pr.)dell’infinito veré/vedé= vedere ( dal lat. vidíre). 31.'A CARNA TOSTA E 'O CURTIELLO SCUGNATO Ad litteram: la carne dura ed il coltello senza taglio. Icastica locuzione che si usa a dolente commento di situazioni dove concorrano due o piú elementi negativi tali da prospettare un sicuro insuccesso delle operazioni intraprese. Nella fattispecie i due elementi negativi che concorrono al fiasco di ciò che s’è iniziato. Altrove per significare la medesima cosa s’usa l’espressione 32.‘A FUNICELLA CORTA E ‘O STRUMMOLO TIRITEPPE ovvero: si sono uniti, in un fallimentare connubio, una cordicella troppo corta per poter imprimere con forza la necessaria spinta al movimento rotatorio dello strummolo a sua volta scentrato o con la punta malamente inclinata tale da conferire un movimento non esatto per cui la trottolina s’inclina e si muove ballonzolando e producendo un suono del tipo tirití-tirité donde per onomatopea il napoletano tiriteppeto; carna s.vo f.le= carne (dal lat. carne(m)) ; tosta agg.vo f.le= dura, soda, resistente derivato del lat. tŏsta(m), part. pass.f.le di torríre 'disseccare, tostare' ma senza la tipica dittongazione partenopea della ŏ→uo che è nel maschile tuosto; curtiello s.vo m.le= coltello (dal lat.cultĕllu(m), dim. di culter 'coltello' con tipica dittongazione partenopea della ĕ→ie e rotacizzazione osco-mediterranea della l→r ; scugnato part. pass.agg.vato m.le= in primis trebbiato (détto di messi) poi con i denti rotti o mancanti (détto di persona) infine come nel ns. caso (détto con riferimento alla lama) privo o insufficiente di affilatura ; etimologicamente dal lat. ex-cuneare ; funicella s.vo f.le= piccola fune, spago etimologicamente diminutivo del lat. funi(s) con aggiunta del suff.ella f.le di ellosuffisso alterativo di sostantivi e aggettivi, con valore diminutivo e spesso vezzeggiativo ed epentesi del suono eufonico c; corta agg.vo f.le= corta, breve, insufficiente, di poca lunghezza o di lunghezza inferiore al normale (voce dal lat. curtu(m)/a(m) 'accorciato/a, troncato/a'); tiriteppe agg.vo m.le e f.le = scentrato/a, fuori asse come nella fattispecie la punta della trottolina; voce onomatopeica che riproduce il suono ballonzolante della trottolina scentrata. strummolo s.vo m.le trottolina lignea in forma di piccola pigna, con scanalature incise lungo tutta la superficie, disposte parallelamente dal fondo alla punta nella quale è infissa una punta metallica; per azionare la trottolina e farla prillare vorticosamente si arrotola strettamente sulla trottolina una cordicella, facendole seguire il percorso delle scanalature dalla base al vertice; si lancia verso terra la trottolina e si dà un deciso, rapido strappo alla cordicella che se è sufficientemente lunga riesce ad imprimere un duraturo moto rotatorio alla trottolina che se à la punta ben centrata e non inclinata rispetto all’asse della trottolina, regge il moto adeguatamente; nel caso invece che la punta metallica sia infissa in maniera scentrata rispetto l’asse maggiore della trottolina, quest’ultima prillerà in maniera non consona, traballando ed alla fine crollando miseramente in terra adagiandovisi e mettendo fine al movimento. la voce strummolo à un’etimologia greca derivando dritto per dritto dal greco strómbos trasmigrato nel latino strumbus con consueta assimilazione progressiva mb→mm per cui strumbus→ strummus da cui con l’aggiunta del suffisso diminutivo olus il napoletano à ricavato strummolo con il suo esatto significato di piccola trottola. 33. MEGLIO CURNUTO CA MALE SENTUTO !... Ad litteram : meglio (esser) cornuto che malamente inteso ! Icastica espressione nella quale correttamente il termine sentuto non va tradotto pedessiquamente sentito, udito [come fa qualcuno errando], ma va reso nel significato di capito, compreso ; solo cosí si può capire l’autentico spirito della locuzione che si può cogliere sulle risentite labbra di chi non essendo stato esattamente compreso nella/e sua/e enunciazione/i venga accreditato di pensieri diversi dal suo autentico reputare, ritenere, stimare, supporre e se ne adonti protestando. E giunto a questo punto mi pare d’avere adeguatamente commentate e chiosate le espressioni propostemi dall’amica M.P.F.,d’averla accontentata ed interessato forse qualcuno dei miei consueti ventiquattro lettori. Satis est. Raffaele Bracale (FINE)

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