sabato 5 gennaio 2013
IL VERBO DARE E LA SUA FRASEOLOGIA [revisione]
IL VERBO DARE E LA SUA FRASEOLOGIA [revisione]
Intendo questa volta illustrare (a beneficio dei miei consueti ventiquattro lettori e di chi altro si imbattesse in queste paginette e le trovasse, m’auguro, interessanti) un nutrito numero di espressioni costruite nell’idioma napoletano usando il verbo dare coniugato volta a volta all’infinito, in forma riflessiva o all’imperativo.
Comincio con il premettere che il verbo napoletano dare/dà (con etimo dal lat. dare) conserva nel napoletano i medesimi significati dell’omografo ed omofano italiano dare e cioè:
come verbo transitivo[aus. avé/avere]
1 trasferire da sé ad altri qualcosa che si possiede, si à, si conosce: dà ‘nu libbro, ‘nu pacco,’na ‘nfurmazzione, ‘na nutizzia (dare un libro, un pacco; dare un'informazione, una notizia) | in molte espressioni il sign. del verbo è precisato dal compl. oggetto: dà fuoco (dare fuoco), incendiare, accendere; dà acqua (dare acqua), spargerla, versarla, irrorarla; dà aria (dare aria), arieggiare; dà’na mana (dare una mano), aiutare; dà l'assembbio (dare l'esempio), impartirlo; dà curaggio (dare coraggio), incoraggiare; dà ‘a sferracchiata (dare l'assalto), assalire; dà ‘a stracciata (dare battaglia), cominciare a combattere; ; dà’nu sbuttulone( dare una spinta), spingere; dà ‘na festa, ‘nu tàffio(dare una festa, un pranzo), offrirli, organizzarli; dà ‘a sàmmena(dare gli esami), sostenerli; dà ‘a bbona notta, ‘o bongiorno(dare la buona notte, il buon giorno, augurarli; darse penziero(darsi pensiero), preoccuparsi; | in altri casi, che però fatta eccezione per le espressioni come dà pe ccerto, pe sicuro, pe bbuono(dare per certo, per sicuro, per buono), riconoscere tali; dà a ppenzà(dare da pensare), preoccupare; darse ‘a fà(darsi da fare), impegnarsi o brigare per raggiungere uno scopo; in altri casi, che sono solo dell’italiano, il sign. del verbo è precisato da un compl. indiretto, da un compl. predicativo o da una prop. infinitiva: dare in dono, regalare; dare in moglie, concedere la mano, far sposare; dare alla luce, partorire; dare a intendere qualcosa, farla credere; darsela a gambe, fuggire; negli esempi riportati il napoletano preferisce l’uso di forme verbali prive dell’ infinito dà : dare in dono = rijalà, dare in moglie = fà ‘mmaretà etc.
2 porgere: damme ‘o cappiello; damme ‘a mana (dammi il cappello; dare la mano), in segno di saluto
3 somministrare, propinare: dà ‘na mmericina(dare una medicina) | darse ‘a cipria, ‘o rrussetto(darsi la cipria, il rossetto), e sim.
4 affidare: dà ‘na cummissione a uno(dare un incarico a qualcuno;
5 assegnare: dare ‘nu punto, (dare un voto)
6 cedere: dà ‘o passo, ‘a strata(dare il passo, la strada), fare largo | conferire; aggiudicare: dà ‘nu premio(dare un premio)
7 concedere, accordare: dà ‘nu permesso(dare un permesso)
8 attribuire, riconoscere: dà ‘a córpa a uno(dare una colpa ad uno); dà raggione, tuorto(dare ragione, torto); dà valore a quaccosa(dare peso, importanza a qualcosa); quant’anne lle daje?(quanti anni gli dai?);
9 infliggere (pene, percosse): dà ‘nu fucuzzone, ‘na cundanna pesante (dare un pugno, una pesante condanna) | anche assol.: ce nn’aggiu date ‘nu tummolo e ‘na sporta (gliene ò date ad iosa)
10 arrecare, provocare:dà cuntiento, ‘mpiccio (dare gioia, fastidio); chellu ttuosseco po’ ddà ‘a morte(quel veleno può dare la morte)
11 (fam.) pagare: quanto ll’hê dato pe chella sciffuniera? quanto gli hai dato per quello stipo?; mme ddanno ‘nu melione ô mese(mi dànno un milione al mese)
12 (fam.) vendere: dà coccosa pe pochi sorde(dare qualcosa per pochi soldi)
13 rendere, fruttare; produrre: ‘na campagna ca dà pochi frutte, ‘na fatica ca nun dà assaje guaragno(una campagna che dà pochi frutti; un lavoro che non dà molto guadagno)
14 considerare, definire (in usi assol., solo al part. pass.):dàtese ‘e circustanze (date le circostanze); | dàtosi che (dato che), poiché; supposto, ammesso che | dato e nun cuncesso ca (dato e non concesso che), ammesso per ipotesi ma non di fatto che |||
come v. intr. [aus. avé/avere]
1 cogliere, colpire; urtare, imbattersi: dà ‘e ponta dinto a ‘nu zzarro e cadé(inciampare in un sasso e cadere) | in molte locuzioni assume significati particolari: dà ‘ncapa (dare alla testa), stordire; dà a ll’uocchie (dare nell'occhio), farsi notare; dà contro a quaccuno(dare contro a qualcuno), dargli torto; dà ‘o ttu, ‘o vvuje (dare del tu, del voi, rivolgersi a qualcuno usando la seconda persona sg. o pl.;
2 di case, finestre ecc., guardare, essere rivolto:’a casa dà dint’ô vico (la casa dà sul vicolo)
3 di colori, tendere: ‘sta tinta dà ‘ncopp’ô lluvardoquesta tinta dà sull’azzurro |||
darse v. rifl. [aus. essere]
1 applicarsi: darse ô sturio d’ ‘a canzone napulitana, ô cummercio (darsi allo studio della canzone napoletana, al commercio) ' abbandonarsi: darse a bbevere, ô juoco,â pazza joja(darsi al bere, al gioco, alla pazza gioia) | darse ô nemico(darsi al nemico), sottometterglisi | darse pe mmalato(darsi per malato), farsi credere tale
2 cominciare: darse a correre, a mangià (darsi a correre, a mangiare) |||
v. rifl. rec. scambiarsi: darse ‘nu vaso (darsi un bacio) |||
v. intr. pron.
1 esserci, presentarsi: nun s’è data nisciuna uccasione (non si è data alcuna occasione) | verificarsi, accadere: po’ darese ca isso vene cca(può darsi che egli venga qui); s’è ddato ‘o caso ca isso stesse cca si dà il caso che egli sia qui
2 (solo in italiano(fam.))darsela, battersela, svignarsela (dalla loc. darsela a gambe). Giunti a questo pounto e prima di affrontare la fraseologia mette conto ch’io faccia una precisazione che riguarda il dà = dà voce verbale (3ª p.s. indicativo pres.) o anche infinito (come nelle locuzioni che illustrerò qui di sèguito) del verbo dare/dà derivato, come ò già détto del lat. dare; è pur vero che in napoletano non esiste graficamente la preposizione da (che in napoletano è sempre ‘a= da) per cui non essendovi possibilità di confusione fra voci omofone la voce verbale 3ª p.s. indicativo pres. potrebbe anche scriversi tranquillamente da evitando un pleonastico accento sulla a (dà), ma per non essere accusato da qualche sprovveduto (ignaro che i raffronti occorre farli nell’ambito di una medesima lingua e non di idiomi diversi) dicevo per non essere accusato da qualche sprovveduto di non sapere che la3ª p.s. indicativo pres.del verbo dare esige l’accento (dà) preferisco nun mettere carne a ccocere (evitare polemiche) e pro bono pacis faccio una forzatura alle mie conoscenze e convinzioni linguistiche ed adeguo (sia pure con mio malgrado) il dà napoletano al dà dell’italiano, adeguamento che si rende necessario perché ad un piú attento seppure tardivo riesame mi è risultata la presenza nel napoletano della morfologia da e non solo ‘a per la preposizione semplice.
Diverso è il discorso per l’infinito dà (forma tronca dell’infinito dare). Comincerò con il precisare che il verbo dare il cui infinito nel napoletano è dà/ddà infinito che io, contrariamente a tutti gli altri cultori dell’idioma napoletano (che usano la grafia apocopata da’) preferisco rendere con la à accentata (dà/ddà ) per alcuni ben precisi motivi: che in napoletano (nelle forme troncate) siano essi monosillabi o plurisillabi son tutti accentati sull’ultima sillaba (cfr. ad es.fa(re)→fà – magna(re)→magnà – cammena(re)→cammenà –cade(re)→cadé - murire→murí etc.), 2) la grafia apocopata da’ si presta, a mio avviso,fuor del contesto ad esser confusa con la 2ª p.sg. dell’imperativo: da’= dai, come si presterebbe alla medesima confusione l’infinito apocopato fa’ di fare che potrebbe essere inteso, prescindendo dal contesto, come2ª p.sg. dell’imperativo: fa’= fai, A proposito di infiniti rammento che durante le mie numerose letture sulla parlata napoletana ed in genere sui dialetti centro meridionali, mi è capitato spesso, di imbattermi in taluni autori che, ritenendo di fare cosa esatta, usano il segno diacritico dell' apocope (') in luogo dell' accento tonico e non si rendono conto che solo l'accento tonico può appunto dare un tono alla parola,e può (solo!) indicarne graficamente l'esatta pronuncia; mi è capitato peraltro di imbattermi in altri maldestri autori ed addirittura compilatori di dizionari, che per tema di errore, abbondano in segni diacritici e sbagliano parimenti . In effetti nella parlata napoletana è un errore di ortografia accentare l'ultima vocale di certi infiniti ed aggiungervi anche un pleonastico apostrofo per indicare l'avvenuta apocope dell' ultima sillaba:
l'accento, inglobando in sé la doppia funzione, è piú che sufficiente alla bisogna; il segno dell'apostrofo in fin di parola si deve porre quando si voglia tagliare un termine mantenendone però il primitivo accento tonico.
Per esempio il verbo èssere può essere apocopato in èsse' che non andrà letto essè, ma èsse, come ancóra ad es. il verbo tégnere, può per particolari esigenze espressive o metriche essere apocopato in tégne’, mantenendo però il suo accento tonico e non diventando alla lettura: tegnè, mentre – sempre a mo’ d’esempio – l’infinito del verbo cadere va reso con la grafia cadé e non cade’ che si dovrebbe leggere càde’ e non cadé!
Parimenti la medesima cosa accade nel dialetto romanesco dove quasi tutti gli infiniti risultano apocopati e senza spostamento d’accento tonico per cui graficamente sono resi con il segno (‘) come ad es. càpita con il verbo vedere che in napoletano è reso con vedé ed in romanesco vede’ (che va letto: vede e non vedé.)È pur vero che, in napoletano, alcuni infiniti di verbi che, apocopati, risultano divenuti monosillabici, potrebbero esser scritti con il segno dell’apocope (‘) piuttosto che con l’accento in quanto che nei monosillabi l’accento tonico cade su quell’unica sillaba e non può cadere su altre (che non esistono) e perciò potremmo avere ad es.: per il verbo stare l’ apocopato: sta’ in luogo di stà , per l’infinito di fare l’ apocopato: fa’ invece di fà, per l’infinito di dare l’ apocopato: da’ invece di dà, ma personalmente reputo piú comodo come ò détto per mantenere una sorta di analogia di scrittura con gli infiniti di altri verbi mono o plurisillabici, accentare tutti gli infiniti apocopati ed usare stà e fà, dà in luogo dei pur corretti sta’ e fa’, da’ che valgono stare, fare,dare tenendo conto altresí che almeno nel caso di fa’ e da’ esso potrebbe essere inteso, ripeto, come voce degli imperativo (fai→fa’dai→da’), piuttosto che degli infiniti fare,dare cosa che invece non può capitare con il verbo stare il cui imperativo nel napoletano non è sta’, ma statte. Rammento che, normalmente occorre accentare sull’ultima sillaba tutte le voci verbali degli infiniti (per lo meno bisillabi) tronchi o apocopati (ess.: magnà, purtà, pusà, cadé, rummané etc.) per modo che si possa facilmente individuare la sillaba su cui poggiare il tono della parola, cosa che non avverrebbe se in luogo di accentare il verbo si procedesse ad apostrofarlo per indicarne l’apocope dell’ultima sillaba; in tal caso infatti non spostandosi l’accento tonico si altererebbe completamente la lettura del verbo; facciamo un esempio: il verbo spàrtere (dividere) che apocopato dell’ultima sillaba diventa spartí se in luogo dell’accento fosse scritto con il segno dell’apocope sparti’ dovrebbe leggersi col primitivo accento spàrti e non indicherebbe piú l’infinito, ma – forse - una scorretta forma della 2ª pers. sing. dell’ind. pres.che è sparte e non sparti. Premesso tutto ciò, a mio sommesso, ma deciso avviso ripeto che è opportuno – per una sorta di omogeneità - accentare sull’ultima sillaba tutti i verbi al modo infinito anche quelli monosillabici (ovviamente quando si tratti di autentici verbi presenti nel napoletano e non presi in prestito dall’italiano!, come impropriamente fa qualcuno che annovera tra gli infiniti del napoletano un inesistente dí contrabbandato per infinito apocopato del verbo dícere laddove è risaputo che il napoletano pretto e corretto usa sempre la forma dícere e mai, se non per rare licenze ed esigenze metriche poetiche, l’apocopato dí e chi lo facesse o avesse fatto, sbaglierebbe o si sarebbe sbagliato quand’anche si chiamasse Di Giacomo! ) ottenendosi perciò:
dà = dare( apocope del lat. dare) , fà = fare ( apocope del lat. facere) evitando di scrivere – come invece propone qualcuno – da’ o fa’ che potrebbero esser confusi con gli imperativi da’= daje o fa’= faje.
Brak
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