domenica 31 marzo 2013

STRANGULAPRIEVETE AI QUATTRO FORMAGGI

STRANGULAPRIEVETE AI QUATTRO FORMAGGI Ingredienti Per 6 persone 1 kg. Strangulaprievete freschi, per i quali occorrono: 1 kg. piú tre pugni di farina di grano duro, ¾ di litro d’acqua bollente, due cucchiaini di sale fino. 2 etti di ricotta di pecora stemperata, 50 gr. di di provolone (del monaco) dolce grattugiato grossolanamente 50 gr. di formaggio pecorino grattugiato, 50 gr. di provolone (del monaco) piccante grattugiato grossolanamente, ½ bicchiere d’olio d’oliva e.v. 1 bicchiere e mezzo di latte intero caldo, 1 una tazzina di cognac, pepe bianco macinato a fresco q.s., alcune foglie di basilico lavate asciugate e spezzettate a mano, 1 fetta (alta 1 cm.) di prosciutto cotto di circa 150 gr. tagliata dapprima in bastoncini di 5 x 1 cm. e poi in dadini di cm. 1 x 1. PROCEDIMENTO Cominciamo preparando gli strangulaprievete nel modo che segue: approntare un capace, ampio polsonetto ad un solo manico, riempirlo d’acqua (3/4 di litro per un kg. di farina di grano duro) e portarla ad ebollizione; fuori dal fuoco, ma quando la temperatura dell’acqua sia ancóra elevata, versare nell’acqua, a pioggia il chilo di farina ed il sale, rimestare velocissimamente, indi rovesciare d’un sol colpo su di un tagliere cosparso di due pugni farina asciutta l’impasto e cominciarlo a lavorare a mani nude molto velocemente(la cosa sarà favorita dal fatto che l’impasto risulterà bollente…) fino a che non abbia incorporato tutta la restante farina e non si sia ottenuto una palla di pasta soda ed elestica che si farà riposare per circa mezz’ora; indi si lavorerà ancóra un po’ la pasta ed aggiungendo un pugno di farina si ricaveranno dalla pasta dei bastoncelli cilindrici dello spessor d’un indice dai quali si taglieranno tanti cilindretti di circa 2 cm. d’altezza che verranno pigiati con i polpastrelli dell’indice e del medio ed incavati strusciandoli sul tagliere; alla fine si disporranno tutti questi strangulaprievete (gnocchi napoletani) distesi, ad asciugare, su di un canevaccio pulitissimo cosparso con pochissima farina. Dopo mezz’ora si porta ad ebollizione una pentola d’acqua fredda ed appena l’acqua bolle vi si versano, pochi per volta, gli strangulaprievete che vanno prelevati dalla pentola con un mestolo forato appena riaffiorino tornando a galla, e messi in una zuppiera cald dove verrano tenuti in caldo. A seguire, Ponete al fuoco una grossa padella con fondo antiaderente, versatevi l’olio e fatelo andare a temperatura; prelevate gli strangulaprievete tenuti in caldo e poneteli nell’olio bollente; rimestate alcuni minuti, poi bagnateli con un bicchiere di latte caldo ed il cognac, alzate il fuoco lasciando asciugare il latte ed evaporare il cognac; aumentate il fuoco ed aggiungete il provolone piccante e continuate a rimestare fino a che il formaggio sia sciolto e si attacchi a gli strangulaprievete a e non al fondo della padella, sempre continuando a rimestare aggiungete il provolone dolce e lasciate che si sciolga attaccandosi a gli strangulaprievete; abbassate il fuoco ed aggiungete la ricotta stemperata con mezzo bicchiere di latte caldo e continuate a rimestare accuratamente, ma delicatamente ; spegnete i fuochi, rimestate ancora ed aggiungete la dadolata di prosciutto cotto e le foglie di basilico spezzettate rigorosamente a mano;spolverizzate con il pecorino grattugiato ed impiattate caldissimo aggiungendo il pepe bianco macinato a fresco. - NOTA 1)Non si sa bene a quale regione attribuire la nascita degli strangulaprievete protagonisti di questa ricetta; se la contendono Puglia, Basilicata, Campania e Calabria In realtà questi piccoli gnocchi di farina di grano duro e acqua bollente, sale sono molto semplici, e son molto popolari in tutta l'Italia del Sud e vengono addirittura conditi a volte in modo spartano, solo con olio e aglio e peperoncino soffritti. In Puglia e Calabria spesso usano preparli con la rucola e le olive, in Basilicata con le cime di rapa. In Campania gli strangulaprievete vengono spesso conditi con il mitico ragú, o con il cosiddetto sugo finto (salsa di pomidoro senza carne) e cubetti di mozzarella o provola di bufala; la ricetta a margine non può comunque avere una precisa regione d’origine; nelle cucine regionali meridionali c’è una continua osmosi e/o contaminazione, ma i risultati son sempre ottimi! 2) Con il sostantivo strangulapriévete, nell’idioma napoletano, si designano degli gnocchi semplici, fatti in casa con acqua, farina e sale. È vero che sia nell’uso quotidiano che in certa letteratura deteriore ò trovato pure — per indicare la medesima pasta — il termine strangulamuónece, ma si tratta chiaramente di un vocabolo pretestuoso, teso a prendersi gioco dei monaci, oltre che dei sacerdoti richiamati a torto nel primo lemma. Nella storia della parola, in realtà, il clero non c’entra affatto, se non per una gustosa omofonia che vi risuona o, se si vuole prendere per buona una notizia suggestiva del fantasioso Nicola Vottiero(1780 ca) , il quale riferisce che strangulapriévete chiamavano nel Settecento gli gnocchi i monaci e strangulamuónece a rimbrotto i preti. Disdicevole è peraltro che, partendo da strangulapriévete, l’italiano mediatico abbia tratto fuori uno ‘strozzapreti’ da far venire i brividi all’ascolto o sobbalzar dalla poltrona. Vuoi vedere che aumme aumme e tenendomene all’oscuro son tornati tra di noi i lanzichenecchi?! È ben vero che tra gli studiosi dell’ idioma napoletano non è mancato, non so se per distrazione o per un eccesso di laicismo malinteso, chi accredita una semantica da serracollo, come per esempio fanno il D’Ascoli e il Santella, ma mi sto ancora chiedendo chi sia stato il primitivo ignorante che, non conoscendo l’etimologia della prima parte del termine strangula-priévete, à creduto di fare cosa intelligente (lasciandosi fuorviare dallo strangula d’avvio sostituendolo con ‘strozza’, (dal verbo strozzare, sinonimo in toscano di ‘strangolare’) e dimostrando, invece, d’essere un asino integrale. Cerchiamo d’esser seri. Il termine strangulapriévete, unico originale vocabolo che possa arrogarsi il diritto di significare gli gnocchi napoletani, viene da secoli lontani e nasce dalla lingua greca, tanto da far sospettare che tale preparazione sia d’origine se non greca, certamente delle zone della Magna Grecia Dall’impasto di acqua, farina e sale si ricavano, arrotolandoli sul tagliere cosparso di farina asciutta, dei bastoncelli a sezione cilindrica, spessi un centimetro, che vengono tagliati in piccoli cilindretti di un paio di centimetri ognuno. I cilindretti vengon poi incavati, facendoli strusciare sul tagliere e tenendoli premuti contro il medesimo col polpastrello o dell’indice o del medio. Questa doppia operazione dell’arrotolamento e della incavatura ci fa comprendere perché il verbo greco straggalào, con i significati di arrotolare, attorcere, curvare, ed il verbo prepto con quelli di comprimere, incavare, siano all’origine del termine napoletano strangulaprievete voce con cui designiamo i nostri gnocchi napoletani. Rammento che tali strangulaprievete greco-napoletani nella zona dell’avellinese prendono il nome di trille poi che l’operazione dell’incavatura è fatta contemporaneamente con i polpastrelli di tre dita: indice, medio ed anulare strusciando i cilindretti di pasta sul tagliere cosparso di farina, quel tagliere che in napoletano è détto laganaturo e nell’avellinese tumpagno. Piú chiaramente dirò che per il tagliere, i napoletani usano il generico termine di laganaturo (che deriva , come il sostantivo femminile lagana = sorta di larga fettuccina di pasta fresca ed estensivamente anche la intera sfoglia di pasta fresca da cui si ricavano le lagane o laganelle se piú strette, su cui è forgiato - con il concorso di un suffisso turo (atto a, per) - dal greco làganon ma che i napoletani utilizzarono attraverso un neutro latinizzato lagana inteso femminile; per verità con il termine laganaturo a Napoli si indicò ( ed ecco il motivo per cui l’ò detto: generico) alternativamente sia il tagliere, che il bastone cilindrico con cui si spiana la pasta per cavarne le lagane; tale bastone fu ed è quello che in toscano dovrebbe correttamente dirsi matterello (diminutivo di màttero che è da congiungersi al latino matéola= mazza, bastone), ma che qualcuno e segnatamente chi parla dalla televisione..., si ostina a dire, impropriamente, con voce romanesca mattarello. Atteso dunque che sia il tagliere che il matterello sono due strumenti utili alla produzione delle lagane, poco male che avessero il medesimo nome. Quanto al tagliere dell’avellinese dirò à il nome di tumpagno ed è, contrariamente al tagliere napoletano che è rettangolare, di forma circolare, né piú, né meno cioè che un fondo di botte che noi, figli di Partenope, usiamo dire appunto ‘o tumpagno (dal greco tympànion che sta giustappunto per chiusura). Ma torniamo a gli strangulaprievete ed annotiamo che come ò chiarito i sacerdoti non c’entrano nulla e di conseguenza men che meno i monaci chiamati in causa da qualche buontempone che non aveva di meglio cui pensare... Quanto allo stravolgimento di strangulaprievete in strozzapreti non posso che ribadire l’ignoranza e l’imbecillità di chi à fatto un simile strazio, ed à trovato sedicenti studiosi della lingua italiana pronti ad accoglierlo nei dizionarî in uso, diventati oramai il secchio della spazzatura in cui vien recepito di tutto, asinerie e capocchierie comprese. Si consideri la voce strangolapreti come appare in uno dei piú diffusi lessici: «Gnocchetto duro e compatto, che, essendo di difficile masticazione, rischia di far morire soffocati». Ben tre stupidaggini infilate in una sola frase e che rischiano di farci soffocare dal ridere. Una cosa di cui ci si può solo vergognare. Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo Mangia Napoli, bbona salute! Raffaele Bracale

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