martedì 8 settembre 2015
VARIE 15/606
1.FÀ CARNE 'E PUORCO...
Ad litteram: far carne di porco; id est:trarre il massimo del profitto, lucrare oltre il lecito o consentito, come chi si servisse della carne di maiale del quale, è noto, non si butta via nulla...
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2.FÀ 'O PARO E 'O SPARO....
Ad litteram: fare a pari e dispari; id est:tentennare, non prendere decisioni, essere eternamente indecisi ed affidar tutto, per non assumer responsabilità, all'alea della sorte.
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3.LASSÀTE 'E PENZIERE MIÉJE E PPIGLIÀTEVE 'E VUOSTE!
Ad litteram: Lasciate stare i miei problemi e prendetevi i vostri! Id est: Impicciatevi dei fatti vostri ed evitate di darmi consigli (non richiesti)!
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4. È FERNUTA 'A ZEZZENELLA!
Ad litteram: È finita (id est:si è svuotata) la piccola mammella. Sorta di ammonimento che vuol significare: è terminata la pacchia,si appresano tempi difficili, oppure - con diversa valenza -(ragazzo!,) la mammella è ormai vuota, è tempo di crescere!
Zezzenella s.f. = piccola mammella il sostantivo a margine è quale diminutivo (con doppio suffisso (ina + ella→nella)) , una forma collaterelale di zezzella e cioè di piccola zizza=mammella dal lat.: titta(m); rammento che in napoletano esiste anche la voce zezzeniello che è un s. m.le ed è una sorta di maschilizzazione della voce a margine, ma indica cosa assolutamente diversa e cioè la parte alta del collo, quella che, nei maschi, insiste sul pomo di adamo e che proprio per la sua forma blandamente pizzuta può richiamare alla mente la forma di una piccola tetta, una zezzella appunto di cui maschilizzato riprende il nome.
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5. FÀ ASCÍ ‘E SSÒVERE ‘A CULO.
Letteralmente: fare uscire le sorbe dal culo; iperbolica furbesca espressione che sta per: percuotere qualcuno, torchiarlo fino allo spasimo, quasi strizzandolo fino a che non dica o confessi ciò che sa o abbia fatto, costringendolo iperbolicamente ad emettere le emorroidi (eufemisticamente dette sovere (s.vo f.le che indica in realtà i frutti del sorbo, deverbale dal lat.: sorbere→sobere in quanto frutti succosi e maturi, quasi da suggere).
6.AIZÀ ‘A MANO
Ad litteram: sollevare la mano; id est: perdonare, assolvere
L’ espressione, che viene usata quando si voglia fare intendere che si è proclivi al perdono soprattutto di piccole mende, ricorda il gesto del sacerdote che al momento di assolvere i peccati , alza la mano per benedire e mandar perdonato il peccatore pentito.
7. Ô TIEMPO ‘E PAPPACONE.
Ad litteram: Al tempo di Pappacoda Espressione usata a Napoli per dire che ciò di cui si sta parlando risale ad un tempo antichissimo, di cui si è quasi perso memoria e - tutto sommato - non vale la pena ricordarsene in quanto si tratterebbe di cose impossibili da riprodurre o riproporre; La parola Pappacone è - come già ricordato - corruzione del termine Pappacoda, antichissima e nobile famiglia napoletana che à lasciato sue numerose ed artistiche vestigia in parecchie strade di Napoli.E ciò valga a smentire l’inesatta affermazione di taluni sprovveduti di storia patria che ritengono (chiaramente a torto) che il Pappacone dell’espressione sia un adattamento del nome Pappagone, maschera teatrale, piuttosto recente (1966), creazione del famosissimo Peppino De Filippo(Napoli, 24 agosto 1903 –† Roma, 26 gennaio 1980). Essendo l’espressione in esame molto piú datata rispetto alla creazione del De Filippo se ne evince che non vi sia alcun collegamento se non una semplice assonanza tra Pappagone e Pappacone.
8. Ô TIEMPO D’’E CAZUNE A TERÒCCIOLE.
Ad litteram: Al tempo dei calzoni con le carrucole. Espressione analoga alla precedente , espressione con la quale si vuol significare che si sta richiamando alla memoria tempi lontani, anzi remoti quali quelli in cui le braghe erano sorrette da grosse bretelle di cuoio, regolate da piccole carrucole metalliche.
9. AMMACCA E SSALA, AULIVE ‘E GAETA!
Ad litteram: Comprimi e sala, ulive di Gaeta Locuzione che nel richiamare il modo sbrigativo di conservare in apposite botticelle le ulive coltivate in quel di Gaeta,viene usata per redarguire e salacemente commentare tutte quelle azioni compiute in modo eccessivamente sbrigativo e perciò raffazzonato, senza porvi soverchia attenzione.
10. “ A LLU FRIJERE SIENTE LL’ADDORE” - “A LLU CAGNO, SIENTE ‘O CHIANTO”
Ad litteram: “Al momento di friggere, avvertirai il (vero) odore” - “Al momento di cambiarli, piangerai.”
Locuzione che riproponendo un veloce scambio di battute intercorse tra un venditore ed un compratore, viene usata quando si voglia far comprendere a qualcuno di non tentare di fare il furbo in una contrattazione usando metodi truffaldini,perché correrebbe il rischio d’esser ripagato allo stesso modo.
Un anziano curato, recatosi al mercato ad acquistare del pesce, si vide servito con merce non fresca, anzi quasi putrescente; accortosi della faccenda, ripagò il pescivendolo con moneta falsa, ma nell’allontanarsi sentí il pescivendolo che si gloriava di averlo gabbato e a mo’ di dileggio gli rivolgeva la prima frase della locuzione in epigrafe; e il curato, prontamente, gli rispose con la seconda frase.
11. ADDÓ ARRIVAMMO, LLA METTIMMO ‘O SPRUOCCOLO
Ad litteram: Dove giungiamo là poniamo uno stecco. La locuzione è usata sia a mo’ di divertito commento di un’azione iniziata e non compiuta del tutto, sia per rassicurare qualcuno timoroso dell’intraprendere un quid ritenuto troppo gravoso da conseguirsi in tempi brevi; ebbene in tal caso gli si potrebbe dire:” Non temere: non dobbiamo fare tutto in un’unica soluzione; Noi cominciamo l’opera e la proseguiamo fino al momento che le forze ci sorreggono; giunti a quel punto, vi poniamo un metaforico stecco, segno da cui riprendere l’operazione per portarla successivamente a compimento.”
Spruoccolo s.m. = stecco, bastoncino, piccolo pezzo di legno di taglio irregolare dal b.lat. (e)xperoccolo←pedunculu(m) con sincope d’avvio, assimilazione regressiva nc→cc, dittongazione della ŏ→uo, nonché rotacizzazione osco mediterranea d→r.
12. CHIAITARSE QUACCOSA
Ad litteram: Reclamare, richiedere (con insistenza) qualcosa,piatirla quasi lamentosamente, esigerla, pretenderla, ridomandarla, rivendicarla con accanimento, con petulanza, con pressione e sollecitazione quasi ricorrendo (per ottenerla) alla questione o al litigio.Il verbo chiaità[=rivendicare, richiedere] donde il riflessivo chiaitarse trova il suo etimo nel lat. placitàre attraverso un plagitare con caduta della “g” intervocaliva e sviluppo di una “j” di transito poi assorbita nella “i” donde plagitare→pla(g)itare→plajitare→plaitare→chiaità; normale nel napoletano e tipico l’ esito del digramma pl in chi (cfr. platea→chiazza - plumbeum→chiummo - pluere→chiovere – plattu-m→chiatto etc.);a sua volta plagitare è un denominale di plagitu-m←placitu-m= lite, litigio, vertenza che diede il napoletano chiajeto di pari significato.
13 – E TTE PAREVA!?
Locuzione esclamativa/interrogativa che non va tradotta pedissequamente ad litteram: “ E ti sembrava!?”,ma che va addizionata di un sottinteso che cosí non fósse per darle l’esatto significato che è quello di: “Siamo alle solite!, Me lo aspettavo!, Ci risiamo!, Non poteva mancare!” e viene usata con un senso di risentito rammarico o da chi sia inopinatamente coinvolto in faccende temute che à cercato invano di evitare; o anche da chi debba, con dispiacere, notare che il comportamento tenuto da qualcuno nei suoi riguardi sia monotonamente , reiteratamente, prevaricante e deleterio e non si discosti mai da tale pessima linea di condotta.
14. LEVARSE ‘E PÀCCARE ‘A FACCIA.
Ad litteram: togliersi gli schiaffi da faccia; poiché è impossibile fare materialmente ciò che è affermato nella locuzione,è chiaro ch’essa deve intendersi nel senso figurato di riscattarsi da un’onta subíta, lavarsene, in una parola: vendicarsi , fieramente ricambiando il male ricevuto.
15. LEVARSE ‘O SFIZZIO
Ad litteram: togliersi il gusto, nel senso di raggiungere, conquistandeselo, l’appagamento di una intensa voglia di un desiderio a lungo covato e finalmente raggiunto. il termine sfizzio (correttamente scritto in napoletano con due zeta) deriva con qualche probabilità dal latino satis -facio e ne conserva il sostrato di soddisfazione per raggiunger la quale occorre fare abbastanza.
Non manca però coloro (ed io mi ci accodo) che propendono non a torto per un’etimologia greca da un fuxis(evasione) con tipica prostesi della S intensiva partenopea, atteso che lo sfizio è qualcosa che eccedendo il normale si connota come un’evasione dalla quotidianeità.
16. LEVÀ ‘O FFRACETO ‘A MIEZO.
Ad litteram: togliere il fradicio di mezzo. Id est:mondare, far pulizia, dare un taglio netto per eliminare ciò che è corrotto e dunque corre il rischio di infettare il restante; per traslato la locuzione è usata quando in una situazione che corre l’alea di corrompersi, si prende il coraggio a due mani e si elimina ciò che possa compromettere il buon esito della situazione e l’eliminazione, magari, è fatta a proprio danno.
17. LEVÀ ‘A SOTTO
Ad litteram: togliere di sotto; id est: terminare di lavorare, cessare un’attività, smettere di operare, smobilitare, con riferimento ad ogni tipo di attività, ma soprattutto a quelle manuali; piú esattamente la locuzione in epigrafe in origine si riferí a ciò che facevano i carrettieri d’un tempo, i quali al termine della giornata di lavoro, liberavano i cavalli dai finimenti e toglievano le bestie di sotto le stanghe dei carri, e le conducevano, per rigovernarle, nelle stalle.Successivamente, per estensione, la locuzione venne riferita alla dismissione d’ ogni tipo d’attività.
18. LINDO E PINTO
Ad litteram: pulito e dipinto; modo di dire di diretta provenienza iberica (lindo= vezzoso, pinto=dipinto) con il quale si suole commentare il mostrarsi e ancor di piú l’incedere oltremodo elegante di chi, agghindato e ben messo, vada in giro pavoneggiandosi; la locuzione à però anche un non nascosto sapore di canzonatura del soggetto che incedendo lindo e pinto, si mostra artificioso ed affettato, quando non addirittura ridicolo.
19. METTERE LL’ASSISE Ê CETRÓLE nell’espressione VA METTENNO LL’ASSISE Ê CETRÓLE
Ad litteram: mettere il calmiere ai cetrioli nell’espressione va ponendo il calmiere sui cetrioli. Icastica espressione con la quale si stigmatizza il comportamento sciocco di chi dedica il proprio tempo ad attività inutili, pretestuose ed inconferenti quale quella di calmierare il prezzo dei cetrioli, ortaggio che sebbene sia di largo consumo, per solito è a buon mercato e non v’è bisogno che se ne calmieri il prezzo; per traslato, l’espressione in esame viene riferita ad ogni attività che si riveli inutile e per ciò stesso sciocca.
20. MIÉTTELE NOMME PENNA!
Letteralmente vale : Chiamala penna!; Cosí suole, a mo’ di sfottò, consigliare chi vede qualcuno prestare un oggetto a persona che si ritiene non restituirà mai il prestito, volendo significare: “Ài prestato l’oggetto a quella tale persona? Ebbene, rasségnati a perderlo; non rivedrai mai piú il tuo oggetto che, come una piuma d’uccello è volato via!”
La piuma essendo una cosa leggera fa presto a volar via, procurando un cattivo affare a chi à incautamente operato un prestito atteso che spesso sparisce un oggetto prestato a taluni che per solito non restituiscono ciò che ànno ottenuto in prestito.
miéttele nomme letteralmente mettigli nome e cioè chiamalo id est: ritienilo; miéttele= metti a lui, poni+gli voce verbale (2° pers. sing. imperativo) dell’infinito mettere=disporre, collocare, porre con etimo dal lat. mittere 'mandare' e successivamente 'porre, mettere'; nomme = nome; elemento linguistico che indica esseri viventi, oggetti, idee, fatti o sentimenti; denominazione, con etimo dal lat. nomen e tipico raddoppiamento espressivo della labiale m come avviene ad es. in ommo←hominem, ammore←amore(m), cammisa←camisia(m) etc.
Rammento che un tempo con la voce penna (dal lat. penna(m) 'ala' e pinna(m) 'penna, piuma', confluite in un'unica voce) a Napoli si indicò, oltre che la piuma d’un uccello, anche una vilissima moneta (dal valore irrisorio di mezzo e poi un ventesimo di grano. corrispondente a circa 2,1825→02,18 lire italiane) , moneta che veniva spesa facilmente, senza alcuna remora o pentimento; tale moneta che valeva appena un sol carlino (nap. carrino) prese il nome di penna dal fatto che su di una faccia di tale moneta (davanti ) v’era raffigurata l’intiera scena dell’annunciazione a Maria Ss. mentre sul rovescio v’era raffigurato il particolare dell’arcangelo con un’ala (penna) dispiegata; ora sia che la penna in epigrafe indichi la piuma d’uccello, sia indichi la vilissima moneta, la sostanza dell’espressione non cambia, trattandosi di due cose: piuma o monetina che con facilità posson volar via e/o perdersi.
21. MAL’ARIA A BBAJA o piú scorrettamente, ma piú in uso MAL’ARIA E BBA’.
Mal’aria a Baja o piú scorrettamente Mal’aria e vai.
Ambedue le espressioni, quantunque la seconda sia solo una frettolosa corruzione della prima, sono indicative di situazioni foriere di pessima evoluzione e sono usate proprio per indicare che ci si appressa a situazioni complicate e non gradevoli; nella fattispecie delle locuzioni in epigrafe tra la gente di mare era noto che se su la città di Baja il cielo fosse tempestoso, di lí a poco anche su Napoli si sarebbe scatenato il temporale; la seconda espressione in epigrafe, come ò détto è solo una corruzione della prima, ma d’uso piú comune nel parlato della città bassa.
22. MAGNÀ CULO ‘E GALLINA
Ad litteram: mangiare culo di gallina id est: essere logorroici, continuamente e fastidiosamente ciarlieri. Il culo della gallina, mosso spasmodicamente dall’animale, è preso a modello della bocca di chi parla eccessivamente al punto che alla vista di una persona che parli troppo e che muova perciò in continuazione la bocca, non ci si può esimere dal chiedersi: à magnato culo ‘e gallina? (à mangiato culo di gallina?)
23. MANNAGGIA Ô SURICILLO E PPEZZA ‘NFOSA
Ad litteram: accidenti al topino e (alla) pezza bagnata;Il motto viene pronunciato a mo’ di imprecazione da chi voglia evitare di pronunciarne altra piú triviale specialmente davanti a situazioni negative sí, ma poco importanti.
Varie le interpretazioni della locuzione in ispecie nei confronti del topolino fatto oggetto di maledizione
Esamino qui di seguito le varie interpretazioni e per ultima segnalo la mia.
1 - L’illustre amico e scrittore di cose napoletane(avv. Renato De Falco) reputa che il suricillo in epigrafe altro non sia che il frustolo d’epitelio secco che si produceva in ispecie sulle braccia e sulle gambe allorché le si lavavano soffregandole non con una spugna, ma con uno straccetto bagnato. È vero, da ragazzi usavamo dare il nome di suricillo a quei frustoli d’epitelio divelti con il soffregamento dello straccio madido d’acqua.Ma il dotto amico De Falco, per far passare per buona la sua idea è costretto a leggere la e dell’epigrafe non come congiunzione, ma come aferesi di de e leggere ‘e pezza ‘nfosa pronunciando in maniera scempia la p di pezza, laddove il proverbio raccolto dalla viva voce della gente suona: mannaggia ‘o suricillo e ppezza ‘nfosa ed è chiara la geminazione iniziale della p di pezza e il significato di congiunzione della e.Per cui, a malgrado dell’amicizia e della stima che nutro per l’avvocato De Falco, non posso addivenire alla sua idea.
2 -(prof. Francesco D’Ascoli) Il vecchio professore (parce sepulto!) , sbrigò la faccenda, ravvisando nel suricillo i pezzetti di panno che si staccavano assumendo la forma del musculus, dallo straccio per lavare a terra;l’idea non è percorribile stante anche per D’Ascoli la medesima lettura impropria della locuzione che ne fa il de Falco leggendo la E come aferesi di de e non come congiunzione.
3 - (dr. Sergio Zazzera) L’ottimo dr. Zazzera si lava le mani e propone un improbabile sorcio alle prese con un orcio di olio dal quale sia saltato via un non meglio identificato stoppaccio che non si comprende perché sia umido.
A questo punto reputo che potrebbe essere piú veritiera l’interpretazione che mi fu data temporibus illis da mia nonna che asserí che la locuzione conglobava una imprecazione rivolta ad un sorcetto introdottosi in una casa ed un suggerimento dato agli abitanti di détta casa quello cioè di introdurre sotto le fessure delle porte uno straccio bagnato per modo che al topo fossero precluse le vie di fuga e lo si potesse catturare. Volendo dire: È entrato il topino? Non c’è problema! Ce ne possiamo liberare: lo catturiamo, ma prima affinchè non ci sfugga, turiamo con uno straccio bagnato ogni fessura e procediamo alla cattura!
Ma poiché fino a che non ci si sente soddisfatti, è buona norma continuare ad investigare, continuando nell’investigazione, mi pare di poter affermare che la nonna aveva dato una casta spiegazione a dei vocaboli (e perciò a tutta l’espressione) per non inquietare la fantasia di un piccolo adolescente.
Infatti alla luce di ulteriori indagini ed al supporto di altre menti di appassionati studiosi di cose napoletane mi pare si possa accogliere la tesi del prof. A. Messina che vede nel suricillo - per il tramite di un xurikilla tardo latino usato in luogo del piú classico mentula - il membro maschile...
Peraltro il prof. Carlo Iandolo illustre scrittore di cose partenopee in una sua dotta lettera mi fa notare che nella passata parlata napoletana le pezze piú note erano - oltre quelle che significavano il danaro - quelle che le donne portavano nel loro corredo, e che usavano per i loro bisogni fisiologici di ogni volger di luna, quando ancóra non esistevano mediatici assorbenti con le ali o senza.
Ecco dunque che, messa da parte la casta spiegazione data dalla nonna, penso si possa addivenire a ritenere che l’innocente imprecazione con la quale si è soliti commentare piccolissimi inconvenienti ai quali non occorra dare faticose soluzioni, sia sgorgata sulle labbra di una donna trovatasi davanti alla improcrastinabile richiesta di favori, da parte del suo uomo (...pronto alla tenzone...) e gli abbia dovuto opporre, sia pure dolendosene che non era il tempo adatto in quanto ‘a pezza ...era ‘nfosa dal mestruo in atto.
24. MIETTE ‘NU SPRUOCCOLO DINTO A ‘NU PERTUSO
Ad litteram: poni un legnetto in un buco! Frase che si usa pronunciare a commento di un avvenimento cosí poco usuale (quale - a mo’ d’esempio - una liberalità da parte di qualcuno notoriamente avaro) da doverselo rammentare con l’introduzione di un ipotetico stecco in un altrettanto ipotetico buco. Probabilmente la locuzione rammenta la consuetudine in uso nel periodo della res publica romana, allorché il praetor maximus conficcava ogni anno - a fini eponimi - un chiodo nel tempio di Giove .
25. MAGNÀ ‘E GRASSO
Ad litteram: mangiare di grasso id est: possedere tante di quelle disponibilità economiche da esser sempre fornito di adeguato cibo abbondandemente condito; la locuzione però si usa anche in senso antifrastico ad ironico commento di pasti eccessivamente parchi.
26. MAGNÀ NEMMICCULE CU ‘A SPINGULA
Ad litteram: mangiare lenticchie con lo spillo. Detto di coloro che, eccessivamente parchi, forse perché avari, si limitano ad un pasto cosí frugale da ridursi a sole lenticchie, consumate lentamente, addirittura infilzandole una per volta con l’ausilio di uno spillo.In senso traslato l’espressione è usata per commentare sarcasticamente l’agire eccessivamente lento e misurato di chi ami perdere tempo.
27. MAGNARSE ‘E MMANE
Ad litteram: mangiarsi le mani Cosí, per modo di dire, si comporta chi à veduto svanire, per propria insipienza,o accidia o mancanza d’intuito una situazione favorevole e si sia lasciato sfuggire l’occasione proprizia; davanti all’insuccesso non gli resta che autopunirsi mordendosi, figuratamente, le mani.
28. MAGNARSE ‘O LIMONE
Ad litteram: mangiarsi il limone; id est: accusare il colpo, subire un non preventivato , amaro risultato e rassegnarsi ad accettarlo con tutto il suo acre sapore, quasi che fosse un metaforico aspro limone .
29. MAGNARSE ‘O TUPPO ‘E SANT’ANNA
Ad litteram: mangiarsi la crocchia di sant’Anna; id est : ridursi in miseria, privarsi di tutte le proprie sostanze[e farlo addirittura senza pentirsi di incorrere in furti sacrileghi (come quello di sottrarre i capelli di un effige di sant’Anna...) pur di procurarsi beni o sostanze da dilapidare] Detto innanzitutto di donne, ma anche - per estensione - di uomini che non solo per riprevevole liberalità, ma innanzitutto per imperizia, negligenza, sciatteria e trascuraggine dilapidano tutte le loro sostanze riducendosi in miseria tale da dover vendere persino la crocchia o il ciuffo dei propri capelli o (come ò anticipato) darsi persino al furto sacrilego per procurarsi sostanze da dilapidare!
30.SIGARRETTE CU ‘O SFIZZIO
Ad litteram: sigarette con lo sfizio; cominciamo col dire che con il termine sfizio (voce che si ritiene pervenuta nel lessico italiano dalla voce meridionale sfizzio) si indica un capriccio, una voglia, fino ad un gusto, un grillo, un ghiribizzo, ma anche una intensa voglia di un desiderio a lungo covato e finalmente raggiunto, ecco che l’espressione in epigrafe parrebbe quasi sostanziare una tautologia essendo già di suo la sigaretta uno sfizio… Come chiarirò di qui a poco non è ovviamente cosí, volendosi indicare con il termine sfizzio dell’epigrafe, un capriccio, una voglia di natura diversa da quella della sigaretta in sé. Prima di chiarire la portata di questo sfizzio dell’epigrafe, completo la spiegazione della voce sfizzio col dire, come già ò fatto alibi, che il termine sfizzio (correttamente scritto in napoletano con due zeta)partendo dall’idioma napoletano, è, come ò già accennato, approdato nella lingua nazionale seppure scritto con la z scempia: sfizio, mantenendo però il medesimo significato di: capriccio, voglia: togliersi uno sfizio; levarsi lo sfizio di fare qualcosa ; per sfizio, per puro capriccio, per divertimento portandosi dietro molte voci derivate, come:il sostantivo sfiziosità (cosa sfiziosa; in partic., ricercatezza alimentare), l’aggettivo sfizioso (che soddisfa una voglia, un capriccio; che piace, attrae, perché originale)
nonché l’avverbio:sfiziosamente:per sfizio. Di non facile lettura l’etimologia di sfizzio; la maggioranza dei dizionari in uso, si trincera dietro il solito pilatesco: etimo incerto; qualcuno, un po’ forse fantasiosamente, propende per una culla latina da un (sati)s -facio di cui lo sfizzio conserverebbe il sostrato di soddisfazione per raggiunger la quale occorre fare abbastanza. Qualche altro, ancor piú fantasiosamente (e mi duole che fra costoro ci sia Carlo Jandolo) pensa ad un latino ex+ vitium nella pretesa che lo sfizzio configuri una sorta di stravizio
Non manca infine fortunatamente coloro (cui mi accodo) che propendono ( non a torto!), piú correttamente, per un’etimologia greca da un fuxis(evasione) con tipica prostesi della S intensiva partenopea, atteso che lo sfizzio (sfizio) è qualcosa che, eccedendo il normale, si connota come un’evasione dalla quotidianeità.
Esaurito cosí il lato filologico delle voci sfizzio e sfizio, vediamo in che cosa si sostanzia o si sostanziava quello richiamato in epigrafe
Occorre sapere che con la voce sigarrette (che in napoletano piú che derivato del francese cigarette (donde l’italiano sigaretta) pare derivato, come diminutivo femminile dallo spagnolo cigarro (di cui conserva la doppia liquida r) a sua volta derivato da una voce maya (Mexico) jigar) non si intendono esclusivamente i pacchetti di rotolini cilindrici di tabacco trinciato che si fuma avvolto in un foglietto di carta sottile a lenta combustione, pacchetti venduti assieme a prodotti per la combustione: cerini, fiammiferi, accenditori, candele, etc. e valori bollati ed altra merce varia, in quelle rivendite autorizzate dallo stato, all’insegna SALE TABACCHI E VALORI BOLLATI quanto i medesimi pacchetti (soprattutto però di tabacchi esteri) venduti, fino a pochissimi anni orsono, di contrabbando, in barba alla Finanza, quasi ad ogni angolo di strada dei piú popolari quartieri, ed in particolare nella famosissima via Forcella regno incontrastato di contrabbandieri che vi commerciavano ed ancóra vi commerciano oltre che i tabacchi importati clandestinamente, la piú svariata merce immessa sul mercato eludendo tasse e balzelli.
Alla luce di ciò possiamo finalmente comprendere la portata dell’espressione in epigrafe con lo sfizzio enunciato; l’espressione nacque a Napoli sul finire dell’ ‘800 ed il principio del ‘900 e ritornò prepotentemente in auge nell’immediato dopoguerra (1944-1945) al tempo del contrabbando e/o mercato nero quando le donne (e tra di esse giovani e piacenti contrabbandiere) solevano indossare ampie sottane con grossi grembiuli provvisti di tasche ed ampî corpetti abbottonati o allacciati sul davanti del busto; tali contrabbandiere, al fine di ingannare i finanzieri (che però conoscevano la manfrina e spesso profittavano dell’occasione…), celavano i pacchetti di sigarette nelle tasche del grembiule e piú spesso tra i seni, nel corpetto o infine infilati nelle calze sorrette da elastici o giarrettiere, consentendo agli avventori – contro un piccolo aumento di prezzo – di prelevare con le proprie mani la merce cercandola nei corpetti slacciati all’uopo, nelle tasche, che insistevano sul basso ventre, del grembiule o – tirate su le gonne (cosa a cui palam provvedevano le medesime contrabbandiere) – frugando nelle calze; in tal modo gli avventori compravano sigarette prendendosi il gusto aggiunto ‘e pigliarse ‘nu passaggio (si toglievano cioè il gusto aggiunto , un ulteriore sfizio consistente nel palpeggiare piú o meno furtivamente i seni, il ventre o le cosce delle consensienti contrabbandiere.Va da sé che la consuetudine perdurò anche quando (1944-1945) l’abbigliamento delle contrabbandiere fu piú moderno e succinto.
pigliarse ‘nu passaggio= palpeggiare una donna;
pigliarse= prender per sé;
piglià = prendere, pigliare dal latino volg. *piliare, prob. dal class. pilare 'rubare, saccheggiare';
passaggio = di per sé con etimo dal fr. ant. passage, deriv. di passer 'passare, attraversare', come per l’italiano è il passare attraverso un luogo, o da un luogo a un altro, il variare stato, condizione; il trasferire qualcosa ad altri; mutamento, trasferimento, ma in unione al verbo pigliarse vale il palpeggiare piú o meno furtivamente una donna con riferimento al reiterato soffregamento operato con le mani che passano e ripassano sulle rotondità o intimità femminili.
Da piú di mezzo secolo però ormai è venuta meno quella divertente abitudine; il contrabbando si esercita ancóra (sia pure piú parsimoniosamente) ma non esistono piú contrabbandiere di tabacco disposte a farsi palpeggiare e cosí son sparite ‘e sigarrette cu ‘o sfizzio: un altro pezzetto delle tradizioni partenopee s’è perduto e avimmo cassato n’atu rigo ‘a sott’ ô sunetto! (abbiamo ulteriormente ridotto il sonetto (composizione poetica molto breve: 14 versi)
avimmo cassato = abbiamo cancellato voce verbale (2° pers. plur. passato prossimo) dell’infinito cassà= cancellare, annullare con etimo dal lat. cassare 'annullare', deriv. di cassus 'vuoto, vano';
n’atu = un altro, atu= altro, diverso, restante, rimanente aggettivo indefinito con etimo dal lat. alteru(m), deriv. di alius 'diverso'; in napoletano alteru(m), diede dapprima auto e poi per sincope ato;
a margine rammenterò poi che in napoletano esiste un solo articolo indeterminativo maschile che è ‘nu forma aferetica di unu/uno e manca una forma tronca per cui ‘nu viene usato sia davanti a nomi comincianti per vocali che per consonanti: davanti a quelli che iniziano per vocali, (contrariamente a ciò che accade per l’italiano che usa apostrofare solo il femminile una e mai il maschile uno per il quale prevede una forma tronca un ) si apostrofa sempre per cui avremo ‘nu scemo, ma n’ommo con il nu apostrofato (n’) privato però dell’originario segno d’ aferesi per evitare un’ inutile sovrabbondanza di segni diacritici;
rigo= rigo, riga, nel significato di linea segnata o impressa su un foglio; anche,ed è il nostro caso, linea di scrittura o di stampa e, per estens., il suo contenuto:...etimo: forse dal latino rega da regula=regola, linea dritta;
sott’ ô = sotto il ; da notare che il napoletano prevede che a sotto avv. e prep. impropria = sotto con etimo dal lat. subtus, avv. deriv. di sub 'sotto'faccia sempre seguito non il semplice articolo determinativo o indeterminativo ma i medesimi articoli introdotti da una a per cui in napoletano non avremo un sott’ ‘o = sotto il, ma un sott’ ô = sotto al dove ô = a+’o, né sotto ‘nu= sotto un, ma sotto a ‘nu = sotto ad un; alla medesima stregua occorre per altri avverbi e/o prep. improprie quali come, sopra, dentro, fuori etc.
sunetto = sonetto: componimento poetico costituito da quattordici versi endecasillabi variamente rimati e divisi in due quartine e due terzine; l’etimo è dal provenz. sonet 'testo con melodia', dim. di son 'melodia, poema'; tipico il raddoppiamento della consonante finale etimologica, con paragoge di una vocale semimuta (qui O altrove e piú spesso E) in parole provenienti da lingue straniere (vedi alibi tramme←tram, autobbusso←autobus,barre←bar, bisse←bis).
tabbacco = tabacco s.vo neutro dallo spagnolo tobaco→tabaco→tabbacco con assimilazione regressiva della a e raddoppiamenti espressivi della esplosiva labiale B e dell’occlusiva velare sorda C.
Brak
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