1. AIZÀ ‘A MANO
Ad
litteram: sollevare la mano; id est: perdonare, assolvere
L’
espressione che viene usata quando si voglia fare intendere che si
è proclivi al perdono soprattutto di piccole mende, ricorda il gesto del sacerdote
che al momento di assolvere i peccati
, alza la mano per benedire e mandar perdonato il penitente pentito.
2. Ô TIEMPO ‘E PAPPACONE.
Ad
litteram: Al tempo di Pappacoda Espressione usata a Napoli per dire che ciò di
cui si sta parlando risale ad un tempo antichissimo, di cui si è quasi perso
memoria e - tutto sommato - non vale la pena ricordarsene in quanto si tratterebbe di cose impossibili da
riprodurre o riproporre; La parola Pappacone
è - come già ricordato - corruzione del termine Pappacoda, antichissima
e nobile famiglia napoletana che à lasciato sue numerose ed artistiche vestigia in parecchie strade di
Napoli. E
ciò valga a smentire l’inesatta affermazione di taluni sprovveduti di storia
patria che ritengono (chiaramente a torto) che il Pappacone dell’espressione sia
un adattamento del nome Pappagone, maschera teatrale, piuttosto
recente (1966), creazione del famosissimo Peppino De Filippo(Napoli,
24 agosto
1903 –† Roma, 26 gennaio
1980). Essendo
l’espressione in esame molto piú datata rispetto alla creazione del De Filippo se ne evince che non vi sia
alcun collegamento se non una semplice assonanza tra Pappagone e Pappacone.
3. Ô TIEMPO D’’E CAZUNE A
TERÒCCIOLE.
Ad
litteram: Al tempo dei calzoni con le
carrucole. Espressione analoga alla precedente , espressione con la quale
si vuol significare che si sta richiamando alla memoria tempi lontani, anzi
remoti quali quelli in cui le braghe erano sorrette da grosse bretelle di
cuoio, regolate da piccole carrucole metalliche.
4. ACRUS EST E TE LL’HÊ ‘A
VEVERE
Ad
litteram : è acre, ma devi berlo
La
locuzione è tipico esempio di
frammistione tra un tardo latino improbabile ed un vernacolo pieno.
Cosí a Napoli si suole ripetere a chi non si
voglia convincere della ineluttabilità di talune situazioni cui bisogna
soggiacere, stante una forza maggiore. Narro qui di seguito la storiella
donde prese vita la locuzione in epigrafe. Un anziano curato era in urto
col proprio dispettoso sacrestano che sostituí il vino per la celebrazione
della Messa con un acre aceto. Allorché il curato portò alle labbra il calice contenente
l’aceto, se ne dolse con il sacrista dicendo: “Acrus est!” ed il dispettoso
sacrestano di rimando : “te ll’hê ‘a vevere!” (Devi berlo Non puoi esimerti.)
il
curato, minacciandolo:” Dopo la messa t’aspetto in sacrestia...”
il
sacrista, concluse:” Hê ‘a vedé si me truove!” (Probabilmente non mi
troverai...)
Oggi la
locuzione non à bisogno di due interlocutori; viene pronunciata anche da uno
solo, da chi tenti di convincere qualcun altro
che debba soggiacere agli eventi e non se ne possa esimere.
5. AMMACCA E SSALA, AULIVE ‘E GAETA!
Ad
litteram: Comprimi e sala, ulive di Gaeta Locuzione che nel richiamare il
modo sbrigativo di conservare in apposite botticelle le ulive coltivate in quel
di Gaeta,viene usata per redarguire e salacemente commentare tutte quelle
azioni compiute in modo eccessivamente sbrigativo e perciò raffazzonato, senza
porvi soverchia attenzione.
6. “ A LLU FRIJERE SIENTE LL’ADDORE” - “A LLU CAGNO,
SIENTE ‘O CHIANTO”
Ad
litteram: “Al momento di friggere,
avvertirai il (vero) odore” _ Al
momento di cambiarli, piangerai.”
Locuzione che riproponendo un veloce scambio di battute
intercorse tra un venditore ed un
compratore, viene usata quando si voglia far comprendere a qualcuno di non
tentare di fare il furbo in una contrattazione usando metodi truffaldini,perché
correrebbe il rischio d’esser ripagato allo stesso modo.
Un
anziano curato, recatosi al mercato ad acquistare del pesce, si vide servito
con merce non fresca, anzi quasi putrescente; accortosi della faccenda, ripagò
il pescivendolo con moneta falsa, ma nell’allontanarsi sentí il pescivendolo che si gloriava di
averlo gabbato e a mo’ di dileggio gli rivolgeva la prima frase della locuzione
in epigrafe; e il curato, prontamente, gli rispose con la seconda frase.
7. ADDÓ ARRIVAMMO, LLA
METTIMMO ‘O SPRUOCCOLO!
Ad
litteram: Dove giungiamo là poniamo uno
stecco! La locuzione è usata sia a
mo’ di divertito commento di un’azione
iniziata e non compiuta del tutto, sia
per rassicurare qualcuno timoroso
dell’intraprendere un quid ritenuto troppo gravoso da conseguirsi in tempi brevi; ebbene in tal caso gli si potrebbe
dire:” Non temere: non dobbiamo fare tutto in un’unica soluzione; Noi
cominciamo l’opera e la proseguiamo fino al momento che le forze ci sorreggono; giunti a quel
punto, vi poniamo un metaforico stecco, segno da cui riprendere l’operazione
per portarla successivamente a
compimento.”
Spruoccolo
s.m. =
stecco, bastoncino, piccolo pezzo di legno di taglio irregolare dal b.lat. (e)xperoccolo←pedunculu(m) con sincope
d’avvio, assimilazione regressiva nc→cc, dittongazione della ŏ→uo,
nonché rotacizzazione osco mediterranea d→r.
8.COMME CUCOZZA ‘NTRONA, PASCA NUN VENE PE MMO.
Ad
litteram: Se ci atteniamo al suono della
zucca, Pasqua è ancóra lontana. Id est:: se ci atteniamo alle apparenze, le
cose non vanno come dovrebbero andare, o come ci auguravamo che andassero. Un
curato di campagna aveva predisposto una vuota zucca per raccogliere le elemosine dei fedeli e con
il ricavato celebrare solennemente la pasqua; però il suo malfido sagrestano,
nottetempo sottraeva parte delle
elemosine, di modo che quando il curato andò a battere con le nocche sulla zucca per saggiarne il suono, avvertí
che la zucca era ancóra troppo vuota e proruppe nell’esclamazione in epigrafe,
né è dato sapere se scoprí il ladruncolo.
Cucozza sv.vo f.le = zucca,pianta erbacea annua con
larghe foglie pelose, fiori campanulati gialli, frutti commestibili di forma e
dimensioni diverse secondo le varietà (fam. Cucurbitacee) | zucca
barucca, varietà di zucca bitorzoluta che si cuoce al forno e si mangia a
fette | semi di zucca, brustolini | fiori di zucca, vivanda
costituita dai fiori della zucca,meglio della zucchina, fritti dopo essere stati immersi in una
pastella di uova e farina. DIM. zucchina,
zucchino (m.), zucchetto (m.), zucchettino (m.)
2 (estens.) il frutto commestibile della zucca: zucca fritta; minestrone con la zucca
3 (fig. scherz.) la testa: ( etimologicamentela voce napoletana cucozza nonché il suo diminutivo cucuzziello/pl. cucuzzielle è una diretta derivazione dall’acc. tardo latino cucutia(m), mentre la voce italiana zucca è derivata dal medesimo tardo lat. cucutia(m), con metatesi e aferesi della sillaba iniziale; con raddoppiamento espressivo della c cucutia(m)→(cu)cutiaca(m)→ziacca→zucca.
2 (estens.) il frutto commestibile della zucca: zucca fritta; minestrone con la zucca
3 (fig. scherz.) la testa: ( etimologicamentela voce napoletana cucozza nonché il suo diminutivo cucuzziello/pl. cucuzzielle è una diretta derivazione dall’acc. tardo latino cucutia(m), mentre la voce italiana zucca è derivata dal medesimo tardo lat. cucutia(m), con metatesi e aferesi della sillaba iniziale; con raddoppiamento espressivo della c cucutia(m)→(cu)cutiaca(m)→ziacca→zucca.
9. COMME PAGAZIO, ACCUSSÍ
PITTAZIO
Ad
litteram: Come sarò pagato, cosí
dipingerò Id est: la controprestazione è commisurata alla prestazione; un
lavoro necessita di un relativo congruo compenso: tanto maggiore sarà questo,
tanto migliore sarà quello; la frase in epigrafe, pur nel suo improbabile
latino fu riportata da F.S. Grue famosissimo artista noto per i suoi vasi di
maiolica,su di un’antica albarella detta di san Brunone.
10. CAPURÀ È MMUORTO
‘ALIFANTE!
Ad
litteram: caporale, è morto l’elefante!
Id est: è morto l’oggetto in forza del quale eri solito vantarti e raccogliere
laute mance,… non vantarti piú, torna con i piedi a terra!Piú genericamente,
con la frase in epigrafe a Napoli si
vuol significare che non è piú né tempo, né caso di gloriarsi e la locuzione
viene rivolta contro chiunque, pur in mancanza di acclarati e cogenti motivi,
continui a darsi delle arie o si attenda
onori immotivati. L’espressione fu coniata nella seconda metà del 1700,
allorché il re CARLO di Borbone ricevette da un sultano turco il dono di un
elefante che fu affidato alle cure di un vecchio veterano che montò in superbia
per il compito ricevuto al quale annetté
grande importanza, dandosi arie e riscuotendo buone mance da tutti coloro che
andavano nei giardini di palazzo reale ad ammirare il pachiderma. Di lí a poco
però, l’elefante morí ed ancóra poco tempo fa era possibile vederne la carcassa conservata nel
museo archeologico della Università di Napoli ed il povero caporale vide venir
meno con le mance anche le ragioni del suo sussiego e talvolta, quando faceva
le viste di dimenticarsi di non essere
piú il custode dell’animale, il popolino, per rammentargli che non era il caso di montare in superbia era solito
gridargli la frase in epigrafe che viene ancóra usata nei confronti di tutti
coloro che senza motivo si mostrino
boriosi e supponenti.
brak
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