PIZZA NAPOLETANA
Questa volta – a rischio d’esser considerato un iconoclasta
ed un incompetente – parlerò dell’argomento in epigrafe affermando (senza tema
di smentita!) innanzitutto che è una bestemmia ritenere la cosiddetta pizza
margherita ( copiata, ma non ideata nel 1889 da un  pizzaiolo napoletano (ma, a mio avviso, indegno
d’esser considerato partenopeo) tale Raffaele Esposito, attivo presso la
pizzeria Brandi (alla salita Sant’Anna di Palazzo)    che
la dedicò alla regina Margherita di Savoia dandole il nome di  "pizza Margherita"
pizza  che, nell’intento del malnato
pizzaiolo tradendo il vecchio vessillo napoletano borbonico bianco con i gigli
di Francia avrebbe dovuto rappresentare  la nuova bandiera tricolore con il bianco
della mozzarella,
il rosso del pomidoro
ed il verde del basilico.L’incolto
Esposito, probabilmente a digiuno di storia patria, con l’omaggio fatto ai sovrani
discendenti dell’usurpatore Vittorio Emanuele II Savoia-Carignano,fece sí una
splendida operazione commerciale (la pizza margherita sarebbe diventata
famosissima nel mondo), ma  (oltre che
macchiarsi  di tradimento nei confronti
dei vecchi regnanti Borbone), fece un’offesa gravissima nei confronti della
tradizione partenopea, tradizione che voleva quali autentiche pizze napoletane
le seguenti:
pizza marinara, pizza ‘nzogna e pummarole, pizza
cu ‘cicenielle,pizza alla mastunnicola e, cazone ‘mbuttunato.
E l’Esposito non fu neppure originalissimo (perciò ò parlato
di copia…);infatti  già nel 1830, un non meglio
identificato  Riccio (di lui mancano
precise notizie biografiche) nel libro Napoli, contorni e dintorni,
aveva scritto di una pizza (quantunque poco usata) con pomodoro e della  mozzarella disposta, (su un  disco di pasta già condito con il pomodoro),
in maniera sagomata tale   da formare  con dei petali (sei)  quasi ovali di una margherita nonché il suo
bottone centrale) e con del  basilico
disposto a mo’ da scimmiottare stelo e foglie della margherita; si trattava
dunque di una  pizza che comunque esulava
da riferimenti storici e/o politici e la margherita non era dunque il nome
della consorte del re savoiardo, quanto semplicemente quello del nome del fiore
(di cui la mozzarella sagomata a mo’ di ovali, copiava la disposizione dei
petali  posti com’erano questi sei  ovali a raggiera circolare intorno ad una
sorta di bottone tondo che ripeteva il bottone centrale  del fiore) ;della medesima pizza agghindata
con una sorta di di margherita di mozzarella e basilico,già esistente nel 1849  scrisse anche 
Francesco De Bouchard nel 1866;   e dunque
l’ Esposito fece una indegna, biasimevole furbata appropriandosi, a scopo
ruffianesco,  di qualcosa di dominio
comune… 
Giunti a questo punto facciamo un passo indietro e
soffermiamoci ad illustrare i varii tipi delle  autentiche pizze napoletane.
Cominciamo a soffermarci sul sostantivo pizza;
 Pizza s.vo f.le 
1 (gastr.) focaccia di pasta lievitata, dolce o salata: pizza
rustica; pizza pasquale | per antonomasia, focaccia di forma molto
schiacciata condita con olio, pomodoro e altri ingredienti; è una specialità in
origine  tipicamente napoletana, ma  oggi diffusa ovunque: pizza margherita,
marinara, quattro stagioni. 
2 nel linguaggio cinematografico, la scatola piatta e circolare in cui
si custodisce un rotolo di pellicola; per estens., la pellicola stessa 
3 (fam. fig.) persona o cosa estremamente noiosa. 
Quanto all’etimo della voce pizza qualcuno ipotizza  ch’esso 
sia da collegarsi alla voce pita
voce  mediterranea e balcanica, di
origine greca;  secondo questa ipotesi la
parola deriverebbe dall'ebraico פִּתָּה o פיתה, dall'arabo كماج
o  dal greco πίτα,
da cui anche pita
che appartiene alla stessa categoria di pane o focacce;
qualche altro ipotizza una derivazione dal longob. bizzo 'morso,
focaccia', ma io reputo piú esatta e logica una derivazione  dal
latino pinsam (placentam)→pizza
(placentam)=focaccia schiacciata dal verbo pinsere=pigiare, schiacciare con ns→nz→zz per
assimilazione regressiva)
A margine rammento che
della pizza napoletana  (sia
pure in senso generico, come  il piú
usuale cibo popolare partenopeo) le prime notizie  vengono fatte risalire al periodo che va dal
1715 al 1725 ad opera di un tal  Vincenzo Corrado
(Oria, 29 marzo
1738 – Napoli, 4 novembre
1836)celebre  cuoco
e letterato
italiano.
che  alla metà del '700 scrisse un
pregevole trattato sulle abitudini alimentari della città di Napoli,trattato in
cui osservò come fosse costume del popolo condire la pizza ed i maccheroni con
del pomodoro. In un certo senso quelle 
osservazioni del Corrado 
costituiscon quasi   la data di
nascita della pizza napoletana, un sottile disco di pasta condito dapprima con
strutto pomodoro e formaggio e successivamente con altri ingredienti tra i
quali l’olio d’oliva che sostituí lo strutto. Le prime pizzerie comparvero a
Napoli nel corso del XIX secolo e fino alla metà del XX secolo esse furono un
fenomeno esclusivo della città partenopea. A partire dalla seconda metà del
'900 le pizzerie si sono diffuse ovunque nel mondo, quasi sempre all’insegna di
 PIZZA NAPOLETANA,termine spesso
palesemente usurpato in quanto il piú delle volte chi conduceva quelle pizzerie
non era napoletano né approntava autentiche pizze napoletane, ma le piú
svariate schiacciate o focacce condite alla bell’ e meglio con i piú svariati
ingredienti, anche i meno idonei!  Rammenterò 
che la pizza, quale uno dei consueti nutrimenti popolari   si
conquistò un posto persino  nella smorfia
(cfr. alibi), dove  è considerato sotto
il numero 24 ed  anche con moltissimi
altri numeri, secondo come sia variamente condita, per cui avremo: p. napoletana – 2,p.dolce -36, p. rustica –
37, p. con sugna e formaggio – 61, p. con alici fresche – 62, p. pomidoro e
mozzarella – 53.
Torniamo ad illustrare i varii tipi di autentiche pizze
napoletane:
1) pizza alla mastunnicola (pizza alla
mastro Nicola) è questa la originaria prima 
pizza napoletana,ideata da un non meglio identificato mastro Nicola che
conduceva ( 1490 ca) una piccola taverna con cucina casareccia nei dintorni
della centrale Rua Catalana  dove aprivano
bottega numerosissimi artieri ed artigiani che si rifocillavano quotidianamente
in quella piccola taverna; tale originaria prima  pizza napoletana   con la
variazione successiva (cfr. n° 2) 
diede  il la a tutte le altre;si
tratta di una semplicissima pizza per la cui pasta vedi al successivo n° 2 sub
A, condita con dello strutto di maiale, con abbondante formaggio pecorino,  guarnita con del basilico e cotta in forno.
 
2) pizza pomidoro, sugna e formaggio; 
si tratta della variazione apportata alla originaria
prima  pizza napoletana, variazione  che diede 
il la a tutte le altre ( la variazione fu forse apportata  dalla stesso mastro Nicola (1501 ca)per
contentare i marinai che avevano cominciato a far conoscere in giro nelle
taverne napoletane  come pianta
edibile  quel pomodoro importato con le
loro navi mercantali  dal Perú, pomodoro
che alibi (Francia) era usato quale pianta ornamentale ritenuta velenosa; 
A) l’autentica ricetta originaria prevede che per ogni litro di
acqua necessitino  50 grammi di sale, 5 grammi di lievito e 1,8 kg di farina. È
codificato altresí che la farina debba essere aggiunta gradualmente e  lentamente (non meno di dieci minuti) e che l'impasto
vada lavorato per venti minuti fino a che non raggiunga il cosiddetto  punto
di pasta, cioè fino a quando l’impasto non risulti  gonfio 
e liscio, molto estensibile e poco elastico.Ancóra è  codificato 
che lo impasto vada lasciato a riposare su di  un piano di marmo o in una madia di legno per
quattro ore coperto da un panno inumidito 
per evitare che la superficie indurisca. Trascorse le quattro ore
l’impasto va poi suddiviso in pezzi (palle) sferici di circa 180-200 gr.cadauno.
Da ogni singola sfera  si ricaverà una
pizza  che si deve stendere, senza
l’ausilio di matterello,  soltano con
abili movimenti delle mani, pigliandola e stendendola  su un piano di marmo coperto di fior di  farina fino a che lo spessore diventa pari a
circa  0,3 cm nella parte centrale  e pari ad  1
 cm per il bordo  (cornicione).
B)A questo punto si può procedere ad aggiungere i condimenti
sui dischi (di circa 15 – 20
 cm. di diametro cadauno) di pasta approntati l’uno
accanto all’altro sul piano di marmo; i condimenti per la pizza a margine sono
pochi e semplici; su ogni pizza viene distribuito, per tutta la superficie (con
movimento a spirale partendo dal centro della pizza) un cucchiaio e mezzo di
sugna;  indi con uguale procedimento si
aggiungono due cucchiai di pomidoro passato, infine si sala ad libitum e si aggiunge
un cucchiaio e mezzo di formaggio (in origine pecorino, oggi anche grana)
grattugiato distribuito accuratamente per quanto è ampia la pizza.
C) Cosí condita la pizza è pronta per la cottura che va fatta
in un forno con brace  di  legna, poggiandola su di un piano formato con
 mattoni refrattari ed  una cupola anch'essa in materiale refrattario
ad una  temperatura di 460 - 490 gradi e
va sollevata  brevemente e di tanto in
tanto  ricevendo il calore in modo uniforme.
A fine cottura il bordo esterno (cornicione) che sarà stato leggermente
pizzicato prima che s’inforni la pizza 
risulterà  regolare, gonfio, privo
di bolle e bruciature, di colore dorato e dal profumo caratteristico del pane.
La parte centrale sarà invece morbida.
3) pizza â marenara;
Si tratta quasi di una naturale
evoluzione della pizza precedente della quale conserva la medesima
procedura sub A) e C); cambia invece  la
parte sub B quella relativa al condimento che nella pizza â marenara (pizza alla
maniera dei marinai) è costituito da sugo di pomidoro,olio d’oliva e.v., aglio
vecchio mondato e tritato finemente,  
origano secco e sale. La pizza a marigine deve il suo nome al fatto che
dismessa l’usanza di condire le pizze con sugna pomidoro e formaggio  invalse quella (dapprima tra i marinai (donde
il nome â marenenara) del mandracchio
(vedi ultra) e poi tra altri artieri) di mangiare una pizza cotta al forno e
condita con olio, pomidoro, aglio, sale 
ed origano; in sèguito  essendo
diventato questo, per ogni pizzaiolo il piú comune modo di condire la pizza,
questo  tipo di sugo usato per condire
altri alimenti (pasta, carne e pesce fu detto alla pizzaiola ( cioè alla maniera dei pizzaioli), mentre per la
pizza si mantenne il nome di â marenara in
quanto sarebbe stato del tutto tautologico parlare di una pizza alla
pizzaiuola! Altra scuola di pensiero ritiene che il nome â marenara derivi dal fatto deriva dal fatto  che gli ingredienti, facilmente conservabili,
potevano essere portati dai marinai per preparare pizze nel corso dei loro
lunghi viaggi.La cosa però non è dimostrata, né probabilmente vera e/o
accettabile in quanto tra il finire del ‘700 ed i principi        dell’ ‘800 una delle malattie
maggiormente diffuse tra i marinai fu proprio lo scorbuto malattia dovuta a
carenza di vitamina C quella contenuta in parecchi vegetali, quasi mai presenti
tra le scorte di cibo dei marinai (ed i pomidoro son dei vegetali!...)
,malattia  che si manifesta con
dimagramento, ulcerazioni ed emorragie delle gengive e degli organi interni.
Son perciò convinto che il termine â marenara
 sia da collegarsi a quei marinai
adusi a frequentare le taverne e/o bettole nella zona del mandracchio taverne
e/o bettole dove si facevano preparare delle pizze condite con olio, pomidoro,
aglio, sale  ed origano;Il mandracchio  non è il nome di una tenuta, ma indica solo
la zona a ridosso del porto(dallo spagnolo mandrache: darsena)frequentata da
marinai,  facchini e scaricatori che non
usavano di certo buone maniere ed il cui linguaggio non era certo forbito o
corretto.
Le successive  classiche pizze napoletane son quasi tutte
una evoluzione della pizza â marenenara.Abbiamo:
4) pizza cu ‘alice ;
5) pizza cu ‘e cicenielle
Si tratta per ambedue di due
pizze che della pizza sub 1)(pizza ‘nzogna pummarola e furmaggio) conservano i
punti A) e C) cambiano invece  le parti
sub B quelle relative al condimento che nella pizza cu ‘alice  è costituito
da sugo di pomidoro,olio d’oliva e.v., aglio vecchio mondato e tritato
finemente, piccole alici fresche decapitate e diliscate, sale e pepe;il
condimento della pizza cu ‘e cicenielle
è costituito da sugo di pomidoro,olio d’oliva e.v., aglio vecchio mondato e
tritato finemente, ed un paio di cucchiaiate di bianchetti freschissimi, sale e
pepe.
6) pizza ‘e quatte manere
nota anche come pizza
quattro stagioni  ma si tratta di
un’apposizione inesatta in quanto nel pretto napoletano con la voce staggiona/e
 si indica segnatamente l’estate
e non ciascuno
dei quattro periodi, di tre mesi ognuno, in cui i solstizi e gli equinozi
suddividono l'anno solare (primavera, estate, autunno, inverno); nella
fattispecie l’antica napoletanissima  pizza
‘e quatte manere si è imbolsita nel nome ed oggi è détta sconciamente pizza
quattro stagioni quasi che i componenti di cui è guarnita quali
condimenti fossero reperibili ognuno in una determinata stagione, laddove
invece sono sempre reperibili nel corso dell’anno; si tratta di una pizza
pur essa partita  dalla pizza sub
1)(pizza ‘nzogna pummarola e furmaggio) di cui 
conserva i punti A) e C) cambia invece 
la parte sub B quella relativa al condimento; innanzi tutto è da
ricordare che sull’originario disco di pasta della pizza cardine, vegono
aggiunti due bastoncelli di pasta posti ortogonalmente a croce lungo i due
diametri del disco fino a determinare quattro comparti che vengon conditi
tutti  con sugo di pomidoro,olio, sale,
mentre poi   ciascun comparto è guarnito  in modo diverso con altri ingredienti :
a)funghetti sott’olio, b) cubetti di salame, c) cubetti di mozzarella di bufala,
formaggio  e basilico, d)aglio vecchio
tritato ed origano.
Non esistono altri tipi di
pizza autenticamente napoletane; qualsiasi altro tipo di pizza che esuli le sei
or ora esaminate (ad es. pizza capricciosa
(con pomidoro, mozzarella, grana grattugiato, basilico, funghi, carciofini,
prosciutto cotto, olive nere, olio, uova sode ed acciughe)oppure pizza quattro
formaggi: pomidoro (facoltativo), mozzarella, altri formaggi a
discrezione, basilico) oppure ancóra stranezze del tipo  pizza bianca con panna, mozzarella,
prosciutto e mais, da molti chiamata mimosa,
o la pizza bianca con panna, mozzarella, prosciutto e funghi, detta anche dello chef. qualsiasi altro tipo di
pizza che esuli le sei or ora esaminate, dicevo,   usurpa il nome di pizza napoletana, come non
esito ad affermare che anche  la pizza margherita (non quella originaria,
ma quella ideata dall’Esposito della pizzera Brandi…) usurpa il nome di pizza
napoletana trattandosi di una  focaccia,
pur se nata a Napoli, dedicata ad una regina di casa Savoia quella casa  che invase ed usurpò per il tramite del
masnadiero Garibaldi Giuseppe,della Massoneria inglese e di una manica di
generali traditori  il libero,
indipendente e sovrano Reame di Napoli!E trattandosi di una pizza dedicata alla
rappresentante d’una famiglia usurpatrice,è da ritenersi – a mio parere e  per la proprietà transitiva – essa stessa
usurpatrice, come del resto ò già dimostrato quando ò illustrato la pizza,
antecedente a quella del Brandi,originaria pizza che su di uno specchio di
pomidoro aveva una guarnizione di mozzarella posta a mo’ dei petali di una
margherita !
Esistono infine tre tipi di
pizze di cui le prime due autenticamente  napoletane, mentre la terza è in uso in
provincia: queste tre pizze di cui ora dico  non derivano dalla pizza ‘nzogna pummarola e
furmaggio; si tratta per le prime due  di
gustosi ripieni di cui uno, détto cazone (= calzone),  è un ripieno  farcito 
con ricotta di pecora,pomidoro, mozzarella, formaggio e  pepe, ripieno  cotto al forno come tutte le pizze fin qui
viste, mentre il secondo ripieno è détto pizza cicule e ricotta essendo
appunto un ripieno farcito  con ricotta
di pecora, mozzarella, formaggio pepe e ciccioli di maiale (quelli di salumeria,
venduti al taglio, che derivano dalla cottura a vapore ed ad alta temperatura e
successiva pressatura sino ad ottenerne un cilindro alto tra i quindici e venti
centimetri ed un diametro di base di circa quaranta cm., derivano dalla cottura
ad alta pressione e successiva pressatura delle carni, grasso e cotenne
della  gola del maiale, il tutto salato e
speziato)  e non quelli casarecci residui
della cottura e successiva pressatura dei cubi di grasso di maiale(se di gola lardiciello, se di fianco/pancia ‘nzogna ‘mpana) fuso per ottenerne
sugna) e fritto in olio bollente e profondo;la pasta di partenza per il calzone
è il consueto disco di cui sub A del n° 2 (pizza
pomidoro, sugna e formaggio) su détto disco lungo l’ideale linea di un
diametro vengono distributi a seguire  la
ricotta spalmata, i dadi di mozzarella, il sugo di pomidoro,il formaggio
grattugiato ed il pepe, indi il calzone viene rinchiuso facendo combaciare i
lembi del disco in modo che la farcitura resti serrata nella pasta; sul calzone
cosí confezionato viene distribuita un'altra cucchiaiata di sugo di pomidoro ed
infine si inforna alle consuete temperature e per i consueti tempi; diversa la
procedura per la pizza cicule e ricotta che essendo  un ripieno farcito appunto con ricotta di
pecora, mozzarella, formaggio pepe e ciccioli di maiale da friggere in olio
bollente e profondo, può ricavare la pasta da farcire non dal consueto disco di
cui sub A del n° 2 (pizza pomidoro, sugna
e formaggio), ma da un fazzoletto quadrato della medesima pasta (quantunque
piú assottigliata( cm. 0,3 per tutta la sua ampiezza) quadrato di circa 10 -12 cm. di lato, quadrato
che viene farcito nell’ordine con ricotta di pecora, mozzarella, formaggio pepe
e ciccioli di maiale distribuiti lungo l’ideale diagonale del fazzoletto che
viene chiuso e sigillato per pressione in forma di  triangolo e quindi fritto per circa tre minuti
in olio bollente e profondo.Il terzo ripieno di cui dicevo che è in uso non in
Napoli città, ma nella sua provincia  è
un ripieno che prende il nome di caniscione/canniscione  che è la corruzione popolaresca di un
originale cannicchione = golosone (e
per metonimia golosità); e di
golosità si tratta in quanto il cannicchione/caniscione
 è  un pletorico fazzoletto quadrato di pasta di
pane  (quantunque piú assottigliata( cm.
0,3 per tutta la sua ampiezza)  di circa
13 -15 cm.
di lato, quadrato che viene farcito nell’ordine con ricotta di pecora,provola
affumicata, formaggio pecorino grattugiato, 
pepe, ciccioli di maiale, salame e spicchietti di uova sode, il tutto
distribuito lungo l’ideale diagonale del fazzoletto che viene chiuso e
sigillato per pressione in forma di 
triangolo e quindi fritto per circa tre minuti in olio bollente e
profondo.   
In coda a tutto quanto fin qui
détto e prima di segnalare alcune tipiche espressioni partenopee che dalla
pizza prendono il la, esamino alcune voci incontrate in questo excursus; di pizza,
marenara  e mandracchio ò già détto
antea; andiamo oltre e troviamo
pummarola s.vo f.le = pomodoro 1 pianta erbacea annuale con
foglie composte imparipennate, fiori gialli piccoli in grappoli e frutto a
bacca (fam. Solanacee) 
2 il frutto rosso, carnoso e commestibile di tale pianta, usato come
vivanda e come condimento; la voce napoletana deriva da pomo d’oro  con la variazione
di po→pu in quanto vocale atona,
raddoppiamento espressivo della emme intervocalica, alternanza
osco-mediterranea d/r  ed infine dissimilazione r – r →r-l  e cambio di
genere per cui si è avuto pomo
d’oro→pummod’oro→pummororo→pummarola;
mozzarella s.f.
1 formaggio fresco di origine campana e bassolaziale,  a pasta bianca e molle, in forme quasi
sferiche, prodotto tassativamente con latte di bufala
2 (fig.) persona estremamente fiacca. 
Ci troviamo a parlare di una
voce nata in Campania e poi adottata nel basso Lazio ed infine trasmigrata nel
lessico nazionale; per il vero la voce mozzarella
dovrebbe essere d’uso esclusivo di Campania e basso Lazio in quanto è in tali
regioni e non in  altre che viene
prodotta l’autentica, vera mozzarella
formaggio fresco a pasta bianca e molle, in forme quasi sferiche, prodotto
tassativamente con latte di bufala; formaggi simili prodotti in altre regioni
con latte vaccino usurpano il nome di mozzarella di cui copiano i sistemi di
lavorazione ,ma non l’ingrediente di base: il latte intero  di bufala, 
di modo che  tuttalpiú
possono  chiamarsi fiordilatte= (formaggio fresco di pasta filata, molle e cruda,
prodotto con latte di vacca) ma non mozzarella che etimologicamente è un
deverbale di mozzare = troncare in un sol colpo una parte da un tutto,  come avviene nel caso appunto delle
mozzarelle che in pezzi di circa 3 etti cadauno vengono troncati (un tempo a
mano, oggi anche con l’ausilio di mezzi meccanici),mediante torsione e strappo
(mozzatura) da un filone di pasta filata , filone ricavato dalla lavorazione
artigianale, con procedure trasmesse di padre in figlio, del  latte intero di bufala.
recotta s.vo f.le = ricotta latticino
molle e bianco, che si ottiene facendo bollire il siero di latte rimasto dopo
la lavorazione del formaggio | è un uomo di ricotta, (fig.)
debole, senza carattere | aver le mani di ricotta, (fig.) lasciar
cadere frequentemente le cose che si hanno in mano | avere le gambe di
ricotta, (fig.) deboli, che non reggono. Voce deverbale di recocere (cuocere due volte) di cui è
part. pass. f.le
‘nzogna s.vo
f.le = sugna, struttopreciso súbito che la voce napoletana a margine  che rende l’italiano sugna o strutto è voce
che va scritta ‘nzogna con un congruo apice (‘) d’aferesi (e qui di sèguito dirò il perché) e non nzogna
privo del segno d’aferesi, come purtroppo càpita di trovare scritto.
Ciò detto passiamo all’etimologia e  sgombriamo 
súbito il campo dall’idea (maldestramente messa in giro da qualcuno che nzogna,
(non ‘nzogna) possa  essere un adattamento dell’ antico italiano sogna(sugna)
con protesi di una n eufonica e dunque non esigente il
segno d’aferesi (‘) e successivo 
passaggio di ns→nz, dal latino (a)xungia(m), comp. di axis
'asse' e ungere 'ungere'; propr. 'grasso con cui si spalma l'assale del
carro'; occorre ricordare che nel tardo latino con la voce axungia si finí per indicare   un asse di carro e non certamente il
condimento derivato dal grasso di maiale liquefatto ad alta temperatura,
filtrato, chiarificato, raffreddato e conservato in consistenza di pomata per
uso alimentare, mentre gli assi dei carri venivano unti direttamente con la
cotenna di porco ancóra ricca di grasso.
Ugualmente mi appare fantasiosa l’idea (D’Ascoli) che la
napoletana ‘nzogna possa derivare da una non precisata voce umbra assogna per la quale non ò trovato
occorrenze di sorta! Messe da parte tali fantasiose proposte, penso che
all’attualità, l’idea semanticamente e morfologicamente piú perseguibile circa
l’etimologia di ‘nzogna sia quella proposta dall’amico prof. Carlo Iandolo che
prospetta un in (da cui ‘n) illativo + un *suinia (neutro plurale, poi inteso
femminile)= cose di porco alla cui
base c’è un sus- suis= maiale con
doppio suffisso di pertinenza:  inus ed ius; da insuinia→’nsoinia→’nzogna.
bianchetti
s.vo m.le = voce regionale plur. di bianchetto
(da non confondere con l’omonima sostanza imbiancante, generalmente a base
di biacca, che a seconda delle combinazioni può servire come cosmetico, per
cancellare errori in testi scritti a macchina o a mano, come prodotto
sbiancante per il bucato o per la pulitura di scarpe bianche ecc. ) ; 
avannotti di acciughe o sardine appena nati, quasi trasparenti, che
assumono un colore bianchiccio anche 
dopo la cottura, l’etimo è dal ligure gianchetto  diminutivo di gianco (bianco).
cicenielle
= plur. di ciceniello  voce
regionale  campana usata per indicare il
medesimo novellame (bianchetti)  quanto all’ etimo penso che esso vada cercato
piú che nel latino “caecella” = anguillina, come per un certo tempo pensai, ma
altrove e cioè che  si tratti  molto probabilmente  di un 
diminutivo (eniello/e)
derivato dal lat. caec(um)  atteso che il novellame che è molto piccolo si
presume cieco.
Staggiona/e  s.vo f.le 
letteralmente in napoletano vale estate e non uno  dei quattro periodi, di tre mesi ognuno, in
cui i solstizi e gli equinozi suddividono l'anno solare (primavera, estate,
autunno, inverno) A
prima  vista potrebbe sembrare strano il
fatto che la parlata napoletana renda il toscano estate con il termine staggione
anzi staggiona
(correttamente scritto con la
doppia  G, come
del resto  tutte le parole del  napoletano che terminano in zione,gione parole  che invece il toscano rende con la consonante
scempia) riferendo cioè  alla sola
estate il generico termine stagione  usato in toscano per indicare uno qualsiasi
dei quattro periodi di tempo in cui si è soliti suddivider l’anno e cioè ciascuno
dei quattro periodi, di tre mesi ognuno, in cui i solstizi e gli equinozi
suddividono l'anno solare; se si esamina però 
un po’ piú attentamente dal punto di vista etimologico, la parola stagione (staggiona/e in napoletano) ci si renderà conto che il fatto non è
affatto strano, anzi il napoletano  nel
definire staggiona  la sola estate, si dimostra alquanto piú
preciso della lingua toscana; vediamo infatti che la parola stagione è dal lat. statione(m), propr. 'luogo e/o tempo di sosta', con
riferimento alle apparenti soste del sole agli equinozi e ai solstizi; dalla
medesima statione(m) latina il napoletano trae la sua staggiona intesa come tempo di sosta e
riposo  e quale periodo piú adatto
dell’estate per prendersi una sosta o un riposo della fatica?
Di per sé infatti la parola estate
dal lat. aestate(m), che in origine significava calore bruciante, come aestus  da collegarsi al greco aíthos=
calore,  non richiama alla mente che il
solo  caldo fastidioso, non la piacevole
sosta del napoletano staggiona. A margine rammenterò i nomi napoletani
delle quattro stagioni che sono 
vierno s.vo m.le la stagione piú fredda dell'anno;
nell'emisfero boreale inizia intorno al 21 dicembre e termina intorno al 21
marzo; etimologicamente la voce napoletana è dal tardo lat. (hi)bernu(m)
(tempus) 'stagione invernale', dall'agg. hibernus 'invernale';nel
napoletano si è avuta la consueta dittongazione della ĕ con alternanza della b→v (cfr. barca→varca – bucca→vocca
etc.);
primmavera s.vo f.le  stagione intermedia fra l'inverno e l'estate;
nell'emisfero boreale inizia intorno al 21 marzo e termina intorno al 21
giugno, nell'emisfero australe inizia il 23 settembre e termina intorno al 21
dicembre ' etimologicamente la voce napoletana è dal lat. volg. *primavera(m),
per il class. primo víre 'sul principio del verdeggiare (riferito alla
prima fioritura di alberi e fiori); tipico nel napoletano  il raddoppiamento espressivo della labiale;
autunno s.vo m.le      stagione
dell'anno compresa fra l'estate e l'inverno; nell'emisfero boreale inizia il 23
settembre e termina intorno al 21 dicembre; nell'emisfero australe inizia
intorno al 21 marzo e termina intorno al 21 giugno:    etimologicamente la
voce napoletana è dal lat. autumnu(m) con assimilazione regressiva n→m.
staggiona/e
 s.vo f.le = estate: la stagione piú calda dell'anno; nell'emisfero
boreale ha inizio intorno al 21 giugno e termina il 23 settembre; nell'emisfero
australe à inizio invece intorno al 21 dicembre e termina intorno al 21 marzo e
ne ò già détto ad abundatiam.
Cazone s.vo m.le letteralmente sta per calzone s.m. voce maschilizzata ed  accrescitiva (cfr. suff. one) di calza (dal lat. mediev. calcea(m), dal class. calceus
'scarpa, stivaletto'; 1  correttamente da usarsi  al  pl.per indicare  l’indumento, in origine maschile ma oggi
diffusissimo anche fra le donne, che copre il tronco dalla vita in giú e le
gambe separatamente; pantalone: calzoni corti, lunghi, alla
zuava | mettersi i calzoni lunghi;à messo i calzoni (fig.)detto di un ragazzo, diventare
grande | farsela nei calzoni, (fig. fam.) avere una gran paura | è
la moglie a portare i calzoni, (fig. fam.) a comandare in casa. DIM.
calzoncini PEGG. calzonacci 
2 ciascuna delle due parti dei calzoni che rivestono le gambe: calzone
destro, calzonesinistro 
3 (gastr.) ed è il caso che ci occupa:  involucro di pasta di pane, in genere ripieno
di mozzarella e prosciutto, che viene fritto o cotto in forno; è tipico di
alcune cucine centromeridionali; è proprio in quest’ultima accezione che la
voce nap. cazone→calzone è pervenuta
nella lingua nazionale.
cicule s.vom.le pl. di ciculo =ciccioli di maiale,  avanzi
appunto dei pezzetti del grasso di majale, dopo cavatone lo strutto o sugna;
dal latino:(ins)cic(i)olu(m) Va da sé che i ciculi piú gustosi
siano  quelli residui del napoletano
lardiciello che è  il grasso di gola del
maiale (altrove détto anche guanciale) 
formato da due strati di grasso inframmezzato da uno strato di carne) e
non della ‘nzogna ‘mpana(alto strato di solo grasso ricavato dalla pancia o dal
fianco della bestia ). Rammento qui che con la medesima voce: cicoli o ciccioli
in salumeria o, ma meno spesso,  in macelleria
si vendono dei gustosissimi prodotti industriali che provengono non dai residui
della liquefazione di cubi di sugna, ma dalla cottura a vapore di carni, grasso
e cotenna  provenienti in massima parte
dal collo del maiale, opportunamente salati e speziati. Al termine della
cottura a vapore il tutto viene 
opportunamente pressato in forme metalliche  fino ad ottenere dei grossi pani cilindrici
piú larghi ( circa 50 cm.)  che alti(circa 15 cm) , che raffreddati
vengono venduti a taglio ed a peso nelle salumerie al banco dei salumi cui
sono, sia pure impropriamente apparentati; la sugna che comunque si ricava da
questa spremitura di carni,  grasso e
cotenne viene venduta ugualmente  come
condimento sia pure di seconda scelta. Ancóra in tema di sugna ricorderò che un
tempo  chi non provvedesse a prepararla
in casa liquefacendo i pannicoli di ‘nzogna ‘mpane e/o lardiciello poteva
acquistarla dal proprio macellaio di fiducia che sostituendosi alla massaia
provvedeva alla bisogna e metteva in vendita la sugna approntata in consistenza
di pomata conservata non in vasetto, ma nelle vesciche di maiale: ‘a vessica
(dal lat. vesica(m)) ‘e ‘nzogna.che poteva essere acquistata per intera o piú
spesso a peso.E qui giunti posso rammentare alcune espressioni tipiche che
prendono il via dalla pizza in epigrafe: 
 - Fà a uno ‘nzogna e pummarola.
Ad litteram:  fare
(cucinare) uno con sugna e pomodoro Icastica espressione  usata per indicare  che si intende maltrattare qualcuno,
violentemente percuoterlo, ridurlo a cattivo stato  fino ad iperbolicamente cucinarlo  in forno dopo averlo schiacciato a dovere
come si farebbe  con  una pizza condita, a maggior disdoro, non con
il tenue olio d’oliva, ma con la greve sugna 
e la classica salsa di pomodoro.
‘a pizza ‘nzogna e pummarola fu,
come ò ricordato,  anticamente uno dei
piú classici modi di approntare la pizza napoletana  che veniva appunto condita con sugna,  pomidoro ed abbondante pecorino prima d’esser
cotta in forno; successivamente, e mi ripeto 
il condimento per questa pizza napoletana
mutò e venne usato olio d’oliva, pomidoro aglio ed origano e la pizza cosí
condita non ebbe piú il nome di napoletana,  ma divenne â marenara. 
-      
Chijarsela a libbretta. 
-      
Letteralmente:piegarsela a mo’ di  libretto. 
È il modo piú comodo per consumare una pizza, quando non si possa
farlo comodamente seduti al tavolo e si sia costretti a farlo in piedi.In tal
caso  si procede alla piegatura in quattro
parti della pizza ed il disco prima piegato in due e poi ancóra ripiegato nel
verso opposto assume quasi la forma di un piccolo libro di alcuni (quattro)
fogli e si può mangiarla riducendo al minimo il pericolo di imbrattarsi di
condimento che trattenuto nella ripiegatura, difficilmente deborda . Id est:
obtorto collo,far di necessità virtú, sopportare,  far buon viso a cattivo gioco.
E giunto qui faccio punto,
scusandomi con qualcuno che si fosse sentito offeso dalle mie esternazioni
anti-risorgimentali: ma al cuore non si comanda ed il mio pulsa per i Borbone e
la sola vista d’un Savoia(ramo Carignano)mi mette l’orticaria addosso!
Raffaele Bracale