IL VERBO PISCIÀ, I SUOI DERIVATI E LA FRASEOLOGIA
Questa volta
prendendo spunto dalla richiesta dell’amico carissimo D.C. (i consueti problemi
di privatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome)che
nel riportarmi il quesito d’ un suo amico, mi à chiesto di illustrare, chiarire ed esaminare il significato l’ uso e l’ origine di antica
espressione partenopea (cfr. ultra sub 1), prendendo spunto appunto da tale richiesta mi soffermerò a dire del verbo in
epigrafe dei suoi derivati e della relativa fraseologia. Cominciamo dunque con
il dire che il verbo piscià
è mingere,
orinare
derivato dal tardo lat. pi(ti)ssare→pissare→pisciare→piscià);normale
nel napoletano l’evoluzione in sci
seguíto da vocale della consonante fricativa dentale sorda o sonora (s)
sia scempia che doppia purché seguíta da
vocale; e veniamo súbito alle voci derivate dal verbo per agglutinazione (In linguistica: a. Riunione in una sola
unità grafica e fonetica di due o più elementi lessicali originariamente
distinti, ma che si trovano spesso insieme in un sintagma (per es., disotto←di sotto , disopra←di sopra , perlopiú←per lo piú, all’ingrosso, ecc.). Il
processo, che come fatto grafico è frequentissimo in antiche scritture e che
spesso rispecchia fedelmente l’effettiva realtà fonetica (come in ammodo, eppure, ovvero, sebbene, macché, pressappoco, ecc.), à molta
importanza nell’evoluzione diacronica in quanto può dare luogo alla formazione
di nuove parole, soprattutto per la fusione (detta in questi casi anche concrezione) dell’articolo o
di una preposizione, come per es. il region. loppio
(da l’oppio, un
albero), l’avv. ant. incontanente
(dal lat. tardo in continenti
[tempore]), l’ant.
e pop. ninferno
(da [i] n inferno).Rammento ad
abundantiam che ad una agglutinazione e
falsa deglutinazione dell’articolo si devono le antiche varianti oncenso, onferno per incenso, inferno, sviluppatesi dalle
forme lo ’ncenso, lo ’nferno, scritte e
pronunciate loncenso,
lonferno)dicevo agglutinazione di una voce verbale piscia (3ª p. sg.dell’indicativo
presente dell’inf. piscià/are) con un
avverbio o un sostantivo. Abbiamo dunque
pisciasotto s.vo ed
agg.vo m.le e f.le = letteralmente:
chi/ che si minge addosso; la voce nasce come s.vo e vale in primis bimbo/a, piccolo/a; neonato/a, poppante,
lattante; usato come agg.vo m.le e fem.le vale timido/a,debole, pauroso/a, pavido/a ; schivo/a,
chiuso/a,introverso/a insicuro; etimologicamente la voce, come ò già
cennato e qui preciso è formata dall’
agglutinazione della voce verbale piscia (3ª p. sg.dell’indicativo
presente dell’inf. piscià) con avverbio sotto
(dal lat. subtus→suttus→sotto,
deriv. di sub 'sotto'; il collegamento semantico tra i
significati del sostantivo e quelli dell’aggettivo si colgono se solo si
considera il fatto che chi è piccolo/a;
neonato/a, poppante, lattante è di per sé timido/a,debole, pauroso/a, pavido/a etc e mai potrebbe
essere coraggioso/a, audace,
intrepido/a, ardito/a, impavido/a audace, disinvolto/a, sicuro/a, deciso/a;
piscianzogna s.vo ed
agg.vo m.le e solo m.le=
letteralmente: chi minge strutto;
id est pubere, adolescente; non si tratta di un’iperbolicità divertente o ironica
(atteso che non è dato a nessuno poter
mingere sugna...), ma solo di una rappresentazione icastica di una
manifestazione dell’età evolutiva: è allorché un ragazzo abbia raggiunto la
pubertà e sia diventato adolescente che
può dar luogo all’emissione di seme spermatico, quel seme che per il suo colore
biancastro e la sua viscidità viene assomigliato allo strutto; etimologicamente
la voce, come ò già cennato e qui preciso
è formata dall’ agglutinazione della
voce verbale piscia (3ª p.
sg.dell’indicativo presente dell’inf. piscià)
con il s.vo ‘nzogna= sugna, strutto sostantivo
sul quale mette conto io mi soffermi alquanto; preciso súbito che la voce
napoletana ‘nzogna che rende
l’italiano sugna o strutto è voce che va scritta, come ò fatto ‘nzogna con un congruo apice (‘) d’aferesi (e qui di sèguito dirò il
perché) e non nzogna privo del segno d’aferesi, come purtroppo càpita di
trovare scritto.
Ciò detto passiamo all’etimologia e sgombriamo
súbito il campo dall’idea (maldestramente messa in giro da qualcuno che nzogna,
( cosí erroneamente scritto e non ‘nzogna) possa essere un adattamento dell’ antico italiano sogna(sugna)
con protesi di una n eufonica e dunque non esigente il
segno d’aferesi (‘) e successivo passaggio
di ns→nz,
dal latino (a)xungia(m), comp. di axis 'asse' e ungere
'ungere'; propr. 'grasso con cui si spalma l'assale del carro'; occorre
ricordare che nel tardo latino con la voce axungia
si finí per indicare un asse di carro e non certamente il
condimento derivato dal grasso di maiale liquefatto ad alta temperatura,
filtrato, chiarificato, raffreddato e conservato in consistenza di pomata per
uso alimentare, mentre gli assi dei carri venivano unti direttamente con la
cotenna di porco ancòra ricca di grasso.
Ugualmente mi appare fantasiosa l’idea (D’Ascoli) che la
napoletana ‘nzogna possa derivare da una non precisata voce umbra assogna per la quale non ò trovato
occorrenze di sorta! Messe da parte tali fantasiose proposte, penso che
all’attualità, l’idea semanticamente e morfologicamente piú perseguibile circa
l’etimologia di ‘nzogna sia quella proposta dall’amico prof. Carlo Iandolo che
prospetta un in (da cui ‘n) illativo + un *suinia (neutro plurale, poi inteso
femminile)= cose di porco alla cui base c’è un sus- suis= maiale con doppio suffisso di pertinenza: inus ed
ius; da insuinia→’nsoinia→’nzogna. E
veniamo alla fraseologia costruita con il verbo in epigrafe; comincio
1)PISCIARSE DÊ RRISA letteralmente mingersi addosso per il
troppo ridere, id est scompisciarsi, sbellicarsi;
2)si
pisce chiaro, ffa’ ‘e ffiche ô miedeco oppure 2 bis) si
pisce chiaro futtatenneoppure fruculeatenne
d’ ‘o miedeco = letteralmente nel primo caso Se mingi
chiaro fa’pure gli scongiuri alla vista
d’un medico o scherniscilo (perché non ne avrai bisogno); nel caso sub 2
bis Se mingi chiaro (addirittura) impípitane del
medico (perché mai ne avrai
bisogno);
fa’ ‘e ffiche! =fai le fiche!;fà ‘e ffiche= far le fiche è un gesto internazionale di scongiuro e/o di
scherno dileggio che à una tradizione
millenaria ed appartiene ad un po’ tutto il mondo; consiste nell’introdurre il dito pollice
della mano destra serrata a pugno,tra l' indice ed il medio e tenerlo ben
dritto accompagnando il gesto con l’agitar la mano con un movimento ripetuto
dal basso in alto nell’intento di mimare il coito in atto; rammento in proposito che trattasi di gesto che
è diffusissimo ed addirittura nei
paesi dell’America meridionale (Brasile in testa) si è soliti produrre delle
minuscole statuine apotropaiche in legno di bosso riproducenti il gesto che è
stato ovunque abbondantemente studiato e
commentato;qui mi limito a rammentare che un tempo in origine il gesto non ebbe
significato di scherno o scaramantico, ma fu un palese invito all’atto sessuale
rivolto da un uomo alla sua donna o ad un’occasionale conoscenza; va da sé che linguisticamente parlando ‘e
ffiche è il pl. di ‘a fica che in napoletano è sí il s.vo f.le usato per indicare il frutto
del fico, ma è altresí il s.vo f.le volg.
che è uno dei numerosi sinonimi(cfr. alibi) sia del napoletano che
dell’italiano dell’insieme degli organi genitali
esterni femminili:1 vulva;semanticamente la fica= frutto del fico frutto
rosso e carnoso è preso a riferimento
per indicar la vulva , cosí come l’altrove usato pummarola = pomodoro, non perché la vulva sia edula come il
pomodoro o il frutto del fico, ma perché isia la vulva che il pomidoro o il
frutto del fico ànno il loro interno
rosso vivo; | 2 (estens.)
donna bella e desiderabile. Etimologicamente è voce dal lat. tardo fīca per fīcus «fico, frutto del fico»; il sign.
fig. era già nel gr. σῦκον «fico».
futtatenne e fruculeatenne
Queste in esame
sono due
delle piú concise, ma icasticamente significative espressioni del parlar napoletano, espressioni che si
sostanziano in due imperativi (2 pers. sg.) addizionati in posizione enclitica
da un ne che è una particella pronominale o locativa
atona corrispondente al ne dell’italiano; come pron. m. e f. , sing. e
pl. è forma atona che in
genere si usa in posizione piú
spesso enclitica, ma talora anche
proclitica (ad es. nun me ne parlà);
mentre è sempre posposta ad altro pron.
atono che l'accompagni (come nei casi in epigrafe); esso nelle espressioni in
epigrafe vale di ciò; altrove (cfr. ad
es. vattenne= vattene) à altra
valenza (locativa), ma comporta sempre in tutti i casi il raddoppiamento espressivo della nasale per
cui ne→nne.
Ma torniamo alle due espressioni in esame e dandone il significato che ovviamente necessiterà
d’un giro di parole; il napoletano
infatti spessissimo è piú stringato ed gli occorrono meno parole dell’italiano
per esprimere incisivamente un concetto.
Nella fattispecie sia con l’espressione fruculeatenne
(che letteralmente è: stropicciatene!)
sia con l’espressione futtatenne (letteralmente impípatene!) si intende quasi imporre
oppure pressantemente consigliare (ed
ecco perché è usato
l’ imperativo
piuttosto che un piú morbido congiuntivo ottativo...) si intende consigliare,
dicevo, colui cui venga rivolta una o ambedue le espressioni di
impiparsi di un qualcosa, di tenere in non cale un’accadimento, una
faccenda, di non curarsi, di
infischiarsi di qualcuno o piú spesso
di qualcosa.
Piú esattamente l’espressione fruculeatenne(che, mi ripeto letteralmente è: stropicciatene!) è potremmo
dire un modo piú dolce e meno duro, quando non addirittura piú frivolo, per
significare il medesimo concetto
dell’espressione futtatenne
che risulta essere piú dura, salutarmente sanguigna pur se
addirittura becera; ambedue gli imperativi in epigrafe risultano,
comunque incisivamente piú significativi
del corrispondente algido impípatene della
lingua italiana!
Ora consideriamo piú da presso le due espressioni e
cominciamo con
-
fruculeatenne come ò già detto si tratta di un imperativo
(2° pers. sg.) del verbo riflessivo fruculearse-ne/fruculiarse-ne=
impiparse-ne; e vale morfologicamente esattamentestropícciati di ciò, impípa-tene; l’etimo del verbo fruculeà/fruculià affonda
nel lat. fricare= strofinare,
stropicciare ed estensivamente frantumare
in piccoli pezzi ed è a questa estensione che occorre pensare per
percorrere la via semantica seguíta per
comprendere il passaggio tra il verbo latino inteso come frantumare in piccoli pezzi ed il napoletano fruculearse-ne/fruculiarse-ne= impiparse-ne; in effetti di
qualcosa che venga frantumato in
minutissimi pezzi, non vale mettere conto, interessarsene per modo che se
ne può
impipare tranquillamente, cioè
quasi fumarsi nella pipa quei minutissimi pezzi.
E passiamo a
-
Futtatenne!
Anche per la voce a margine, come ò già détto, ci troviamo a che fare con una voce verbale e cioè con l’imperativo (2° pers. sg.) del verbo
riflessivo fotterse-ne= impiparse-ne,
infischiarse- ne nella medesima
valenza del pregresso fruculeatenne quantunque
la voce a margine abbia rispetto alla prima voce in esame un’espressività piú dura, sanguigna,
impetuosa, anzi addirittura becera atteso
che col verbo di cui è imperativo non
richiama la frantumazione di qualcosa
in piccoli pezzi di cui disinteressarsi, ma molto piú sanguignamente –
direi – chiama in causa una... pratica sessuale (il coito) quasi che la
faccenda di cui disinteressarsi sia di nessun conto o non abbia nerbo per cui
se ne possa con ogni tranquillità abusare quasi congiungendovisi in un ...
rapporto sessuale. In effetti l’etimo
del verbo fottere donde il riflessivo fotterse-ne e l’imperativo a
margine affonda nel lat. futúere→fúttere (con tipico raddoppiamento della consonante antecedente la ú seguíta da vocale
e ritrazione dell’accento) verbo che sta per coire, avere rapporti sessuali oltre che raggirare,
imbrogliare. Semanticamente anche in questo caso, come per la precedente
voce fruculeatenne occorre pensare
che di qualcosa che venga impunemente
posseduto carnalmente ad libitum, non vale mettere conto, interessarsene per
modo che uno se ne può impipare tranquillamente come si terrebbe in
nessun cale un fortuito rencontre con
un’occasionale donna.
Preciso ancóra, ad abundantiam, che
letteralmente la voce a margine vale
Infischiatene, Non dar peso, Lascia
correre, Non porvi attenzione. È il
pressante invito a tenere i comportamenti indicati rivolto a chi si stia adontando
o si stia preoccupando eccessivamente per quanto malevolmente si stia dicendo
sul suo conto o si stia operando a suo danno. Rammento che tale icastico, sanguigno invito fu scritto dai napoletani su parecchi
muri cittadini nel 1969 allorché il santo patrono della città, san Gennaro,
venne privato dalla Chiesa di Roma della obbligatorietà della
"memoria" il 19 settembre con messa propria. I napoletani ritennero
la cosa un offensivo declassamento del
loro santo e allora scrissero a caratteri cubitali sui muri cittadini: SAN GENNÀ FUTTATENNE! Volevano consigliare al loro santo patrono di
non adontarsi per l’offesa ricevuta e
rassicuralo, al contempo, che essi, i
napoletani, non si sarebbero dimenticati del santo quali che fossero stati i
dettami di Roma e Gli avrebbero in ogni caso tributato tutta la dulía che
sin dal
305 anno del martirio del santo vescovo, gli era stata devotamente
riconosciuta.
|
3)SUNNARSE E PISCIÀ DINT’Ô LIETTO = Letteralmente; sognare e
mingere nel letto; id est: dar credito ai sogni, spaventarsene al segno di
mingere tra le coltri, reputar vere le
ombre, prender per sostanza le apparenze, scambiar sogni e realtà.
sunnarse = sognarsi trattasi del verbo sunnà =sognare addizionato come frequentente
accade della particella pronominalese =
si in funzione intensiva e/o
espressiva]
1 vedere, immaginare in sogno: sunnà(sognare),sunnarse ‘nu cane a ddoje cape( sognarsi un cane a due teste);
sognare, sunnarse ‘e vulà(sognarsi di volare); me songo sunnato ca ire partuto(ò sognato che eri partito);
2 raffigurare nella fantasia come reale; desiderare con viva
immaginazione; vagheggiare: sunnarse ‘na
bbella casa(sognarsi una bella casa);sunnarse ‘e addivintà ricco (sognarsi
di diventare ricco) | con riferimento al carattere irreale dei sogni: nun m’ ‘’o ssonno nemmeno!( non me lo sogno neanche!), non ci
penso neanche, non lo farei mai, oppure non posso nemmeno sperarlo; nun mme ll’aggiu sunnato!(non me lo sono mica sognato), è
vero, è accaduto realmente; ‘a villa ô
mare s’ ‘a sonna, s’ ‘a po’ sunnà!(la
villa al mare se la sogna, se la può sognare!), non l'avrà
mai; nun sunnarte d’ ‘o ffà(non sognarti di farlo), non farlo
assolutamente, non pensarci neanche | con riferimento al carattere divinatorio
attribuito ai sogni: nun putevo sunnarmelo(non potevo sognarmelo), non
potevo saperlo; chi s’ ‘o ffósse
sunnato?(chi se lo
sarebbe sognato?) chi poteva prevederlo? ||| v. intr. [ pure in
napoletanocome accade per l’italiano il
sognare(v. intr.) vuole l’aus. avere,
mentre se costruito con la particella pron.,vuole l’aus. essere, ] fare sogni: sonna tutte ‘e nnotte(sogna tutte le notti);aggiu sunnato ‘e mamma mia (ò sognato
di mia madre); me so’ sunnato d’ ‘e
tiempe passate(mi sono sognato dei
tempi passati) | me pare ‘e
sunna(mi sembra di sognare),
si dice di fronte a cosa straordinaria, imprevista o meravigliosa 'sunnà a
uocchie apierte ( sognare a occhi aperti), fantasticare. Voce dal lat. somniare→sonniare→sunnà, deriv. di somnium
'sogno'.
dint’ô corrisponde
all’italiano nel/nello. Al proposito rammento che con la preposizione in in italiano si ànno nel = in+il, nello/a= in+lo/la
nelle = in+ le, negli = in+ gli; in napoletano per formare analoghe preposizioni, si fa ricorso alla
preposizione impropria dinto (dentro – in); come ò già
détto e qui ripeto: le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie
ànno nel napoletano tutte una forma
scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre
nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo,
nel napoletano occorre indefettibilmente
aggiungere alla preposizione
impropria non il solo articolo, ma la
preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es.
nell’italiano si à: dentro la stanza,
ma nel napoletano si esige dentro alla stanza e ciò per riprodurre correttamente il
pensiero di chi mentalmente articola in
napoletano e non in italiano) per cui le locuzioni articolate formate da dinto a e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e
(i/gli/le) saranno rispettivamente dint’ô dint’â, dint’ê che rendono rispettivamente
nel/néllo,nélla,negli/nelle; dinto è dal lat. dí intro→d(í)int(r)o→dinto 'da dentro'.
4)PISCIÀ ‘NCOPP’Â SCOPA
Prima di illustrare, chiarire ed esaminare il significato, l’ uso e l’ origine dell’espressione in
esame mi corre l’obbligo d’una precisazione:
l’espressione in esame è molto datata, ma stranamente, di essa non si
occupa compiutamente nessuno (con una
sola eccezione, di cui dirò…), non si occupa nessuno dei numerosi addetti ai
lavori o degli appassionati cultori della napoletanità e suoi usi, costumi ed
espressioni linguistiche; nessuno: né il D’Ascoli, né Iandolo, né Zazzera, né
altri;quest’ultimo (Zazzera) – per la verità – né dà una timida, e peraltro,
erronea interpretazione (pur senza chiarire o argomentare) parlando di un
generico rimedio da usarsi quale
antidoto del nervosismo; l’unico
che ne fa menzione nel suo IL
NAPOLETANARIO è l’amico avv.to Renato de Falco, ma anche lui ne dà (e ne dirò in sèguito) una spiegazione
erronea o quanto meno riduttiva.
Mi corre perciò l’obbligo di fare da solo, senza il supporto
d’altre penne e/o idee. Pazienza, poco male! Non mi spaventerò per questo.
Cominciamo con il dire che tradotta ad litteram l’espressione è: Mingere sulla scopa. e piú spesso è
usata nella forma imperativa piscia
‘ncopp’â scopa! ossia mingi sulla
scopa!
Orbene, lètta cosí
semplicemente,nella morfologia con l’infinito l’espressione parrebbe quasi
sostanziare, come ipotizza l’amico Renato,
un innocuo dispettuccio meschino ed insulso fatto ad altri, come ad
esempio, aggiungo io, quello fatto da un ragazzino, un monello che redarguito,
sgridato e rimbrottato si vendichi
mingendo sulla scopa che forse è stata usata per accompagnare i rimbrotti con
qualche sana percossa…
Ma le cose non stanno cosí perché l’espressione non è usata
quale fatto di cronaca, ossia non è usata per riportare e riferire il comportamento inurbano, dispettoso e di
risentimento di un bambino; tutt’altro!
L’espressione è usata (nella morfologia dell’imperativo) a sapido provocatorio
commento all’atteggiamento d’ un adulto che si dispiaccia, si adonti di/per qualcosa
che gli accada e che non sia di suo gradimento; chiarisco con un esempio.
Poniamo che un individuo (maschio o femmina, ma
piú spesso càpita con una
femmina, adusa piú del maschio a risentirsi, mettere il broncio etc.) abbia
ricevuto, da persona a cui non ci si
possa opporre o con cui non si possa competere reagendo, abbia ricevuto,
dicevo, un rimbrotto o ancóra di piú,
un’offesa o abbia subíto un danno ed ovviamente se ne dispiaccia, quando non se
ne dolga o lamenti adontandosi e piccandosi, a costui/costei provocatoriamente
gli/le si può opporre l’espressione dispettosa dell’epigrafe: E piscia ‘ncopp’â scopa! (Mingi sulla
scopa!) che però non è lo stupido consiglio di reagire al rimbrotto,
all’offesa, al danno con un dispettuccio
infantile, quanto la piú seria esortazione a fare buon viso a cattivo giuoco, a
sopportare, ad arrangiarsi, a tollerare adattandosi a ciò che avviene.
L’espressione di
origine rurale, nasce prendendo spunto da un’antica pratica dei contadini
che allorché dovevavo pulire l’aia provvedevano a bagnarla
abbondantemente per evitare di sollevare polvere e quando non avevano
sufficiente acqua per inumidire l’aia, si limitavano a bagnare la ramazza,
ottenendo un risultato pressoché simile.
Nella
fattispecie dell’esempio in esame l’uomo o piú spesso la donna che abbia ricevuto, da persona a cui non ci
si possa opporre o con cui non si possa
competere reagendo, un rimbrotto o ancóra di piú, un’offesa o abbia subíto
addirittura un danno,l’indivuduo che
cioè non possa bagnare la sua metaforica aia, deve adattarsi a ciò che avviene
tollerando, facendo buon viso a cattivo giuoco magari arrangiandosi ad inumidire con il proprio
metaforico piscio una metaforica scopa. Posta cosí la faccenda l’espressione
assume un significato ben piú pregnante del semplice dispettuccio infantile
ipotizzato dall’amico Renato, dispettuccio che mal s’attaglia al comportamento
di un adulto.
piscia
= mingi
voce verbale ( qui 2° p. sg.imperativo, altrove anche 3° p. sg. ind. pres. dell’infinito piscià = orinare, mingere derivata dal
tardo lat. pi(ti)ssare→pissare→pisciare→piscià);
‘ncopp’â = sopra la; è il modo napoletano di rendere la
preposizione articolata sulla; rammento che con la preposizione su in italiano si ànno sul = su+il, sullo/a= su+lo/la
sulle = su+ le, sugli = su+ gli; in napoletano per formare analoghe preposizioni, si fa ricorso alla
preposizione impropria ‘ncoppa (sopra – su, dal lat. in + cuppa(m)); come ò già détto
alibi e qui ripeto: le locuzioni
articolate formate con preposizioni improprie ànno tutte una forma scissa,
mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano
s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano
occorre aggiungere alla preposizione
impropria non il solo articolo, ma la
preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es.
nell’italiano si à: sulla tavola o sopra
la tavola , ma nel napoletano si esige sulla
o sopra alla tavola e ciò per riprodurre correttamente il
pensiero di chi mentalmente articola in
napoletano e non in italiano) per cui le locuzioni articolate formate da ‘ncoppa a e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e
(i/gli/le) saranno rispettivamente ‘ncopp’ô ‘ncopp’â, ‘ncopp’ê che rendono rispettivamente
sul/sullo,sulla,sugli/sulle. Tutte le altre preposizioni formate dagli articoli ‘o
(lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con le corrispondenti preposizioni semplici
napoletane delle italiane per (pe)
tra/fra(‘ntra/’nfra) ànno una forma rigorosamente scissa o ma solo per la preposizione pe,
(mentre per ‘ntra/’nfra non è consentito) scissa o tutt’ al piú apostrofata: pe ‘o→p’’o
(per il/lo), pe ‘a→p’’a (per la), pe ‘e→p’’e (per gli/le), mentre
avremo solo ntra/’nfra ‘o - ntra/’nfra ‘a - ntra/’nfra ‘e.
Per tutte le altre preposizione articolate formate
dall’unione dei soliti articoli con preposizioni improprie (sotto, sopra,
dietro, davanti, insieme,vicino, lontano etc.), ci si regolerà alla medesima
maniera di quanto ò già detto circa le preposizioni formate da dinto o ‘ncoppa tenendo presente che in napoletano sotto, sopra,dietro,
davanti, insieme,vicino, lontano sono rese
rispettivamente con sotto,
‘ncoppa,arreto, annanze,’nzieme,vicino/bbicino,luntano e tenendo presente
altresí che occorre sempre rammentare
che le parole e le frasi da esse formate servono a riprodurre un pensiero;
ora sia che si parli, sia che si scriva,
un napoletano, nello scrivere in vernacolo, non potrà pensare in toscano e fare
poi una sorta di traduzione:commetterebbe un gravissimo errore.Per
esemplificare: un napoletano che dovesse scrivere: sono entrato dentro la casa,
non potrebbe mai scrivere: so’ trasuto dint’ ‘a casa; ma
dovrebbe scrivere: so’ trasuto dint’â (dove
la â è la scrittura contratta o
crasi della preposizione articolataa+’a=
alla)
casa; che sarebbe l’esatta riproduzione del suo pensiero napoletano:
sono entrato dentro alla casa. Allo stesso modo dovrà comportarsi usando
sopra (‘ncopp’ a +’a/’o/’e→’ncopp’â/ô/ê...) o sotto (sott’a.
+’a/’o/’e→sott’â/ô/ê...)...) in mezzo (‘mmiez’ a. +’a/’o/’e→’mmiez’â/ô/ê...)..)
vicino al/allo (vicino a ‘o/’a/’e→ vicinoâ/ô/ê ) e cosí via, perché un napoletano
articola mentalmente sopra al/alla/alle/ a gli... e non sopra il/la/le/gli... e
parimenti pensa sotto al... etc. e non
sotto il ... etc. D’ altro canto anche per la lingua italiana i piú moderni ed
usati vocabolarî (TRECCANI) almeno
per dentro non disdegnano le costruzioni: dentro al, dentro alla accanto alle piú classiche dentro il, dentro la.
scopa s. f. arnese di forma varia per spazzare il
pavimento, in genere consistente in una sorta di grossa spazzola fatta di rami
di erica o saggina, oppure di setole o di filamenti di materia plastica, su cui
si innesta un lungo manico 'avé magnato ‘o maneco d’ ‘a scopa (aver mangiato
il manico della scopa), (fig.) si dice di persona che cammina rigida
e impettita |sicco comme a ‘na scopa
(magro come una scopa), (fig.) molto magro; voce dal lat.
scopa(s) di scopae -arum pl., perché fatta con i rami della pianta
omonima.
5)PISCIÀ ACQUA SANTA P’ ‘O VELLICULO = espressione ironica
se non sarcastica che letteralmente è: mingere acqua santa attraverso
l’ombellico; id est: accreditare (per il gusto però di burlarsene, non di
lodarlo) qualcuno di esser migliore di
quanto sia in realtà ritenendolo addirittura capace di poter mingere in luogo
dell’orina, dell’acqua lustrale attraverso un orifizio peraltro inesistente! La
locuzione, usata sarcasticamente nei confronti di coloro che godano immeritata
fama di santità significa, appunto, che coloro cui è diretta sono da ritenersi
tutt'altro che santi o miracolosi, come invece lo sarebbero quelli che
riuscissero a mingere da un orifizio inesistente, addirittura dell'acqua santa.
velliculo = ombelico; l’etimo di velliculo è il medesimo di
ombelico e cioè il lat. umbilicu(m), affine al gr. omphalós
'bottone, ombelico' con la differenza che per il napoletano si è avuta l’aferesi
della prima sillaba um, il passaggio
di b
a v (come altrove: bucca(m)→vocca barca→varca etc.), il raddoppiamento espressivo della liquida
nella sillaba li→lli e l’aggiunta di un
suffisso diminutivo ulo/olo← olus.
6)vulé piscià e gghí ‘ncarrozza
Letteralmente: voler mingere e al tempo stesso andare in
carrozza Id est: pretendere di voler conseguire due risultati utili, ma
incompatibili fra di essi.
per il verbo gghí = andare cfr. ultra sub 8).
7)vulé piscià tutte dint'ô rinale oppure vulé
piscià tutto dint'ô rinale
Ad litteram:
voler minger tutti nell'orinale oppure
voler mingere completamente nell’orinale ; in ambedue i casi le
espressioni stanno per : pretendere l'impossibile; infatti non a tutti è concesso di fare tutte le
medesime cose, come non è possibile che tutti possano mingere
nell'orinale, qualcuno dovrà contentarsi di farlo all'aperto e - come i cani -
contro il muro. Nell’altra espressione si manifesta l’acclarata certezza che
orinando non si può depositare tutto l’orina
nel pitale; inevitabilmente si finisce per versarne fuori una parte!
rinale
s.vo m.le = orinale, pitale,
piccolo vaso da notte; voce dal lat. *urinale(m)→rinale
per aferesi della u diventata o e deglutinata in quanto
inteso articolo: *urinale(m)→ orinale(m)→
‘o rinale.
8) ‘A sciorta 'e Cazzette:jette a piscià e se
ne cadette.
La cattiva fortuna di Cazzetta: si dispose a mingere e perse...il pene.
Iperbolica notazione per significare l'estrema malasorte di un ipotetico
personaggio cui persino lo svolgimento delle piú ovvie necessità fisiologiche
comportano gravissimo nocumento.
jette = andò voce verbale
(3ª p.sg. pass. remoto dell’infinito jí= andare); il verbo jí merita una particolare attenzione: Il verbo
italiano andare ( che
etimologicamente qualcuno pensa derivi
dal lat. ambulare o da un lat. volg. *ambitare, ma che molto piú esattamente sembra derivi
da *aditare frequentativo di adire è verbo che à
alcune forme che ànno per tema vad- derivando dal lat. vadere/vadicare
'andare') è reso,in napoletano, con
derivazione dal lat. ire, con l’infinito jí/ghí e son numerose le locuzioni formate con détto
infinito. Premesso che alibi ò esaminato qualcuna di tali locuzioni, preciso qui che
in napoletano la grafia corretta dell’infinito
è – come ò scritto – jí oppure in talune espressioni ghí/gghí
(cfr. a gghí a gghí= di misura) dove la j è sostituita per
comodità espressiva dal suono gh; è pertanto assolutamente errato
(come purtroppo càpita con la stragrande maggioranza di sedicenti scrittori napoletani noti o meno noti!)
rendere in napoletano l’infinito di andare
con la sola vocale i talvolta accentata (í) talvolta, peggio
ancóra!, seguíta da uno scorretto segno
d’apocope (i’); la (i’) in napoletano è l’apocope del
pronome io→i’ e non può essere anche l’apocope dell’infinito ire;
l’infnito di andare in corretto napoletano è jí oppure in talune esopressioni ghí/gghí cosí come espressamente sostenuto dal poeta Eduardo Nicolardi (Napoli
28/02/1878 -† ivi 26/02/1954) che era solito far coniugare per iscritto in napoletano il
verbo andare (jí) a tutti coloro che gli sottoponevano i loro parti… poetici
dialettali e quando errassero nello scrivere, vergando (í) oppure (i’)
in luogo di jí oppure, ove del caso ghí,
li metteva decisamente alla porta consigliando loro di abbandonare il
napoletano e la poesia! A margine rammento che il verbo jí/ghí nella coniugazione dell’indicativo presente
(1°,2° e 3° pers. sg.) si serve del basso latino *vadere/vadicare (con
sincope dell’intera sillaba de/di) ed à: i’ vaco,tu vaje, isso
va, mentre per 1° e 2° pers. pl.usa il tema di ji –re ed à nuje jammo, vuje jate per tornare a *va(di)c-are per la 3° ps. pl che è
lloro vanno.
Qui giunto penso
proprio d’aver soddisfatto l’amico D.C. ed interessato qualche
altro dei miei ventiquattro lettori. Satis est.
Raffaele Bracale
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