AMMUINA (o AMMOINA) & dintorni
Questa
volta su suggerimento/richiesta dell’amico E. C. amico di cui al solito (per
questione di riservatezza) mi limito ad indicare le iniziali di nome e cognome,
(amico che è rimasto colpito da una notizia che circola sul web e di cui
parlerò diffusamente infra) prendo in esame la voce napoletana in epigrafe e comincio súbito con il dire che
come tanti altri termini (camorra, guaglione, scugnizzo e derivati), quello in epigrafe è
parola che, partita dalla parlata napoletana è pervenuta nell’italiano sia come sostantivo ammoina o ammuina
o addirittura ammoino/ammuino, che come voce
verbale ammuinare/ammoinare.
Preciso che in napoletano la voce in epigrafe e le corrispondenti voci verbali furono – nel
lessico popolare – di quasi esclusiva competenza degli adolescenti ed
indicarano essenzialmente il chiasso, la
confusione, la rumorosa agitazione prodotta da costoro specialmente durante il giuoco, chiasso,
confusione ed agitazione rumorosa che
determinano negli adulti costretti a subirli, noia e fastidio; solo per
estensione successivamente le parole riguardarono chiasso, confusione e baccano
degli adulti ed addirittura con
l’espressione fare ammoina, nel gergo marinaresco, si indicò il darsi da fare
disordinatamente e senza frutto, o per ostentare la propria laboriosità e vi fu
un capo ameno, ma scarico che, prendendo le mosse da tale gergo marinaresco,
peraltro mercantile,e con il palese scopo, seppur non dichiarato di vilipendere
i Borbone Due Sicilie si inventò un inesistente articolo: Facite ammuina attribuito alla marineria borbonica di
Francesco II Due Sicilie.
Per
amor di completezza ricorderò che il predetto fantasioso articolo recitava: All'ordine Facite Ammuina: tutti chilli
che stanno a prora vann' a poppa e chilli che stann' a poppa vann' a prora:
chilli che stann' a destra vann' a sinistra e chilli che stanno a sinistra
vann' a destra: tutti chilli che stanno abbascio vann' ncoppa e chilli che
stanno ncoppa vann' bascio passann' tutti p'o stesso pertuso: chi nun tiene
nient' a ffà, s' aremeni a 'cca e a llà.
Ò trascritto l’articolo così come
l’ò travato in rete, stampato su di un evidentemente falso proclama reale
recante lo stemma borbonico.
Non voglio soffermarmi piú di tanto sull’evidente falsità dell’articolo;
mi limiterò ad osservare che essa si ricava già dal modo raffazzonato in cui è
scritto; è evidente che il capo scarico
che lo à vergato, mancava delle piú elementari cognizioni della parlata napoletana: basti osservare in che modo errato
sono scritti tutti i verbi, terminanti tutti con un assurdo segno d’apocope (‘) o di una ancóra piú
assurda elisione, in luogo della
corretta vocale semimuta.A ciò si deve aggiungere l’incongruo, fantasioso
congiuntivo esortativo che conclude l’articolo: s’aremeni, congiuntivo
che è chiaramente preso a modello dal tascono, ma non appartiene all’idioma
napoletano che usa ed avrebbe usato anche per il congiuntivo la voce s’aremena
cosí come l’indicativo; infine non è ipotizzabile un monarca che, volendo codificare
un regolamento in autentico napoletano, affinché fosse facilmente comprensibile
alle proprie truppe incolte, si rivolgesse o fosse rivolto per farlo vergare a
persona incapace o ignorante della parlata napoletana; ciò per dire che tutto
l’evidentemente falso articolo fu pensato e vergato dal suo fantasioso autore, con ogni
probabilità filosavoiardo in lingua italiana e poi, per cosí dire, tradotto
seppure in modo sciatto ed approssimativo in napoletano, cosa che si evince
oltre che da tutto ciò che fin qui ò annotato dal fatto che nell’articolo
(presunto napoletano) si parla di destra e sinistra, laddove è risaputo che i
napoletani, anche i colti, usavano dire dritta e mancina.
Rammento in chiusura di questa parte che lo storico Gigi Di Fiore
à recentemente precisato[dando un nome al capo scarico di cui sopra] sulla
scorta di quanto ugualmente ebbe a dire il compianto barone Roberto Maria
Selvaggi, che il facite ammuina
non nacque affatto da un regolamento
della marina borbonica, bensí trasse origine da un fatto storico realmente
accaduto (anche se dopo la nascita della Regia Marina
italiana): un ufficiale napoletano, tale Federico Cafiero (1807 - 1888), già passato dalla parte dei piemontesi durante l'invasione del Reame delle Due
Sicilie, venne sorpreso a dormire a bordo della sua nave insieme al
suo equipaggio e messo agli arresti da un ammiraglio piemontese, in quanto
responsabile dell'indisciplina a bordo. Una volta scontata la pena,
l'indisciplinato ufficiale venne rimesso al comando della sua nave dove pensò
bene di istruire il proprio equipaggio a "fare ammuina"
(ovvero il maggior rumore e confusione possibile) nel caso in cui si fosse
ripresentato un ufficiale superiore, con lo scopo di essere avvertito e
contemporaneamente di dimostrare l'operosità dell'equipaggio.
Sistemata cosí la faccenda del Facite ammuina , torniamo alla parola in epigrafe e
soffermiamoci sulla sua etimologia;
a
prima vista si potrebbe ipotizzare, ma erroneamente che la parola ammoina
sia stata forgiata sul toscano moina
con tipico raddoppiamento consonantico iniziale ed agglutinazione
dell’articolo la (‘a); ma a ciò osta il fatto che mentre il termine ammoina/ammuina
sta, come detto, per chiasso,
confusione, vociante baccano, la parola moina (dal basso latino movina(m))
sta ad indicare gesto, atto affettuoso,
vezzo infantile; comportamento lezioso, sdolcinato, tutte cose evidentemente
lontane dal chiasso e/o confusione che son propri dell’ ammoina/ammuina e
lontane dal fastidio che da quel chiasso ne deriva all’adulto che, al
contrario, è appagato e gratificato dalle
moine infantili o talvolta da quelle femminili; sgombrato cosí il campo dirò
che per approdare ad una accettabile etimologia di ammoina/ammuina occorre risalire, percorrendo un’esatta strada
semantica, proprio al fastidio,
all’annoiare che il chiasso, la confusione, il vociante baccano procurano; tutte cose
puntualmente rappresentate dal verbo spagnalo amohinar(infastidire,
annoiare, addirittura rattristare) e convincersi che l’ ammoina/ammuina altro non sono che deverbali del verbo
spagnolo.
E
con questo penso d’avere esaurito l’argomento e d’avere contentato l’amico E. C. ed almeno
interessato qualcuno dei miei
ventiquattro lettori per cui faccio punto fermo con il consueto satis est.
Raffaele
Bracale
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