1 - Paré 'a gatta appesa ô llardo
Ad litteram:sembrare la gatta attaccata al lardo Icastica similitudine riferita a due persone che incedano di conserva di cui una si mantenga saldamente legata al braccio dell'altra; di solito si tratta di una anziana donna che si accompagni ad un baldo giovane e su di lui faccia affidamento per un incedere sicuro.
2 -Parè 'a palata e 'a jonta
Ad litteram:sembrareil filone di pane e la giunta La similitudine riguarda sempre due persone che incedano di conserva, ma diversamente dall'espressione precedente qui si tratta di due persone di cui l'una sia longilinea e prestante e l'altra piccola e piuttosto in carne per modo da essere paragonati ad un filone di pane ed alla giunta che il fornaio soleva accordare al compratore, per aggiustare il peso del filone di pane spesso inferiore al previsto kilogrammo della pezzatura.
3 -Paré 'a lampa d''o Sacramento.
Ad litteram: sembrare la lampada del Sacramento Id est: essere così smunto e macilento da potersi paragonare al piccolo cero che arde davanti la custodia del SS. Sacramento nelle chiese cattoliche.
4 -Paré ll'aseno 'mmiezo ê suone
Ad litteram: sembrare l'asino fra i suoni Così si usa dire di chi di natura distratto, insicuro e dubbioso, si mostri frastornato e confuso in ogni rapporto interpersonale tanto da farsi appaiare ad un asino che in un contesto fragoroso e rumoroso perda quasi il senso d'orientamento .
5 -Pare brutto.
Ad litteram: sembra brutto. Così usa dire chi voglia consigliare qualcuno di non tenere un certo comportamento, ma non sappia o voglia addurre seri motivi acciocchè non si agisca in quel modo e si limita perciò ad indicarlo come erroneo ed inopportuno, ma senza alcun preciso e documentato motivo, solo in ragione di una sciocca ipocrisia che fa ritenere inopportuno il comportamento in quanto esso potrebbe sembrare agli altri scorretto se non riprovevole .
6 -Pare ca mo te veco vestuto 'a urzo.
Ad litteram:sembra che adesso ti vedrò vestito da orso Locuzione ironica da intendersi in senso antifrastico, id est: mai ti vedrò vestito da orso, locuzione che si rivolge a mo' di canzonatura davanti alle risibili imprese dei saccenti e supponenti che si imbarcano privi delle necessarie forze fisiche e/o intellettive, in avventure ben superiori alle loro scarse possibilità a causa delle quali le imprese son destinate a fallire miseramente; il nascosto protagonista della locuzione si dispone a catturare un orso per vestirsene della pelle, ma sciocco ed incapace non vi potrà mai riuscire.
7 -Pare ca mo 'o vveco
Ad litteram:sembra che adesso lo vedrò Locuzione di portata molto simile alla precedente, ma di valore più generico che si usa in presenza di una generica previsione di un risultato fallimentare cui è destinata l' azione intrapresa da chi è ritenuto incapace ed inadatto a sostenere un impegno qualsiasi e perciò a raggiungere un risultato.
8 - Pare ca 'o culo ll'arrobba 'a cammisa o ‘a pettola.
Ad litteram:sembra che il sedere gli ruba la camicia o la falda della medesima.
Icastica e divertente espressione che si usa per bollare l'estrema avarizia e taccagneria di un individuo così malfidato e timoroso da paventare che il sedere lo possa defraudare della propria camicia, la cui falda (pettola) è a contatto col medesimo sedere.
9 - Paré mill'anne
Ad litteram:sembrare mille anni Così iperbolicissimamente si suole affermare nell'attesa di desiderati avvenimenti che tardino a realizzarsi .
10 -Paré 'na pupata 'e ficusecche
Ad litteram:sembrare una pupattola di fichi secchi Antica locuzione, ora quasi desueta che si soleva un tempo riferire soprattutto alle attempate signorine che andavano in giro con il volto cosparso di molta cipria o più economica farina, nel vano tentativo di nascondere i danni del tempo; tali signorine erano paragonate alle pupattole che i venditori di frutta secca inalberavano sulle loro mostre durante le festività natalizie: le pupattole erano fatte con un congruo numero di fichi secchi imbiancati di glassa zuccherina ed infilzati su sottili stecchi di vimini.
11 - Paré n'auciello 'e malaurio
Ad litteram:sembrare un uccello del malaugurio Detto di chi pessimista di natura profetizzi per sé e per gli altri,guai e disgrazie continuate; costui a cui spesso il malaugurio si legge in volto viene assomigliato a quegli uccelli notturni quali gufi e civette ritenuti apportatori di disgrazie.
12 -Paré 'na ùfera
Ad litteram:sembrare una bufala Detto di chi, incollerito ed irato si lascia assalire da una violenta crisi nervosa al punto da poter essere paragonato ad una bufala che imbestialita carichi collericamente.
13 -Paré 'nu píreto annasprato
Ad litteram:sembrare un peto inzuccherato Fantasiosa ed irreale locuzione con la quale viene indicato chi saccente, supponente e vanesio si dà l'arie di valente superuomo, ma essendo in realtà privo di ogni concreto supporto e fondamento alle sue pretese virtù può solo esser paragonato ad un peto che, sebbene inzuccherato, rimane pur sempre la stomachevole, fetida cosa che è.
Píreto s.vo m.le = peto, emissione rumorosa di gas dagli intestini. (dal lat. pēditu(m), deriv. di pedere 'fare peti' con alternanza osco mediterranea di d→r onde pēditu(m)→piritu(m)→píreto);
annasprato/a agg.vo m.le o f.le =coperto di naspro voce verbale part. pass. masch. sing. aggettivato dell’infinito *annasprà=coprire di naspro;
la voce naspro ed il conseguente denominale *annasprà (a quel che ò potuto indagare) sono espressioni in origine del linguaggio regionale della Lucania, poi trasferitosi in altre regioni meridionali (Campania, Calabria, Puglia) ed è difficile trovarne un esatto corrispettivo nella lingua nazionale; si può tentare di tradurre naspro con il termine glassa atteso che nel linguaggio dei dolcieri meridionali la voce naspro indicò ed ancóra indica una spessa glassa zuccherina variamente aromatizzata e talora colorata usata per ricoprire in origine dei biscotti dall’impasto abbastanza semplice o povero; in sèguito si usò il naspro colorato per ricoprire delle torte dolci e segnatamente quelle nuziali con un naspro rigorosamente bianco; a Napoli non vi fu festa nuziale che non si concludesse con un sacramentale gattò mariaggio coperto di spessa glassa zuccherina bianca: la voce gattò mariaggio nel significato di torta del matrimonio fu dal francese gâteau (de) mariage.
Per ciò che riguarda l’etimo della voce naspro, non trattandosi di voce originaria partenopea, né della lingua nazionale (dove risulta sconosciuta), ma – come ò detto – del linguaggio lucano mi limito a riferire l’ipotesi della coppia Cortelazzo/Marcato che pensarono ad un greco àspros=bianco, ipotesi che poco mi convince in quanto morfologicamente non chiarisce l’origine della n d’avvio che certamente non à origini eufoniche; penso di poter a proporre una mia ipotesi peraltro non supportata da nessun riscontro; l’ipotesi che formulo (peraltro accolta con un sí convinto dall’amico prof. Carlo Iandolo) è che trattandosi di una preparazione molto dolce per naspro si potrebbe pensare ad un latino (no)nasperum→nasperum→naspro, piuttosto che ad un (n?)àspros.
14 -Paré 'nu píreto ‘ncantarato o con riferimento ad una donna paré 'na pereta ‘ncantarata Letteralmente: Sembrare un peto esploso in un pitale, cioè sembrare un rumorosissimo peto che esploso in un pitale (che gli fa da cassa di risonanza) risulta fragorosissimo. Anche in questo caso con l’espressione a margine ci si intende riferire ad una donna o – piú spesso - ad un uomo saccente, supponente e vanesio che si dia l'arie di valente superuomo, parli a sproposito ed a vanvera, dia consigli non richiesti, ed essendo in realtà privo di ogni concreto supporto e fondamento alle sue pretese virtù, mancante com’è di scienza o conoscenza può solo esser paragonato ad un peto che, sebbene risuonante, rimane pur sempre la stomachevole, fetida cosa che è.
Per píreto vedi sub 13; pereta ne è il metafonetico femminile
‘ncantarato/a agg.vo m.le o f.le = letteralmente = contenuto in un càntaro (pitale) voce formata come se fosse una verbale quale part. pass. masch./f.le sing. aggettivato di un inesistente ’infinito *incantarà = contenere in càntaro;in pratica si ipotizza l’esistenza d’un verbo denominale di càntaro con prostesi di un in→’n illativo; a sua volta càntaro o càntero è un s.vo m.le che indica un alto e vasto cilindrico vaso dall’ampia bocca su cui ci si poteva comodamente sedere, atto a contenere le deiezioni solide; etimologicamente la voce càntero o càntaro è dal basso latino càntharu(m) a sua volta dal greco kàntharos; rammenterò ora di non confondere la voce a margine con un’altra voce partenopea cantàro (che è dall’arabo quintâr) diversa per accento tonico e significato: questa seconda infatti è voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= circa un quintale ed è a tale misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che (il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia richiamata…)); molti napoletani sprovveduti e poco informati confondono la faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con un altro peso (cantàro)!
15 -Paré 'nu sorece 'nfuso 'a ll' uoglio
Ad litteram:sembrare un topolino bagnato dall'olio. Icastica espressione normalmente riferita a quei ragazzi che se ne andavano e se ne vanno in giro con il capo abbondantemente cosparso, una volta di brillantina ed oggi di gelatina e risultano avere i capelli così unti da poter essere facilmente appaiati ad un topolino che completamente unto venga fuori da un contenitore di olio nel quale - essendone ghiotto - s'era completamente immerso.
16 - Paré 'nu Cristo schiuvato
Ad litteram:sembrare un Cristo schiodato (e deposto dalla croce). Icastica locuzione con la quale si suole indicare chi sia così smunto, pallido e mal ridotto al segno di poter essere paragonato, non irriverentemente, al Cristo morto e deposto dalla croce.
17 - Paré 'o diavulo e ll'acqua santa
Ad litteram:sembrare il diavolo e l'acqua santa. Locuzione che si usa per indicare due persone caratterialmente agli antipodi e dunque in perenne lotta, attesa la incociliabilità dei rispettivi intendimenti operativi ed i conseguenziali modi di agire.
18 - Paré don Titta e 'o cane
Ad litteram:sembrare don Titta ed il cane Locuzione usata per fotografare la situazione che veda due individui che procedano indissolubilmente legati fra di loro al segno che quasi l'uno non possa fare a meno dell'altro e viceversa. Chiarisco qui che il don Titta della locuzione non à riferimenti né storici, né letterarî con alcun personaggio esistito o di fantasia; è usato nella locuzione per un malinteso senso di rispetto, al posto di san Rocco, originario protagonista della locuzione; ed in effetti il santo, nella iconografia tradizionale è rappresentato accompagnato sempre da un cane; in seguito, per una sorta di bigottismo, al nome del santo fu sostituito quello di un non meglio codificato don Titta, che non è -sia chiaro!- il boia pontificio, personaggio mai entrato nella cultura partenopea che aveva in un mastro Austino il boia di sua pertinenza.
brak
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