SCATOLOGICA
L’amico R.M. ( le consuete questioni di privatezza, mi impongono di indicare le sole iniziali di nome e cognome) mi à proditoriamente invitato ad illustrare alcune espressioni partenopee a sostrato scatologico; pensava di mettermi in difficoltà, conoscendomi per persona beneducata, compita, corretta e paventava ch’ io mi rifiutassi; si sbagliava: è vero che son un uomo perbene, civile, costumato, ma non sono un pusillanime né temo di lordarmi la bocca o le mani parlando di sterco ed affini. Perciò bando alle ciance, turiamoci il naso e contentiamo l’amico R.M. e qualche altro dei miei ventiquattro lettori.
1 Essere n’ ommo ‘e mmerda
Ad litteram: essere un uomo fatto di merda. Id est: essere una persona infida, scostante e repellente ed inaffidabile tamquam qualcosa formata di escrementi.
2 Fà ‘na fijura ‘e mmerda.
Ad litteram: fare una figura di sterco.Locuzione simile a quella che recita fa ‘na fijura ‘e chiove (id est:fare una figura da chiodi cioè fare una figuraccia), ma connotata da una maggior durezza di linguaggio in quanto che la figuraccia derivante dall’errato comportamento non è meritevole quasi di essere attaccata con i chiodi, a mo’ di ammonimento o ricordo, ma è da considerarsi quasi lercia di escrementi e pertanto piú che umiliante e mortificante.
3Jí cu ‘o musso dint’â mmerda. variante
Jí cu ‘a faccia dint’ô panecuotto.
Ad litteram: Finire con il muso nello sterco
variante finire con la faccia nel pan cotto.
La locuzione a margine e la sua variante sono usate per significare il comportamento di tutti coloro che per propria ingenuità o insipienza finiscono per fare meschine figure al pari (cfr. variante) di un bimbo che si sia imbrattato il volto mangiando pan cotto; la prima parte molto piú dura ed icastica prende a modello il comportamento del maiale che frugando nel porcile alla ricerca di cibo, spesso affonda il muso nei suoi stessi escrementi, e tale comportamento viene appaiato ai presuntuosi atteggiamenti di coloro che abituati a fare i saccenti ed i supponenti spesso vedono le loro affermazioni, se non le loro azioni vanificate queste, e contraddette quelle dalla chiara realtà e finiscono per fare figure cosí meschine da esserne quasi insozzati come un porco dal suo sterco.
4 Stà poca mmerda 'a fà pallottole
Ad litteram:c'è poca merda da farne palle. Id est: c'è poco da fare, non è possibile raggiungere i risultati sperati: mancano la materia prima ed i mezzi occorrenti. Locuzione nata nell'ambito dei raccoglitori (détti mmerdajuole) degli escrementi di animali,escrementi atti ad esser venduti come concime, la locuzione veniva pronunciata con profondo senso di rincrescimento, allorché nel loro quotidiano girovagare ,i raccoglitori trovavano poco da portar via.(per completezza aggiungerò qualcosa, illustrando l’espressione
4 bis Essere ‘a tina ‘e miezo.
Ad litteram: essere il tino di mezzo. Offensiva locuzione che si usa rivolgere a chi sia materialmente o moralmente cosí sozzo, sporco, lercio da poter essere assimilato al grosso tino trasportato nel bel mezzo di un carro atto allo scopo, tino nel quale, originariamente in quel di Torre del Greco, e poi in ogni paese rurale, veniva posto tutto il letame che, raccolto in giro e convogliato nel tino centrale per il tramite di due altri tini piú piccoli allogati ai lati del tino centrale, veniva poi rivenduto quale concime naturale.
tina = tino, ma di piú grosse dimensioni; etimologicamente da tardo latino tinu(m), derivato da tina 'bottiglia', di orig. greca; tinum diede originariamente il maschile tino, poi volto al femminile tina in quanto di maggiori dimensioni, come spesso in lingua napoletana, dove il femminile indica un oggetto piú grande del corrispondente maschile (es.: cucchiara (piú grande) e cucchiaro ( piú piccolo);
‘e miezo dal lat. mediu(m) = di mezzo: posto nella parte mediana di qualcosa; senza la preposizione ‘e (di) il solo miezo è aggettivo che vale: mezzo, metà.
Rammenterò che proprio per l’usanza di raccogliere il letame con carri muniti di tini, la città di Torre del Greco finí per essere detta tout cour ‘A tina ‘e miezo e tale nomignolo le derivò anche per il fatto (rammentato nell’altra espressione: Napule fa ‘e peccate e ‘a Torre ‘e sconta (Napoli si macchia di peccati che vengono pagati da Torre)) che per un dannato, particolare gioco di correnti marine, le deiezioni corporali dei napoletani abbondantemente riversate in mare (cfr. alibi ‘a malora ‘e Chiaja) venivano trasportate verso Torre del Greco arenandosi sulla spiaggia della cittadina vesuviana;
peccate plurale di peccato che di per sé è la colpa, il peccato, ma ovviamente qui è inteso in senso lato e traslato di escremento;
etimologicamente dal latino peccatu(m) deverbale di peccare = macchiarsi di una colpa
sconta voce verbale (3° pers. sing.ind. pres.) dell’infinito scuntà = scontare, pagare un po’ per volta o anche ripetutamente;
etimologicamente da un tardo latino computu(m)= conto, con protesi di una s detrattiva.
Sempre con riferimento all’usanza di raccogliere il letame con carri muniti di tini, rammenterò un’altra locuzione che viene usata a sapido commento di incresciose situazioni dalle quali non è dato ricavare (vuoi per mancanza di mezzi, vuoi per difficoltà intrinseche o per conclamate incapacità operative degli addetti) effetti o risultati positivi; la locuzione suona: c’è poca ‘a fà mmerda, pallottole! : c’è poca merda da farne palle! In effetti gli escrementi animali, il letame veniva raccolto con le pale, dandogli una forma vagamente sferica a mo’ di palla; quando mancava il materiale da raccogliere, o non ce ne fosse a bastanza gli addetti commentavano la faccenda con la frase summenzionata, usata in seguito in ogni altra situazione incresciosa per insufficienza di mezzi, difficoltà operative etc.
mmerda/merda dal lat. merda(m) = escremento, sterco e figuratamente: cosa che disgusta, persona spregevole, situazione ripugnante | nella loc. agg. ‘e mmerda= pessimo, spregevole: fà ‘na fijura ‘e mmerda: fare una figura di merda = fare una pessima figura; dal s.vo a margine deriva il s.vo mmerdajuolo = raccoglitore di sterco;
dal s.vo a margine deriva altresí l’agg.vo m.le o f,le mmerduso/mmerdosa = inetto/a, incapace, buono/a a nulla. o di ragazzo/a che si atteggino ad adulti;in tale significato sono usati piú spesso i diminutivi mmerdusillo/mmerdusella;
pallottole = plurale di pallottola = piccola palla; doppio diminutivo attraverso i suffissi otto/a ed olus/ola del latino palla mutuato dal longob. *palla, che à la stessa radice di balla involto di merci apprestato per il trasporto.
5 Mmerda ‘e spruviero!
Letteralmente: Sterco di sparviero!
Icastica, offesa esclamatoria rivolta all’indirizzo d’uomo (e solo di uomo!) privo di qualsivoglia personalità sia in senso positivo che in quello negastivo; un essere insomma né carne, né pesce, un uomo privo di carattere, incapace di farsi apprezzare né nel bene, né nel male, un uomo di quelli che a Napoli son detti inservibili né da friggere né da arrostire; la spiegazione semantica di tutto ciò è da ricercarsi nel fatto che lo sterco di sparviero si ritiene non emani né lezzo, né olezzo, tanto da farsi considerare quasi inesistente.
6 Piglià ‘nu strunzo ‘mbuolo
intromettersi, intervenire a sproposito in una questione che non ci riguardi; ‘mbuolo sta per in + vuolo, dove vuolo o buolo con tipica alternanza partenopea b/v è un particolare piccolo retino da pesca, usato per pescare a volo i pesci in transito; qualora in luogo di pesce si pescasse uno stronzo (dal longob. strunz 'sterco') si incorrerebbe in un’azione sciocca ed inutile tal quale quella di chi si intromette, intervenendo a sproposito in casi non suoi.;
7 Strunzo ‘mmiezo!
Antica espressione dichiarativa del tutto desueta usata un tempo da chi si intromettesse in una questione non propria o in un litigio, ma con intenti pacificatorî; una sorta di “Alto là! Ora chetatevi, rappacificatevi, smettetela di litigare! Ascoltate me che benché sia uno sciocco e non abbia autorità alcuna, vi prego di desistere dal vostro incongruo comportamento!” Come si evince l’espressione a margine à sostrato del tutto diverso da quella precedente con la quale, da qualche sprovveduto, talora viene confusa: quella precedente è riferita infatti a gli stupidi saccenti ficcanasi impiccioni, mentre questa a margine è di competenza degli umili, seppure coraggiosi o temerarî pacieri;
8 Quanno ‘o mare è ccalmo, ogne strunzo è marenaro
Allorché il mare è calmo, cioè non è foriero di pericoli, ogni incapace riesce a governare una barca o un piccolo naviglio facendo apparentemente le viste d’essere un autentico marinaio; allo stesso modo ogni pusillanime, se non ci sono pericoli, rischi, azzardi o insidie fa le viste d’essere audace, ardimentoso, intrepido, valoroso, prode, impavido;
9 Fà tremmà ‘o strunzo ‘nculo.
Ad litteram: far tremare lo stronzo nel culo ; id est: incutere in qualcuno, attraverso gravi minacce, tanto timore o spavento da procurargli, iperbolicamente, un convulso tremore degli intestini e del loro contenuto prossimo ad essere espulso.
10 Ogne strunzo tène 'o fummo sujo.
Letteralmente: Ogni stronzo sprigiona un fumo, emana un lezzo caratteristico. Id est:ogni sciocco à modo nel bene o piú spesso nel male di farsi notare
11 Aje voglia 'e mettere rumma, 'nu strunzo nun addiventa maje babbà.
Letteralmente: Puoi anche irrorarlo con parecchio rum,tuttavia uno stronzo non diventerà mai un babà. Id est: un cretino, uno sciocco per quanto si cerchi di truccarlo, edulcorare o esteriormente migliorare, non potrà mai essere una cosa diversa da ciò che è...
12 Sceruppà ‘nu strunzo
Premetto che nella parlata napoletana la voce sceruppo (con derivazione dal latino medievale sirupu(m), se non dall’arabo sharûb= bevanda dolce) normalmente indica le voci italiane sciroppo, sciloppo o siroppo per significare una soluzione molto concentrata di zucchero in acqua o in succhi di frutta che viene impiegata nella fabbricazione di bibite o in farmaceutica, per preparazioni medicinali, allo scopo di rendere piú gradevole il sapore del principio attivo:es.: sciroppo per la tosse etc.
Donde si evince che la voce sceruppo di suo indica una cosa gradevole al palato, un giulebbe: qualcosa di molto zuccheroso ed aromatico, insaporito con succo di frutta o infuso di fiori, ed estensivamente un cibo o piú spesso una bevanda molto dolce; allo stesso modo il verbo denominale sceruppà come significato primario indica l’azione di conservare frutta ed altro in uno liquido molto zuccheroso ed aromatico, variamente profumato ed insaporito.
Le cose cambiano, e di molto, quando dal significato primario si passa a quello ironico se non addirittura antifrastico, allorché cioè la voce sceruppo lungi dal significare bevanda zuccherosa ed aromatica vale: cosa o persona fastidiosa, nociva o anche situazione dannosa o pericolosa soprattutto nelle espressioni esclamative del tipo vi’ che sceruppo! oppure siente, sie’ che sceruppo! o anche siente, sie’ che sceruppo ‘e ceveze! che letteralmente valgono guarda che sciroppo! oppure senti che sciroppo! o anche senti che sciroppo di gelse!
È ovvio che i verbi guardare e sentire non vanno intesi nel loro senso reale, ma in quelli estensivi di porre attenzione, considerare etc. volendo dire di una persona o situazione fastidiosa quando non nociva o dannosa: “Osserva,considera quanto ciò o costui/costei è fastidioso/a, nocivo/a, dannoso/a”; e per significare tutto ciò, in napoletano basta usare l’esclamazione: “Siente che sceruppo!” esclamazione che poi si colora di maggior grevezza e/o fastidio se si aggiunge uno specificativo: siente che sceruppo ‘e ceveze!, atteso che lo sciroppo di gelse, benché odorosissimo è grandemente appiccicoso, risultando molestamente importuno, di cui sarebbe difficile liberarsi e/o nettarsi se qualcuno se ne imbrattasse mani o abiti…; si usa però l’esclamazione siente che sceruppo! nel senso ironico suddetto non necessariamente in presenza di grave danno o pericolo, ma anche soltanto per bollare il fastidioso comportamento di talune persone,uomini o donne, ma piú spesso donne che usano berciare, blaterare, litigare alzando i toni etc.
Ciò premesso rammenterò, come ò già accennato, che il verbo denominale di sceruppo, e cioè sceruppare/sceruppà à come primo significato quello di conservare frutta o altro nello sciroppo o pure indulcare o migliorare con zucchero e/o aromi varie preparazioni, mentre nel significato figurato ed estensivo (soprattutto nella forma riflessiva scerupparse) vale sopportare, sorbirsi a forza qualcosa e/o qualcuno , sorbirseli pazientemente: scerupparse a uno (sopportare la vicinanza o la presenza di uno(non gradito); scerupparse ‘nu trascurzo (sorbirsi con pazienza un discorso (noioso) ). Rammenterò che tale accezione figurata ed estesa del napoletano scerupparse è pervenuta anche nella lingua nazionale dove il verbo sciroppare corrispondente del napoletano sceruppà è usato anche figuratamente nel medesimo senso di sopportare, sorbirsi a forza qualcosa e/o qualcuno del napoletano riflessivo scerupparse.
Torniamo all’espressione sceruppà ‘nu strunzo che vale ad litteram: sciroppare uno stronzo, ma va da sé che non la si può intendere in senso letterare atteso che, per quanto sodo possa essere lo stronzo in esame, nessuno mai potrebbe o riuscirebbe a vestirlo di congrua glassa zuccherina, e che perciò l’espressione sceruppà ‘nu strunzo debba esser letta nel senso figurato di:elevare ad immeritati onori un uomo dappoco e ciò sia che lo si faccia di propria sponte, sia che avvenga su sollecitazione del diretto interessato e la cosa vale soprattutto nei confronti di chi supponente e saccente, ciuccio e presuntuoso, pretende arrogantemente di porsi o d’esser posto una spanna al di sopra degli altri facendo le viste d’essere in possesso di scienza e conoscenza conclamate ed invece in realtà è persona che poggia sul niente la sua pretesa e spesso sbandierata falsa valentía in virtú della quale s’aspetta ed addirittura esige d’essere elavato ad alti onori in campo socio-economico cosa che gli consentirebbe di muoversi con iattanza, boria e presunzione, guardando l’umanità dall’alto in basso…; tale soggetto con icastica espressività, coniugando al part. passato l’infinito sceruppà, è detto strunzo sceruppato= stronzo sciroppato, quell’escremento cioè che quand’anche (se fosse possibile, e non lo è) fosse ricoperto di uno congruo strato di giulebbe, sotto la glassa zuccherina, sarebbe pur sempre quel pezzo di fetida merda che è.
Altrove tale soggetto è detto (restando pur sempre in àmbito scatologico): pireto annasprato=peto coperto di glassa zuccherina. Ed anche in tal caso, come per il precedente stronzo sciroppato, ci troviamo difronte ad un iperbolico modo di dire con il quale si vuol significare che il soggetto di cui si parla, è veramente un’infima cosa e quand’anche si riuscisse a coprirlo di glassa zuccherina (cosa che risulta tuttavia impossibile da farsi) mostrerebbe sempre, sotto la copertura zuccherina, la sua intima natura di evanescente, ma rumoroso gas intestinale!
13 N' aggio scaurato strunze, ma tu me jesce cu 'e piede 'a fora...
Letteralmente: ne ò bolliti di stronzi, ma tu (sei un cosí grosso stronzo )che non entri per intero nella pentola destinata all'uso. Iperbolica e barocca locuzione-offesa usata nei confronti di chi si dimostri cosí esageratamente pezzo di merda da eccedere i limiti di una ipotetica pentola destinata all’uso.
14 Jive facenno ‘o guappo a mmare, mo faje ‘o strunzo dint’â spasella
Facevi il guappo in mare, adesso fai lo stronzo nel cestino
Detto a mo’ di sfottò per commentare l’ingloriosa fine di un pesce che braveggiava in mare fino a quando non è stato pescato e messo sul banco del pescivendolo; per estensione il proverbio si attaglia a tutti coloro che braveggiano sui piú deboli fino a quando non incappano in chi li sottomette.
15 Dopp’ â strazzione ogni strunzo è prufessore
Riportatata anche, per nmotivi eufemistici, come Dopp’ â strazzione ogni ffesso è prufessore Ogni sciocco fa il professore solo quando sia già avvenuta l’estrazione dei numeri del lotto Quando è avvenuta l'estrazione dei numeri del lotto, ogni sciocco diventa professore. la locuzione viene usata per sottolineare lo stupido comportamento di chi,incapace di fare qualsiasi previsione o di dare documentati consigli, s'ergono a profeti e professori, solo quando, verificatosi l'evento de quo, si vestono della pelle dell' orso...volendo lasciar intendere che avevano previsto l'esatto accadimento o le certe conseguenze...di un comportamento.
E consideriamo ora altri etimi di voci non considerate precedentemente:
strazzione s.vo f.le = estrazione (dal lat. mediev. extractione(m), deriv. di extractus, part. pass. di extrahere 'estrarre': (e)xtractione(m)→strazione→strazzione con nel napoletano normale raddoppiamento espressivo della affricata alveolare sorda z come altrove raddoppiamento espressivo della l'occlusiva velare sonora g delle voci che normalmente terminano in gione (cfr. ragione→raggione, regione→riggione etc.)
sceruppo =sciroppo dal lat. medievale sirupu(m) che fu dall’arabo sharûb= bevanda dolce;
sceruppà = sciroppare denominale del precedente;
ceveze =plurale di ceveza/ceuza = gelsa, il frutto del gelso: albero con piccoli frutti commestibili, dolci, di colore nero o bianco (more) e foglie cuoriformi, di cui si nutrono i bachi da seta (fam. Moracee); l’etimo delle napoletane cèveza/cèuza è dall’ acc.vo latino (arborem) celsa(m)=albero alto; da cèlsa→*celza con successivo passaggio di lz ad uz per cui si ottenne cèuza e successiva epentesi eufonica del suono v tra la è tonica e la u evanescente fino ad ottenere cèvuza o cèveza. Ricorderò che ad oggi a Napoli città la voce usata da tutti (borghesi e/o popolani) è cèveza, mentre nel contado provinciale è piú facile trovare ancòra l’antica voce cèuza ;
vi’ = vedi; forma apocopata di vide voce verbale che indica o la 2° pers. sing. dell’indic. pres. dall’infinito vedé=vedere o può indicare, come nel caso che ci occupa, la 2° pers. sing. dell’imperativo dall’infinito vedé=vedere con etimo dal basso lat. *videre per il classico vidíre;
siente /sie’=senti;sie’ non è che la forma apocopata di siente=senti voce verbale che indica o la 2° pers. sing. dell’indic. pres. dall’infinito sentí=sentire, udire o può indicare, come nel caso che ci occupa, la 2° pers. sing. dell’imperativo dall’infinito sentí=sentire, udire e qui porre attenzione con etimo dal basso latino sentire;
ciuccio = asino, ciuco soprattutto nel significato di ignorante; non di facile lettura l’etimologia di ciuccio; c’è chi opta per il lat. cicur= mansuefatto domestico, chi per il lat. cillus da collegare al greco kíllos asino chi per lo spagnolo chico= piccolo atteso che l’asino morfologicamente è piú piccolo del cavallo; son però tutte ipotesi e segnatamente quella che si richiama all’iberico chico= piccolo, ipotesi che per l’asperità del cammino morfologico, se non semantico non mi convincono molto;non mi convince altresí, in quanto m’appare forzata, l’idea che il napoletano ciuccio sia da collegare all’italiano ciocco= grosso pezzo di legno e figuratamente uomo stupido, insensibile ed estensivamente ignorante ed in conclusione mi pare piú perseguibile l’ipotesi che ciuccio vada collegata etimologicamente alla radice dell’arabo sciach-arà= ragliare che è il verso proprio dell’asino;rammenterò che dalla medesima radice nasce sceccu che è il nome in siciliano dell’asino.
strunzo = stronzo, escremento solido di forma cilindrica
e figuratamente: persona stupida, odiosa, saccente, supponente
l’etimo della voce napoletana è dritto per dritto dal tedesco strunz= sterco;
píreto =peto, emissione rumorosa di gas intestinale con etimo dal lat. peditu(m), deriv. di pedere 'fare peti'; da notare nella voce napoletana la consueta chiusura della sillaba tonica d’avvio donde pe passa a pi oltre la tipica alternanza osco mediterranea di d/r mentre la vocale postonica i s’apre diventando e ma di timbro evanescvente;
annasprato=coperto di naspro voce verbale part. pass. masch. sing. aggettivato dell’infinito *annasprà=coprire di naspro;
la voce naspro ed il conseguente denominale *annasprà (a quel che ò potuto indagare) sono espressioni in origine del linguaggio regionale della Lucania, poi trasferitosi in altre regioni meridionali (Campania, Calabria, Puglia) ed è difficile trovarne un esatto corrispettivo nella lingua nazionale; si può tentare di tradurre naspro con il termine glassa atteso che nel linguaggio dei dolcieri meridionali la voce naspro indicò ed ancóra indica una spessa glassa zuccherina variamente aromatizzata e talora colorata usata per ricoprire in origine dei biscotti dall’impasto abbastanza semplice o povero; in sèguito si usò il naspro colorato per ricoprire delle torte dolci e segnatamente quelle nuziali con un naspro rigorosamente bianco; a Napoli non vi fu festa nuziale che non si concludesse con un sacramentale gattò mariaggio coperto di spessa glassa zuccherina bianca: la voce gattò mariaggio nel significato di torta del matrimonio fu dal francese gâteau (de) mariage.
Per ciò che riguarda l’etimo della voce naspro, non trattandosi di voce originaria partenopea, né della lingua nazionale (dove risulta sconosciuta), ma – come ò detto – del linguaggio lucano mi limito a riferire l’ipotesi della coppia Cortelazzo/Marcato che pensarono ad un greco àspros=bianco, ipotesi che poco mi convince in quanto morfologicamente non chiarisce l’origine della n d’avvio che certamente non à origini eufoniche; penso di poter a proporre una mia ipotesi peraltro non supportata da nessun riscontro; l’ipotesi che formulo è che trattandosi di una preparazione molto dolce per naspro si potrebbe pensare ad un latino (no)nasperum→nasperum→naspro, piuttosto che ad un (n?)àspros. Spero di non essermi macchiato di lesa maestà! Del resto in tale non convincimento, sono in ottima compagnia: anche l'amico prof. Carlo Iandolo non si disse soddisfatto dell'ipotesi Cortelazzo/Marcato e trovò (ma spero non lo abbia fatto per mera amicizia...) piú perseguibile la mia idea.
‘mmiezo = in mezzo (da in + medium)
guappo s.m. voce viva e vegeta con molti derivati nei linguaggi partenopeo e/o meridionali, voce nata al sud ed ivi testimoniata fin dalla fine del XVII sec., ma trasmigrata dapprima in area lombarda e poi accolta nel lessico nazionale nei significati di prepotente, sopraffattore, prevaricatore, tirannico, aggressivo, arrogante, bullo, sfaccendato, audace, e poi anche ostentato nel vestire e nell’incedere e da ultimo (XX sec.) teppista, bravaccio, camorrista, persona sfrontata e tracotante, spavaldo.
Quanto all’etimo la maggioranza degli addetti ai lavori, a cominciare dal D.E.I., propendono per una culla iberica (guapo= bello, vistoso) la cosa però non mi convince molto attesa anche l’esistenza della voce francese guape = teppista che, a quel che pare, fu recepita nello spagnolo che ne trasse il suo guapo dal quale poi il napoletano avrebbe mutuato il suo guappo; solo un’attenta ricerca storico-linguistica ci potrebbe dire perché mai il napoletano avrebbe dovuto attingere nello spagnolo e non direttamente dal francese gergale antico; confesso di non essere attrezzato per una tale attenta ricerca storico-linguistica; mi limiterò perciò ad evitare sia la via iberica che quella francese, per tornare a percorre, in ottima compagnia: Cortelazzo- Zolli, come già feci alibi, la strada di un lat.classico vappa=, vinello inacetito;
prufessore s.vo m.le =professore 1 normalmente chi insegna in una scuola di grado superiore, ma a Napoli anchi chi insegni alle scuole elementari: professore di scuola media, di liceo, di università; professore di scienze, d'italiano, di filosofia; professore ordinario, straordinario, incaricato | saperne quanto un professore, essere molto dotto o versato in un particolare campo; fare il professore, darsi arie di professore, parlare come un professore, si dice per indicare una persona che ama ostentare dottrina, che è saccente, pedante. 2 (estens.) insegnante in genere: professore di musica, di danza
3 titolo di chi suona in un'orchestra, spec. Sinfonica
(dal lat. prōfessore(m), deriv. di profitíri, nel sign. di 'insegnare pubblicamente'; normale in napoletano della chiusura in u della ō o intesa tale);
fijura s.vo f.le = figura, aspetto esteriore di una cosa; sagoma, forma (dal lat. figura(m), da fingere 'plasmare, foggiare');
spasella s.vo f.letipico piccolo e leggero contenitore di midollo ligneo intrecciato, in forma di vassoio rettangolare a sponde basse,privo di manici contenitore in uso tra i pescivendoli campani per esporvi la merce sistemata ordinatamente ed agghindata con ciuffi di alghe marine; è un contenitore che per avere l’intreccio a maglie piuttosto larghe ben si presta a far passare l’acqua usata per spruzzare il pesce contenuto nella spasella, al fine di mantenerne o rinverdirne la freschezza.
Quanto all’’etimo la voce a margine risulta essere un diminutivo (cfr. il suff. ella) di spasa s.f. ampio contenitore rettangolare o anche ovale di vimini intrecciato, a fondo piatto con sponde pronunciate, fornito di due manici, voce che à l’etimo nel lat. neutro plur. (e)xpa(n)sa =cose distese part. pass. del verbo expandere;
rumma s.vo f.le = rum acquavite ottenuta per lo piú dalla distillazione della melassa di canna da zucchero fermentata.la voce inglese rum è derivata da rum- bustious 'chiassoso, violento', con allusione al comportamento degli ubriachi bevitori della suddetta acquavite; la voce napoletana rumma è coniata su quella inglese con una tipica paragoge, ma qui di una piena a finale (invece della consueta e semimuta) e raddoppiamemento espressivo della m etimologica fino a formare la seconda sillaba ma della voce rumma, come altrove tramme←tram,barre←bar etc.
strunzo = stronzo, escremento solido di forma cilindrica e figuratamente persona stupida, odiosa etimologicamente dal longobardo strunz 'sterco';
addiventa =diventa voce verbale (3° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito addiventà = divenire, venire a essere, trasformarsi in derivato dal lat. volg. ad+ *deventare, forma rafforzata (vedi prep. ad) di quella intensiva deventare del lat. devenire = divenire; da notare la particolarità che la voce verbale a margine (indicativo presente) è resa in italiano con il futuro, tempo che – quantunque esistente nelle coniugazioni dei verbi napoletani – è pochissimo usato, preferendogli un presente in funzione futura o altrove costruzioni del tipo aggi’ ‘a = devo da;
maje = mai, in nessun tempo, in nessun caso derivato dal latino mag(is)= piú con caduta della sibilante finale e della g intervocalica sostituita da una j di transizione e con paragoge della semimuta finale ;
babbà = babà tipico dolce partenopeo ( tuttavia non originario in quanto pare importato a Napoli, sotto il regno di Ferdinando I di Borbone, da pasticcieri francesi (chiamati a Napoli da Maria Carolina e richiesti a sua sorella Maria Antonietta)che l’avevano mutuato da dolcieri polacchi che s’ era portato dietro nel suo esilio parigino il re Stanislao Leszczinski, re di Polonia dal 1704 al 1735.e che una leggenda, priva di supporti storici, vuole inventore - per puro caso - del dolce ) di pasta soffice e lievitata, intrisa di uno sciroppo al rum. La voce napoletana, con tipico raddoppiamento espressivo della seconda labiale esplosiva, è dal fr. baba→babbà, che è dal polacco baba '(donna vecchia').
tremmà/tremmare = tremare, vacillare, traballare, sussultare, vibrare, tremolare;( dal lat. tremere, con mutamento di coniugazione e raddoppiamento espressivo della consonante nasale bilabiale (m).
In coda ed a chiusura di tutto quanto fin qui scritto riporto l’indicazione di due dei numeri della smorfia napoletana d’argomento scatologico:
43 – ‘ONNA PÉRETA FORA Ô BARCONE = letteralmente donna Pereta fuori (affacciata) al balcone; citroviamo dinnanzi ad una locuzione usata con divertente immagine per mettere alla berlina una donna becera, villana, sciatta,sguaiata, volgare, sfrontata ed, a maggior ragione,una donna di malaffare o anche solo chi fosse una demi vierge o che volesse apparir tale, soprattutto quando tale donna le sue pessime qualità faccia di tutto per metterle in mostra appalesandole a guisa di biancheria esposta al balcone; tale tipo di donna è detto péreta, soprattutto quando quelle sue pessime qualità la donna le inalberi e le metta ostentatamente in mostra; le ragioni di questo nome sono facilmente intuibili laddove si ponga mente che il termine péreta(nella locuzione a margine usata per dileggio quasi come nome proprio di persona) è il femminile ricostruito di pireto (dal b. lat.:peditu(m)) cioè: peto, scorreggia che sono manifestazioni viscerali rumorose rispetto alla corrispondente loffa (probabilmente dal tedesco loft= aria) fetida manifestazione viscerale silenziosa, ma olfattivamente tremenda. Altrove quella donna becera, sguaiata, volgare e sfrontata è detta, volta volta:locena che nel suo precipuo significato di vile, scadente è forgiato come il toscano ocio ed il successivo locio (dove è evidente l’agglutinazione dell’articolo) sul latino volgare avicus mediante una forma aucius che in toscano sta per: scadente, di scarto; da locio a locia e successiva locina con consueta epentesi di una consonante (qui la N) per facilitare la lettura, si è pervenuto a locena; lumera = esattamente lume a gas e lume a ggiorno =lume a petrolio atteso che una donna becera e volgare abbia nel suo quotidiano costume l’accendersi iratamente per un nonnulla; tale prender fuoco facilmente richiama quello simile del lume a gas (lumera) o di quello a petrolio ( lume a giorno) ambedue altresí maleolenti tali quale una pereta.;
71 – LL’OMMO ‘E MMERDA letteralmente l’uomo di merda ossia l’uomo dappoco, la persona infida, riprovevole,disonesta, o solo d’animo ignobile, cosí definito in quanto si appaleserebbe tal quale fosse, per iperbole, formato di escrementi; l’espressione a margine sostanzia una corposa offesa rivolta appunto nei confronti di chi venga considerato mancante di ogni decoro e/o dignità ed al contrario mostri cattiveria e protervia d’animo; costui a volte viene apostrofato con la voce mmerdajuolo, usata come sinonimo di quella a margine, quantunque di per sé ( con derivazione dal latino merda(m) con i suff. arius ed olo) indicherebbe, come ò già détto colui che – per lavoro – raccattava gli escrementi animali per igiene pubblica e li rivendeva per concimare i campi; Giunti a questo punto avremmo esaurito l’argomento, ma mi piace aggiungere un simpatico icastico proverbio che sebbene non tratti esattamente di escrementi tocca l’organo/mezzo deputato alla deiezione. Eccolo
72 Culo ca nun cunosce cammisa, quanno ‘a vede lle scappa a rrisa.
Letteralmente: Culo che non à conosciuto (mai) una camicia,quando la vede (per la prima volta) ne ride. Id est: chi non à dimestichezza con il buono e/o l’utile non è capace di apprezzarlo o prenderlo sul serio; con altra valenza piú circoscritta: il povero che non è aduso all’agiatezza non gode neppure nei rari momenti di abbondanza.
Culo s.vo m.le il culo, sedere, deretano che etimologicamente è voce derivata dal greco koilos attraverso il basso latino culu(m);
cammisa s.vo f.le camicia,
indumento di tessuto generalmente leggero, abbottonato sul davanti, con colletto e maniche lunghe o corte, che ricopre la parte superiore del corpo; voce dal lat. camisia(m) e tipico raddoppiamento espressivo della labionasale m come avviene ad es. in ommo←hominem, ammore←amore(m) etc.
nun/’un/nu’/nunn avv.di negazione = non
1 serve a negare il concetto espresso dal verbo a cui si riferisce o a rafforzare una frase che contiene già un pron. negativo: nun venette; nun parlaje pe tutt’ ‘o juorno(non venne; non parlò per tutto il giorno); nun ce sta nisciuno dubbio(non c'è alcun dubbio);nun c’è probblema (non c'è problema);nun ce sta nisciuno(non c'è nessuno), | ch’è che nunn è(che è, che non è), (fam.) tutto a un tratto, senza una ragione evidente:ch’è, che nunn è, fernette ‘e parlà e se ne jette (cosa è, cosa non è, smise di parlare e se ne andò) | in espressioni ellittiche: no ca nun ce crero, ma(non che io non ci creda, ma...), non intendo dire di non crederci, ma...;
2 (ant.) col valore di no: nun servarrà po dicere’e no, si avarraje ditto ‘e sí ‘na vota(non varrà poi dire / di non, s'avrai di sì detto una volta)
3 nelle contrapposizioni, anche col verbo sottinteso: nunn è bbello, ma ‘ntelliggente(non è bello, ma intelligente); isso fuje pe mme nun sulo ‘nu pate, ma pure n’amico(egli fu per me non solo un padre, ma un amico) | in espressioni ellittiche: vène o nun vène;prufessore o nun prufessore(venga o non venga; professore o non professore) (ma non quando non è ripetuto il primo elemento:vène o no, prufessore o no( venga o no, professore o no))
4 nelle interrogative dirette e indirette che attendono una risposta affermativa e nelle interrogative retoriche: nun avive ‘a partí stasera?(non avresti dovuto partire stasera?); nunn è overo?( non è vero?); m’addimanno si nun fosse stato meglio a lassà perdere; comme facevo a nun crerelo?(mi chiedo se non sarebbe stato meglio rinunciare; come potevo non credergli?)
5 si usa pleonasticamente in alcune locuzioni: è cchiú facile ‘e chello ca tu nun cride(è più facile di quel che tu non creda);nunn appena( non appena), appena che; | in talune frasi esclamative ed in senso antifrastico: ‘e buscie ca nun m’à ditto!(le bugie che non mi à detto!); ‘e fessarie ca nun hê fatto(le sciocchezze che non ài fatto!) | quando il verbo a cui si riferisce è retto da congiunzioni o locuzioni come fino a cche, pe ppoco, a meno che, salvo che, ‘a fora ‘e che e sim.: t’aspettofino a cche nunn arrive( ti attenderò finché non arriverai); pe ppoco nun è caduto(per poco non è caduto
6 in litote, preposto a un aggettivo, un sostantivo o un avverbio: è stata ‘na facenna nun facile (è stata un'impresa non facile), difficile; nun poche ‘a penzano comme a nnuje(non pochi la pensano come noi), parecchi; aggiu faticato nun poco…(ò lavorato non poco), molto; nun sempe(non sempre), raramente; nun senza fatica(non senza fatica), con notevole fatica;
rammento che il medesimo, originario avv. di negazione nun può esser reso secondo le occorrenze con altre morfologie:aferizzato, di solito in principio di frase, ‘un: ‘un me faccio capace(non me ne convinco) ‘un ‘o ssaccio!(non lo so),apocopato nu’ che (secondo il principio che la caduta finale di una o piú consonanti non necessita di una indicazione diacritica) si potrebbe anche rendere semplicemente nu Tuttavia è preferibile adottare la morfologia nu’ poi che nel napoletano scritto si potrebbe ingenerare confusione tra l’art. indeterminativo ‘nu/’no e la negazione nun= non che talvolta viene apocopata in nu da rendersi perciò nu’ (facendo un’eccezione rispetto alla regoletta per la quale i termini apocopati di cononante/i e non di sillaba vocalica, non necessitano di segni diacritici (ad es.: cu da cum – pe da per – mo da mox – po da post ) dicevo da rendersi però nu’ per evitarne la confusione con l’omofono articolo ‘nu (un, uno) che conviene sempre fornire del segno (‘) d’aferesi e ciò in barba a troppi moderni addetti e non addetti ai lavori partenopei per i quali è improvvidamente invalso il malvezzo di rendere l’articolo indeterminativo maschile nu senza alcun segno diacritico alla medesima stregua dell’articolo indeterminativo femminile ‘na che è reso na senza alcun segno diacritico, quasi che il segnare in avvio di parola un piccolo segno (‘) comportasse gran dispendio di energie o appesantisse la pagina scritta, laddove invece,il non segnarlo, a mio avviso, è segno di sciatteria, pressappochismo dello scrittore (si chiami pure Di Giacomo,F. Russo, E.De Filippo, EduardoNicolardi etc.). Del resto non è inutile ricordare che tanti (troppi!) autori napoletani, anche famosi e/o famosissimi non potettero avvalersi di adeguati supporti grammaticali e/o sintattici del napoletano, supporti che furono inesistenti del tutto, mentre i pochissimi esistenti (Galiani, Oliva, Serio) furono malamente diffusi, né potettero far testo, vergati com’erano stati da addetti ai lavori non autenticamente napoletani e pertanto, spesso, imprecisi e/o impreparati. Ancóra ricordo che moltissimi autori furono istintivi e spesso mancavano del tutto di adeguata preparazione scolastica (cfr. V.Russo, R.Viviani etc.), altri avevano studiato poco e male e quelli che invece avevano adeguata preparazione scolastica (cfr. Di Giacomo, F. Russo, E. Nicolardi etc. spessissimo la usarono maldestramente adattando le nozioni grammaticali-sintattiche dell’italiano al napoletano che invece non è mai tributaria dell’italiano essendo linguaggio affatto originale e diretto discendente del latino parlato.
Per concludere,e valga una volta per sempre, a mio avviso nel napoletano scritto gli articoli indeterminativi vanno sempre corredati del segno d’aferesi (etimologicamente esatti!)ed il non farlo è segno di sciatteria, pressappochismo e forse sicumera! Esempio di questo nun→nu’usato per solito davanti a consonante e/o in frasi esclamative: e nu’ sta bene!(non sta fatto bene!), statte zitto, nu’ pparlà sempe tu!(taci, non parlar sempre tu!); si à infine la forma nunn usata davanti a parole comincianti per o,e, hê: nunn ‘o ddicere! (non dirlo!)nunn ‘e ssiente? (non le senti?) nunn hê capito niente! (non ài compreso nulla!).
cunosce = conosce,sa, prova etc. (voce verbale 3° p.sg. ind. pres. dell’infinito cunoscere dal lat. volg. *cōnoscere, per il class. cognoscere, comp. di cum 'con' e (g)noscere 'conoscere' con tipica chiusura della ō→u).
quanno avv. di tempo = quando, allorché nel momento che ogni volta che, tutte le volte che (con valore iterativo) giacché, dal momento che (con valore causale):: avv. derivato dal latino quando con assimilazione progressiva nd→nn;
‘a = la pron. pers. f.le di terza pers. sing. [forma complementare atona di , essa] omofona ed omografa di ‘a art. determ. f.le sg. la nonché di ‘a forma aferizzata di da
1 si usa come compl. ogg. riferito a persona o cosa, sia in posizione enclitica sia proclitica; in posizione proclitica si può elidere davanti a vocale purché non generi ambiguità: ‘a vedette ajere(la vidi ieri); ‘aggiu ‘ncuntrata poco fa, aspettammola(l'ò incontrata poco fa, aspettiamola); damme ‘a lettera, ‘a voglio leggerla(dammi la lettera, voglio leggerla) voce dal lat. (ill)a(m), f.le di ille 'quello'
vede = vede (voce verbale 3° p. sg. ind. pres. dell’infinito vedere/vedé dal lat. vidíre con la particolarità che la 1° p. sg. dell’ind. pres. veco trae da un *vedico→ve(d)ico→veico→veco analogo al *vadico→va(d)ico→vaico→vaco 1° p. sg. dell’ind. pres. dell’infinito jí (andare).
lle = le/gli pron. pers. f.le e m.le di terza pers. sing. forma complementare atona di essa , essa/esso; si usa come compl. di termine riferito a persona o a cosa, sia in posizione enclitica sia proclitica: lle screvette io ‘e vení(le/gli scrissi io di venire); dicennole chesto se ne jette (ciò dicendole/gli se ne andò); ‘a lettera sta ‘ncopp’â tavula, si vuó lle puó ddà ‘nu sguardo(la lettera è sul tavolo, se vuoi puoi darle un'occhiata)
scappa a rrisa =(gli) viene da ridere; locuzione verbale del presente indicativo formata da
scappa a = inizia a, principia a (voce verbale 3° p.sg. ind. pres. dell’infinito scappà che di per sé in primis vale 1 allontanarsi in fretta, fuggire; 2 correre via, andare in fretta; 3 uscire, sbucar fuori, con riferimento a cosa che non sta al suo posto; ma si dice pure (ed è il ns. caso)
4 di stimolo fisico che si faccia sentire in modo incontenibile, irresistibile: scappà a ridere, scappà a chiagnere (scappare a ridere, scappare a piangere).
rrisa s.vo f.le pl. (il sg. non è usato) = risate, il ridere, il modo di ridere; voce dal lat. neutro pl. risa di risu(m) deverbale di ridíre.
E cosí penso d’aver convenientemente e ad abundantiam risposto alla sfida dell’amico R.M. e d’aver contentato anche qualche altro dei miei ventiquattro lettori, per cui reputo di poter mettere il punto fermo con il consueto satis est.
Raffaele Bracale
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