lunedì 18 novembre 2013
TRE PROVERBI
TRE PROVERBI
1.A CCAROCCHIE A CCAROCCHIE PULICENELLA ACCERETTE Â MUGLIERA.
Ad litteram Pulcinella uccise sua moglie assestandole in testa reiterati piccoli colpi. Id est: Anche un insieme di piccoli danni può apportare gran nocumento ed esser foriero di una grande catastrofe.
carocchia s.vo f.le tipo particolare di percossa,nocchino, colpo secco e doloroso assestato al capo e portato con movimento veloce dall’alto verso il basso con le nocche maggiori delle dita della mano serrata a pugno. Etimologicamente non dal lat. crotalum che indica la nacchera, strumento musicale e non un tipo di percossa…,ma dal greco karà=testa attraverso un lat. regionale *caròclu(m) ed il plurale reso femm. caròcla (tipico l’esito di cl in ch come in clausu-m che diventa chiuso o in clavu-m che diventa chiuovo)
Pulicenella e cioè Pulcinella la maschera per antonomasia della tradizione popolare partenopea che come tale è persino presente nella smorfia rappresentandovi l’uomo piú semplice, quello piú debole, quello che nella scala sociale occupa l’ultimo posto; è però dotato per compensazione di una furbizia eccezionale, capace perciò di risolvere i piú disparati problemi. Chiamato a rappresentare l’anima del popolo, i suoi istinti primitivi, appare quasi sempre in contraddizione, tanto da non avere dei tratti fissi: è ricco o povero, è prepotente o codardo,persino vigliacco, violento e talvolta presenta l’uno e l’altro tratto contemporaneamente. La verità sta nel fatto che a questa maschera il popolo à riservato la funzione di riassumere e di esprimere tutta la sua realtà quale che sia: brutta o bella, meschina o eroica.
La maschera di Pulcinella à una storia che viene di lontano; già non c’è uniformità di vedute sull’origine del nome Pulcinella; secondo alcuni esso si vuole che debba discendere da Pulcinello cioè piccolo pulcino per via del suo naso adunco e per la voce chioccia che in origine usarono gli attori , c’è chi invece propende per Puccio d'Aniello un villano di Acerra del '600 che dopo aver preso in giro una compagnia di commedianti girovaghi si uní a loro come buffone e pare s’inventasse quel mascheramento del volto, mezzo bianco e mezzo nero, palandrana bianca e candido cappello a pan di zucchero; una scuola di pensiero propende per un tal Silvio Fiorillo attore girovago nato all'incirca nel 1560 (cfr. VittorioViviani), che pare fosse il primo a portare ufficialmente in scena la figura di Pulcinella, anche se l'alternava con la casacca e la spada del capitano Matamoro spagnolo. Fiorillo viene anche ricordato come il primo commediografo pulcinellesco, essendoci giunta una sua commedia intitolata: " La Lucilla costante, con le ridicole disfide e prodezze di Pulcinella " In realtà dove e da chi sia nato Pulcinella non é dato di sapere e molti eminenti studiosi e letterati come Benedetto Croce, Salvatore Di Giacomo e Anton Giulio Bragaglia si siano impegnati in queste ricerche, senza mai poterlo stabilire con certezza; a mio avviso, pur accogliendo in parte qualcosa d’ogni singola ipotesi, penso che non sia tuttavia lontano dalla verità chi, (almeno per ciò che riguarda i caratteri generali), collega Pulcinella al Maccus della commedia atellana latina; la maschera di Pulcinella à una sua variante francese in Polichinelle' ( un fanfarone gradasso con doppia gobba e un vestito giallo-rossiccio detto crocòta) ed una inglese con Punch maschera dall' umore malinconico e brutale, molto diverso dal Pulcinella napoletano brioso e faceto; i medesimi caratteri della maschera napoletana si riscontrano invece nel russo Petruska, nel don Cristobal spagnolo e nel tedesco Kaspar, segno che la maschera napoletana fu esportata in lungo e largo.Esiste un momento centrale ed illuminante, nella storia dei rapporti fra Pulcinella e Napoli, fra Pulcinella ed il teatro ed, in particolare, fra Pulcinella e l'attore : esso coincide con la fine del '600 e l'inizio del '700, allorché la storia dello spettacolo a Napoli si fa suggestiva misura della storia stessa della città e della sua vita culturale. Vi fiorisce un teatro di prosa dialettale, espressione di una straordinaria attenzione alla lingua ed al costume; vi nasce una ricca e fertile generazione di teatranti: teorici, drammaturghi e commediografi, librettisti, musicisti, attori e cantanti, impresari; vi si rinnovano le strutture cittadine di spettacolo: si apre il San Carlo e, all'estremo opposto del consumo sociale del teatro, il non meno nobile San Carlino; si afferma la commedia in musica, detta opera buffa, capace di espandersi ed affermarsi per l'intera Europa con caratteri che ànno fatto pensare addirittura ad una scuola musicale napoletana '; sopratutto, il teatro rinasce, dopo esaltanti esperienze della commedia dell'arte praticata trionfalmente in Europa per tutto il '600 ed in questa prima metà del '700. La maschera à rappresentato e rappresenta tuttora la plebe napoletana' da sempre oppressa dai vari potenti che si sono succeduti, affamata e volgare, smargiassa, codarda e dissacrante. Molti attori ànno impersonato sulla scena il personaggio di Pulcinella ma il piú famoso di tutti è stato Antonio Petito (1822 -†1876) trionfatore sul palcoscenico del San Carlino; questo Petito nonostante fosse quasi analfabeta, à lasciato numerose commedie di grande successo che avevano come protagonista lo stesso Pulcinella. Dopo di lui, per tanti aspetti, storici, culturali e tecnici nonostante sulle scene fossero attivi altri grandi interpreti (come Salvatore De Muto(1876 † 1970) ad esempio e Gianni Crosio (di cui, purtroppo non sono stato in grado di reperire notizie biografiche) inizia la decadenza. Pulcinella in teatro diventa un personaggio, e deve attenersi ormai ad una parte scritta, ad un copione. Privata del vivificante contatto diretto con il pubblico, la maschera assume sempre piú caratteristiche stereotipate, di genere. Solo nella strada, con le guarattelle (forma metatica di guattarelle= acquattate, nascoste), il teatro napoletano dei burattini, Pulcinella mantiene la sua forza, conservando intatta nel tempo, incredibilmente, la struttura di spettacolo originaria della Commedia all’Improvviso, e in tal forma giungendo fino ai nostri giorni.
Ribadito che per quel che riguarda l’etimologia del nome Pulicenella o anche Pullicenella con tipico raddoppiamento espressivo della l della sillaba tonica, occorre risalire ad un accusativo latino pullicinu(m)= pulcino variante del tardo latino pullicénu(m), con riferimento – come già detto – al naso adunco ed alla primitiva voce chioccia e pigolante usata dagli attori per dar vita alla maschera, ricorderò che il personaggio eternato sotto il num. 75 della smorfia napoletana non è esattamente la maschera fin qui menzionata, ma il generico buffone, il pagliaccio o l’ uomo di nessuna personalità, quel medesimo che per traslato è detto appunto Pulicenella.
accerette uccise voce verbale (3ª pers. sg. pass. rem. dell’infinito accidere/accirere =uccidere; per accidere (donde la voce in esame) etimologicamente si sospetta un basso latino *accidere (ad-caedere) collaterale di ob-caedere = uccidere, ammazzare, da non confondere con ob-cadère (donde gli italiani occaso, occidente etc.)= andar giú, cascare;
mugliera s.vo f.le moglie, sposa, consorte; quanto a l’etimo voce dall’acc.vo del lat. volg. mulière(m) per il class. mulíere(m) = donna.
2. Chi troppo s’acala ‘o culo scummoglia
Ad litteram: Chi troppo si abbassa, mette in mostra il fondoschiena. Id est:Un atteggiamento eccessivamente umile finisce per essere vergognoso e/o dannoso.
chi pron. rel. invar. [solo sg.]
1 colui il quale, colei la quale (con valore dimostrativo-relativo; usato sia come sogg. sia come compl.):chi à fatto chesto, à fatto bbuono (chi à fatto ciò à fatto bene);aggiu truvato chi me po’ aiutà;rialalo a cchi vuó tu;nun t’ ‘a piglià cu cchi nun tène corpa (ò trovato chi mi può aiutare; regalalo a chi vuoi; non prendertela con chi non ne à colpa)
2 uno il quale, una la quale; qualcuno che, qualcuna che (con valore indefinito-relativo): c'è chi dice ca nun è abbasato, ma fatto a ccriaturo; nun ce sta chi ‘o crede; nun trova chi ‘o pote aiutà; po’ gghirce chi vo’; (c'è chi dice che non è maturo, ma ancóra troppo giovane; non trova chi lo possa aiutare; non c'è chi gli creda; può andarci chi vuole), chiunque | con sfumatura ipotetica o condizionale: chi me vo’ bbene, me venesse appriesso(chi mi ama mi segua); ‘stu probblema, pe chi ce penza ‘nu poco nun è difficultoso(questo problema, per chi ci rifletta un po', non è difficile)
||| pron. indef. invar. uno, qualcuno, alcuni (oggi usato solo nel costrutto relativo chi... chi 'l'uno... l'altro', 'alcuni... altri'): chi diceva ‘na cosa, chi n’ata(chi diceva una cosa, chi (ne diceva) un'altra) ||| pron. interr. invar. quale persona, quali persone (usato sia come sogg. sia come compl.; può essere rafforzato con maje=mai): chi à sunato â porta?(chi à bussato alla porta?); chi songo chelli ssignore?(chi sono quelle signore?); chi sarrà maje?(chi sarà ma?); cu cchi steva parlanno?(con chi parlava?);nun saccio ‘e chi è ‘stu cappotto( non so di chi sia questo soprabito); nun sapesse a cchi spià(non saprei a chi rivolgermi); chi sa’ (chi sa), chi ‘o ssape?(chi lo sa?); me ll’à ditto nun saccio chi(me l'à detto non so chi), una persona di cui non ricordo il nome; chi mm’ ‘o ddice?(chi me lo dice?), per esprimere dubbio e incredulità; chi mm’ ‘o fa fà? Chi ce ‘o ffa fà(chi me lo fa fare?, chi ce lo fa fare?), perché, con che vantaggio dovrei, dovremmo farlo? | usato in proposizioni esclamative: a cchi (maje) aggiu dato audienza!(a chi (mai) ha dato retta!); chi se vede!; a cchi ‘o ddice!(chi si vede!; a chi lo dici!), quando altri ci dice cosa a noi ben nota.
voce dal lat. qui'(colui) il quale', nom. sing.;
troppo altrove anche agg.vo e pron. indefinito
ma nel caso che ci occupa avv.
1 eccessivamente; piú del dovuto, del conveniente: à faticato troppo, hê parlato troppo; nun fà troppo tarde(à lavorato troppo; ài parlato troppo; non far troppo tardi); chesta bbirra è troppo fredda; troppo gentile!, troppo bbuono!, (questa birra è troppo fredda; troppo gentile!, troppo buono!), come espressioni di cortesia | rafforzato da , fin, più di quanto sarebbe bene, necessario o opportuno: è fin troppo scetato(è anche troppo sveglio); sîppure troppo ‘ntelliggente(sei anche troppo intelligente) | esprimendo il termine rispetto al quale qualcosa si ritiene eccessiva: è troppo frubbo pe puterlo ‘mbruglià; costa troppo poco p’essere autenticamente antico (è troppo furbo perché lo si possa imbrogliare; costa troppo poco per essere autenticamente antico) | ‘e troppo(di troppo), in piú, in eccesso, piú del dovuto o del necessario: ce ne stanno ddiece ‘e troppo; aggiu vippeto quacche bbicchiere ‘e troppo (ce ne sono dieci di troppo; ò bevuto qualche bicchiere di troppo); | purtroppo(pur troppo o purtroppo), per esprimere rammarico, || Nell'uso ant. o pop. si trovava talora accordato nel genere col termine al quale si riferisce: cu troppi mmazzate(con troppi colpi)
2 con valore simile a molto, assai, senza l'idea di eccesso: saje troppo bbuono ca aggio raggione(sai troppo bene che ò ragione); nun troppo(non troppo), piuttosto poco nun me sento troppo bbuono ( non mi sento troppo bene).
s’acala voce verb. riflessiva (3ª pers. sg. ind. pr. dell’infinto acalar(se)) = si abbassa, si flette; etimologicamente acalà/are da cui il riflessivo acalarse è dal lat. tardo calare con protesi di una a intensiva, dal gr. chalân 'allentare';
culo s.vo m.le = culo, posteriore, didietro, sedere; etimo:dal lat. culum che è dal greco koîlos – kolon;
scummoglia voce verb.tr. (3ª pers. sg. ind. pr. dell’infinto scummiglià= scoprire, appalesare, mettere in mostra; scummiglià è etimologicamente dal lat.cum+volvjare→cummoliare = coprire con protesi di una s distrattiva per invertirne il significato ).
3. ‘O vino te fa guappo, ‘o barbiere te fa bbello e ‘a femmena te fa fesso!
Letteralmente:Il vino ti rende sfrontato, il barbiere ti rende bello e la donna ti inganna!
Gustoso ed ammiccante proverbio spudoratamente misogino nato in epoca tardo ottocento allorché a Napoli erano in auge la figura del guappo, quella dell’acconciatore maschile che svolgeva spesso anche funzioni di cerusico, flebotomo (salassatore); sia il guappo che con la sua arroganza e/o sfrontatezza spesso si ergeva a paladino dei derelitti, che i barbieri (per la loro doppia funzione di acconciatori e cerusici) furono ritenute figure positive al contrario della donna ritenuta sempre e comunque soggetto inaffidabile da cui attendersi solo inganni e/o tradimenti!
Guappo s.m. = bravaccio, soggetto pericoloso;
1 (st.) camorrista
2 (estens.) persona sfrontata, arrogante | guappo di cartone, persona che nasconde dietro l'arroganza e la sfrontatezza una reale debolezza
agg.vo solo m.le
1 sfrontato, arrogante;
2 di eleganza volgare, pacchiana.
Voce viva e vegeta con molti derivati nei linguaggi partenopeo e/o meridionali; voce nata al sud ed ivi testimoniata fin dalla fine del XVII sec., ma trasmigrata dapprima in area lombarda e poi accolta nel lessico nazionale nei significati di prepotente, sopraffattore, prevaricatore, tirannico, aggressivo, arrogante, bullo, sfaccendato, audace, e poi anche ostentato nel vestire e nell’incedere e da ultimo (XX sec.) teppista, bravaccio, camorrista, persona sfrontata e tracotante, spavaldo.Quanto all’etimo la maggioranza degli addetti ai lavori, a cominciare dal D.E.I., propendono per una culla iberica (guapo= bello, vistoso) la cosa però non mi convince molto attesa anche l’esistenza della voce francese guape = teppista che, a quel che pare, fu recepita nello spagnolo che ne trasse il suo guapo dal quale poi il napoletano avrebbe mutuato il suo guappo; solo un’attenta ricerca storico-linguistica (se fosse possibile farla…, ma ne dubito) ci potrebbe dire perché mai il napoletano avrebbe dovuto attingere nello spagnolo e non direttamente dal francese gergale antico; confesso di non essere attrezzato per una tale attenta ricerca storico-linguistica, né ò contezza di attendibili studi altrui; mi limiterò perciò ad evitare sia la via iberica che quella francese, per tornare a percorre, in ottima compagnia peraltro: Cortelazzo- Zolli, come già feci alibi, la strada di un lat.classico vappa=, vinello inacetito, corrotto
e per trasl. dissipatore, degenerato, uomo buono a nulla, cattivo soggetto; in tale ipotesi non osterebbe, a mio avviso, la mutazione metaplasmatica della v in g mutazione presente anche alibi come ad es.: vorpa/volpa→golpa che è dal latino vulpe(m) o al contrario della g in v come ad es. in gulio→vulio= voglia.
barbiere s.vo m.le Chi fa il mestiere di radere la barba e di tagliare o accorciare, lavare ed accomodare i capelli (soprattutto a clienti di sesso maschile, differendo in ciò dal parrucchiere); (fino agli inizi del sec. XIX all'esercizio di questo mestiere erano connesse anche pratiche mediche e chirurgiche); al proposito rammento il détto: ) Pàrono ‘o servezziale e ‘o pignatiello
Sembrano il clistere e il pentolino. La locuzione veniva ed ancóra viene usata per indicare in maniera sarcastica due persone (parenti o amici) che spesso e volentieri sono insieme e che difficilmente si separano, come accadeva un tempo quando i barbieri che erano un po' anche cerusici,chiamati per praticare un clistere si presentavano recando in una mano l'ampolla di vetro (serviziale) atta alla bisogna e nell’altra un pentolino per riscaldarvi l'acqua occorrente...
servizziale s.vo m.le= clistere, clisma, parola che fu anche (sia pure nella forma di servigiale) nell’italiano antico con i medesimi significati,forgiata sul lat. servitiu(m), deriv. di servus 'schiavo' + il suffisso di pertinenza ale da alis.
pignatiello =pentolino, piccola pentola in origine di coccio, poi anche di metalli: ferro, alluminio etc. s.vo m.le forma diminutiva maschilizzata di pignata; la voce pignata 1) pentola molto capace, per lo piú di terracotta; 2) sorta di mattone forato impiegato nella costruzione dei solai è voce che m’appare derivata dal latino pineata(olla)in quanto il coperchio della pignata terminava quasi sempre a mo' di pigna (in latino pinea). Circa la maschilizzazione del diminutivo rammento che in napoletano con il femminile si indica un oggetto piú grande del corrispondente maschile (es.: pennellessa (piú grande) e penniello ( piú piccolo), cucchiara (piú grande) e cucchiaro ( piú piccolo),tina (piú grande) e tino( piú piccolo) carretta (piú grande) e carretto ( piú piccolo),tammorra (piú grande) e tammurro (piú piccolo);fanno eccezione caccavo (piú grande) e caccavella ( piú piccola) e tiano (piú grande) e tiana( piú piccolo); per cui, nella fattispecie, essendo la pentola usata dal barbiere in funzione di cerusico, molto piccola, si preferí render maschile il consueto diminutivo femminile di pignata e messa da parte pignatella si adottò pignatiello.
bello agg.vo m.le
1 si dice di ciò che è dotato di bellezza; che suscita ammirazione, piacere estetico: un bel ragazzo; due begli occhi; bei palazzi; una bell'architettura; belle musiche; farsi bello, agghindarsi, truccarsi; farsi bello di qualcosa, (fig.) vantarsene, attribuirsene il merito; che bello!, con ellissi del sostantivo | in senso generico, indica ciò che è apprezzabile, ben riuscito, ben fatto, comodo, agevole e sim.: un bel lavoro; una bella gita; una bella casa | in loc. particolari: arti belle, belle arti, arti figurative; belle lettere, letteratura; bel canto, belcanto; bel mondo, alta società, jet-set; belle maniere, modi cortesi, gentilezza; bel sesso, sesso femminile; begli anni, gioventù; bella copia, copia definitiva, ultima; bella vita, agiata, comoda; anche, mondana, scapestrata; una bella intelligenza, un bell'ingegno, vivaci, acuti; anche, una persona intelligente | prov. : non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace.
2 moralmente buono; apprezzabile: un bel gesto, una bella azione; non è bello ciò che fai
3 buono, sereno, calmo (detto degli aspetti della natura): bel tempo; oggi c'è un bel mare; bella giornata; bella stagione, primavera ed estate
4 in usi fraseologici, può avere valore enfatico o rafforzativo, anche in senso iron. e antifrastico: un milione è una bella cifra; sei un bel pezzo d'asino; non ti dico un bel niente; nel bel mezzo di qualcosa, proprio nel mezzo | avere un bel fare, un bel dire ecc. , fare, parlare ecc. inutilmente | a bella posta, intenzionalmente | bell'e buono, vero e proprio: è una canaglia bell'e buona | bell'e fatto, bell'e sistemato ecc. , definitivamente fatto, sistemato ecc. | un bel giorno, un giorno | per antifrasi, brutto: che bella figura hai fatto!; bella roba!; bell'amica che sei! || Usato anche come avv. solo nella loc. bbellu bbello (bel bello), tranquillamente, piano piano: s. neutro
1 ciò che è bello; l'insieme delle cose belle: avere il senso del bello | con valore enfatico: mo vene ‘o bbello(adesso viene il bello), la cosa più importante, più difficile; sul più bello, nel momento culminante; il bello è che, lo strano è che; avere di bello che, per indicare un aspetto apprezzabile, una qualità; ci volle del bello e del buono per convincerlo, non fu facile | con valore fraseologico: che cosa fai di bello?; dove vai di bello?
2 tempo buono: spero che domani tornerà il bello
3 uomo bello, che si ammira soprattutto per le doti fisiche: il bello del paese | per antonomasia, l'innamorato, il fidanzato | appellativo affettuoso, che si rivolge specialmente ai bambini: fai la nanna, bello; bello di papà!
Etimologicamente è voce derivata dal lat. bellu(m) 'carino', in origine dim. di bonus 'buono';
femmena s.vo f.le = donna, femmina
1 nome generico di ogni individuo umano o animale portatore di gameti femminili atti a essere fecondati da quelli maschili, e quindi caratterizzato dalla capacità di partorire figli o deporre uova: la femmina della tigre; le femmine sono in genere meno aggressive dei maschi
2 essere umano di sesso femminile; donna, bambina: ànno già un figlio maschio, vorrebbero una femmina | come accezione meridionale: mala femmina, prostituta.
3 parte di un congegno destinata a riceverne un'altra nel suo interno: la femmina dell'incastro
In funzione di agg.vo
1 ricca, dotata di femminilità; desiderabile, attraente: è molto femmina | detto di animale, che è di sesso femminile: un castoro femmina
la voce etimologicamente è dal lat. femina(m), voce connessa con fecundus 'fecondo';
fa fesso locuzione verbale (3° pers. sg.ind. pres.) di
fare/fà fesso = ingannare, tradire, gabbare, raggirare etc.; la locuzione è formata dall’unione dell’agg.vo fesso con l’infinito fare/fà;
fare/fà =
1 compiere un'azione; porre in essere, eseguire, operare: fare un passo, il bene, un discorso, un sogno; che fai stasera? | avere molto da fare, essere occupatissimo | saper fare (di) tutto, essere versato in ogni campo | fare e disfare a proprio piacimento, agire secondo il proprio comodo, senza render conto a nessuno | fa' tu, decidi tu | avere a che fare con qualcuno, trattare, avere rapporti con lui | non avere nulla a che fare con qualcosa, non entrarci, non avere relazione con essa | darsi da fare, adoperarsi, brigare per ottenere qualcosa | lasciar fare (qualcuno), non disturbarlo, lasciarlo libero di agire | fare di tutto o l'impossibile, tentare ogni mezzo pur di raggiungere uno scopo | saperci fare, (fam.) essere in gamba, sapere il fatto proprio | fare presto, tardi, agire con rapidità o con lentezza; anche, rientrare presto o tardi, spec. la sera | fare di conto, (antiq.) conteggiare, computare secondo le regole dell'aritmetica | fare festa, festeggiare, divertirsi | fare la festa (o la pelle) a qualcuno, ucciderlo | far fuori qualcuno, eliminarlo da una competizione; anche, ucciderlo; fare fuori qualcosa, consumarla, distruggerla rapidamente | fare la bella vita, godersela, spassarsela | fare una bella, una cattiva vita, vivere in buone, in cattive condizioni materiali o morali | fare figura, dare una buona impressione | fare una bella, una cattiva figura, dare, lasciare una buona, una cattiva impressione | fare colpo, colpire, impressionare | fare caso a qualcosa, badarci |
2 unito a particelle pronominali, spec. nell'uso familiare, assume valore enfatico, esprimendo una partecipazione affettiva del soggetto all'azione: farse ‘na magnata(farsi una mangiata), farse ‘na bbella cammenata(una bella passeggiata); facimmoce ddoje resate(facciamoci due risate); farsene un baffo, infischiarsene;
3 con valore causativo, mettere in condizione di, permettere: far fare i primi passi al bambino; far bere i cavalli
4 creare, produrre, fabbricare: Dio fece il mondo dal nulla ' fare figli, generarli | fare frutti, produrli | fare un libro, scriverlo | fare una casa, costruirla | fare la minestra, prepararla | fare un contratto, stipularlo | fare luce, rischiarare, illuminare; (fig.) svelare un mistero, scoprire la verità
5 dire, parlare (per lo più introducendo il discorso diretto): mi fece: «Vieni con me»
6 credere, pensare: ti facevo a Parigi e invece sei qui!
7 emettere, versare: fare sangue dal naso
8 raccogliere, mettere insieme: fare legna; fare quattrini; fare carbone, acqua, benzina, rifornirsene; la nostra città fa trecentomila abitanti, ne conta trecentomila | fare acqua, detto di natante, imbarcarla da una falla; (fig.) essere in condizioni di dissesto
9 (fam.) comprare, regalare: la mamma le ha fatto un paio di scarpe nuove | con la particella pronominale, comprare per sé, procurarsi: farsi la macchina, la villa
10 esercitare un'arte, una professione, un mestiere: fare il pittore, il commerciante | praticare: fare sport, del tennis
11 comportarsi da: fare il superuomo, il cretino | agire come: fare da padre, da infermiera
12 detto di cose, avere una determinata funzione: i capelli le facevano corona intorno al viso; una pietra faceva da sedile
13 rendere, mettere in una determinata condizione: far bella la propria casa
14 eleggere, nominare: fu fatto generale
15 dare come risultato (nelle operazioni aritmetiche): tre per tre fa nove; dieci meno due fa otto
16 (gerg.) rubare: gli hanno fatto il motorino
17 farsi un uomo, una donna, (volg.) averci un rapporto sessuale ||| v. intr. [aus. avere]
1 convenire, adattarsi, essere utile: quella casa non fa per noi; l'ozio non fa per me
2 divenire, essere (con uso impers. quando è riferito alla temperatura, al clima, all'avvicendarsi del giorno e della notte): fa caldo; fa brutto tempo; d'inverno fa buio presto
3 compiersi (di un determinato tempo): fa un anno, fanno due anni da che ci conoscemmo
4 in altre locuzioni: fare a pugni, a botte, a coltellate; fare a moscacieca, a nascondino; fare a (o in) tempo, riuscire a fare qualcosa entro una scadenza prefissata; fare a meno di qualcosa, rinunciarvi, privarsene; fare a metà, dividere in due; fare di cappello a qualcuno, salutarlo togliendosi il cappello; fare pro, giovare | fa fino, è da raffinati | fa estate, ne dà l'impressione ||| farsi v. rifl. o intr. pron.
1 trasformarsi, diventare: farsi musulmano; farsi rosso in viso; questo cucciolo s'è fatto grosso! | farsi in quattro, (fig.) moltiplicare i propri sforzi, il proprio impegno a favore di qualcuno o di qualcosa || Anche in costruzioni impersonali: s'è fatto chiaro; si sta facendo tardi
2 (gerg.)sta fatto( si è drogato).
L’ etimo è dal lat. fa(ce)re. In coda rammento che l’infinito apocopato di fare→fa(re)→fa potrebbe anche scriversi come fanno i piú fa’ per indicare con il segno diacritico (‘) la caduta della sillaba finale, ma preferisco scrivere fà con la à per uniformarmi alla grafia di tutti gli infiniti trisillabi apocopati (cfr. ad es.: parlà, magnà,tené,saglí, capí etc.) e per evitare una confusione ottica tra l’infinito fa’= fare e l’imperativo fa’=fai.
fesso agg.vo m.le esattamente lo sciocco balordo, senza una sua consistenza fisica e/o morale, lo stupido, , lo stolto, il deficiente, l’imbecille, lo scimunito e, talora (cfr. far fesso), l’ingannato, il tradito in tutto in linea con il suo etimo dal latino fissus part. pass. del verbo findere =spaccare, dividere.
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