1
-VUJE VEDITE Ô PATATERNO!
Ad
litteram: Voi guardate(ponete attenzione) al Padre Eterno!(cosa mi à
comminato!) Espressione/invito che contravvenendo il 2° comandamento
viene spesso usata con un moto di delusione e/o rammarico quando non
addirittura di rabbia, nell'osservare
e/o prender coscienza di sgraditi
accadimenti che ci colgano di sorpresa e
che si pensa provengano dal Cielo e
se ne provi molta meraviglia,
mai pensando che il celeste Padre potesse o avesse potuto chiamarci a quelle difficili prove.Rammento
che in napoletano, contrariamente a quanto fanno la maggior parte degli autori
partenopei, che però sono a digiuno delle regole grammaticali dell’idioma
partenopeo norme che sono diverse ed
autonome rispetto a quelle della lingua nazionale, cui invece essi si
ispirano, il complemento oggetto se
animato è sempre introdotto da una A segnacaso che fondendosi per crasi con
l’articolo determinativo del complemento determina, volta a volta, ô = a+’o, â=
a + ‘a, ê = a + ‘e.
2
-VULÉ FOTTERE E SBATTERE 'E MMANE o
anche VULÉ PISCIÀ E GGHÍ 'NCARROZZA.altrove ancóra VULÉ FOTTERE E VVASÀ
Ad
litteram: voler coire ed applaudire o
anche voler mingire ed andare in
carrozza o anche ancóra voler coire e baciare; espressioni usate
alternativamente per indicare la sciocca idea di chi voglia conseguire
nello stesso momento due risultati
antitetici e perciò non conciliabili; nella prima espressione è
sottintesa la posizione c.d. del missionario
nella quale le mani sono impegnate a sostenere il corpo e dunque non
possono applaudire; la variante rammenta uno dei frequenti motivi di litigio
tra i passeggeri ed i vetturini da nolo, i quali - in ispecie durante le corse
notturne dovevano a loro malgrado,
arrestare spesso la vettura per
permettere ai passeggeri che lo richiedevano di provvedere ai loro bisogni
fisiologici: naturalmente la faccenda,
ripetendosi spesso, comportava perdite di tempo sgradite ai vetturini, sempre alenanti a principiare nuove corse; nella terza
espressione si prendono in esame due comportamenti inconciliabili quali il
coito(ma orale) ed il bacio.
3
-VULÉ PISCIÀ TUTTE DINT'Ô RINALE oppure
VULÉ PISCIÀ TUTTO DINT'Ô RINALE
Ad
litteram: voler minger tutti nell'orinale oppure voler mingere completamente nell’orinale ; in ambedue i
casi le espressioni stanno per : pretendere l'impossibile; infatti non a tutti è concesso di fare tutte le
medesime cose, come non è possibile che tutti possano mingere
nell'orinale, qualcuno dovrà contentarsi di farlo all'aperto e - come i cani -
contro il muro. Nell’altra espressione si manifesta l’acclarata certezza che
orinando non si può depositare tutto l’orina
nel pitale; inevitabilmente si finisce per versarne fuori una parte!
piscià
voce verbale (infinito) = orinare, mingere derivata dal
tardo lat. pi(ti)ssare→pissare→pisciare→piscià;
rinale
s.vo m.le = orinale,
pitale, piccolo vaso da notte; voce dal lat. *urinale(m)→rinale per aferesi della u diventata o e
deglutinata in quanto inteso articolo: *urinale(m)→
orinale(m)→ ‘o rinale.
4 -
VULÉ VEDÉ MUORTO A QUACCUNO
Ad
litteram: voler vedere morto qualcuno id est: odiare tanto qualcuno al
segno di voler assistere alla di lui morte.
5
-VULÉ VENNERE ZIZZA 'E VACCA PE TTARANTIELLO
Ad
litteram:voler vendere mammella di mucca per insaccato di tonno
id
est: tentare di imbrogliare qualcuno in maniera palese e spudorata, come chi
tentasse di cedere in vendita la vile mammella vaccina per il piú pregiato e
costoso insaccato di tonno detto tarantiello perché prodotto largamente nel
circondario della città di Taranto.
6
-VULESSE DDIO!
Ad
litteram:lo volesse Iddio! È l’utinam latino. Id est: magari!,
Piacesse al Cielo che accadesse!
7- VUTÀ
CÀNTARE
Ad litteram:vuotare vasi di comodo. Détto di chi insiste continuamente e
fastidiosamente a partecipare agli altri i propri guai, le proprie
angosce,i propri malanni che nella locuzione vengono assimilati a
putescenti grossi pitali sversati non in mare ma coram populo quasi ai
piedi altrui. Càntere s.vo m.le plur. di càntaro o càntero alto e
vasto cilindrico vaso dall’ampia bocca su cui ci si poteva comodamente sedere,
atto a contenere le deiezioni solide; etimologicamente la voce càntero o
càntaro è dal basso latino càntharu(m) a sua volta dal greco kàntharos;
rammenterò ora di non confondere la voce a margine con un’altra voce partenopea
cantàro (che
è dall’arabo quintâr) diversa per accento tonico e significato: questa seconda
infatti è voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= quintale ed è a
tale misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca
n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che
(il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia
richiamata…)); molti napoletani sprovveduti e poco informati confondono la
faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè:
meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è
incongruo porre in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro)
piuttosto che con un altro peso (cantàro)!
8
-VUTTÀ 'E MMANE
Ad
litteram: buttare le mani id est: sbrigarsi, attivarsi sollecitamente e
procedere con uguale sollecitudine per
portare a compimento celermente un lavoro, agitando all'uopo le mani in un
finalizzato moto.
9
-VUTTÀ FUOCO P''E RRECCHIE
Ad
litteram: gettare fuoco per le orecchie
Detto di chi per essere
esageratamente nervoso ed arrabbiato si dimostri eccitato se non esagitato iperbolicamente
emettendo per le orecchie l'ipotetico fuoco che cova dentro di sé.
10-VUTTARSE
SOTT' Â BANNERA
Ad
litteram:buttarsi sotto la bandiera Detto di chi, per vile opportunismo è solito
schierarsi con il piú forte, mettendosi sotto la di lui bandiera, e ciò quando
ancora ferve una mischia; peggiore il caso
ricordato altrove dove lo schierarsi
avviene a mischia conclusa, a risultato acquisito e si balzi allora sul carro del vincitore.
11 -ZITTO CHI SAPE 'O JUOCO
Ad litteram: zitto chi conosce il giuoco! Id est: faccia silenzio chi è a conoscenza del trucco o dell'imbroglio. Con la frase in epigrafe olim si solevano raccomandare ai monelli spettatori dei loro giochi, i prestigitatori di strada, affinché non rivelassero il trucco compromettendo la buona riuscita del giuoco da cui dipendeva una piú o meno congrua raccolta di moneta.La locuzione fu in origine sulla bocca dei saltimbanchi che si esibivano a nelle strade adiacenti la piazza Mercato e/o Ferrovia, nel bel mezzo di una cerchia di monelli e/o adulti perdigiorno che non potendosi permettere il pur esiguo costo di un biglietto per accedere ai teatrini zonali ed assistervi a gli spettacoli, si accontentavano di quelli fatti in istrada da girovaghi saltimbanchi che si esibivano su palcoscenici di fortuna ottenuti poggiando delle assi di legno su quattro o piú botti vuote. Spesso tali spettatori abituali, per il fatto stesso di aver visto e rivisto i giochi fatti da quei saltimbanchi/ prestigitatori di strada avevano capito o carpito il trucco che sottostava ai giochi ed allora i saltimbanchi/ prestigitatori che si esibivano con la locuzione zitto chi sape 'o juoco! invitavano ad una sorta di omertà gli astanti affinché non svelassero ciò che sapevano o avevano carpito facendo perdere l’interesse per il gioco in esecuzione, vanificando la rappresentazione e compromettendo la chétta, la raccolta di monete operata tra gli spettatori, raccolta che costituiva la magra ricompensa per lo spettacolo dato. Per traslato cosí, con la medesima espressione son soliti raccomandarsi tutti coloro che temendo che qualcuno possa svelare imprudentemente taciti accordi, quando non occultati trucchi, chiedono a tutti un generale, complice silenzio.Rammento infine a completamento dell’illustrazione della locuzione un’altra espressione che accompagnava quella in esame: ‘a fora ‘o singo! e cioè: Fuori dal segno! Che era quello che tracciato con un pezzo di gesso rappresentava il limite invalicabile che gli spettatori non dovevano oltrepassare accostandosi troppo al palcoscenico, cosa che se fosse avvenuta poteva consentire ai contravventori di osservare piú da presso le manovre dei saltimbanchi/ prestigitatori, scoprendo trucchi e manovre sottesi ai giochi, con tutte le conseguenze già détte.
Ad litteram: zitto chi conosce il giuoco! Id est: faccia silenzio chi è a conoscenza del trucco o dell'imbroglio. Con la frase in epigrafe olim si solevano raccomandare ai monelli spettatori dei loro giochi, i prestigitatori di strada, affinché non rivelassero il trucco compromettendo la buona riuscita del giuoco da cui dipendeva una piú o meno congrua raccolta di moneta.La locuzione fu in origine sulla bocca dei saltimbanchi che si esibivano a nelle strade adiacenti la piazza Mercato e/o Ferrovia, nel bel mezzo di una cerchia di monelli e/o adulti perdigiorno che non potendosi permettere il pur esiguo costo di un biglietto per accedere ai teatrini zonali ed assistervi a gli spettacoli, si accontentavano di quelli fatti in istrada da girovaghi saltimbanchi che si esibivano su palcoscenici di fortuna ottenuti poggiando delle assi di legno su quattro o piú botti vuote. Spesso tali spettatori abituali, per il fatto stesso di aver visto e rivisto i giochi fatti da quei saltimbanchi/ prestigitatori di strada avevano capito o carpito il trucco che sottostava ai giochi ed allora i saltimbanchi/ prestigitatori che si esibivano con la locuzione zitto chi sape 'o juoco! invitavano ad una sorta di omertà gli astanti affinché non svelassero ciò che sapevano o avevano carpito facendo perdere l’interesse per il gioco in esecuzione, vanificando la rappresentazione e compromettendo la chétta, la raccolta di monete operata tra gli spettatori, raccolta che costituiva la magra ricompensa per lo spettacolo dato. Per traslato cosí, con la medesima espressione son soliti raccomandarsi tutti coloro che temendo che qualcuno possa svelare imprudentemente taciti accordi, quando non occultati trucchi, chiedono a tutti un generale, complice silenzio.Rammento infine a completamento dell’illustrazione della locuzione un’altra espressione che accompagnava quella in esame: ‘a fora ‘o singo! e cioè: Fuori dal segno! Che era quello che tracciato con un pezzo di gesso rappresentava il limite invalicabile che gli spettatori non dovevano oltrepassare accostandosi troppo al palcoscenico, cosa che se fosse avvenuta poteva consentire ai contravventori di osservare piú da presso le manovre dei saltimbanchi/ prestigitatori, scoprendo trucchi e manovre sottesi ai giochi, con tutte le conseguenze già détte.
12
-ZITTO E MMOSCA!
Ad
litteram:silenzio assoluto! Ordine perentorio rivolto genericamente intorno,
affinché tutti tacciano completamente al
segno che si possa udire il volo d'una mosca.
13
-ZOMPA CHI PO’, DICETTE 'O RANAVUOTTOLO
Ad
litteram: Salti chi puó, disse il ranocchio; gli altri si contentino del
proprio stato ed accettino la loro
condizione che, a causa dell'età o per sfavorevoli congiunturali
condizioni, non permette loro
di raggiunger traguardi
allettanti o beate evasioni; questo è il senso della locuzione in
epigrafe con la dispettosa espressione
posta sulla bocca di un altrettanto dispettoso
ranocchio che avendo ricevuto in sorte la possibilità di saltare, si
prende giuoco di chi non può farlo.
14
-ZUCÀ A DDOJE ZIZZE
Ad
litteram:succhiare da due mammelle Detto di chi, ingordo, avido,
insaziabile quando non prevaricante,
pretende di ottenere, non si sa come,
doppi insperati vantaggi o di ricavare danaro, magari estorcendolo da
piú fonti .
15
-ZÚCATE 'O FRANFELLICCO
Ad
litteram: súcchiati il bastoncino di zucchero; detto a mo' di
soddisfatto commento della gradevole
situazione in cui si trovi qualcuno che per essergli occorsi tutti favorevoli
accedimenti, non gli resti che beatamente
goderli gustandosi golosamente il
franfellicco: gustoso bastoncino di zucchero filato variamente insaporito, da
leccare passeggiando.
Talvolta
però la locuzione è usata in senso completamente opposto, quando si voglia
significare a qualcuno: ti è andata male... ora non ti resta che succhiare il
franfellicco, usato - in questa valenza - eufemisticamente in luogo di una
intuibilissima parte anatomica maschile; in tale seconda valenza piú spesso si
adopera l'espressione: zúcate 'o limone (súcchiati il limone )
con evidente riferimento al gusto acre
dell'agrume che richiama la
spiacevolezza della situazione andata male.
Zúcate
voce verbale =
súcchiati (2° p. sg. imperativo dell’infinito zucare/à = succhiare
(zucare/à etimologicamente è un denominale di sucus attraverso un *sucare)
da notare che l’accento ritratto sulla prima sillaba indica che si tratta di 2°
p. sg.; la 2° p. pl. sarebbe stata zucàte.
Franfellicco
s.vo m.le = bastoncino
di zucchero filato variamente insaporito, da leccare passeggiando; in senso
furbesco: membro maschile(etimologicamente voce marcata per adattamento sul francese fanfreluque).La voce a margine fu usata icasticamente nel senso di
bene di cui profittare, in una
canzoncina di anonimo, molto popolare e
databile tra la fine del 1700 ed i principi del 1800( quando ne riferí, con
divertito gusto, persino il Goethe(Francoforte sul Meno, 28 agosto
1749 – †Weimar, 22 marzo
1832) che l’udí durante il
suo viaggio in Italia; nella canzoncina,
con riferimento all’invasione francese,
si disse: Vi’ quant’è bbello
Napule, pare ‘nu franfellicco; ognuno vène, allicca, arronza e se ne va!
16
-.ZUMPÀ ASTECHE E LLAVATORE
Ad
litteram: saltare tra lastrici solai e lavatoi ; id est: andar su e giú
perdendo tempo. Detto di chi, eterno perdigiorno, dedichi il suo tempo non ad
impegni lavorativi o di studio, ma lo trascorra bighellonando senza una precisa meta, ascendendo i lastrici
solai(asteche pl. di asteco dal greco ast(r)akon), posizionati in vetta alle
abitazioni, o frequentando i lavatoi
posti in basso, nei pressi dei cortili delle suddette abitazioni.
17
-ZUMPÀ 'A LL'ASTECO Â FENESTA
Ad
litteram: saltare dal lastrico solaio alla finestra. Detto di chi manchi di ogni lineare coerenza e o tenga un comportamento continuamente oscitante ed indeciso o, piú spesso,
tenga un modo di discorrere, non facilmente comprensibile atteso che non segua un filo logico e
coerente, ma si avventuri in circonvoluzioni ardite ed indecifrabili.
18
-ZUMPÀ COMME A N'ARILLO
Ad
litteram:saltare come un grillo; detto con, non sempre velata, invidia di chi
pur essendo già avanti con gli anni goda di tanta buona salute che gli consente
una ipercinecità tale da poterla
paragonare a quella di un grillo insetto noto per il suo continuo saltellare.
19
-ZUMPÀ 'NCOPP' Ê CCANNUCCE
Ad litteram:saltare sulle cannucce id est: vivere
pericolosamente e perciò in continuo timore,
come chi lo faccia muovendosi e saltando su risibili, piccole e sottili canne
con il pericolo continuo di sprofondare .
20 -N’HÊ ‘A MAGNARTÉNE FURNE
‘E PANE!
Iperbolica, ironica
icastica espressione che tradotta ad litteram vale: “Devi mangiarne
forni di pane!” Id est: Devi mangiare (ancóra) tantissimo pane... (prima di poter ritenere di esserti
affermato, prima d’essere all’altezza della situazione, prima di poter esprimere un parere su di un
argomento, prima di aver dimostrato di
valere qualcosa e prima di poter
aspirare ad una posizione di
preminenza)! L’espressione viene usata, come si evince, ironicamente ed a mo’
di ammonimento rivolta a chi
arrogantemente, pur essendo alle prime
armi, presuma di bruciare le tappe ritenendosi e proponendosi come esperto o
navigato nei piú svariati campi
dello scibile, dell’azione o -piú in generale - del vivere quotidiano!
Brak
Nessun commento:
Posta un commento