1 ESSERE MURO E MMURO CU 'A VICARIA.
Letteralmente: essere adiacente alle mura della Vicaria.
Id est: essere prossimo a finire sotto i rigori della legge per pregressi reati
che stanno per esser scoperti. La Vicaria della locuzione era la suprema corte
di giustizia operante in Napoli dal 1550 ed era insediata in CastelCapuano
assieme alle carceri viceregnali. Chi finiva davanti alla corte della Vicaria e
veniva condannato, era subito allocato nelle carceri ivi esistenti o in quelle
vicinissime di San Francesco.
2. CU 'O TIEMPO E CCU 'A PAGLIA... S’AMMATURANO ‘E
NESPOLE
Letteralmente: col tempo e la paglia (maturano le
nespole). La frase, pronunciata anche non interamente, ma solo con le parole in
epigrafe vuole ammonire colui cui viene rivolta a portare pazienza, a non
precorrere i tempi, perché i risultati sperati si otterranno solo attendendo un
congruo lasso di tempo, come avviene per le nespole d'inverno o coronate che
vengono raccolte dagli alberi quando la maturazione non è completa e viene
portata a compimento stendendo le nespole raccolte su di un letto di paglia in
locali aerati e attendendo con pazienza: l'attesa porta però frutti dolcissimi
e saporiti.
3. SÎ ARRIVATO Â MONACA ‘E LIGNAMMO.
Letteralmente: sei giunto presso la monaca di legno. Id
est: sei prossimo alla pazzia. Anticamente la frase in epigrafe veniva rivolta
a coloro che davano segni di pazzia o davano ripetutamente in escandescenze. La
monaca di legno dell’epigrafe altro non era che una statua lignea raffigurante
una suora nell’atto di elemosinare . Detta statua era situata sulla soglia del
monastero delle Pentite presso l’Ospedale Incurabili di Napoli, ospedale dove
fin dal 1600 si curavano le malattie mentali.
4. STAMMO ALL'EVERA.
Letteralmente: stiamo all'erba. Id est: siamo in miseria,
siamo alla fine, non c'è piú niente da fare. L'erba della locuzione con l'erba
propriamente detta c'entra solo per il colore; in effetti la locuzione, anche
se in maniera piú estensiva, richiama quasi il toscano: siamo al verde dove il
verde era il colore con cui erano tinte alla base le candele usate nei pubblici
incanti: quando, consumandosi, la candela giungeva al verde, significava che
s'era giunti alla fine dell'asta e occorreva tentare di far qualcosa se si
voleva raggiunger lo scopo dell'acquisto del bene messo all'incanto; dopo
sarebbe stato troppo tardi.
5. HÊ SCIUPATO ‘NU SANGRADALE.
Letteralmente: Ài sciupato un sangradale. Lo si dice di
chi, a furia di folli spese o cattiva gestione dei propri mezzi di fortuna,
dilapidi un ingente patrimonio al punto di ridursi alla miseria piú cupa ed
esser costretti, magari, ad elemosinare per sopravvivere; il sangradale
dell'epigrafe è il santo graal la mitica coppa in cui il Signore istituí la
santa Eucarestia durante l'ultima cena e nella quale coppa Giuseppe d'Arimatea
raccolse il divino sangue sgorgato dal costato di Cristo a seguito del colpo
infertogli con la lancia dal centurione sul Golgota. Si tratta probabilmente di
una leggenda scaturita dalla fantasia di Chrétien de Troyes che la descrisse
nel poema Parsifal di ben 9000 versi e che fu ripresa da Wagner nel suo
Parsifal dove il cavaliere Galaad, l'unico casto e puro, riesce nell'impresa di
impossessarsi del Graal laddove avevan fallito tutti gli altri cavalieri non
abbastanza puri.
6 FATTE CAPITANO E MMAGNE GALLINE.
Letteralmente: diventa capitano e mangerai galline. Id
est: la condizione socio-economica di ciascuno, determina il conseguente tenore
di vita (olim il mangiar gallina era ritenuto segno di lusso e perciò se lo
potevano permettere i facoltosi capitani non certo i semplici, poveri soldati).
La locuzione à pure un'altra valenza dove l'imperativo fatte non corrisponde a
diventa, ma a mostrati ossia: fa le viste di essere un capitano e godine i
benefici.
7. CHI NASCE TUNNO NUN PO’ MURÍ QUATRO.
Letteralmente: chi nasce tondo non può morire quadrato.
Id est: è impossibile mutare l'indole di una persona che, nata con
un'inclinazione, se la porterà dietro per tutta la vita. La locuzione, usata
con rincrescimento osservando l'inutilità degli sforzi compiuti per cercar di correggere
le cattive inclinazioni dei ragazzi, in fondo traduce il principio
dell'impossibilità della quadratura del cerchio.
8. A CCHI PARLA ARETO, 'O CULO LLE RISPONNE.
Letteralmente: a chi parla alle spalle gli risponde il
sedere. La locuzione vuole significare che coloro che parlano alle spalle di un
individuo, cioè gli sparlatori, gli spettegolatori meritano come risposta del
loro vaniloquio una salve di peti.
9. A CCRAJE A CCRAJE
CUMME ‘A CURNACCHIA
Letteralmente: a cra, a cra come una cornacchia. La
locuzione, che si usa per commentare amaramente il comportamento
dell'infingardo che tende a procrastinare sine die la propria opera, gioca
sulla omofonia tra il verso della cornacchia CRA CRA e la parola latina cras che in napoletano suona craje e che
significa: domani, giorno a cui suole rimandare il proprio operato chi non à
seria intenzione di lavorare .
10. Chello ca nun se fa nun se sape.
Letteralmente:(solo) ciò che non si fa non si viene a
sapere. Id est: La fama diffonde le notizie e le propaga, per cui se si vuole
che le cose proprie non si sappiano in giro, occorre non farle, giacché ciò che
è fatto prima o poi viene risaputo.
11. 'O pesce gruosso, magna 'o piccerillo.
Letteralmente: il pesce grande mangia il piccolo. Id est
piú generalmente: il potente divora il debole per cui se ne deduce che è lotta
impari destinata sempre all'insuccesso quella combattuta da un piccolo contro
un grande.
12 'O puorco se 'ngrassa pe ne fà sacicce.
Letteralmente: il maiale è ingrassato per farne salsicce.
La locuzione vuole amaramente significare che dalla disincantata osservazione
della realtà si deduce che nessuno fa del bene disinterassatamente; anzi
chiunque fa del bene ad un altro mira certamente al proprio tornaconto che
gliene deriverà, come - nel caso in epigrafe - il maiale non deve pensare che
lo si lasci ingrassare per fargli del bene, perchè il fine perseguito da colui
che l'alleva è quello di procurarsi il proprio tornaconto sotto specie di
salsicce.
13 JÍ METTENNO 'A FUNE 'E NOTTE.
Letteralmente: Andar tendendo la fune di notte. Lo si
dice sarcasticamente nei confronti specialmente dei bottegai che lievitano
proditoriamente i prezzi delle loro mercanzie, ma anche nei confronti di tutti
coloro che vendono a caro prezzo la loro opera. La locuzione usata nei
confronti di costoro - bottegai e salariati - li equipara quasi a quei
masnadieri che nottetempo erano soliti tendere lungo le strade avvolte nel
buio, una fune nella quale incespicavano passanti e carrozze, che stramazzando
a terra diventavano facilmente cosí oggetto di rapina da parte dei masnadieri.
14. PARLA QUANNO PISCIA ‘A GALLINA!
Letteralmente: parla quando orina la gallina. Cosí,
icasticamente ed in maniera perentoria, si suole imporre di zittire a chi parli
inopportunamente o fuori luogo o insista a profferire insulsaggini, magari
gratuite cattiverie. Si sa che la gallina espleta le sue funzioni fisiologiche,
non in maniera autonoma e separata, ma in un unicum, per modo che si potrebbe
quasi pensare che, non avendo un organo deputato esclusivamente alla bisogna,
la gallina non orini mai, di talché colui cui viene rivolto l'invito in
epigrafe pare che debba tacere sempre.
15. PUOZZE PASSÀ P''A LOGGIA.
Letteralmente: Possa passare per la Loggia (di Genova).
E' come a dire: Possa tu morire. Per la zona della Loggia di Genova, infatti,
temporibus illis, transitavano tutti i cortei diretti al Camposanto.
Brak
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