1 CORE CUNTENTO Â
LOGGIA.
Letteralmente: Cuor contento alla Loggia. Cosí il popolo
suole apostrofare ogni persona propensa, anche ingiustificatamente, ad
atteggiamenti giocosi ed allegri, rammentando con la locuzione il soprannome
dato, per la sua perenne allegria, alla fine dell'Ottocento, ad un celebre
facchino della Loggia di Genova che era una sorta di territorio franco concesso
dalla città di Napoli alla Repubblica marinara di Genova, dove i genovesi
svolgevano i loro commerci, autoamministrandosi.
2 FARNE UNA CCHIÚ 'E CATUCCIO.
Letteralmente: compierne una piú di Catuccio. Id est:
farne di tutti i colori, compiere infamie e scelleratezze tali da sorpassare
quelle compiute in Francia dal settecentesco Louis Philippe Bourguignon celebre
brigante soprannominato Cartouche corrotto in napoletano con il termine
Catuccio. La locuzione viene usata per bollare il comportamento non
raccomandabile di chi agisce procurando danno a terzi, ma iperbolicamente anche
per sottolineare il comportamento un po' troppo vivace dei ragazzi.
3 ESSERE PASSATA 'E CÒVETA O 'E CUTTURA.
Letteralmente: essere passata di raccolta cioè già
sfiorita sull'albero perché abbondandemente maturata oppure essere oramai
passata di cottura cioè bruciacchiata perchè troppo cotta. Ambedue le
espressioni fanno furbescamente riferimento ad una donna piuttosto in avanti
con gli anni perciò sfiorita e non piú degna di attenzioni galanti alla
medesima stregua o di un frutto lasciato sul ramo troppo tempo dopo la
maturazione o come un cibo lasciato sul fuoco oltre il tempo necessario,
facendolo quasi bruciare.
4 QUANNO 'O DIAVULO T'ACCAREZZA È SSIGNO CA VO’ LL'ANEMA.
Letteralmente : quando il diavolo ti carezza, significa
che vuole l'anima. Lo si afferma a commento delle azioni degli adulatori o di
coloro che godono di cattiva fame; se uno di costoro ti blandisce, offrendoti
servigi o opere gratuite, bisogna non fidarsi, giacché nel loro operare c'è
nascosta la richiesta di qualcosa molto piú importante della prestazione
offerta.
5 È GGHIUTO 'O CCASO 'A SOTTO I 'E MACCARUNE 'A COPPA.
Letteralmente: è finito il cacio sotto ed i maccheroni
sopra. La locuzione la si usa per commentare con disappunto una situazione che
non si sia evoluta secondo i principi logici ed esatti e codificati. In
effetti, secondo logica si vorrebbe che il formaggio guarnisse dal di sopra un
piatto di maccheroni, non che facesse loro da strame. Id est: maledizione! Il
mondo va alla rovescia!
6 DOPPO MUORTO, BUZZARATO.
Letteralmente: dopo morto, buggerato; dopo aver subito la
morte, sopportare anche il vilipendio. La locuzione corrisponde, anche se in
maniera un po' piú dura al toscano: il danno e la beffa. Essa fu usata nel
corposo linguaggio partenopeo da un napoletano che assistette al consueto
percuotimento del capo del defunto papa PIO XII, con il previsto martelletto
d'argento operato dal cardinale camerlengo, per accertarsi che il pontefice non
reagisse dimostrando cosí d'essere morto.
7 TROPPI GALLE A CCANTÀ NUN SCHIARA MAJE JUORNE.
Letteralmente: troppi galli a cantare, non spunta mai il
giorno. Id est: quando ci sono troppe persone ad esprimere un'opinione, un
parere, non si arriva mai ad una conclusione; ed in effetti tenendo presente
l'antico adagio latino: tot capita, tot sententiae: tante teste, tanti pareri,
sarà ben difficile, anzi sarà impossibile trovarne di collimanti per modo che
si possa finalmente giungere ad una conclusione.
8 NUN C'È PPRERECA SENZA SANT' AUSTINO.
Letteralmente: Non v'è predica senza sant'Agostino. Come
si sa, sant'Agostino, vescovo d' Ippona, è uno dei piú famosi padri della
Chiesa cattolica e non v'è predicatore che nei sermoni non usi citare gli
scritti del santo vescovo. L'espressione in epigrafe viene usata a mo' di
risentimento da chi si senta chiamato in causa - soprattutto ingiustamente - e
fatto segno di attenzioni non richieste e perciò non desiderate.
9 'A MALANOVA LL'ACCUMPAGNA 'O VIENTO.
Letteralmente: la cattiva notizia viaggia sulle ali del
vento. Id est: le cattive notizie ti raggiungono rapidamente, spinte come sono
dal vento; per cui il popolo è solito affermare: nessuna nuova, buona nuova,
poichè sono le cattive notizie a giungere sospinte dal vento; se non ne
giungono, significa che si tratta di buone notizie che - per solito - non
viaggiano col vento.
10 E BBRAVO Ô FESSO!
Letteralmente: E bravo allo sciocco! La frase in epigrafe
la si usa sempre quando si voglia ironicamente plaudire all'operato di chi
pretende da saccente e supponente, con la propria azione di dimostrare la
propria valentia nei confronti di qualcuno a cui non riesca di agire alla
medesima stregua. Piú chiaramente, la locuzione è usata a mo' di presa in giro
di coloro che fanno le viste di ritenersi superiori agli altri e in realtà se
lo sono non è per maggiori capacità fisiche e/o morali, ma solo per fortunose o
ovvie ragioni. Per meglio chiarire spieghiamo con un esempio. Poniamo vi sia un
uomo infortunato alle gambe che abbia difficoltà ad ascendere una scala a
pioli. Si presenta uno sciocco che, essendo pienamente integro nella sua
salute, con irrisoria facilità ascende la scala e commenta con aria saccente:
"Visto come è facile?". La risposta che si merita codesto sciocco è
quella in epigrafe, che nel caso dell'esempio starebbe a significare: Sei cosí
stupido da non renderti conto che se anche io fossi nella mia integrità fisica,
non avrei difficoltà a fare ciò che ài fatto tu!
11 QUANNO 'O MELLONE JESCE RUSSO, OGNEDUNO NE VÒ 'NA
FELLA.
Letteralmente: Quando il cocomero al taglio si presenta
ben colorito di rosso, ognuno ne vuole una fetta. Id est: Quando l'occasione è
buona, ognuno cerca di ottenerne il massimo vantaggio. Per traslato,
l'espressione si usa quando si voglia bollare il comportamento di chi è sempre
pronto a saltare sul carro del vincitore...
12 SI 'O SIGNORE ME PRUVVEDE, M'AGGI' 'A FÀ 'NU QUACCHERO
LUONGO 'NFINO Ê PIEDE.
Letteralmente: Se il Cielo mi dà provvidenza, debbo farmi
un soprabito lungo fino ai piedi. Id est: se avrò fortuna e aiuto dal Cielo mi
voglio ricoprire fino ai piedi per modo che non possa temere offese
dall'esterno. La parola quacchero nel senso di cappotto è modellata sul termine
quaccheri, rammentando i lunghi costumi indossati da costoro.
13 LL'ABBATE TACCARELLA.
Letteralmente: l'abate Taccarella. Con questo soprannome
viene bollato, a Napoli, la malalingua, lo sparlatore, colui che, metaforicamente,
tagliuzzi gli abiti addosso ad una persona; il nome Taccarella è chiaramente un
deverbale desunto appunto dal verbo taccarià che significa tagliuzzare, ridurre
in minuti pezzetti.
14 T' HÊ PIGLIATO 'E CCIENT' OVE.
Letteralmente: ài preso le cento uova; ài bevuto cento
uova. Id est: sei diventato pazzo. La locuzione rammenta un antichissimo metodo
di cura della pazzia in uso a Napoli nei sec. XV e XVI, al tempo di un
famosissimo medico dei pazzi, tale Giorgio Cattaneo - dal cui nome derivò poi
il termine mastuggiorgio che indica appunto il castigamatti - il quale medico
pare inventasse la cura coercitiva per il folle di dover assumere ben cento
uova di seguito e poi, sotto la minaccia di una frusta, di girare la ruota di
un pozzo.
15 FRIJENNO, MAGNANNO.
Letteralmente: friggendo e mangiando. L'uso, tutto
napoletano, di mettere in fila due gerundi, senza un apparente modo finito
reggente, sta ad indicare che le due azioni debbono essere eseguite quasi
contemporaneamente, senza soluzione di continuità, e - nella fattispecie - il
cibo una volta fritto deve essere subito consumato, senza indugio, con
immediatezza e rapidità. Il cibo, sottinteso nella locuzione, è rappresentato
dalle famosissime paste cresciute, dai tittoli, dai fiori di zucca in pastella
e da tutte quelle numerose verdure, fette di ricotta, uova sode, animelle etc.
che concorrono a formare quello che erroneamente si dice fritto all'italiana e
che sarebbe piú consono dire fritto alla napoletana, giacchè in Napoli fu
ideato questo tipo di preparazione culinaria da consumarsi velocemente
all'impiedi davanti ai banchi delle friggitorie (antenate delle moderne
pizzerie) esercizi dove detto fritto veniva preparato ed offerto seduta stante
all'avventore anche frettoloso.
16 FATTE 'NA BBONA ANNUMMENATA E VVA' SCASSANNO CHIESIE.
Letteralmente: procura di farti una buona nomea e poi
saccheggia pure le chiese. Id est: ciò che conta nella vita è di godere di una
buona opinione presso i terzi, poi si possono operare i peggiori misfatti,
addirittura furti sacrileghi, nessuno mai sospetterà di uno che gode di buona
nomea. La locuzione insomma affronta l'antico dilemma: essere o apparire e
propende, stranamente per la cultura popolare, da sempre incline dalla parte
della sostanza piuttosto che da quella della forma, per il secondo corno del
dilemma.
17 AMMACCA E SSALA, AULIVE 'E GAETA.
Letteralmente: schiaccia e sala, olive di Gaeta! Di per
sè è la voce - ossia la frase di richiamo - usata dai venditori di olive e con
essa si rammenta la tecnica della conservazione in salamoia delle olive che
vengono stipate in botticelle e conservate in un bagno di acqua salata. Con la
stessa locuzione si suole commentare a mo' di riprovazione, il comportamento di
coloro che operano in maniera rapida e superficiale, senza porre attenzione ed
applicazione a ciò che sono stati chiamati a fare.
18 CCA 'E PPEZZE E CCA 'O SSAPONE.
Letteralmente: di qui le pezze e di là il sapone. È il
modo rapidamente incisivo per dire che non si fa credito di sorta. Chi usa
detta locuzione intende comunicare che con lui non si fanno contratti se non a
prestazione e controprestazione immediata, contratti dove il do e il des sono
contemporanei. Originariamente, la locuzione era usata dai robivecchi girovaghi
detti "SAPUNARI" che offrivano in cambio di abiti dismessi un tot di
sapone quale merce di scambio.
19 M''O SSENTO 'E SCENNERE PE DDERETO Ê RINE.
Letteralmente: me lo sento colare lungo il filo della
schiena. L'espressione viene usata con senso di rammarico se non di timore,
quando si voglia comunicare a terzi di avvertire su se stessi la sensazione di
un prossimo imminente disastro e/o pericolo e di non potervi porre riparo.
20 SE SO' 'NCUNTRATE 'O SANGO I 'A CAPA.
Letteralmente: si sono uniti il sangue e la testa. Id
est: si è verificato l'incontro di due elementi ugualmente necessarii al
conserguimento di un quid. Anche in senso marcatamente dispregiativo per
sottolineare l'incontro di due poco di buono dalla cui unione deriverà
certamente danno per molti. La locuzione, in senso positivo, fa riferimento
all'incontro liturgico della teca contenente i reperti ematici del sangue di
san Gennaro con il busto contenente il cranio del santo; solo dopo détto
incontro infatti per solito si verifica il miracolo della liquefazione del
sangue.
21 ESSERE D''O BETTONE.
Letteralmente: essere del bottone Id est: appartenere ad
un medesima consorteria, ad una stessa associazione e perciò essere nella
condizione di poter chiedere e ricevere aiuto ed assistenza dai propri sodali.
Il bottone della locuzione è, senza dubbio, il distintivo, cioè il segno
esteriore della appartenenza ad un determinato consesso, ma è inesatto ritenere
il distintivo della locuzione quello fascista, perché l'espressione, a Napoli,
era nota e si usava fin dall'epoca dei Borbone.
22 I' FACCIO PERTOSE E TU GAVEGLIE.
Letteralmente: Io faccio buchi e tu cavicchi. Id est: mi
remi contro. La locuzione la si usa quando si voglia redarguire qualcuno che
proditoriamente e senza apparenti motivi, anzi quasi per dispetto, si adopera
per vanificare l'opera di chi si sta affannando in un'azione di senso contrario
come nella locuzione capita a chi si sta adoperando a fare buchi e trova chi
invece si dà da fare per confezionare cavicchi atti a turare detti buchi.
23 QUANNO SCIOSCIA VIENTO 'E TERRA, 'O PESCE NUN ZOMPA
DINT' Â TIELLA.
Letteralmente: quando spira il maerstrale il pesce non
salta in padella. Id est: i giorni spazzati dal vento maestrale sono i meno
adatti per la pesca. Piú in generale il proverbio sta a significare che per
ottenere buoni risultati occorre attendere il momento propizio e non bisogna
avventurarsi in alcuna opera quando spiri vento avverso.
24 TRE SONGO 'E PUTIENTE: 'O PAPA 'O RRE E CCHI NUN TÈNE
NIENTE.
Letteralmente: Tre sono i potenti: il papa il re e chi
non possiede nulla. E' facile capire il perché della locuzione. Il Papa non à
concorrenti, per cui nel suo ambito è da ritenersi veramente un potente; idem
valga per il re inteso come despota. E non meravigli che sia considerato un
potente il nullatenente, che basa proprio sulla sua penuria di mezzi la propria
forza, potendosi infischiare di tutti, non temendo assalti da parte di nessuno,
giacchè a nessuno verrebbe in mente di attaccare qualcuno a cui in caso di
vittoria non si avrebbe che cosa sottrarre.
25 SIGNORE 'E UNU CANNELOTTO.
Letteralmente: signore da un solo candelotto. Cosí a
Napoli viene appellato chi pretende di avere nobili ascendenti, ed invece
risulta essere di nessuna nobiltà. La locuzione risale al tempo in cui
l'illuminazione dei palchi del teatro san Carlo, massimo teatro lirico della
città partenopea, era assicurata da alcuni candelabri che venivano noleggiati
dalla direzione del teatro agli spettatori che ne facessero richiesta. Il
prezzo del noleggio variava con il numero dei candelabri richiesti e questo
dalle possibilità economiche dello spettatore. Va da sè che minore era il
numero di candele, minore era la possibilità economica dimostrata e
conseguenzialmente minore il grado di nobiltà; per cui un signore da un
candelotto era da ritenersi proprio all'infimo gradino della scala sociale.
26 CARTA VÈNE E GGHIUCATORE S'AVANTA.
Letteralmente: carta (vincente) viene e giocatore
(vittorioso) si vanta. La locuzione prendendo spunto dal giuoco delle carte
stigmatizza il comportamento ridicolo e pretestuosamento presuntuoso - tipico
peraltro di coloro che ànno scarse capacità intellettive - di chi tenti di
farsi merito di successi ottenuti non per propria capacità, intelligenza e
valore, ma per mera fortuna che lo abbia condotto al primato, come avviene in
taluni giuochi di carte dove basta il possesso di determinate carte vincenti a
procurare la vittoria e conta veramente poco il modo di giocare le predette
carte.
27 CHELLA 'A MANA È BBONA; È 'A VALANZA CA VO’ ESSERE
ACCISA!
Letteralmente: Quella la mano è buona, è la bilancia che
vuole essere uccisa cioè che si comporta
in modo tale da meritarsi d'essere ammazzata. La locuzione va riferita a chi
proditoriamente tiri a derubare sul peso e tenti di far ricadere la colpa sul
tramite ossia sulla bilancia. Per traslato la locuzione la si usa
sarcasticamente nei confronti di chiunque, per un motivo o l'altro non si
voglia assumere le responsabilità del proprio truffaldino comportamento.
28 CHISTO È N'ATO D''A PASTA FINA.
Letteralmente: Costui è un altro della pasta fine. Id
est: anche questo fa parte di un gruppo di brutti ceffi, di cui diffidare. La
locuzione nacque allorché, alla fine del '800, in Napoli alcuni comorristi
erano soliti riunirsi in una bettola tenuta da un tal Pastafina. Letta tenendo
presente questa annotazione, la locuzione assume una sua valenza di offesa.
29 FATTÉLLE CU CCHI È MMEGLIO 'E TE E FANCE 'E SPESE.
Letteralmente: Intrattieni duraturi rapporti con chi è
migliore di te e sopporta le spese che ne derivano.Id est: le proprie amicizie
bisogna sceglierle tra chi ti è moralmente superiore , e occorre poi coltivarle
anche se per fare ciò bisogna por mano alla tasca anche figurativamente
parlando.
30 ADDÓ SPERDETTENO A GGIESÚ CRISTO.
Letteralmente: dove dispersero Gesú Cristo. Lo si dice di
un luogo lontano ed impervio, difficile da raggiungere... La locuzione fa
certamente riferimento all'episodio dell'evangelo allorché Maria e Giuseppe
persero di vista il Redentore che s'era attardato in Gerusalemme ed impiegarono
alcuni giorni prima di ritrovarlo.
31'A COPPA SANT' ERMO, PESCA 'O PURPO A MMARE.
Letteralmente: Di sopra sant' Elmo pesca un polpo a mare.
Lo si dice, ironizzando sull'azione di chi si affanna a voler raggiungere un
risultato, che certamente invece gli mancherà, stanti le errate premesse da cui
parte la propria opera, come chi volesse appunto pescare un polpo nel mare del
golfo partenopeo e si trovasse a farlo assiso sulla collina di sant'Elmo, che è
vero che guarda il mare, ma lo fa da un'altezza di circa 250 metri...
32 VA' A FFÀ LL'OSSE Ô PONTE
Letteralmente: vai a racimolare le ossa al ponte. Id est:
mandare qualcuno a quel paese. Infatti la locuzione suona pure: mannà ô ponte,
con il medesimo significato. Un tempo a Napoli presso il ponte della Maddalena,
già ponte Licciardo esisteva un macello, dove il popolo si recava ad acquistare
le carni delle bestie macellate. I meno abbienti si accontentavano di prelevare
gratis et amore Dei le ossa, per farne del brodo, per cui spingere qualcuno a fare
le ossa al ponte significa augurargli grande miseria. La medesima accezione
vale per la locuzione mannà a ‘o ponte; (mandare al ponte) tenendo presente che
questa seconda locuzione la si usa nei confronti di uomini attempati e un po’
rovinati dagli acciacchi e dall’età ecco che essa locuzione à una valenza un
po’ piú amara della prima giacché la si rivolge a chi - probabilmente - non à
la capacità di ripigliarsi ed è costretto a subire gli strali dell’avversa
fortuna.
33 NÈ FEMMENA, NÈ TTELA A LLUME DE CANNELA.
Letteralmente: Né donne, né tessuti alla luce
artificiale. Id est: la luce artificiale può nascondere parecchi difetti, che -
invece - alla luce del sole - vengono in risalto e ciò vale sia per la
consistenza dei tessuti, sia - a maggior ragione - per la bellezza muliebre.
34 - JÍ
CERCANNO:’MBRUOGLIO AIUTAME!
Letteralmente: andare alla ricerca di un imbroglio che
possa aiutarti. Id est: quando ci si trovi in situazioni o circostanze
tali che non lascino intravedere vie
d’uscita, l’unico mezzo di trarsi d’impaccio è quello di rifugiarsi in un non
meglio identificato ‘mbroglio seu imbroglio,astuzia, inganno, moto di destrezza
che in un modo o in un altro consenta di
risolver la faccenda. La locuzione è usata a salace commento delle azioni di
chi, per abitudine non è avvezzo ad agire con rettitudine o chiarezza e per àbitus mentale si rifugia nell’imbroglio, pescando nel torbido.
Raffaele Bracale
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