NASCITA DELL’IDIOMA NAPOLETANO -2
ànno chiarito, fu figlio non del “latino scritto o
classico”, studiato nelle scuole del passato ed in quelle odierne,
ma di quello “tardo, volgare o parlato”, nell’antico e
quotidiano uso orale di esso da parte
di tutte le classi sociali in ogni tempo e luogo dell’ampio
territorio romanzo; purtroppo dei
suoi effetti specifici nel “napoletano” non vi sono tracce
informative, di modo che i
molteplici caratteri
delineati qua e là sono ricavati in base alle esperienze e deduzioni di
molteplici addetti ai lavori e dei loro studi.Piú precisamente è acclarato
che il dialetto napoletano (da una
visuale fono-morfo-sintattica) si basò, come ò già détto, prevalentemente sul
“latino”, non
tanto quello “classico o scritto” studiato nelle scuole sui
testi di Cicerone e Cesare, ma quanto su
quello “volgare o parlato” da tutti quotidianamente, con tracce del sostrato
rappresentato da apporti fonetici (di
rado morfologici) della lingua “osca”, (collaterale del ramo “latino” rispetto
a cui con gli Umbri rappresenta l’ultima migrazione indeuropea in
Italia);infatti 2600 anni fa circa gli Osci erano padroni dell'intero Sud,
finché dal III secolo a. C. l'espansione romana non riguardò il Meridione e per
un certo periodo si ebbe una miscela
delle due lingue,fino a che a mano a mano la supremazia militare e linguistica
dell'Urbe non ne uscí vittoriosa. Da non dimenticare poi che “quel latino
tardo, volgare o parlato” ebbe anche altri influssi d’un’altra eventuale lingua
pre-latina; di conseguenza, sotto quest’aspetto linguistico, il basilare
impianto linguistico del napoletano non è debitore di nessun influsso straniero
subíto nell’Alto e nel Basso Medioevo.
Va poi chiarito che
tutti gli apporti che il partenopeo à subíto in conseguenza del contatto
con popoli stranieri (il greco antico e quello
bizantino dal secolo VI all’inizio del VII; il francese dei
Normanni, degli Angioini e di esso in quanto lingua internazionale dal 1700 in
poi; il contatto con gli Svevi, quello indiretto coi Longobardi e quello con
gli Arabi specie per il tramite della
mediazione spagnola, la breve dominazione austriaca dal 1707 al 1734) sono
soltanto di natura lessicale: cioè apporti ristretti a parole nude e semplici,
senz’alcuna struttura grammaticale di natura fonetica, morfologica o
sintattica…Mi pare però opportuno
soffermarsi un po’ specificamente sugli effetti del lungo contatto con la
dominazione spagnola (in Italia con gli Aragonesi-catalani e poi con i
Castigliani rispettivamente dal 1442 al 1503 e dal 1503 al 1707); se ne ricava che circa un
mezzo migliaio di parole italiane sono entrate nell’uso di
tale lingua, e poco meno di altrettante voci spagnole sono state accolte nel
vocabolario italiano; ma certo se ne conterebbero di piú se si considerassero
anche i lemmi penetrati nel dialetto napoletano del passato ma ormai desueti.
Tuttavia un apporto piú straordinario è ascrivibile alla sola lingua spagnola,
cioè in particolare all’etnia castigliana, la cui lunga dominazione
probabilmente à lasciato nel dialetto/idioma napoletano quattro – forse cinque – nitide tracce grammaticali, al di là dei molteplici
ispanismi lessicali: 1) il verbo spagnolo “estar”, collaterale di “ser =
essere”, è impiegato innanzitutto in comunione col gerundio, in abbinamenti
lessicàlsintattici come “están comiendo” = “stanno mangiando” ecc., che il
napoletano à ereditato in certi usi analoghi di “stare” in forme progressive:
sto durmenno = sono intento a dormire, sta facenno ’a spesa = è intento a far
la spesa, stanno parlanno = essi sono alle prese coi colloqui…
Inoltre lo stesso verbo “estar” in unione con un aggettivo o
participio indica una rispettiva caratteristica transitoria
(CONTINUA)
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