‘O
TURCO ‘E MÈLE
Con la locuzione in epigrafe a Napoli a far
tempo dalla fine del 1800 sino alla metà del 1900 ci si riferí ironicamente a chi avesse un
colorito scuro o fosse eccessivamente abbronzato; per venire a capo dell’espressione
occorre fare un passo indietro e
chiarire a chi si faceva riferimento con il termine Mele e dire súbito che si
tratta di un cognome, quello dei cugini Emiddio (Napoli, ? ivi
†1928) ed Alfonso (Napoli,?- ivi †, 1918) Mele, importanti proprietari terrieri, che furono
attivi anche nel commercio, avendo
viaggiato o per diletto o per lavoro nelle principali città d'Europa, in
particolare a Londra e Parigi ed
avendo modo di conoscere ed apprezzare
la formula innovativa della grande
distribuzione, incarnata da Harrods a Londra (aperto nel 1849) e da Le Bon
Marché a Parigi (attivo dal 1858)
lavorarono alacremente sino a trasformare una loro bottega di tessuti [sita in zona Mercato, in
quella via S. Agnello dei Grassi che venne poi spazzata via dal Risanamento]
in Grandi Magazzini siti all’angolo
tra via San Carlo e via Municipio,
confluente nella omonima piazza che è simbolico epicentro dei radicali
mutamenti urbanistici avvenuti; tali magazzini
vennero inaugurati il 5 ottobre 1889; l’attività commerciale sorse
giusto nel Palazzo della Borghesia, elegante edificio di nuova costruzione, su una vasta area di 2.000
metri quadrati, divisa in due piani che s’affacciano sulle dette vie attraverso
due imponenti teorie di finestre
e vetrine che
s’estendono per tutta la
lunghezza dei due
lati dell’edificio e si riuniscono nel vertice, in un maestoso e luminoso
ingresso. siti in via santa Brigida,
tale da competere con i
negozi di Parigi e di Londra; i Mele furono altresí i primi, per pubblicizzare i loro Grandi
Magazzini, a curare una cartellonistica artistica e di qualità: i loro manifesti vennero
realizzati dai più grandi disegnatori del tempo, e già nel 1904 Vittorio Pica
ne pubblicò il catalogo. i Mele fecero conoscere a tutta l’Italia la
raffinatezza antica della moda napoletana e l’abilità degli artigiani campani
commerciando in arredi,
corredi, abbigliamento, cappelli, guanti. Proprio in tali grandi magazzini la
clientela veniva accolta da un simpatico valletto somalo che fu súbito
identificato come ‘o turco ‘e Mele [il turco di Mele] giacché a Napoli i negri
erano chiamati comunemente “turchi”. Il medesimo valletto veniva utilizzato per
consegnare a domicilio le merci ai clienti
importanti guidando un biroccio trainato da una zebra ed in tale
funzione era coadiuvato da due giovanissimi somali che, si disse, fossero suoi
figli. Successivamente si acuì la concorrenza
della ditte Mele con le “Fabbriche
Miccio & C.” che negli ultimi dieci anni dell’Ottocento avevano tre sedi:
al Chiatamone, a Toledo ed a via Duomo e infine aprirono una sede proprio di
fronte ai Grandi Magazzini “Mele” facendo
montare in piazza San Ferdinando un chiosco in stile liberty, in ferro e vetro; i Mele cercarono un accordo per
fondersi con la ditta Magazzini Miccio,
ma non ci riuscirono, tuttavia la fama
ed i guadagni della ditta Mele perdurarono sino alla metà inoltrata del 1900
quando la ditta chiuse i battenti però
non venne meno l'uso della locuzione che
ò illustrato.
Satis est.
R.Bracale
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