giovedì 4 febbraio 2010

IL VERBO PARÉ E LA SUA FRASEOLOGIA. Parte 5°

IL VERBO PARÉ E LA SUA FRASEOLOGIA. Parte 5°

20 – Paré Ciccibbacco ‘ncopp’ â votta
Alla lettera: Sembrare Ciccibbacco sulla botte. Ironico, colorito riferimento a chi non si lascia turbare da niente e nessuno e persegue il suo fine indifferente a tutto ciò che gli accada intorno; con l’espressione si prende a modello una tipica figurina presepiale: il mitico guidatore (cui la tradizione popolare assegnò l’intraducibile nome di Ciccibbacco) di un carro trainato da una pariglia di buoi, carro usato per il trasporto di botti di vino, sulle cui botti trionfalmente assiso il panciuto conducente con esasperata lentezza (i buoi non son trottatori ed il peso delle botti piene si fa sentire e rallenta il cammino…) ed incurante sia dell’evento natalizio che della folla dei pastori, folla che incolonnata si reca alla santa grotta, tira innanzi per la sua via deciso a portare a termine la lucrosa consegna delle botti alle rivendite sue clienti.
‘ncopp’ â prep. art. f.le (sulla, sopra la,al disopra della) derivata da ‘ncoppa(←lat. in+cuppa(m))+ a+’a cfr. antea sub dint’ ô/ ‘int’ ô del n.ro 12;
votta s.vo f.le = botte, s. f.
1 recipiente di legno fatto di doghe arcuate e più strette alle estremità, tenute unite da cerchi di ferro, per cui ha forma simile a quella di un cilindro ma panciuta; serve per la conservazione e il trasporto di liquidi (spec. vino), o anche di pesci salati, olive e prodotti simili: spillare il vino dalla botte; una botte di aringhe | essere in una botte di ferro, (fig.) essere al sicuro da ogni rischio | dare un colpo al cerchio e uno alla botte, (fig.) barcamenarsi fra due persone, due partiti, due esigenze in contrasto fra loro | volere la botte piena e la moglie ubriaca, (fig.) cercare di ottenere contemporaneamente due cose fra loro incompatibili | prov. : nelle botti piccole sta il vino buono, per sottolineare le buone qualità di una persona di statura piccola. DIM. botticella, botticina
2 la quantità di liquido o di altra sostanza contenuta in una botte
3 appostamento galleggiante a forma di botte aperta nel lato superiore, usato per la caccia nelle paludi
4 volta a botte, (arch.) volta a sezione semicircolare
5 a Roma, carrozza pubblica a cavalli; botticella
6 antica unità di misura per liquidi, con valori diversi da regione a regione | (mar.) antica unità di misura di stazza, equivalente alla tonnellata.
Voce dal lat. butte(m) con tipica alternanza partenopea.
21 - Paré don Titta e 'o cane (in origine Paré san Rocco e ‘o cane)
Ad litteram:sembrare don Titta ed il cane Locuzione usata per fotografare la situazione che veda due individui che procedano indissolubilmente legati fra di loro al segno che quasi l'uno non possa fare a meno dell'altro e viceversa. Chiarisco qui che il don Titta della locuzione non à riferimenti né storici, né letterarî con alcun personaggio esistito o di fantasia; è usato nella locuzione per un malinteso senso di rispetto, al posto di san Rocco, che – come ò indicato – in origine fu il protagonista della locuzione; ed in effetti il santo pellegrino e taumaturgo, nella iconografia tradizionale è rappresentato accompagnato sempre da un cane; in seguito, per una sorta di bigottismo,la locuzione popolare fu modificata ed al nome del santo fu sostituito quello di un non meglio codificato don Titta, che non è -sia chiaro!- il boia pontificio, personaggio mai entrato nella cultura partenopea che aveva in un mastro Austino il boia di sua pertinenza.

22 – Paré ll’àseno ‘mmiez’ ê suone (in origine Paré ‘o ciuccio ‘mmiez’ ê suone)
Ad litteram: Sembrare un asino tra i suoni, cioè un asino frastrornato; détto ironicamente, soprattutto di ragazzo o persona anziana che in una situazione chiassosa (che magari, in caso di ragazzi, sia concorso a determinare)si senta intontito, istupidito, stranito, disorientato quando non incerto, indeciso, irresoluto alla medesima stregua d’un asino (bestia notoriamente e per solito paziente e paciosa) che nel vocío e nel tramestío di un mercato perde quasi la bussola comportandosi conseguentemente in maniera disorientata, strana, inconsueta,atipica.
In ordine al problema linguistico rammento che la locuzione nata, come tutte le altre esaminate, tra il popolo e sulla sua bocca ebbe in origine una formulazione che – come ò segnalato nell’epigrafe dell’espressione – prevedeva l’uso del termine napoletano e popolaresco:ciuccio in luogo della voce letteraria aseno = asino voce quasi certamente pedestremente adottata da un qualche sedicente uomo di lettere che pretese ignobilmente e scioccamente di italianizzare l’ espressione che invece sulla bocca del popolo suonava incisiva e robusta chiamando in causa il popolano ciuccio e non l’adattato aseno scimmiottatura di asino. Talora i letterati fanno, poveri loro delle sesquipedali, imperdonabili sciocchezze!
àseno s.vo m.le sciocco ed inutile adattamento dell’italiano asino
ciuccio s.vo m.le asino, ciuco, quadrupede domestico da tiro, da sella e da soma, con testa grande, orecchie lunghe e diritte, mantello grigio ed un fiocco di peli all'estremità della coda, ritenuto paziente e cocciuto nonché (ma non se ne intende il perché) ignorante; varie sono le proposte circa l’origine della parola :chi dal lat. cicur= mansuefatto domestico; chi dal lat. *cillus da collegare al greco kíllos= asino; chi dallo spagnolo chico= piccolo atteso che l’asino morfologicamente è piú piccolo del cavallo; son però tutte ipotesi che non mi convincono molto; e segnatamente non mi convince quella che si richiama all’iberico chico= piccolo, a malgrado che sia ipotesi che appaia semanticamente perseguibile. Non mi convincono altresí, in quanto m’appaiono forzate, l’idee che il napoletano ciuccio sia da collegare o all’italiano ciuco o all’italiano ciocco. Vediamo: il ciuco della lingua italiana è sí l’asino ma nessuno spiega la eventuale strada morfologica seguita per giungere a ciuccio partendo da ciuco; d’altro canto non amo qui come altrove quelle etimologie spiegate sbrigativamente con il dire: voce onomatopeica oppure origine espressiva; ed in effetti la voce italiana ciuco etimologicamente non viene spiegata se non con un inconferente origine espressiva; allo stato delle cose mi pare piú perseguibile l’idea che sia l’italiano ciuco a derivare dal napoletano ciuc(ci)o anziché il contrario. Men che meno poi mi solletica l’idea che ciuccio possa derivare dall’italiano ciocco= grosso pezzo di legno e figuratamente uomo stupido, insensibile ed estensivamente ignorante e dunque asino. No, no la strada semantica seguita è bizantina ed arzigogolata: la escludo!
In conclusione mi pare piú perseguibile l’ipotesi che la voce ciuccio vada collegata etimologicamente alla radice sciach dell’arabo sciacharà= ragliare che è il verso proprio dell’asino, secondo il seguente percorso morfologico: (s)ciach→ciuch→ciuccio; rammento che in siciliano l’asino è detto sceccu con evidente derivazione dalla medesima radice sciach dell’arabo sciacharà= ragliare.

23 - Paré mill'anne
Ad litteram: Sembrare (che debbano trascorrere) mille anni (prima che si giunga alla conclusione della faccenda o dell’opera intrapresa o ancóra prima che si verifichino le tanto auspicate evenienze attese ed ancóra in fieri.). Iperbolica espressione in tutto in linea con il consueto ampolloso, enfatico, prolisso magniloquente, spagnolesco ricercato, manierato, affettato eloquio partenopeo che ama l’iperbole e l’enfatizzazione tanto è vero che si è soliti usare l’espressione in esame anche quando la faccenda o l’opera si sia intrapresa da pochissimo, o le evenienze attese in realtà lo siano solo da poco tempo.
mille agg. num. card. invar.
1 numero naturale corrispondente a dieci centinaia; nella numerazione araba è rappresentato da 1000, in quella romana da M;
2 con valore iperbolico, indica un numero indeterminato assai elevato; moltissimo; l’etimo è dal lat. mille
anne s.vo m.le pl. di anno s. m.
1 (astr.) tempo impiegato dal Sole per il suo ritorno apparente all'equinozio di primavera;
2 periodo di dodici mesi, compreso tra un primo gennaio e il successivo, che rappresenta l'unità di tempo fondamentale per la determinazione delle date, a partire dalla nascita di Cristo;
3 l'unità di tempo fondamentale per indicare l'età di una persona o l'epoca da cui una cosa esiste;
4 (iperb.) periodo di tempo indeterminato di cui si vuol sottolineare la lunghezza;
5 arco di tempo, non coincidente con l'anno civile, durante il quale si svolge un ciclo di attività.
La voce anno è dal lat. annu(m).
24 - Paré Lillo e Lélla ô pere ‘e sant’ Anna.
Ad litteram: Sembrare Lilloe Lélla al piede di sant’Anna.id est: prostrati ai piedi di Sant’Anna. Cosí con l’espressione in epigrafe ci si riferisce con bonario divertimento a tutte le attempate coppie di coniugi in ispecie quelli che si recano insieme a partecipare a quotidiane funzioni religiose o anche quelle coppie di anziani che non ricevono mai visite di parenti od amici e si devono contentare della reciproca compagnia; la locuzione rammenta una coppia di attempati coniugi realmente esistiti e dimoranti in quella strada napoletana détta ‘a ‘nfrascata, coniugi che non si volevano rassegnare alla mancanza di figli e solevano recarsi in una cappella privata della zona a prostarsi davanti all’effige di sant’Anna per impetrare la grazia di un erede,che ovviamente (data la tarda età) non ebbero e restarono indefettibilmente soli.
L’espressione in esame nacque in origine come Lillo, Lélla e ‘o pere ‘e sant’ Anna con riferimento ad un’abitudine invalsa nel popolino di recarsi a venerare una presunta reliquia di Sant’ANNA (un piede!) conservato nella cappella della propria abitazione napoletana dal conte Giovan Battista di Tocco di Montemiletto (abitazione ubicata appunto alla confluenza piú alta della suddetta strada detta ‘a ‘nfrascata) discendente del capostipite Guglielmo di Tocco che s’ebbe il titolo di conte di Montemiletto (Av) al tempo degli Angioini sotto Carlo III Durazzo. L’incredibile reliquia (oggetto della venerazione di creduli fedeli) era esposta dal conte in occasione della ricorrenza di sant’Anna (26 luglio) sull’altarino della propria cappella, conservata in una preziosa teca di cristallo tempestata di gemme preziose, ma a mio avviso – probabilmente si trattava – come è lecito supporre! - solo di un reperto artistico ligneo e/o di cartapesta che in quell’ epoca (fine ‘500 principio ‘600) di smaccata credulità popolare era stata accreditata come autentica reliquia; questo piede di sant’Anna faceva il paio con altra presunta reliquia (il bastone di san Giuseppe) protagonista d’un’altra espressione che suona Sfruculià 'a mazzarella 'e san Giuseppe
Ad litteram: sbreccare il bastoncino di san Giuseppe id est: annoiare, infastidire, tediare qualcuno molestandolo con continuità asfissiante.
La locuzione si riferisce ad un'espressione che la leggenda vuole affiorasse, a mo' di avvertimento, sulle labbra di un servitore veneto posto a guardia di un bastone ligneo ceduto da alcuni lestofanti al credulone tenore Nicola Grimaldi, come appartenuto al santo padre putativo di Gesú. Il settecentesco tenore espose nel suo palazzo il bastone e vi pose a guardia un suo servitore con il compito di rammentare ai visitatori di non sottrarre, a mo' di sacre reliquie, minuti pezzetti (frecole) della verga, insomma di non sfregolarla o sfruculià.
Normalmente, a mo' di ammonimento, la locuzione è usata come imperativo preceduta da un corposo NON.
Torniamo alla locuzione di partenza per la quale si può ipotizzare che correttamente l’originario Lillo, Lélla e ‘o pere ‘e sant’ Anna (Lillo, Lélla e il piede di sant’ Anna) sia stato poi trasformato in Lillo, Lélla ô pere ‘e sant’ Anna. (Lillo, Lélla al piede di sant’ Anna id est: Lillo, Lélla(prostrati) ai piedi di sant’Anna) quando ci si rese conto che il piede oggetto di venerazione non era una reliquia del corpo di sant’Anna, ma solo un pregevole (?) manufatto e con l’espressione si voleva indicare non la venerazione d’un piede della santa, ma si indicava l’abitudine di prostrarsi ai piedi della santa per chiedere grazie e/o protezione, per cui non l’articolo ‘o (il) ma la preposizione articolata ô (= al);ô è infatti la crasi di (a+ ‘o)= al).
25 - Paré ll'ommo 'ncopp'â salera
Ad litteram: Sembrare l’uomo sulla saliera. Id est: sembrare, meglio essere un uomo piccolo e goffo, un omuncolo simile a quel talTom Pouce,pagliaccio inglese, venuto a Napoli sul finire del 1860,ad esibirsi in un circo equestre; costui fu uomo molto piccolo e ridicolo e per questo fu preso a modello dagli artigiani napoletani che lo raffigurarono a tutto tondo sulle stoviglie in terracotta di uso quotidiano. Per traslato, l'espressione viene riferita con tono di scherno verso tutti quegli omettini che si danno le arie di esseri prestanti fisicamente e moralmente, laddove sono invece l'esatto opposto.
'ncopp'â locuzione prepositiva articolata f.le (sulla, sopra la, sopra alla) derivata da ‘ncoppa(←lat. in+cuppa(m))+ a+’a cfr. antea sub dint’ ô/ ‘int’ ô del n.ro 12
salera s.vo f.le = saliera recipiente in cui si mette il sale per l'uso di cucina o per la tavola. Denominale di sal-is addizionato del suff. di competenza era (al maschile iere cfr. ad es. salum-era ma salum –iere).


26 – Paré ‘na lacerta vermenara
Ad litteram: Sembrare una lucertola rimpinzantesi famelicamente di vermi. Divertente, ironico, beffardo riferimento a persona magra e/o macilenta, ma dotata di formidabile appetito, persona che, a malgrado che non l’assimili, continuamente assume cibo, per questo appaiata ad una lucertola notoriamente avida di vermi di cui è solita satollarsi.
lacerta s.vo f.le = geco: piccolo rettile terrestre dei paesi mediterranei, con i polpastrelli delle dita muniti di organi adesivi che gli consentono di arrampicarsi sui muri; si ciba di vermi; lucertola: genere di piccoli rettili terrestri con capo appiattito, corpo terminante in una lunga coda sottile, zampe corte, lingua bifida; in senso traslato con la voce a margine viene indicata una persona estremamente magra allampanata, denutrita, gracile, mingherlina, esile ; la voce è dritto per dritto dal lat. cl. lacerta(m) che diede poi il lucerta(m) del lat. volg. donde lucertola dell’italiano.
vermenara di per sé s.vo f.le e vale matassa di vermi; parassitosi, elmintosi (che,con derivazione da eliminto [ che è dal gr. ἕλμινς –ινϑος (elmins – elmintos) «verme»], nel linguaggio medico,indica la presenza di vermi parassiti nell’intestino, nell'apparato gastrointestinale, ma possono trovarsi anche nel fegato o in altri organi dell’uomo e degli animali, ma per traslato di causa ed effetto la voce a margine indica uno spavento ragguardevole, il massimo del panico tali da procurare, come un tempo si credette, nel pacco intestinale soprattutto dei ragazzi, la nascita di lunghi e sottili vermi;ovviamente la scienza medica stabilí che ben altre son le cause delle infestazioni da elminiti, cause sulle quali non mi esprimo o dilungo (mancandomene una competenza), ma anche quando la medicina si fu espressa, non venne meno la radicata credenza cui accennavo ed il termine vermenara continuò ed ancóra continua, tra il popolo della città bassa, ad essere usato per traslato di causa ed effetto indicando uno spavento ragguardevole, il massimo del panico.ò détto che la voce a margine è di per sé un s.vo f.le e vale matassa di vermi ma talora come nel caso che ci occupa è usato (sia pure impropriamente) come aggettivo in luogo di vermenosa per indicare chi, come la lucertola, sia ghiotto o avido di vermi. La voce è un denominale di vermen addizionato o del suff. ara (al m.le aro suffisso che continua il lat. –arius e compare in sostantivio agg.vo derivati dal latino, che indicano mestiere ( oppure persona luogo, ambiente, pieno di qualcosa o destinato a contenere o accogliere qualcosa) oppure addizionato o del suff. osa (al m.le oso suffisso di aggettivi derivati dal latino o tratti da nomi, dal lat. -osu(m) che indica presenza, caratteristica, qualità ecc.).
(continua)

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