martedì 6 aprile 2010

RIMPROVERO & dintorni

RIMPROVERO & dintorni
Questa volta raccolgo la sfida del mio caro amico N.C.(i consueti problemi di privatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) che,memore ch’io abbia piú volte affermato che il napoletano sia piú preciso e circostanziato dell’italiamo, mi à sollecitato a parlare delle eventuali voci del napoletano che rendano quella italiana dell’epigrafe. Il caro amico – come diciamo dalle mie parti - m’ à rattato addó me prore (letteralmente: mi à grattato dove mi prude, id est: mi à sollecitato sul mio terreno preferito) per cui raccolgo il guanto di sfida cominciando, come è mio solito, con l’esaminare dapprima le voci dell’italiano:
rimprovero s.vo m.le d’uso generico
indistinta voce che non à alcun riferimento all’intensità emotiva delle azioni espresse, usata per indicare le parole o gli atti di biasimo blandi o energici rivolti a chi abbia commesso un errore; è voce deverbale comp. di r(i)- ed un derivato del lat. tardo improperare
richiamo s.vo m.le d’uso generico come sinonimo della precedente, ma dai numerosi significati:
L’azione di richiamare, il fatto di venire richiamato, e il modo con il quale si effettuano. In particolare:
a. L’azione di chiamare e il fatto di essere chiamato nuovamente: r. in servizio (per es., di un impiegato o funzionario già collocato a riposo); r. alle armi, la chiamata in servizio del militare in congedo (avviso, ordine di r. alle armi; è stato disposto il r. di alcune classi).
b. Invito oppure ordine di fare ritorno, di rientrare: r. del proprio rappresentante; r. dell’ispettore da una missione; r. di un ambasciatore, di un agente diplomatico, come atto disposto dallo stato inviante per cause varie, ma indipendenti dai rapporti con l’altro stato; r. di una divisione dal fronte; r. dall’esilio.
c. (ed è il caso che ci occupa) Invito, sollecitazione a ritornare ad un determinato atteggiamento o modo di comportarsi: r. alla realtà, da uno stato di illusione, di sogno; r. all’ordine, al dovere, alla disciplina. Quindi, con uso assol., avvertimento che costituisce un rimprovero, riprensione: il r. del capufficio lo lasciò indifferente; nonostante i continui r. dell’insegnante, seguitò a non studiare.
d. Richiesta di riconsegna, di restituzione, di rinvio: r. di effetti, nel linguaggio bancario, l’ordine che un cliente dà a una banca di restituirgli l’effetto rimesso precedentemente per l’incasso; r. di decimi, nelle società per azioni, l’invito della società ai proprietarî di azioni non ancora interamente pagate di versare i decimi ancora dovuti.
e. In medicina, iniezione di r., o assol. richiamo, la reinoculazione; anche questa è una voce deverbale comp. di ri- ed un derivato di chiamare dal lat. clamare;
rimbrotto s.vo m.le disusato, un tempo generico sinonimo delle precedenti l’atto del redarguire, rimprovero, riprensione; anche questa è una voce deverbale e lo è di rimbrottare che è voce comp. da re- probitare letto nella forma contratta re-prob’tare→reprottare con assimilazione regressiva b→t e successiva epentesi eufonica di una emme che forní remprottare donde remprotto ed infine rimbrotto;
sgridata, s.vo f.le d’uso familiare, generico sinonimo delle precedenti l’atto dello sgridare, del redarguire, rimprovero, riprensione; anche questa è una voce deverbale e lo è di sgridare che è voce comp. da s-gridare che è molto probabilmente dal lat. quiritare→qruitare, propr. 'chiamare in aiuto i Quiriti' e quindi 'gridare al soccorso', o, meno probabilmente e morfologicamente improbabile da un quirritare 'grugnire', di orig. onomatopeica.
Come abbiamo visto, tutte le voci dell’italiano sono prossoché dei generici sinonimi; ben diversa cosa càpita con le voci del napoletano ognuna delle quali à un ben determinato e circostanziato campo di applicazione in quanto voci molto piú precise ed appropriate con riferimento a quella che chiamerò intensità espressiva.
Ed eccole queste voci del napoletano, che eviterò di indicare in ordine alfabetico, ma riporterò nell’ordine crescente della intensità espressiva:
levata s.vo f.le contenuta sgridata, blanda paternale con finalità educative. Si tratta d’un’ antica e desueta voce derivata quale deverbale di levare= togliere, sottrarre con riferimento semantico al fatto che il genitore che di solito provvedeva a sgridare i figlioli cui era destinata la levata,l’accompagnava con la limitazione del godimento di liberalità che, per punizione di eventuali marachelle, bricconate, ragazzate etc. , non venivano piú concesse. Rammenterò che la voce ormai non piú usata fu già temporibus illis (dopo l’invasione dei soldati sabaudi) sostituita sulla bocca del popolo basso (che di levata non intendeva bene il significato semantico) fu sostituita con l’assonante lavata (‘e capa) che naturalmente non era autenticamente napoletana in quanto mutuata dalla lavata di capo della lingua italiana.
Lengorïata s.vo f.le piú ampia sgridata,estesa rampogna, durevole strigliata, verbosa paternale con finalità educative. Si tratta d’un’ antica e desueta voce derivata dal s.vo lenga/lengua con riferimento semantico alla lunga articolazione della lingua di chi procedesse a tale ampia sgridata,estesa rampogna, durevole strigliata, verbosa paternale.
‘ntemmerata s.vo f.le ampissima (per durata e modi) sgridata,estesissima rampogna, durevolissima strigliata, lunghissimo rimbrotto accompagnato da urla e strilli e da un tono di voce molto alto; voce derivata dalle parole iniziali di una lunga orazione lat. alla Madonna, del sec. XIV.
renfaccio s.vo m.le duro, severo rimprovero, forte sgridata, rabbuffo molto aspro, rimprovero a voce molto alta, fatto con intonazione sdegnata o con parole minacciose; voce desueta che un tempo fu di competenza di genitori o superiori, usata nei confronti di figlioli riottosi, indocili, ribelli, o di sottoposti indisciplinati, insubordinati; voce deverbale di rinfacciare derivato di faccia (dal lat. volg. *facia(m), per il class. facíe(m) 'forma esteriore, aspetto, faccia',) con il prefisso iterativo rin.
repulone s.vo m.le durissimo, severissimo rimprovero aspro e risentito, accompagnato dall’uso delle mani per assestare al malcapitato cui è diretto il repulone, spinte e/o scrollate o scotimenti, scosse, botte, colpi, urti per indurlo a far tesoro della rampogna ricevuta; voce derivata dallo spagnolo repelón (corsa impetuosa di cavallo, tirata di capelli).
cancarïata s.vo f.le la piú ampia sgridata, la piú estesa rampogna possibile , strapazzata brusca quando non violenta, insistente e continuata , con cui si biasima il comportamento di qualcuno o gli si rinfaccia dappocaggine, incapacità, inettitudine e/o manchevolezze redarguendolo a piú non posso per indurlo a recedere dal proprio inesatto contegno; si tratta etimologicamente di voce deverbale di cancarïà (rimproverare, sgridare ma anche divorare, mangiare avidamente) che qualcuno (D’Ascoli) ipotizza da un lat. reg. cumgridiāre frequentativo di gridāre ,mentre la maggior parte degli addetti ai lavori si trincera dietro un pilatesco etimo ignoto che – al solito – mi procura attacchi d’orticaria. Ora a mio avviso, la proposta del D’Ascoli – quantunque semanticamente non faccia una grinza, la vedo morfologicamente farraginosa e difficilmente perseguibile, si devono perciò tentare altre strade etimologiche e penso che il verbo cancarïà (donde è derivato il s.vo a margine in esame) il verbo cancarïà possa essere a sua volta un denominale del s.vo gangaro→cancaro (derivato dal lat. mediev. gangamon, gr. γάγγαμον): attrezzo da pesca formato da due semicerchi di ferro, del diametro da uno a due metri, che si uniscono ad angolo retto e ai quali si applica una robusta rete a forma di sacco della lunghezza di 2-3 metri; è rimorchiato da un battello mediante due lunghi cavi sui fondi sabbiosi per la pesca di piccoli pesci, di molluschi, crostacei, vermi ed echinodermi; semanticamente la faccenda si spiegherebbe con il fatto che come il gangaro→cancaro à la funzione di ridurre all’obbedienza ed in cattività piccoli pesci, molluschi, crostacei, vermi etc., cosí la cancarïata à la funzione di biasimare il comportamento di qualcuno affinché receda da inettitudine e/o manchevolezze e si ravveda; morfologicamente poi non ci sarebbero grossi problemi atteso che spesso nel napoletano come si à la lenizione di c→g , versa vice si à spesso l’assordimento g→c.
E con ciò penso d’avere risposto adeguatamente alla sfida dell’amico N.C. e d’avere interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori. Satis est.
Raffaele Bracale

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