CUOPPO & dintorni
L’amico prof. A. M. (i consueti problemi di privatezza mi impongono l’indicazione delle sole iniziali di nome e cognome) mi à chiesto di illustrare la voce napoletana in epigrafe dicendo dei suoi varii significati nonché, se possibile, del suio etimo. L’accontento qui di sèguito augurandomi di soddisfare l’amico A. M. e di interessare qualche altro dei miei ventiquattro lettori. Tanto premesso entro in medias res dicendo súbito che la voce napoletana cuoppo non può esser resa con un solo vocabolo nella lingua nazionale e ciò per il motivo che nell’idioma napoletano la voce cuoppo indica piú cose e queste nell’italiano ànno volta a volta nomi del tutto differenti tra di loro. In primis nel napoletano con la voce cuoppo s.vo m.le si indica una particolare piccola rete da pesca a forma di cono, legata a un cerchio di legno o di ferro sostenuto da una lunga asta con cui viene manovrata; tale rete è detta in italiano, quale adattamento della voce napoletana, coppo; con la medesima voce cuoppo s.vo m.le si indica una piccola tegola curva, leggermente conica, usata, in disposizione a file parallele, per coperture di tetti; anche tale tegola è detta in italiano, ancóra per adattamento della voce napoletana, coppo; con la medesima voce cuoppo s.vo m.le in napoletano si indica uno dei due piatti della bilancia, segnatamente quello di forma concava, in cui di solito vien messa la merce da pesare; in questo caso però l’italiano non accoglie il suggerimento napoletano e preferisce usare il s,vo piattello; ugualmente la voce napoletana non viene piú accolta per adattamento nell’italiano allorché si tratti di indicare un involucro, un cartoccio, piú o meno grosso di forma conica atto a contenere alcunché; in effetti quello che nel napoletano è pur sempre ‘o cuoppo e – se piccolo - cuppetiello in italiano diventa volta a volta: involucro, cartoccio, involto, pacco, pacchetto, fagotto tutte voci che non fanno alcun riferimento, come sarebbe giusto che fosse, alla forma dell’involucro (cosa che invece è espressa dal napoletano cuoppo= involto di forma conica ), ma si riferisce spesso al materiale dell’involto: cartoccio←carta , pacco←olandese pak(balla di lana) etc.
Giunti a questo punto conviene fare un piccolo riepilogo e dire che il s.vo m.le napoletano cuoppo può indicare:
una rete da pesca, un embrice semicilindrico, un piatto di bilancia ed un cartoccio conico; quanto all’etimo cuoppo è da un lat. *cŏppu(m)→cuoppo forma resa maschile e dittongata del tardo lat. f.le *cŏppa(m)→cupa(m) per il class. cupa(m)= botte,semanticamente raccostati per la comunanza funzionale, sebbene non di forma, del concetto di capienza e ricezione;al proposito rammento che nel napoletano un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella. Nella fattispecie la cuppa(m) è certamente piú grande d’un cartoccio per cui cŏppa(m)f.le deve divenire *cŏppu(m)→cuoppo maschile.
A margine di tutto quanto fin qui détto mi piace rammentare alcune icastiche espressioni del napoletano dove la fa da protagonista il s.vo cuoppo; e comincio con l’epiteto
cuoppo ‘allesse! (cartoccio di castagne lesse!); inteso tale cartoccio bagnato e macchiato (la buccia interna delle castagne lesse tinge di scuro la carta con cui si confeziona il cartoccio!) lo si pensa quindi lercio, sporco e tali sono ritenute le donnaccole cui è riferito l’epiteto; allesse plur. di allessa= castagna privata della dura scorza esterna e bollita in acqua con aggiunta di foglie d’alloro e semi di finocchio derivata dal part. pass. femm. del tardo lat. elixare 'far cuocere nell'acqua, sebbene qualcuno proponga un tardo lat. *ad-lessa(m) ma non ne vedo la necessità; e rammentiamo l’espressione
cuoppo d’acene ‘e pepe anzi piú precisamente cuppetiello d’acene ‘e pepe (cartoccetto di pepe) espressione usata in riferimento ad uomini di statura eccessivamente minuta e di corporatura esile, come piccoli e contenuti erano i cartoccetti usati dai droghieri per vendere al minuto le piccole bacche sferiche, nere, di forte aroma,della pianta del pepe, bacche usate intere o macinate come condimento; trattandosi di una spezie d’importazione ed abbastanza costosa, non erano ipotizzabili – per la sua vendita al minuto – cartocci grossi, cuoppi voluminosi (come quelli usati per vendere castagne lesse o altre merci commestibili quali frutta, pesce fresco etc.), ma solo cartoccetti piccoli; per cui non cuoppi, ma cuppetielle! Rammento adesso un significativo proverbio/scioglilingua che è: A cuoppo cupo pocu ppepe cape.
Nel cartoccetto conico stretto entra poco pepe. in realtà piú che di un proverbio si tratta di uno scioglilingua giocato sulle assonanze delle varie parole, ma che nasconde un’osservazione disincantata della realtà e cioè che chi è stretto perché pieno, sazio non può riempirsi di piú(e ciò sia in senso positivo che negativo posto che chi sia già tanto pieno, saziato di doti positive morali e/o di cultura, difficilmente potrà migliorarsi, come per converso chi sia cosí tanto sprovvisto di moralità e/o cultura difficilmente potrà aver modo di evolversi in meglio stante le ristrettezze morali del suo io che non gli consentiranno l’aggiunta d’alcunché);
l’agg.vo m.le napoletano cupo non corrisponde all’italiano cupo che vale 1 profondo, molto incassato: pozzo cupo; valle cupa ' (region.) fondo, concavo: piatto cupo
2 (fig.) riferito a stati d'animo o sentimenti negativi, profondo, radicato: odio, rancore cupo; un cupo dolore | impenetrabile, tetro, malinconico: carattere, volto cupo | sinistramente ambiguo, misterioso: cupe minacce; ma in napoletano vale in primis: stretto, angusto, limitato e solo estensivamente buio, tenebroso, e detto di suono: cupo, basso, sordo. Ed in chiusura rammento un’altra icastica locuzione partenopea che suona: Piglià ‘o cuoppo ‘aulive p’’o campanaro ‘o Carmene (confondere il cartoccio conico contenente le olive con il campanile del Carmine Maggiore),locuzione usata per prendersi sarcasticamente beffe di qualcuno incorso in un madornale quiproquò, la medesima d’un non meglio identificato individuo macchiatosi della confusione iperbolica ed impensabile di scambiare un contenuto cartoccio con un campanile, non potendosi mai paragonare un piccolo cartocetto, sia pure conico con lo svettante e massiccio campanile del Carmine Maggiore campanile adiacente l’omonima basilica napoletana fatta erigere a partire dal 1301 con le elargizioni di Elisabetta di Baviera (Landshut, 1227 –† Greifenburg, 9 ottobre 1273), madre di Corradino di Svevia e con le sovvenzioni di Margherita di Borgogna (Eudes di Borgogna 1250 - †Tonnere 4 settembre 1308) , seconda moglie di Carlo I d’Angiò (21 marzo 1226 –† Foggia, 7 gennaio 1285); il campanile tirato su dall’architetto Giovan Giacomo di Conforto (Napoli, 1569 – †Napoli, 1630) e dal frate domenicano fra’Vincenzo Nuvolo(al secolo Giuseppe Nuvolo:Napoli, 70– †Napoli,43) che lo coronò con la cella ottagonale e la cuspide a pera carmosina, è uno dei monumenti piú famosi e riconoscibili della città partenopea. E con ciò penso d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico prof. A.M., interessato qualche altro dei miei ventiquattro lettori e poter dire Satis est.
Raffaele Bracale
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