giovedì 4 novembre 2010

IL DIAVOLO

IL DIAVOLO
Questa volta su richiesta dell’amico F.P. (il consueto motivo di riservatezza m’impedisce di fare per esteso nome e cognome e mi obbliga alle iniziali...) tenterò di esaminare tutte le voci napoletane usate per rendere quella dell’epigrafe.
In primis è da ricordare che in napoletano esistono numerosissime voci per tradurre la parola diavolo (ne ò reperite, se non ò sbagliato il conto,quasi venti!) alcune delle quali son nomi comuni e generici, altri quasi dei nomi proprî.
Ciò détto comincio con l’esaminare la voce italiana
diavolo (teol.) Spirito del male (chiamato anche demonio), nemico di Dio e degli uomini, personificato in Satana, principe delle tenebre, identificato anche con Lucifero, capo degli angeli ribelli, variamente rappresentato in figura umana con corna, coda e talvolta ali da pipistrello gigantesco. È voce che viene da un tardo latino diabolu(m), dal gr. diábolos, propr. 'calunniatore', deriv. di diabállein 'disunire, mettere male, calunniare'.
Satana nome comune ripreso come proprio ed è voce che nel gr. cristiano traduce l'ebr. satan 'contraddittore';
Lucifero altro nome comune ripreso come proprio; dal lat.lucifer -a -um, comp. di lux lucis "luce" e fer "-fero", calco del gr. phōsphóros].di per sé agg., lett. Che porta la luce, che dà luce: come s. m. vale con iniziale maiusc. a) Il pianeta Venere nelle sue apparizioni mattutine. b) Satana, il demonio. c) (fig.) Persona malvagia.
Passiamo al napoletano ed abbiamo:
Deavolo è voce molto generica e non molto usata..., ricalcata com’è sull’italiano diavolo (di cui parrebbe addirittura un adattamento...) che è da un tardo latino diabolu(m), dal gr. diábolos, propr. 'calunniatore'
Demmonio/Remmonio altra voce molto generica dalla doppia morfologia in primis con l'occlusiva dentale sonora (D), nella seconda con rotacizzazione osco-mediterranea del parlato della medesima (D→R cfr.:dice→rice,Madonna→Maronna, dito→rito, dinto→rinto etc.), ma questa voce Demmonio/Remmonio è piú usata della precedente soprattutto nelle imprecazioni (mannaggia ô demmonio/remmonioscartellato!) o come riferimenti iperbolici o nei riguardi di bambini e/o ragazzi particolarmente vivaci (‘stu guaglione è ‘nu remmonio oppure ‘stu guaglione tene ‘e remmonie ‘ncuollo , espressioni che valgono: non trovar pace, non stare mai fermo etc. ) o anche nei riguardi di adulto inteso persona malvagia o straordinariamente astuta o anche persona vivace, irrequieta: chella bbella guagliona: è proprio ‘nu remmonio! | nel linguaggio familiare è riferito a persona straordinariamente dotata, abile etc: a scupone è ‘nu vero remmonio! È ‘nu remmonio pe comme porta ‘a machina ! È voce derivata dal lat. tardo daemoniu(m), dal gr. daimónion, propr. 'che appartiene alla divinità'; faccio notare che nel greco e tardo latino la voce non ebbe connotazioni negative e le acquistò solo quando la voce demonio/demmonio fu intesa come sinonimo di diavolo.
Avèrzerco - averzèrio letteralmente sono ambedue nomi com. masch. sg. e valgono avversario,contraddittore nella medesima valenza del termine ebraico satan. Il primo però da nome comune masch. è stato poi riferito, (soprattutto nel linguaggio popolare della città bassa) particolarmente al diavolo inteso come il piú pericoloso ed accanito degli avversarii e/o contraddittóri e come tale la voce à finito per essere intesa nome proprio e come tale da scriversi con l’iniziale maiuscola Avèrzerco mentre averzèrio è continuato ad essere nome comune sebbene riferito anche al diavolo oltre che ad ogni altro oppositore, contrario. Sia Avèrzerco che averzèrio sono un denominale del lat. adversus attraverso un percorso morfologico leggermente diverso;
Barzabbucco questa voce si differenzia dalla precedente Avèrzerco perché la voce qui a margine è - di partenza - esattamente un nome proprio e non nome comune ripreso come proprio; in effetti Barzabbucco è l’adattamento morfologico del nome ebr. Baal-zebú signore della casa (degli inferi)' con mutamento della consonante laterale alveolare; liquida ( l ) nella consonante liquida vibrante ( r )... , raddoppiamento espressivo della labiale esplosiva b e paragoge della sillaba evanescente finale cco per evitare l’eventuale tronca Barza bbú che poteva risultare troppo musicale e... frivola per il nome di un diavolo! In effetti nella Bibbia Baal-zebú è indicato quale nome del principe degli spiriti maligni e sarebbe stato disdicevole e non consono renderlo con uno squillante Barza bbú; molto piú adatto il piano e serioso Barzabbucco
Bruttone Con questa voce ritorniamo ad occuparci della trasformazione in nome proprio di una voce comune come il pregresso Avèrzerco; qui però invece di un nome comune si è trasformato in nome proprio addirittura un aggettivo (sia pure un accrescitivo...) In effetti con la voce Bruttone (accrescitivo di brutto cfr. il suff. one) si è inteso attribuire al diavolo la qualifica di essere il piú brutto pensabile e/o possibile, essere cioè cattivo, riprovevole, sconcio al massimo grado, il piú sfavorevole e negativo, che arreca danno e perdizione.Il diavolo è – nell’inteso comune il brutto per antonomasia e dunque Bruttone; la voce brutto ed il suo accrescitivo bruttone derivano con molta probabilità dal lat. brutu(m) 'bruto', con espressivo raddoppiamento consonantico dell’occlusiva dentale sorda( t), se non vogliamo credere al rev. Ludovico Antonio Muratori (Vignola, 21 ottobre 1672 † Modena, 23 gennaio 1750)noto studioso che ipotizzò invece un ant. alto tedesco bruttan= spaventare→spaventoso;
Diella, desueto s.vo m.lea malgrado della desinenza in a; nome comune, ma usato anticamente come nome proprio ed attribuito al principe dei demoni: Satana; successivamente, prima di sparire dall’uso comune,venne usato quale sinonimo generico di demonio.Interessante l’etimologia della voce che è corruzione per sincope ed agglutinazione dell’espressione latina dies illa→die(s)(i)lla→diella presente nell’incipit del Dies irae sequenza/ composizione poetica medievale tra le piú riuscite in lingua latina, molto famosa, attribuita a Tommaso da Celano religioso, poeta e scrittore italiano.(Celano,(AQ) circa 1200 –† Val dei Varri, circa 1270)
Il Celano operò un vero salto di stile rispetto al latino classico: infatti il ritmo della sequenza è accentuativo e non quantitativo, ed i versi sono a rima baciata (AAA, BBB, CCC) ad eccezione delle ultime due strofe. Il metro è trocaico la cui unità di misura è la dipodia (_ U _ U).
Nella composizione è descritto il giorno del giudizio finale ,con gli squilli dell'ultima tromba che raccoglierà le anime davanti al trono di Dio, dove avverrà il giudizio ed i buoni saranno salvati, mentre i cattivi verranno condannati alla pena eterna; torniamo a Diella: la voce in esame è di pretta estrazione popolare e fu il popolo che , impadronitosi della sequenza, a digiuno di latino,l’interpretò a modo suo ed operò la corruzione dell’espressione dies illa→die(s)(i)lla→diella facendone un nome proprio ed attribuendolo a Satanasso in persona ritenuto presente al giudizio finale al fine di raccogliere e portare seco le anime destinate all’inferno.
A margine rammento che alibi il popolo e non i letterati sempre partendo dall’espressione dies illa ottenne il sostantivodiasilla (dies illa →diesilla→diasilla) nel significato di mugolio, piagnucolio, lamento, pianto, querimonia, lamentazione, lagno con riferimento semantico alle lamentazioni, lagnanze etc. che presumibilmente si faranno ad opera dei dannati in quel fatidico giorno.
Farfaro/a – Farfariello eccoci a che fare con un altro nome proprio (ed ò parlato di nome e non nomi perché chiaramente il secondo Farfariello non è che l’ipocoristico del primo!) Anche in questo caso si è partiti da un nome comune (l’arabo farfar= folletto) per approdare ai nomi proprî Farfaro/a e Farfariello
La voce napoletana Farfaro/a (usata solo come nome proprio del diavolo) non va confusa con l’omografa ed omofona dell’italiano farfara s. f. , pianta erbacea con fiori raccolti in capolini gialli e foglie cuoriformi; i fiori sono usati come medicinale contro la tosse (fam. Composite). Rammento che Farfariello fu usato (sia pure nella forma Farfarello) anche dall’Alighieri Dante come nome di uno dei diavoli del suo Inferno.
La voce napoletana Farfariello viene usata riferita al diavolo come nome proprio, ma è anche usata come nome comune e/o aggettivo ed in tali casi è riferito ad uomo dai movimenti vivaci ed imprevedibili, frivolo nei gusti e nei discorsi;
mazzamauriello – scazzamuriello - scazzamurillo
In questo caso ci troviamo difronte a tre voci che – come specificherò – sono usate quali nomi comuni generici per indicare sia il demonio che un generico folletto; ed in effetti i tre nomi vengono usati oltre che per indicare il denomio (specialmente nella città bassa, sulla bocca delle persone molto avanti con gli anni) anche per riferisi al piú famoso degli spiritelli e/o folletti napoletani e cioè al cosiddetto munaciello. Però ricordiamo che delle tre la voce piú usata quale sinonimo di diavolo è la prima mazzamauriello mentre le altre due si riferiscono al piú famoso degli spiritelli e/o foletti napoletani; di per sé mazzamauriello come derivato quale adattamento dello spagnolo matamorillos a sua volta diminutivo di matamoros è un aggettivo e varrebbe smargiasso anzi ammazza--piccoli-mori e francamente non mi so spiegare perché tale aggettivo venga adoperato per indicare il diavolo, né riesco a trovare il collegamento semantico che abbia reso possibile intendere uno smargiasso/assassino come il diavolo. Forse l’etimo e la via semantica da percorrere sono altrove e probabilmente li scoveremo parlando di
– scazzamuriello/ scazzamurillo.
Come ò già detto rammenterò che nel parlato napoletano il famoso folletto noto col nome di ‘o munaciello è chiamato anche scazzamuriello/scazzamurillo termine generico per indicare appunto uno spirito, un folletto; non di facilissima lettura anche l’etimo ed il percorso semantico della voce scazzamuriello; comunque ci proviamo e diciamo che ai piú appare un’agglutinazione della voce verbale scazza (3° pers. sing. ind. presente dell’infinito scazzà= smuovere, staccare da un freq. lat. excaptiare + la voce muriello per la quale si parla di un derivato diminutivo di un ant. tedesco mara= fantasma; epperò sia l’etimo che il percorso semantico (chi o cosa dovrebbe far smuovere o staccare un fantasma?...) mi convincono poco e reputo che scazzamuriello sia solo una corruzione popolare di un originario scazzamurillo→scazzamuriello con un’agglutinazione della voce verbale scazza (3° pers. sing. ind. presente dell’infinito scazzà= smuovere, staccare da un freq. lat. excaptiare + la voce murillo diminutivo di muro atteso che, tra le sue facoltà ‘o munaciello à proprio quella di passare i muri (forse smuovendoli o staccandoli ); messa in questi termini sia etimologicamente che semanticamente l’ipotesi mi appare maggiormente perseguibile e significante; e poi da scazzamurillo e scazzamuriello voci che come visto valgon spiritello, folletto per adattamento corruttivo si è potuto tranquillamente ottenere mazzamauriello mantenendo il significato di spiritello, folletto riferito però al diavolo; facendo in tal modo piazza pulita del pregresso matamorillos ed il suo inconferente smargiasso ed ammazza-piccoli-mori; mi si perdoni la presunzione, ma trovo abbastanza corretti e convincenti percorsi ed etimi da me ipotizzati.
Parasacco voce desueta; letteralmente colui che appronta il sacco.Anche in questo caso ci troviamo difronte ad una voce comune assurta a nome proprio. Si tratta di un particolare diavolo il cui nome veniva pronunciato come spauracchio per i bambini irrequieti e disobbedienti cui si agitava appunto il pauroso fantasma di questo diavolo che richiamato dalle malefatte dei bambini, accorreva munito di sacco in cui stipare i monelli disobbedienti per condurli con sé. Si trattava, ça va sans dire, di una spiegazione di comodo in quanto Parasacco= colui che appronta il sacco è voce derivata dall’agglutinazione di para (3° p. sg. ind. pr.dell’infinito parare dal latino parare=approntare, disporre) + sacco (dal lat. saccu(m), che è dal gr. sákkos, di orig. fenicia) nel significato di colui che dispone il sacco per trascinar con sé i peccatori. non certo i bambini irrequieti o disobbedienti: fosse cosí, l’inferno brulicherebbe di bambini!...
Rancecótena Anche in questo caso ci troviamo difronte ad una voce comune assurta a nome proprio;è nome peraltro abbondantemente desueto e che si può oramai solo trovare passim nel G.C.Cortese, nel Gabriele Fasano nel Marco Antonio Perillo oltre che nel corredatissimo dizionario del Raffele D’Ambra. A mio avviso (ma non ò purtroppo documentate prove da addurre) penso che si tratti di un nome di diavolo coniato proprio dal Gabriele Fasano (Solofra 7 luglio 1654 - † Vietri sul Mare 1698) per la sua Gierosalemme libberata de lo sio Torquato Tasso votata a llengua napoletana. Si tratta di un particolare diavolo dall’aspetto pericoloso (come quello di un granchio; pare anzi – cosí almeno nella tradizione popolaresca – che al posto delle mani armate di artigli, possedesse delle chele!... ) e coriaceo (tal quale una cotenna) il cui nome è l’agglutinazione di rance (per rancio=granchio voce etimologicamente rifatta sull’ acc.vo (c)rance(um) metatesi nel lat. volgare della voce cancerum +cótena = cotenna voce che è dall’acc.vo volg. cutina(m) per il class. cutínna(m).
Satanasso/Sautanasso in questo caso ci troviamo difronte non ad una voce comune assurta a nome proprio, ma a due forme leggermente del medesimo nome proprio che è Satanasso mentre la seconda Sautanasso non ne è che una patente erronea alterazione d’estrazione popolare;perdutosi del tutto l’uso di Sautanasso è ancóra in auge Satanasso che è nome ancóra in uso nel parlato popolare partenopeo dove come nome proprio sta per
1) Satana
mentre come nome comune (fig.) vale
2)persona prepotente, violenta, furiosa: alluccà comme a ‘nu satanasso
ed anche
3) persona molto esuberante e dinamica: chillu guaglione è propeto ‘nu satanasso.
La voce Satanasso oltre che nel napoletano ed altre parlate meridionali fu pure usato nella lingua nazionale (Alighieri Dante) sia pure soltanto con il significato sub 1); mentre successivamente anche per la lingua nazionale à assunto la valenza sub 2) e 3) e ne à aggiunto addirittura una quarta:
4) scimmia con barba lunghissima e lunga coda non prensile (ord. Primati). Quanto all’etimo della parola Satanasso non mi convince quello proposto dalla maggioranza dei filologi che propongono una pronuncia ossitona di Satanas nel lat. mediev.; ossia voce derivata dalle forme Satănas, Satanâs che nel lat. e gr. biblico compaiono come var. di Satan, Satân; gli è che come attestato dal Rohlfs il suff.dispregiativo asso accanto ad azzo con base nel lat. aceus è di marca meridionale; nel settentrione se ne trasse e si usa /usò accio (cfr. il nap. Michelasso ed il toscano Michelaccio) ; di talché a mio sommesso avviso è inutile scomodare Satănas e Satanâs del lat. e gr. biblico; ai napoletani fu sufficiente risalire a Satan(a) ed aggiungervi il dispregiativo asso per ottenere Satanasso.
Tentazione – Anche in questo caso ci troviamo difronte ad una voce comune assurta a nome proprio con il quale si è posto l’accento su di una particolare, precipua attività del diavolo che è quella di spingere qualcuno al male istigandolo al peccato attraverso lo stimolo o l’invito a compiere azioni attraenti ma sconsigliabili, sconvenienti o addirittura proibite; la voce comune a margine assurta poi a nome proprio è dal lat. temptatione(m), der. di temptare "tentare".
Tentillo Anche in questo caso, come per la precedente ci troviamo difronte ad una voce comune assurta a nome proprio, nome che risulta essere l’ipocoristico (cfr. il suff. illo) di tentatore e con la voce a margine, attestata passim in Biase Valentino, Pompeo Sarnelli, Pietro Martorana ed altri autori partenopei del tardo seicento, oltre che nel dizionario di Raffaele D’Ambra ci troviamo nel medesimo àmbito di significato della voce precedente ed anche tentatore da cui il nostro Tentillo è, ça va sans dire, un deverbale di temptare "tentare".

Zefierno Con la voce a margine - voce peraltro abbondantemente desueta - siamo giunti alla fine della nostra elencazione ed in questo caso ci troviamo a che fare con un nome proprio (non derivato però da un nome comune) con il quale si identificò come ci assicura il D’Ambra il piú malvagio e cattivo dei diavoli quantunque – aggiungo io (che mi fido dell’etimo cui accennerò) – quantunque dicevo uno dei diavoli piú splendente di luce ingannatrice. Il nome Zefierno starebbe per luce dell’inferno in quanto incrocio Cifero←(Lu)cifero→Zifero + ‘nfierno = Zifierno→Zefierno.
Giunto a questo punto, a chiosa e completamento di quanto scritto sin qui rammento che nell’immaginario comune partenopeo un tempo il Diavolo fu inteso e rappresentato come donna. La piú famosa rappresentazione rimane quella del cosiddetto ‘O Riavulo ‘e Margellina (in lingua: Il Diavolo di Mergellina), che campeggia nella chiesa di Santa Maria del Parto che è un luogo di culto di Napoli dove si conserva oltre che la salma del poeta napoletano Jacopo Sannazaro (Napoli, 1457 – †Napoli, 24 aprile 1530) che fu l'autore del poema, scritto in latino, De partus Virginis (il parto della Vergine) da cui la chiesa prende il nome, anche il corpo del pittore Jusepe De Ribera(Valencia,12/01/1591 – †Napoli 2/09/1652).
La chiesa fu voluta dallo stesso Sannazaro che fece costruire l'edificio di culto su di un terreno donatogli nel 1497 dal re Federico d'Aragona(Napoli, 19 aprile 1452 – †Tours, 9 novembre 1504),. Alla sua morte, il poeta volle donarla, insieme ai suoi possedimenti, ai frati di Santa Maria dei Servi, che però, non paghi dei frutti che avevano dal podere e dal mare, dettero progressivamente a censo il suolo intorno per costruzione di case, mutando la configurazione originaria del complesso che è ubicato nel quartiere Chiaia e precisamente , a Mergellina. Sulla tela che, ripeto, campeggia nella chiesa di Santa Maria del Parto è rappresentato San Michele che scaccia il demonio; l’opera fu eseguita,nella
prima metà del Cinquecento da Leonardo Grazia da Pistoia (Pistoia, 1502 – †Napoli, 1548) pittore italiano, attivo in Toscana, a Roma e a Napoli durante il Rinascimento..La tela,come si narra in una leggenda riportata da Matilde Serao (Patrasso, 7 marzo 1856 – †Napoli, 25 luglio 1927) (ma in ogni leggenda c’è un sostrato di verità), fu voluta da Diomede Carafa (Ariano Irpino, 7 gennaio 1492 – †Roma, 12 agosto 1560) per vendicarsi di una giovane fanciulla aristocratica,diNapoli, tale non meglio identificata madonna Isabella che donna misteriosa,crudele,ammaliatrice,dall'istinto calcolato,fu oggetto di desiderio e causa di disgrazie di molti uomini dell'epoca; tra costoro ci fu il Diomede
il cui cuore fu soffocato dalla passione nutrita per la dama ed il principe non riuscí a liberarsi dalla tentazione di quella donna fatale,che lo aveva affascinato ed umiliato
e sembra che riuscí ad acquietare solo per un poco la passione che lo travolgeva ,allorché donna Isabella dichiarò la corrispondenza dei
suoi sentimenti a quelli del suo ostinato pretendente.
Ma si trattò di un amore di breve durata; non appena infatti la fanciulla diede libero sfogo al suo temperamento passionale,ma non se ne accontentò sino a far registrare un'altra vittima della sua prorompente sensualità: quel tal Giovanni Verrusio di cui mancano notizie biografiche, ma che fu amico e compagno di infanzia del Carafa.
Diomede Carafa fu preso da sconforto e sofferenza per questo doppio tradimento (dell’amante e dell’amico) e, vilipeso nell'onore, divenne quasi folle al punto di
decidere di ordinare un grande quadro Leonardo Grazia da Pistoia.
Il pittore avrebbe dovuto dipingere un demonio terrificante, ma con il corpo ed il volto di una donna bellissima, in modo da coniugare in un solo individuo il sembiante angelico della sua amata ed un immondo demone tentatore,verso il quale provare solo raccapriccio.
Leonardo Grazia da Pistoia eseguí il dipinto ed in esso raffigurò infatti un giovane bello
che calpesta il diavolo,al quale il pittore,diede un corpo ed una magnifica testa di donna quelli di monna Isabella.
Fu solo cosí che Messer Carafa si liberò dal male.
A questo punto è doveroso ricordare oltre alla narrazione di Matilde Serao,un'altra leggenda napoletana che
narra di come la piú bella cortigiana della Napoli cinquecentesca,Vittoria d'Avalos (Napoli 1515 -†ivi 1545?),fosse
innamorata di un bel giovane biondo,bello come l'Arcangelo Michele:Diomede Carafa, il medesimo della leggenda riportata dalla Serao, un nobile,da poco
ordinato sacerdote, ed il cui destino era quello di diventare vescovo di Ariano Irpino, come poi accadde.
Secondo la leggenda la donna si recò dal rev. don Carafa e gli dichiarò il suo amore appassionato.
In un primo momento il giovane sacerdote sprofondò in un periglioso tormento:come sfuggire al
demonio alle sue fattezze incarnate in quelle della piú incantevole creatura?
La tentazione fu forte ,lo divorò,ma alla fine riuscí a vincere la lusinga di quel demone e per
ringraziare Dio di averlo mantenuto puro,ordinò ad un suo amico pittore,Leonardo da Pistoia,un quadro
che dovessee essere un ex voto per il grande pericolo superato.
Il sacro prese cosí la sua rivincita sull'amore peccaminoso e celebrò il suo trionfo. Sia come sia, si tratta, come détto, di due leggende, ma il quadro sta lí: è pregno di significati ed il sostrato delle leggende è simile se non identico: il personaggio maschile è il medesimo:sempre lui don Diomede Carafa,quello femminile sia esso Donna Isabella,o donna Vittoria D'Avalos – pur nella diversità anagrafica - ,esprimono ambedue apertamente l'idea luciferina del fascino irresistibile legato a due archetipi: quello della donna tentatrice, e quello della donna divorante, nonché all’idea dell’ amore inteso come ossessione e/o come passione che conduce all'annullamento ed alla morte.Tanto premesso, che nome dare alla reale protagonista della storia che coinvolse Diomede Carafa?Non ci sono documenti che suffraghino l’una o l’altra ipotesi. A mio avviso, rebus sic stantibus penso che sia piú attendibile il nome di Vittoria D’Avalos, personaggio noto e realmente vissuto, piuttosto che quello semianonimo di donna Isabella, che à tutta l’aria d’essere stato inventato.
In chiusura rammento, per i pochi che non lo sapessero, che con il termine Mergellina (in nap. Margellina) si indica è una zona della città di Napoli, nel quartiere Chiaia. Si trova in riva al mare, ai piedi della collina di Posillipo. Anticamente questo luogo fu détto Mergoglino nome che però non deriva (come invece supposto da qualcuno) dal nome d’un (inesistente!) uccello acquatico, ma dal nome d’un’antica fonte Mergoglina (da margellus= limitrofo) ivi esistente in quanto fonte limitrofa della costa; proprio questa derivazione latina induce a credere che l’originario nome fosse proprio Margoglina→Margellina e che il termine Mergellina sia stato un successivo adattamento della lingua nazionale adusa a storpiar le parole napoletane attraverso una pretestuosa assimilazione vocalica progressiva che à trasformato in e la a della sillaba mar etimologicamente ineccepibile derivata com’è dal lat. marg- ellus; si tratta insomma di una incomprensibile mutazione che opera il toscano trasformando un’aperta A etimologica (da margellus→margellina come alibi da fessa → fessaria) per adottare una piú chiusa E (margellina viene stravolta in mergellina come fessaría vien trasformata in fessería) nella sciocca convinzione che la vocale chiusa E sia piú consona dell’aperta A alla elegante (?) lingua di Alighieri Dante…
L’originaria zona di Margellina/Mergellina che fu celebrata nei secoli per la sua bellezza da pittori e poeti, è stata completamente modificata dalle colmate che ànno via via avanzato la linea costiera, nel corso della seconda metà del XIX secolo.
E qui penso di poter far punto ritenendo d’aver esaurito l’argomento ed accontentato l’amico F.P. e forse anche qualche altro dei miei consueti 24 lettori.
Raffaele Bracale

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