IL RADDOPPIAMENTO DELLE CONSONANTI NELLA PARLATA NAPOLETANA
Premesso che a mio avviso la questione del raddoppiamento détto pure geminazione iniziale o interno delle consonanti, quantunque rappresenti, soprattutto per i non addetti ai lavori o per chi sia alle prime armi, una delle maggiori difficoltà nel rendere per iscritto i dialetti centro meridionali e segnatamente la parlata napoletana,ma che comunque non sia difficoltà insormontabile, rammenterò che già intorno al 1780 in ordine a tale questione ed altre similari s’erano scontrati letterati del calibro di Luigi Serio e dell’abate Ferdinando Galiani.
( Luigi Serio letterato e patriota (Massa Equana, Napoli, 1744 † Napoli 1799); fu allievo di A. Genovesi, prof. di eloquenza all'univ. di Napoli, dopo il 1790 fu repubblicano, e morí combattendo i sanfedisti. Fu improvvisatore e autore di melodrammi; egli propugnò (in un'arguta risposta polemica in dialetto (Lo Vernacchio) all'abate Galiani), propugnò e giustamente una scrittura dialettale quanto piú prossima possibile alla lingua parlata, servendosi perciò senza lesinare di geminazioni,accenti ed segni diacritici, nonché di apocopi aferesi etc. )Di parere diametralmente opposto fu il cosiddetto abate Galiani (
Ferdinando Galiani: economista e letterato (Chieti 1728 † Napoli 1787). A 16 anni scriveva dissertazioni di argomento politico, economico, archeologico etc. pubblicò poi un trattatello sul Dialetto napoletano (1779) ed un vocabolario del medesimo dialetto (post., 1789)).
Rammentato lo scontro tra letterati del calibro di Luigi Serio e dell’abate Ferdinando Galiani, preciso súbito ch’io mi schiero con Lugi Serio e son dalla sua parte (e non per simpatie politiche! Tutt’altro! Sono un convinto filoborbonico e sanfedista…) e non son dalla parte del cafoncello F. Galiani che aveva la pretesa di dissertar di napoletano,a malgrado che in realtà fosse solo un chietino!
Dirò altresí che comunque sulla questione del raddoppiamento o geminazione iniziale o interno delle consonanti, occorre essere cauti, ma fermi dando poche, ma sufficienti e nitide dritte e/o indicazioni.
Inizio perciò con il chiarire che diversa è la questione del A)raddoppiamento consonantico iniziale da quella del
B) raddoppiamento consonantico interno
A)raddoppiamento consonantico iniziale
Per quanto riguarda il raddoppiamento consonantico iniziale, occorre fare una prima, basilare considerazione: anche in italiano ci sono tante consonanti iniziali che, precedute da vocale, si pronunciano forti e raddoppiate, ma la loro scrittura, per una scelta dei padri fondatori della lingua nazionale, scelta che non condivido, è sempre scempia; ad esempio: in italiano “a poco a poco”, di fatto vien pronunciato a ppoco a ppoco, “a me” lo pronunciamo di fatto a mme, “vado a casa” lo pronunciamo di fatto vado a ccasa. Ma, ripeto, la loro scrittura (cosí vollero, ahi loro, i padri della lingua nazionale…) è sempre scempia e non si capisce proprio in base a quale criterio si evitò di scrivere quelle parole le cui consonanti iniziali son pronunciate in maniera forte e raddoppiata, con la consonante iniziale geminata. Ebbene, prendendo a modello l’italiano qualcuno si chiede (ma erroneamente), perché mai in napoletano si dovrebbero avere o si ànno per iscritto tanti raddoppiamenti di consonanti iniziali. Sarebbe piú giusto chiedersi il contrario: perché mai l’italiano eviti la scrittura delle consonanti geminate e non si capisce proprio in base a quale criterio si debbano scrivere scempie le consonanti iniziali pronunciate doppie!
D’altro canto se anche esistesse un criterio o una regola dell’italiano chiara e codificata e non dovuta all’uso, che affermasse l’inutilità dell’indicazione per iscritto della consonante iniziale geminata, non vedo perché la cosa dovrebbe valere per l’idioma napoletano scritto che è linguaggio autonomo, rispondente a regole proprie e non è tributario di quelle della lingua nazionale. Ma quel qualcuno (di cui per carità di patria taccio il nome indicando le sole iniziali di nome e cognome A. A. corrispondenti peraltro a quelle d’un noto vocabolarista partenopeo), il qualcuno ed altri suoi pari: L.I.,N.D.B.(la solita carità cristiana m’impone di limitarmi alle iniziali di nome e cognome, per tacere che si tratta: il primo d’un notissimo medico/letterato uso ai teleschermi regionali ed il secondo d’un altrettanto noto cattedratico del principale ateneo partenopeo) intignano ed insistono con il sostenere che a loro avviso, il lettore (sia esso partenopeo che di diversa origine) non à bisogno di essere guidato graficamente alla pronuncia doppia, dal momento che è già abituato (se è italiano) a pronunciare raddoppiate tante consonanti iniziali che si appoggiano ad una vocale precedente.Ebbene vorrei chiedere a quei dessi come si comporterebbe, a parer loro uno straniero che dovesse leggere un testo napoletano scritto alla maniera del Galiani o di costoro suoi epigoni che osservano inoltre che il non napoletano non saprà mai ben pronunciare il dialetto partenopeo neppure se fosse guidato dai piú accurati e puntigliosi segni diacritici e fonetici.Ognuno vede che si tratta d’una sciocca petizione di principio priva di conclamata prova. Né mette conto dar risposta a chi scioccamente si chiedesse perché utilizzare (o abbondare in ) per il napoletano scritto combinazioni grafiche del tutto estranee alle regole ed alla tradizione della lingua madre nazionale? Non mette conto dar risposta a costui che dimostrerebbe chiaramente d’ignorare che l’idioma napoletano scritto o orale è un linguaggio autonomo, che risponde a regole proprie e non è tributario di regole d’altro linguaggio, men che meno della lingua nazionale. Da ciò il sedicente professore A. A.( è lui quel desso che piú di tutti ignora talune regole linguiste e scioccamente intigna) ne trasse il convincimento che è superfluo raddoppiare graficamente le consonanti iniziali se non in quei pochi casi che possano ingenerare confusioni o incertezze: giunse a fare l’esempio di ccà (qui) rispetto a ca (che, perché).Ed aggiunse che peraltro anche in tale esempio sarebbe agevole osservare che la doppia “c” è superflua in quanto come discrimine diacritico sarebbe sufficiente la sola accentazione della vocale “a” per la voce avverbiale; quanta supponente sciocca asinaggine!Gli rintuzzo infatti che è erroneo e sciocco accentare l’avverbio napoletano di luogo cca corrispondente dell’italiano qua;
infatti l’avverbio cca (qua) etimologicamente deriva dal latino (e)cc(um h)a(c) ed un professore universitario dovrebbe sapere (e se non lo sa è un asino calzato e vestito…) che la caduta finale d’una consonante e non d’una sillaba non lascia alcun residuo in segni diacritici: accenti o apostrofi come càpita con mo←mo(x), pe←pe(r), cu←cu(m), esiti tutti che non richiedono accento o apostrofe, e chi li ponesse sbaglierebbe!
La cosa grave è che il sedicente prof. A.A. à fatto proseliti(purtroppo è nella natura umana seguire chi erra piuttosto che chi stia nel giusto…) e nel suo medesimo senso si è espresso anche L. I.(altro letterato napoletano sodale del cattedratico Nicola De Blasi) suggerendo di raddoppiare graficamente la consonante iniziale “soltanto quando ciò rivesta un’utilità grammaticale”, ricordando un po’ troppo semplicisticamente che vanno pronunziate doppie - anche se si scrivono semplici - le consonanti iniziali delle parole che sono precedute da: a (moto a luogo), e/’e,, cchiú, tre, cu, nu’ (non), sî (tu sei), è, à, so’ (io/essi sono), sto’ (io sto), accussí, ògne, quarche; nonché quelle che sono precedute dai pronomi dimostrativi plurali maschili e femminili.
Già Pirro Bichelli (altro addetto ai lavori, ma di nessuna affidabilità stante la cervelloticità di certe sue proposte o soluzioni grammaticali) , nel 1974, aveva affermato che il “raddoppiamento grafico… non si verifica generalmente per le consonanti in posizione iniziale, in base al principio della uniformità della parola, dato che esse, nella detta posizione, per alcuni casi si pronunziano col suono forte, per altri col suono normale: a ssecuzzune=a schiaffoni, ma ‘e secuzzune.Il Pirro semplicisticamente pretese di considerare regola una particolarità o eccezione!
Tanto premesso e chiedo scusa d’essermi dilungato (ma era necessario), torniamo al nostro assunto e parliamo del
A)Raddoppiamento Consonantico Iniziale
1 - In generale si usano nello scritto e nell’orale doppie le consonanti iniziali di monosillabi che abbiano un monosillabo analogo scritto con consonante scempia ma di significato diverso (ad es. l’avverbio cca (= qua )e non ccà come asinescamente scritto da qualche sedicente letterato o professore, cca da non confondere con la congiunzione ed il pronome ca (=che); l’avverbio di luogo lla (corrispondente all’italiano là) pur non confondendosi nel napoletano con nessun altro monosillabo la (articolo che in napoletano è sempre ‘a, tranne nell’unico caso di quel disinformato Salvatore Di Giacomo che scrisse La luna nova…) dicevo l’avverbio di luogo lla (corrispondente all’italiano là) si scrive con la doppia per rispettare l’etimologia (i)lla(c) ed in napoletano non è necessario accentarlo (llà) giacché in napoletano la o lla non si confonde con nulla.
2- si leggono e scrivono altresí doppie le consonanti iniziali di parole precedute o dalle vocali finali non evanescenti di parole (cfr. scenne ‘o cchiummo ma scenne chiummo , damme tuorto ma damme ‘o ttuorto etc.) oppure dall’ articolo neutro ‘o (il) (es. ‘o ppane, ‘o ppepe, ‘o ppecché, ‘o cchiummo etc.), ma se l’art. ‘o (il) è maschile (es. ‘o pesce, ‘o cinema etc.) la consonante iniziale torna ad essere scempia perché si pronunzia debole;
3 - come pure si leggono e si scrivono ugualmente doppie le consonanti iniziali di parole precedute dall’ articolo femm. ‘e (le) (es. ‘e ffiglie (=le figlie), ma ‘e figlie(=i figli).
Vado oltre e preciso altresí che il raddoppiamento iniziale delle consonanti nel napoletano
1)può dipendere da un aferesi che lascia una doppia (ad es.: cchiesa/cchiesia←(e)cclesia(m) – ll’/llu/lle(art.)←(i)ll(e)/ (i)ll(a) – lloro ←(i)lloru(m); di lla (là)←(i)lla(c) ò già détto;
2) le consonanti iniziali b e g (palatale) sono sempre geminate (ad es.:bbuccaccio, bbuttone, bbutteglia,bbuvero, gGiorgio,ggente, ggioverí etc.;
3) la geminazione della consonante iniziale può dipendere ancóra da assimilazione regressiva in + parole comincianti per m→mm (ad es.: in mezzo→ ‘mmiezo etc.), da assimilazione regressiva con parole introdotte da termini che conservano una sorta di consonante finale etimologica funzionale: cfr. a←ad, tre←tres,cchiú←plus che producono raddoppiamenti del tipo vaco a mmare – tre ccose – cchiú ccurto etc. o pure la geminazione della consonante iniziale può dipendere da assimilazione progressiva m+b/m+v→mm (cfr. ‘mmocca←in+bucca→’nbucca→’mbucca→mmocca; ‘mmidia←invidia(m)→’nvidia(m)→’mvidia(m)→mmidia;’mmitare/’mmità ←invitare)→’nvitare→’mvitare→’mmitare/’mmità);
4) si verifica altresí la geminazione della consonante iniziale di parole che seguono gli aggettivi femminili ati(altre), bbelli(belle),bbrutti (brutte) chelli (quelle) chesti/’sti(questi) cierti(talune) quanti (quante) tanti(tante)
(cfr. ad es.: ati ccose, bbelli ffemmene, bbrutti scarpe, chelli/chesti/’sti ccarte, cierti vvote, quanti/tanti ggunnelle ma quanti/tanti cavalle etc.)
5) si verifica altresí la geminazione della consonante iniziale z (seguíta da a, i,,o,u) di parole che sono o sono intese neutre mentre la consonante iniziale z (seguíta da a, i,,o,u) di parole di altro genere resta scempia;
6) si verifica infine la geminazione della consonante iniziale dei lemmi usati in funzione di esclamazione:
Ggiesú, Ggiesú! Uh Mmaronna!
7)ecco infine un elenco di lemmi con raddoppiamenti iniziali derivanti da aferesi non segnalata graficamente
e da successiva assimilazioni regressive
cchiú ← *(i)nplu(s) →nchiú→cchiú
dDio ←*(oh) Dio→oddio→dDio –
ggenio ← *(i)ngeniu(m) –
lloco non da *illoloco→illoco→lloco, ma piú verosimilmente da un *hoc (oppure in) loco donde *oc-loco→olloco→(o)lloco oppure *in-loco→illoco→(i)lloco; mmaje (forma alternativa della scempia maje; mmaje è spiegabile sempre come assimilazione regressiva con una partenza da un
*(ia)m magis→*(ia)mma(gi)s→*(ia)mmaj(s)→ (ia)mmaje;
di per sé maje = mai, in nessun tempo, in nessun caso derivato dal latino magi(s)= piú con caduta della sibilante finale e della g intervocalica sostituita da una j di transizione e con paragoge della semimuta finale e al posto della i ;
mme e tte ( = mi e ti) forme collaterali di me e te; il raddoppiamento consonantico riporta ad una base (a)d me, (a)d te nel valore sintattico di compl. oggetto o di termine.
E veniamo al
B) Raddoppiamento Consonantico Interno
Premesso che tutte le consonanti interne esplosive che formano sillaba con una vocale tonica si pronunziano e si scrivono doppie (cfr. ad es. tabacco in italiano ma in napoletano tabbacco, abete in italiano, ma in napoletano abbete etc.); e premesso che ugualmente si leggono e scrivono doppie, oltre le esplosive b e p, anche il gruppo br→bbr e quello bl→bbl, la zeta , e la g palatale soprattutto nelle parole che in italiano terminano in zione o gione ed in napoletano vanno rese, se precedute da vocale in zzione e ggione mentre conservano la zeta o la gi scempia nel caso zione o gione siano precedute da consonante; tanto premesso entriamo in altri dettagli.
1) son sempre doppie le consonanti interne in parole derivanti da assimilazioni regressive (cfr. abbasta← ad+basta);
2)una serie di geminazioni è dovuta (sulla scia di esito osco ) all’assimilazione progressiva dei foni –mb-, -nd – che evolvono nelle doppie delle rispettive nasali: mb→mm, nd→nn (cfr. cchiummo←plumbeu(m), palummo←palumbu(m), fronna←fronda, unnece←undeci(m);
3) si à sempre il raddoppiamento consonantico di tipo espressivo in parole derivate da lemmi in cui la consonante originariamente ed etimologicamente è scempia (cfr. cammurista←camorra – cannottiera ←canotto etc.);
4) si à ugualmente sempre il raddoppiamento consonantico di tipo espressivo in parole in cui la consonante originariamente ed etimologicamente è scempia, raddoppiamento dovuto all’intensità dell’accento tonico e dai suoi riflessi si sillabe caratterizzate da liquide o nasali (cfr. ad es.:melòne→mellone ,amóre→ammóre, innamorato→nnammurato, varechína→varrichina/varricchina etc.)
5) altri casi di raddoppiamento interno soprattutto nella seconda sillaba risalgono ad un originario prefisso ad- che à subíto una normale assimilazione regressiva con la consonante iniziale successiva producendo esiti del tipo:ad+b→abb, ad+c→acc, ad+d→add,etc.
6) consueti casi di raddoppiamento interno riguardano le consonanti b,br,g (palatale) che se intervocaliche vanno sempre soggette alla geminazione scritta ed orale (cfr. debiti→diebbete, libro→libbro, aprile→abbrile, cugino→cuggino etc.).
Come penso di aver sufficientemente espresso, si tratta di poche e chiare norme alle quali occorre attenersi, norme che non m’appaiono né difficili , né complesse il tutto con buona pace dei paludati studiosi e/o sedicenti professori A.A., L.I.,N.D.B. che pretenderebbero, cassando n’atu rigo ‘a sott’ ô sunetto di banalizzare ciò che di per sé è già semplice e facilmente comprensibile.
E giunto a questo punto, per evitare che mi scappino i cavalli e smarroni nei confronti di qualche cattedratico, faccio punto augurandomi di non dover far ricorso ad un errata corrige.
Satis est.
Raffaele Bracale
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