mercoledì 30 marzo 2011

TENÉ ‘A SERPA DINT’Ô MANECONE - FÀ ASCÍ ‘A SERPA DÔ MANECONE

TENÉ ‘A SERPA DINT’Ô MANECONE
FÀ ASCÍ ‘A SERPA DÔ MANECONE

L’amico R.S. (i consueti problemi di riservatezza mi impongono l’indicazione delle sole iniziali di nome e cognome)mi chiede di chiarire significato e portata dell’ icastica espressione napoletana prima in epigrafe. Provvedo qui di seguito alla bisogna,ed aggiungo la seconda espressione che la completa convinto – rispondendo – di interessare anche qualche altro dei miei consueti ventiquattro lettori. Tradotta letteralmente la prima espressione vale: Tenere (nascosto) il serpente nell’ampia manica del vestito, mrntre la seconda vale: Fare usc ire il serpente dall’ampia manica del paludamentoNel suo significato reale la prima espressione significa: Celare volutamente le proprie intenzioni, voler occultare qualcosa,addirittura tradire, voler cioè tenere un comportamento difforme e peggiore di quello promesso o fatte le viste di voler tenere.
L’espressione prese vita dall’osservazione del comportamento di taluni giocolieri/prestigitatori adusi a celare i trucchi dei loro giuochi all’interno dell’ampia manica dei vestiti di scena,spesso (quando ci si esibiva agghindati da gentiluomini) pipistrelli,cioè grossi mantelli provvisti di ampie maniche, o altre volte kimoni (poi che talora i giocolieri/prestigitatori entravano in iscena in abiti orientali volendo lasciar intendere di provenire da paesi dove era fiorente l’arte della prestigitazione). Nella sua semantica però l’espressione non à nulla da spartire con il teatro ma si riallaccia al significato figurato della voce (cfr. sub 2);
serpa s.vo f.le 1 serpente, ma piú grande del normale e di specie velenosa | a sserpa (a serpe), a spirale | scarfarse ‘na serpa ‘mpietto(scaldarsi, nutrire una serpe in seno), (fig.) beneficare una persona che poi si rivelerà nemica | prov. : ‘e cunte a lluongo addiventano serpe (i conti lunghi diventano serpi), non è mai opportuno differire troppo il pagamento dei debiti o la conclusione di qualcosa
2 (fig.come nel caso che ci occupa) persona ipocrita e infida, l’atteggiamento doppio, falso,sleale; etimologicamente la voce è un adattamento locale al femminile di un originario nom. (m.le/f.le) del lat. serpens→serpe→serpa; l’adattamente al femminile si rese necessario poi che in napoletano un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella.

dint’ô = nel/néllo
Al proposito rammento che con la preposizione in in italiano si ànno nel = in+il, nello/a= in+lo/la nelle = in+ le, negli = in+ gli; in napoletano per formare analoghe preposizioni, si fa ricorso alla preposizione impropria dinto (dentro – in dal lat. dí intro→dint(r)o→dinto 'da dentro'); come ò già détto e qui ripeto: le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie ànno nel napoletano tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre indefettibilmente aggiungere alla preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: dentro la stanza, ma nel napoletano si esige dentro alla stanza e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in napoletano e non in italiano) per cui le locuzioni articolate formate da dinto a e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) saranno rispettivamente dint’ô dint’â, dint’ê che rendono rispettivamente nel/néllo,nélla,negli/nelle.
manecone s.vo m.le accrescitivo di maneca
= ampia manica soprattutto di sai o di pletorici abiti di scena;
maneca s.vo f.le da piú di un significato:
1) manico (di un oggetto)
2) manica (di un capo di vestiario ed è il caso che ci occupa)
3) (ant.) schiera militare
4) (traslato) combriccola, cricca,gruppo, riunione, raduno di persone poco raccomandabili; etimologicamente la voce è dal lat. manica(m), deriv. di manus 'mano'; il sign. 3 si spiega con l'uso, proprio del XVI secolo, di disporre, a scopo di difesa, due schiere di moschiettieri ai lati di uno squadrone centrale, come fossero due braccia ai lati di un corpo; il sign. 4 (che ci occupa) à all’incirca la medesima spiegazione in quanto un tempo ogni prepotente,tiranno, despota, soverchiatore era solito incedere portando a scopo di difesa, due schiere di guardie del corpo, guardaspalle, gorilli, sicarî, sgherri, scherani come se fossero le braccia del proprio corpo;
E passiamo alla seconda espressione che fa quasi da pendant con la prima; passiamo cioè a
fà ascí ‘a serpa dô manecone che letteralmente vale: fare sortir la serpe dalla manica id est appalesare le reali intenzioni, portare ad attuazione il tradimento covato in seno
fà voce verbale infinito = fare (dal lat. facere→fa(ce)re→fà); al proposito rammento che in napoletano allorché viene apocopata della sillaba finale una parola che lascia come residuo un monosillabo ecco che détto monosillabo potrebbe benissimo segnarsi con un apostrofo finale, atteso che trattandosi di monosillabo l’accento tonico non può che cadere che su quell’unica sillaba (cfr. in napoletano fa’ infinito di fa(re) – ji’ infinito di ghi(re)/i(re) ) tuttavia poi che nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di voci verbali dell’infinito preferisco e suggerisco di accentare anche i monosillabi per mantenere una omogeneità di scrittura con gli infiniti degli altri verbi e dunque per l’infinito di andare meglio scrivere jí piuttosto che ji’ e per quello di fare:meglio scrivere fà piuttosto che fa’ il quale ultimo oltretutto potrebbe esser confuso con la seconda persona dell’imperativo: fa’ per fai.
ascí voce verbale infinito = uscire, sortire, trar fuori con etimo dal tardo lat. ab-exire→*a-(e)xire→axire→assire→ascire→ascí;
dô = dal
rammento che con la preposizione a in italiano si ànno al = a+il, allo/a= a+lo/la alle = a+ le agli = a+ gli (ma è bruttissimo e personalmente non l’uso mai preferendogli la forma scissa a gli!) in napoletano si ànno le medesime preposizioni articolate formate dall’unione degli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con la preposizione a, unione che produce una preposizione articolata di tipo agglutinata resa graficamente con particolari forme contratte: â = a+ ‘a (a+ la), ô = a + ‘o (a+ il/lo), ê = a + ‘e (a + i/gli oppure a+ le);
con la preposizione di in italiano si ànno del = di+il, dello/a= di+lo/la delle = di+ le, degli = di+ gli; in napoletano le analoghe preposizioni formate dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con la preposizione de (=di), produce una preposizione articolata di forma rigorosamente scissa o tutt’al piú apostrofata: de ‘o→d’’o, de ‘a→d’’a, de ‘e→d’’e; con la preposizione da in italiano si ànno dal = da+il, dallo/a= da+lo/la dalle = da+ le, dagli = di+ gli; in napoletano le analoghe preposizioni formate dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con la preposizione da talora anche ‘a (=da), produce una preposizione articolata di forma normalmente scissa e spessa apostrofata: da ‘o→d’’o, da ‘a→d’’a, da ‘e→d’’e ma come ognuno vede la forma apostrofata (quantunque usatissima) presta il fianco alla confusione con le preposizioni articolate formate con la preposizione de (=di), e d’acchito è impossibile distinguere tra de ‘o→d’’o, de ‘a→d’’a, de ‘e→d’’e e da ‘o→d’’o, da ‘a→d’’a, da ‘e→d’’e e bisogna far ricorso al contesto per chiarirsi le idee; ò dunque proposto d’usare una forma affatto diversa per le preposizione napoletane da + ‘o→dô = dal, da+ ‘a→dâ = dalla, da+ ‘e→dê = dagli/dalle, forma che eliminando l’apostrofo e facendo ricorso alla medesima contrazione usata per le preposizioni articolate formate con la preposizione a consente di evitare la deprecabile confusione cui accennavo precedentemente. . Rammento che nel napoletano è usata spessissimo una locuzione articolata che con riferimento il moto a luogo rende i dal/dallo – dalla – dalle – dagli dell’italiano ; essa è (la trascrivo cosí come s’usa generalmente fare,ma a mio avviso erroneamente in quanto non ricostruibile nei suoi elementi costitutivi) essa è add’’o/add’’a/add’ ‘e es.: è gghiuto add’ ‘o zio(è andato dallo zio) è gghiuta add’ ‘a nonna, add’ ‘e pariente (è andata dalla nonna, dai parenti);; francamente non si capisce da cosa sia generato quel add’ né si comprenderebbe il motivo dell’agglutinazione della preposizione a con la successiva da→dd’; a mio avviso è piú corretta e qui la propugno: a ddô/ a ddâ/ a ddê per cui sempre ad es. avremo: è gghiuto a ddô zio(è andato dallo zio) è gghiuta a ddâ nonna, a ddê pariente (è andata dalla nonna, dai parenti);; rammento tuttavia di non confondere
a ddô con l’omofono addó←addo(ve) = dove, laddove che è un avverbio e cong. subord. che introduce proposizioni avversative, relative, interrogative dirette ed indirette.
Giunti a questo punto evito di porre altra carne al fuoco e mi fermo sperando di aver contentato l’amico R.S. qualcuno dei miei ventiquattro lettori o chi, per caso, dovesse leggere queste paginette.
Satis est.
Raffaele Bracale

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