IL VERBO DARE E LA SUA FRASEOLOGIA
Intendo questa volta illustrare (a beneficio dei miei consueti ventiquattro lettori e di chi altro si imbattesse in queste paginette e le trovasse, m’auguro, interessanti) un nutrito numero di espressioni costruite nell’idioma napoletano usando il verbo dare coniugato volta a volta all’infinito, in forma riflessiva o all’imperativo.
Comincio con il premettere che il verbo napoletano dare/dà (con etimo dal lat. dare) conserva nel napoletano i medesimi significati dell’omografo ed omofano italiano dare e cioè:
come verbo transitivo[aus. avé/avere]
1 trasferire da sé ad altri qualcosa che si possiede, si à, si conosce: dà ‘nu libbro, ‘nu pacco,’na ‘nfurmazzione, ‘na nutizzia (dare un libro, un pacco; dare un'informazione, una notizia) | in molte espressioni il sign. del verbo è precisato dal compl. oggetto: dà fuoco (dare fuoco), incendiare, accendere; dà acqua (dare acqua), spargerla, versarla, irrorarla; dà aria (dare aria), arieggiare; dà’na mana (dare una mano), aiutare; dà l'assembbio (dare l'esempio), impartirlo; dà curaggio (dare coraggio), incoraggiare; dà ‘a sferracchiata (dare l'assalto), assalire; dà ‘a stracciata (dare battaglia), cominciare a combattere; ; dà’nu sbuttulone( dare una spinta), spingere; dà ‘na festa, ‘nu tàffio(dare una festa, un pranzo), offrirli, organizzarli; dà ‘a sàmmena(dare gli esami), sostenerli; dà ‘a bbona notta, ‘o bongiorno(dare la buona notte, il buon giorno, augurarli; darse penziero(darsi pensiero), preoccuparsi; | in altri casi, che però fatta eccezione per le espressioni come dà pe ccerto, pe sicuro, pe bbuono(dare per certo, per sicuro, per buono), riconoscere tali; dà a ppenzà(dare da pensare), preoccupare; darse ‘a fà(darsi da fare), impegnarsi o brigare per raggiungere uno scopo; in altri casi, che sono solo dell’italiano, il sign. del verbo è precisato da un compl. indiretto, da un compl. predicativo o da una prop. infinitiva: dare in dono, regalare; dare in moglie, concedere la mano, far sposare; dare alla luce, partorire; dare a intendere qualcosa, farla credere; darsela a gambe, fuggire; negli esempi riportati il napoletano preferisce l’uso di forme verbali prive dell’ infinito dà : dare in dono = rijalà, dare in moglie = fà ‘mmaretà etc.
2 porgere: damme ‘o cappiello; damme ‘a mana (dammi il cappello; dare la mano), in segno di saluto
3 somministrare, propinare: dà ‘na mmericina(dare una medicina) | darse ‘a cipria, ‘o rrussetto(darsi la cipria, il rossetto), e sim.
4 affidare: dà ‘na cummissione a uno(dare un incarico a qualcuno;
5 assegnare: dare ‘nu punto, (dare un voto)
6 cedere: dà ‘o passo, ‘a strata(dare il passo, la strada), fare largo | conferire; aggiudicare: dà ‘nu premio(dare un premio)
7 concedere, accordare: dà ‘nu permesso(dare un permesso)
8 attribuire, riconoscere: dà ‘a córpa a uno(dare una colpa ad uno); dà raggione, tuorto(dare ragione, torto); dà valore a quaccosa(dare peso, importanza a qualcosa); quant’anne lle daje?(quanti anni gli dai?);
9 infliggere (pene, percosse): dà ‘nu fucuzzone, ‘na cundanna pesante (dare un pugno, una pesante condanna) | anche assol.: ce nn’aggiu date ‘nu tummolo e ‘na sporta (gliene ò date ad iosa)
10 arrecare, provocare:dà cuntiento, ‘mpiccio (dare gioia, fastidio); chellu ttuosseco po’ ddà ‘a morte(quel veleno può dare la morte)
11 (fam.) pagare: quanto ll’hê dato pe chella sciffuniera? quanto gli hai dato per quello stipo?; mme ddanno ‘nu melione ô mese(mi dànno un milione al mese)
12 (fam.) vendere: dà coccosa pe pochi sorde(dare qualcosa per pochi soldi)
13 rendere, fruttare; produrre: ‘na campagna ca dà pochi frutte, ‘na fatica ca nun dà assaje guaragno(una campagna che dà pochi frutti; un lavoro che non dà molto guadagno)
14 considerare, definire (in usi assol., solo al part. pass.):dàtese ‘e circustanze (date le circostanze); | dàtosi che (dato che), poiché; supposto, ammesso che | dato e nun cuncesso ca (dato e non concesso che), ammesso per ipotesi ma non di fatto che |||
come v. intr. [aus. avé/avere]
1 cogliere, colpire; urtare, imbattersi: dà ‘e ponta dinto a ‘nu zzarro e cadé(inciampare in un sasso e cadere) | in molte locuzioni assume significati particolari: dà ‘ncapa (dare alla testa), stordire; dà a ll’uocchie (dare nell'occhio), farsi notare; dà contro a quaccuno(dare contro a qualcuno), dargli torto; dà ‘o ttu, ‘o vvuje (dare del tu, del voi, rivolgersi a qualcuno usando la seconda persona sg. o pl.;
2 di case, finestre ecc., guardare, essere rivolto:’a casa dà dint’ô vico (la casa dà sul vicolo)
3 di colori, tendere: ‘sta tinta dà ‘ncopp’ô lluvardoquesta tinta dà sull’azzurro |||
darse v. rifl. [aus. essere]
1 applicarsi: darse ô sturio d’ ‘a canzone napulitana, ô cummercio (darsi allo studio della canzone napoletana, al commercio) ' abbandonarsi: darse a bbevere, ô juoco,â pazza joja(darsi al bere, al gioco, alla pazza gioia) | darse ô nemico(darsi al nemico), sottometterglisi | darse pe mmalato(darsi per malato), farsi credere tale
2 cominciare: darse a correre, a mangià (darsi a correre, a mangiare) |||
v. rifl. rec. scambiarsi: darse ‘nu vaso (darsi un bacio) |||
v. intr. pron.
1 esserci, presentarsi: nun s’è data nisciuna uccasione (non si è data alcuna occasione) | verificarsi, accadere: po’ darese ca isso vene cca(può darsi che egli venga qui); s’è ddato ‘o caso ca isso stesse cca si dà il caso che egli sia qui
2 (solo in italiano(fam.))darsela, battersela, svignarsela (dalla loc. darsela a gambe). Giunti a questo pounto e prima di affrontare la fraseologia mette conto ch’io faccia una precisazione che riguarda il dà = dà voce verbale (3° p.s. indicativo pres.) o anche infinito (come nelle locuzioni che illustrerò qui di sèguito) del verbo dare/dà derivato, come ò già détto del lat. dare; è pur vero che in napoletano non esiste graficamente la preposizione da (che in napoletano è sempre ‘a= da) per cui non essendovi possibilità di confusione fra voci omofone la voce verbale 3° p.s. indicativo pres. potrebbe anche scriversi tranquillamente da evitando un pleonastico accento sulla a (dà), ma per non essere accusato da qualche sprovveduto (ignaro che i raffronti occorre farli nell’ambito di una medesima lingua e non di idiomi diversi) dicevo per non essere accusato da qualche sprovveduto di non sapere che la3° p.s. indicativo pres.del verbo dare esige l’accento (dà) preferisco nun mettere carne a ccocere (evitare polemiche) e pro bono pacis faccio una forzatura alle mie conoscenze e convinzioni linguistiche ed adeguo (sia pure con mio malgrado) il dà napoletano al dà dell’italiano. Diverso è il discorso per l’infinito dà (forma tronca dell’infinito dare). Comincerò con il precisare che il verbo dare il cui infinito nel napoletano è dà/ddà infinito che io, contrariamente a tutti gli altri cultori dell’idioma napoletano (che usano la grafia apocopata da’) preferisco rendere con la à accentata (dà/ddà ) per alcuni ben precisi motivi: 1)uniformità di scrittura degli infiniti che in napoletano (nelle forme troncate) siano essi monosillabi o plurisillabi son tutti accentati sull’ultima sillaba (cfr. ad es.fa(re)→fà – magna(re)→magnà – cammena(re)→cammenà –cade(re)→cadé - murire→murí etc.), 2) la grafia apocopata da’ si presta, a mio avviso,fuor del contesto ad esser confusa con la 2° p.sg. dell’imperativo: da’= dai, come si presterebbe alla medesima confusione l’infinito apocopato fa’ di fare che potrebbe essere inteso, prescindendo dal contesto, come2° p.sg. dell’imperativo: fa’= fai, A proposito di infiniti rammento che durante le mie numerose letture sulla parlata napoletana ed in genere sui dialetti centro meridionali, mi è capitato spesso, di imbattermi in taluni autori che, ritenendo di fare cosa esatta, usano il segno diacritico dell' apocope (') in luogo dell' accento tonico e non si rendono conto che solo l'accento tonico può appunto dare un tono alla parola,e può (solo!) indicarne graficamente l'esatta pronuncia; mi è capitato peraltro di imbattermi in altri maldestri autori ed addirittura compilatori di dizionari, che per tema di errore, abbondano in segni diacritici e sbagliano parimenti . In effetti nella parlata napoletana è un errore di ortografia accentare l'ultima vocale di certi infiniti ed aggiungervi anche un pleonastico apostrofo per indicare l'avvenuta apocope dell' ultima sillaba:
l'accento, inglobando in sé la doppia funzione, è piú che sufficiente alla bisogna; il segno dell'apostrofo in fin di parola si deve porre quando si voglia tagliare un termine mantenendone però il primitivo accento tonico.
Per esempio il verbo èssere può essere apocopato in èsse' che non andrà letto essè, ma èsse, come ancóra ad es. il verbo tégnere, può per particolari esigenze espressive o metriche essere apocopato in tégne’, mantenendo però il suo accento tonico e non diventando alla lettura: tegnè, mentre – sempre a mo’ d’esempio – l’infinito del verbo cadere va reso con la grafia cadé e non cade’ che si dovrebbe leggere càde’ e non cadé!
Parimenti la medesima cosa accade nel dialetto romanesco dove quasi tutti gli infiniti risultano apocopati e senza spostamento d’accento tonico per cui graficamente sono resi con il segno (‘) come ad es. càpita con il verbo vedere che in napoletano è reso con vedé ed in romanesco vede’ (che va letto: vede e non vedé.)È pur vero che, in napoletano, alcuni infiniti di verbi che, apocopati, risultano divenuti monosillabici, potrebbero esser scritti con il segno dell’apocope (‘) piuttosto che con l’accento in quanto che nei monosillabi l’accento tonico cade su quell’unica sillaba e non può cadere su altre (che non esistono) e perciò potremmo avere ad es.: per il verbo stare l’ apocopato: sta’ in luogo di stà , per l’infinito di fare l’ apocopato: fa’ invece di fà, per l’infinito di dare l’ apocopato: da’ invece di dà, ma personalmente reputo piú comodo come ò détto per mantenere una sorta di analogia di scrittura con gli infiniti di altri verbi mono o plurisillabici, accentare tutti gli infiniti apocopati ed usare stà e fà, dà in luogo dei pur corretti sta’ e fa’, da’ che valgono stare, fare,dare tenendo conto altresí che almeno nel caso di fa’ e da’ esso potrebbe essere inteso, ripeto, come voce degli imperativo (fai→fa’dai→da’), piuttosto che degli infiniti fare,dare cosa che invece non può capitare con il verbo stare il cui imperativo nel napoletano non è sta’, ma statte. Rammento che, normalmente occorre accentare sull’ultima sillaba tutte le voci verbali degli infiniti (per lo meno bisillabi) tronchi o apocopati (ess.: magnà, purtà, pusà, cadé, rummané etc.) per modo che si possa facilmente individuare la sillaba su cui poggiare il tono della parola, cosa che non avverrebbe se in luogo di accentare il verbo si procedesse ad apostrofarlo per indicarne l’apocope dell’ultima sillaba; in tal caso infatti non spostandosi l’accento tonico si altererebbe completamente la lettura del verbo; facciamo un esempio: il verbo spàrtere (dividere) che apocopato dell’ultima sillaba diventa spartí se in luogo dell’accento fosse scritto con il segno dell’apocope sparti’ dovrebbe leggersi col primitivo accento spàrti e non indicherebbe piú l’infinito, ma – forse - una scorretta forma della 2° pers. sing. dell’ind. pres.che è sparte e non sparti. Premesso tutto ciò, a mio sommesso, ma deciso avviso ripeto che è opportuno – per una sorta di omogeneità - accentare sull’ultima sillaba tutti i verbi al modo infinito anche quelli monosillabici (ovviamente quando si tratti di autentici verbi presenti nel napoletano e non presi in prestito dall’italiano!, come impropriamente fa qualcuno che annovera tra gli infiniti del napoletano un inesistente dí contrabbandato per infinito apocopato del verbo dícere laddove è risaputo che il napoletano pretto e corretto usa sempre la forma dícere e mai, se non per rare licenze ed esigenze metriche poetiche, l’apocopato dí e chi lo facesse o avesse fatto, sbaglierebbe o si sarebbe sbagliato quand’anche si chiamasse Di Giacomo! ) ottenendosi perciò:
dà = dare( apocope del lat. dare) , fà = fare ( apocope del lat. facere) evitando di scrivere – come invece propone qualcuno – da’ o fa’ che potrebbero esser confusi con gli imperativi da’= dai o fa’= fai.
Tutto ciò premesso veniamo alle locuzioni costruite con il verbo dare cominciando da quelle nella cui formulazione è presente l’infinito apocopato dà = dare:
1.dà corda (oppure) dà spavo
Ad litteram: Dar corda (oppure) dar spago Id est: aizzare, eccitare, montare qualcuno contro un altro con atti o con parole quasi allungandogli un’ipotetica figurata corda o un metaforico spago che ne impedisse i movimenti; la voce corda è dal lat. chorda(m) 'corda musicale', poi 'corda' in generale, dal gr. chordé;
2.dà ‘a cumposta
Ad litteram: Dar la composta Id est: Somministrare a discoli e/o disubbidienti figliuoli o ragazzi in genere che la meritassero una nutrita, salutare aspra dose di percosse; infatti con la voce cumposta (derivata da cumpos(i)ta(m) part. pass. f.le dal lat. componere, comp. di cum 'con' e ponere 'porre')che in napoletano indica un misto di ortaggi bolliti e conservati sotto un acido ed asprigno aceto (contrariamente all’italiano dove la voce composta indica della frutta mista cotta in uno sciroppo di zucchero), con la voce napoletana cumposta si vuole significare qualcosa non di dolce, ma al contrario di amaro, acre, aspro,pungente quali sono, appunto, le percosse.
3.dà aurienza
Ad litteram: Dar udienza
Id est: in primis ascoltare, prestare attenzione a qualcuno,accordare ascolto ed attenzione alle richieste altrui,
in senso esteso addivenire a qualcosa, lasciarsi convincere; la voce aurienza è dritto per dritto, con tipica alternanza osco-mediterranea d→r, dal lat. audientia(m), deriv. di audire 'udire', rifatto secondo udire;
4.dà ciento muorze a unu fasulo
Ad litteram: Dar cento morsi ad un unico fagiolo
Id est: in primis essere eccessivamente golosi,oppure
in altro senso essere smisuratamente parsimoniosi; nel primo caso il senso della golosità si coglie nel fatto di volere estendere ad libitum il godimento di mangiare affrontando un singolo fagiolo con piccoli, ma reiterati morsi senza mai deglutirlo, nel secondo caso il senso della spilorceria si coglie nel fatto di volere limitare il nutrimento ad un singolo fagiolo affrontato – a maggior disdoro - con piccoli e reiterati morsi senza mai deglutirlo del tutto.
La voce muorze s.vo m.le pl. di muorzo letteralmente morso e talora boccone, ed anche breve, contenuto asciolvere etimologicamente dal lat. morsu(m) deverbale di mordire per mordere;tipica nel napoletano l’evoluzione rs→rz come in borza da borsa, perziana da persiana;
fasulo s.vo neutro ( al pl. fasule) = fagiolo 1 pianta erbacea con fusto volubile, foglie trilobate e fiori bianchi o rossi; i frutti sono baccelli contenenti semi commestibili (fam. Leguminose) | fasule a ucchietiello(fagiolo dell'occhio), dolico;
2 il seme della pianta del fagiolo: ‘nzalate ‘e fasule(insalata di fagioli); pasta e ffasule(pasta e fagioli) | (fam.) dà luogo a varie locuzioni fig.: jí a ffasulo(andare a fagiolo), andare a genio; capità, vení a ffasulo (capitare, venire a fagiolo), capitare a proposito, al tempo giusto:
3 nel gergo goliardico, studente del secondo anno di università;
voce dal lat. phaseolu(m), dim. di phasílus, dal gr. phásílos;
unu/uno agg.vo num.le card.le, pron. indef. nella forma ‘nu/’no art. indet. [ dal lat. ūnus]. –1. Primo numero naturale dopo lo zero (in cifre arabe 1, in numeri romani I); è il numero con cui à normalmente inizio una numerazione (per es., dei giorni del mese, delle pagine di un libro, dei numeri civici di una via): il numero uno, a pagina uno, il giorno uno marzo. Nelle operazioni: sette per uno (7 × 1); otto meno uno (8 – 1), ecc.; ricominciando la sequenza dei numeri dopo ogni decina, uno si unisce, come secondo elemento, al numero che esprime la nuova decina (fa eccezione unnice(undici) che, derivando direttamente dal lat. undĕcim, à un aspetto proprio): vintuno(ventuno), venti e uno, trentuno, trenta e uno, ecc.; e poi cient’euno(centouno) o, raro, cientuno(centuno), ecc., mill’euno(milleuno), ecc. Com. la locuz. fig. ‘o nummero uno (il numero uno), chi occupa il primo posto in assoluto nel proprio settore di attività o all’interno di una gerarchia;
2 uno e uno solo pígliame unu quaderno, unu libbro (prendimi un solo quaderno, un solo libro ) mentre pígliame ‘nu quaderno, ‘nu libbro (prendimi un qualsiasi quaderno, un libro qualsiasi )
3 un tale, un certo, una certa persona;aggiu parlato cu uno ca te cunosce( ò parlato con uno che ti conosce); è uno ca dice ca fa ll’architetto(è uno che dice di essere l'architetto); parlavano ‘e uno ca se nn’era fujuto dô carcere(parlavano di uno che era fuggito di prigione) |
in costruzioni partitive: aggiu parlato cu uno d’’e cupagne suoje (ò parlato con uno dei suoi compagni; ànno sciveto uno ‘e lloro (ànno scelto uno diloro); è uno d’ ‘e meglie; uno d’ ‘e tante,unu qualunque( uno dei migliori; uno dei tanti, uno qualsiasi);
rammento che la voce a margine unu/uno non va assolutamente confusa con la forma aferetica ‘nu/no= corrispondenti all’articolo indeterminativo un ed uno della lingua italiana; [ rammento che in italiano, uno come agg. num. e art. maschile si tronca in un davanti a un s. o agg. che cominci per vocale o per consonante o gruppo consonantico che non sia i semiconsonante, s impura, z, x, pn, ps, gn, sc (un amico, un cane, un brigante, un plico; ma: uno iettatore, uno sbaglio, uno zaino, uno xilofono, uno pneumotorace, uno pseudonimo, uno gnocco, uno sceriffo); il napoletano non conosce tante complicazioni ed usa l’articolo indeterminativo ‘no/‘nu indifferentemente davanti ad ogni nome maschile sia che cominci per vocale, sia che cominci per consonante o gruppo consonantico (ad es.: n’ommo= un uomo – ‘nu sbaglio= un errore;) da notare che mentre nella lingua nazionale si è soliti apostrofare solo l’art. indeterminativo una davanti a voci femm. comincianti per vocali, mentre l’art. indeterminativo maschile uno non viene mai apostrofato e davanti a nomi maschili principianti per vocali se ne usa una forma tronca un (ad es.: un osso) nella parlata napoletana è d’uso apostrofare anche il maschile ‘no/‘nu davanti a nome maschile che cominci per vocale con la sola accortezza di evitare di appesantir la grafia con un doppio segno diacritico: per cui occorrerà scrivere n’ommo= un uomo e non ‘n’ommo l’etimo di ‘no/’nu è ovviamente, come ò anticipato, dal lat. (u)nu(m) e l’aferesi della prima sillaba (u) comporta la doverosa indicazione di un segno diacritico (‘) quantunque oggi numerosi autori seguano il vezzo di scrivereno/nu privi di qualsiasi segno diacritico, ma è costume che aborro, non trovando ragioni concrete e corrette per eliminare un sacrosanto segno etimologicamente ineccepibile;la medesima cosa càpita con il corrspondente art. indeterminativo femm.le
‘na = corrispondente ad una della lingua italiana dove è agg. num. card. , pron. indef. , art. indeterm.come del resto nel napoletano dove però come agg. num. card. non viene usata la forma aferizzata ‘na, ma la forma intera una; l’etimo di ‘na è ovviamente dal lat. (u)na(m) l’aferesi della prima sillaba (u) comporta la doverosa indicazione di un segno diacritico (‘) quantunque oggi numerosi autori seguano il vezzo di scrivere l’articolo na privo di qualsiasi segno diacritico, ma è costume che aborro, non trovando, mi ripeto, ragioni concrete e corrette per eliminare un sacrosanto segno etimologicamente ineccepibile.
5.dà funa longa
Ad litteram: Dar fune lunga Id est: dare a qualcuno piú di quanto gli competa o gli sia dovuto; essere troppo concessivo nei confronti di qualcuno o per eccessiva bonta o per stupidità, mancanza di personalità; con altra valenza: esitare lungamente, quasi sempre per inettitudine e/o irresolutezza, quando non timore o paura, prima di prendere i dovuti provvedimenti nei confronti di qualcuno; la locuzione in esame non va confusa con quella illustrata precedentemente dà corda (oppure) dà spavo che valeva aizzare, eccitare, montare qualcuno contro un altro con atti o con parole quasi allungandogli un’ipotetica figurata corda o un metaforico spago che ne impedisse i movimenti;
funa s.vo f.le = fune, insieme di piú fili di canapa, d'acciaio o di altro materiale ritorti e intrecciati fra di loro; corda, cavo,
etimologicamente dal lat.parlato *funa(m) per il cl. fune(m);
longa agg.vo f.le
1 che si estende nello spazio in senso orizzontale, o anche nel senso della dimensione la cui estensione è maggiore: ‘na funa longa seje metri; ‘na tavula longa tre metri e llarga dduje (una fune lunga sei metri; una tavola lunga tre metri e larga due);
2 che à una notevole lunghezza o una lunghezza che è comunque maggiore rispetto alla misura normale, media, o rispetto a un'altra possibile misura sensibilmente inferiore ‘na strata longa, purtà ‘a capellera longa,’a gonna longa,una lunga strada; portare i capelli lunghi, gonna lunga;
3 si dice di persona molto alta, spec. se magra | anema longa(anima lunga), (scherz.) persona altissima, allampanata | essere cchiú llarga ca longa(essere piú larga che lunga, (scherz.) essere molto grassa
4 che si estende nel tempo, che dura da o per molto tempo: ‘na prereca cchiú llonga d’ ‘a quaraesima(una predica piú lunga della quaresima); ‘na cummeddia longa (una lunga rappresentazione teatrale);
5 (fam.) si dice di persona lenta, che impiega molto tempo per fare qualcosa: essere longa a mmagnà(essere lunga nel mangiare); comme sî llonga a scrivere! (come sei lunga a scrivere!)
6 si dice di bevanda o cibo preparato con una quantità d'acqua maggiore rispetto alla misura media o normale: bevanda, menesta longa (tisana,minestra lunga)
7 (ling.) si dice di suono che à una durata di emissione maggiore di un altro, detto breve: vucale longhe(vocali lunghe) | sillabba longa(sillaba lunga), nella versificazione greca e latina, sillaba che contiene una vocale lunga o un dittongo; voce dal lat. longa(m);
6.dà ll’uorgio
Ad litteram: dare l’orzo id est: punire pesantemente chi meriti una punizione per essersi comportato male o non essersi attenuto a ciò che gli era stato comandato di fare.La locuzione fa riferimento ad una punizione che nell’esercito romano si soleva comminare ai soldati che si fossero dimostrati poco volorosi in combattimento o avessero trasgredito gli ordini ricevuti. La punizione consisteva nel distribuir loro in luogo del buon pane di frumentoo di farro, dello scadente pane di orzo, o altri cereali meno saporiti del grano. La voce uorgio s.vo neutro = orzo, pianta erbacea simile al frumento, con spighe munite di lunghe ariste; si impiega come foraggio, nella fabbricazione della birra e nell'alimentazione umana (fam. Graminacee):farina d’uorgio (farina d'orzo) è voce derivata dal lat.hordeu(m)→lat. volg.(h)ordju(m)→uorgio con dj→gi/ggi come nel lat. modjum→moggio e *sedja(m)→seggia
7.dà ‘na bbotta ô chirchio e n’ata ê tumpagne Ad litteram: assestare un colpo al cerchio ed uno ai fondi della botte Id est: barcamenarsi tra varie alternative pur di raggiungere lo scopo prefissato cosí come fa il fabbricante di bótti che per riuscire nell’intento di sistemare il cerchio di ferro contentivo attorno alle doghe della bótte, assesta alternativamente colpi ora al cerchio, ora alla bótte e segnatamenteai suoi fondi; per traslato la locuzione indica pure un modo di fare non troppo corretto di colui che pur di raggiungere uno scopo non esita a tenere il piede in due staffe.
chirchio s.vo m.le cerchio,(nella fattispecie) cerchio metallico che costituisce la parte contentiva delle doghe delle botti, oppure (alibi) la parte esterna (battistrada) delle ruote di legno di un carro. voce dal lat. circulu(m) dim. di ci°rcus 'cerchio' con il percorso circulu(m)→circ(u)lu(m)circlu(m)→circhio e poi con assimilazione regressiva chi/ci →chi/chi chirchio;
tumpagne s.vo m.le pl. di tumpagno = fondo della botte (dal greco tympànion che sta giustappunto per chiusura).
8.dà ‘na mana Ad litteram: dare una mano Id est: aiutare qualcuno in un lavoro,in un’attività sia contro una remunerazione, sia (piú spesso) gratuitamente collaborando fattivamente.
9.dà ‘o canzo
10.dà ‘o ntrattieno Ad litteram: dare l’intrattenimento (a qualcuno). Detto normalmente con riferimento ai bambini che con speciose ragioni o subdole motivazioni vengono trattenuti in altre sciocche e/o inutili incombenze e non possano cosí partecipare ad accadimenti che si vogliono riservare agli adulti; ; la locuzione è usata anche nei confronti degli adulti per tenerli esclusi da attività comuni perché soggetti di poca compagnia in quanto sgradevoli, fastidiosi o noiosi sebbene sia piú complicato trovare ragioni e motivazioni da opporre a degli adulti, solitamente meno creduloni dei fanciulli.
La voce ntrattieno usata peraltro solo in questa locuzione o altra consimile è un deverbale di trattenere (trattieno) addizionato in posizione protetica di una nasale eufonica espressiva (n) che non essendo l’aferesi di (i)n→’n non necessita di alcun segno diacritico.
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11.dà sotto
12.dà zizza ‘e vacca pe tarantiello
Letteralmente: dar mammella (di mucca) per tarantello. La locuzione à una doppia valenza a seconda del significato che si dà al termine tarantello. In una prima accezione tarantello è un pezzo di carne dato come aggiunta a della carne piú pregiata, al fine di sistemarne il giusto peso. Usandola con tale accezione, figuratamente, la locuzione significa che colui contro cui è rivolta, non si è impegnato molto nel dare il giusto dovuto, ma à rabberciato la prestazione portandola a compimento con l'uso di materiali di scarto. Nel caso che con la voce tarantello si voglia invece indicare il pregiato salume ricavato dalla pancetta di tonno, figuratamente vuol significare che colui contro cui la locuzione è diretta, si è comportato da gran mistificatore ed imbroglione come chi abbia conferito vilissima mammella di mucca in luogo della dovuta, costosa pancetta di tonno.In ogni caso si tratta di un imbroglio reale o figurato.
La voce zizza = tetta, mammella d’essere umano o bestia, viene per adattamentodall’ accusativo tardo latino *titta(m)= capezzolo attraverso una forma aggettivale tittja(m) dove il ttj intervocalico diede zz che influenzò anche la sillaba d’avvio ti→zi.
La voce tarantiello in ambedue le accezioni è un denominale (diminutivo) di Taranto
la città pugliese dove si produce il pregiato salume ricavato dalla pancetta di tonno.
E veniamo ora alle locuzioni costruite con il verbo dare espresso nella forma dell’infinito riflessivo darse = darsi:
13.darse ‘e mane Ad litteram:darsi di mani id est:litigare e venire alle mani colpendosi vicendevolmente con percosse inferte a preferenza con le mani
mane s.vo f.le pl. di mana = mano; ; etimologicamente la voce mana, deriva da un accusativo latino manu(m) reso femminile mana(m); anche nel toscano anticamente la mano fu mana.
14.darse ô quatt’austo Ad litteram:darsi ai quattro d’agosto id est: darsi il buon tempo, divertirsi,sollazzarsi in amicale compagnia o preferibilmente accompagnandosi con una donna, con la quale appartarsi; l’espressione fa riferimento ad un’abitudine d’antan allorché proprio nel dí della festa di san Domenico (4 di agosto) la gioventú napoletana soleva organizzare allegre gite che avevano per meta le alture del Vomero, dei Camaldoli o piú spesso di Posillipo, con salutari passeggiate e/o pantagrueliche mangiate e bevute; in senso piú esteso l’espressione in esame vale il generico allietarsi, ricrearsi, svagarsi in cento modi spesso anche rozzi ed inurbani. A margine rammento che proprio in riferimento alla meta di Posillipo, alibi l’espressione a margine suonò anche Pigliarse 'o Pusilleco.
Letteralmente: Prendersi il Posillipo. Id est: Darsi il buon tempo, accompagnarsi ad una bella donna, per trascorrere un po' di tempo in maniera gioiosa.La locuzione fa riferimento ad una famosa collina partenopeaPosillipo,che dal greco Pausillipon significa tregua all'affanno, luogo amenissimo dove gli innamorati son soliti appartarsi. In senso antifrastico e furbesco la locuzione sta per: buscarsi la lue.
austo s.vo m.le = agosto (nome dell’ottavo mese dell’anno nel calendario gregoriano) voce dal lat. Augustu(m) (mìnsem), dal nome di Ottaviano Augusto; normale nel napoletano la caduta dell'occlusiva velare sonora (g) intervocalica come per Austino←Agostino, rraú←ragout, sciaurato←sciagurato.
15.darse ‘nu pizzeco ‘ncopp’â panza
Ad litteram:darsi un pizzico sulla pancia, pizzicarsi sulla pancia Id est: autoimporsi una sofferenza che ci permetta di non sentirne un’altra. Per traslato e piú genericamente: sopportare con rassegnazione qualche sgradevole accadimento, nella speranza che ciò ce ne eviti di peggiori; a Napoli a qualcuno che si stia lamentando di dover sopportare alcunché si suole consigliare con la frase in epigrafe di pizzicarsi la pancia facendo buon viso a cattivo gioco. Talvolta però il darsi pizzichi sulla pancia è quasi un atto dovuto, non perché cosí facendo si pensi di evitar guai maggiori, ma perché chi ci sta comminando pene e/o sofferenze è persona cosí tanto importante o meritevole di rispetto che non gli si può opporre una reazione, ma solo rassegnazione.
pizzeco s.vo m.le
1 come nel caso che ci occupa lo stringere con il pollice e l'indice una parte molle del corpo; l'atto del pizzicare: dà ‘nu pizzeco a una(dare un pizzico ad una
2 (estens.) quantità di roba che si può prendere con i polpastrelli delle dita:’nu pizzeco ‘e sale, ‘e pepe(un pizzico di sale, di pepe)
voce deverbale di pezzecà (Intens. del verbo ant. pizzare 'pungere', da avvicinare a pizzo 'punta');
‘ncopp’â preposizione articolata = sulla, sopra la forgiata da un in→’n illativo e da coppa dal latino cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra, addizionata di â (crasi di a ‘a=alla);
panza s.vo f.le indica essenzialmente il ventre, l’addome dell’uomo(come nel caso che ci occupa) o della bestia, ed in senso figurato la parte centrale e tondeggiante di qualcosa: pancia del fiasco,pancia del vaso o ancora la forma tondeggiante di alcune lettere dell’alfabeto: la pancia della a, della p ; è forgiata sul latino pantice(m)→pan(ti)cja(m)→panza con metaplasmo e risoluzione di cj in z.
E giungiamo infine alle locuzioni costruite con il verbo dare espresso nella forma dell’imperativo (2ª p.sg.) dalle= dagli:
16.dalle arrèto! ad litteram: dagli indietro! Ingiunzione esclamativa che in origine si poteva cogliere sulla bocca dei passeggeri di vetture da nolo che rivolgendosi al cocchiere lo sollecitavano a dar di frusta sugli scugnizzi che aggrappati sulla parte posteriore della vettura importunavano i viaggiatori; successivamente l’esclazione fu, ed ancóra è usata, da chiunque intenda spronare all’azione qualcuno, nel senso generico di insegui, non dargli tregua! con riferimento all’importuno di turno di cui occorra liberarsi anche con le maniere spicce.
arrèto/arèto/adderèto/dderèto prep. impr. ed avv.
nella parte posteriore, opposta al davanti: nun guardà arèto (non guardare dietro); preferisco stà adderèto(preferisco star dietro) | preceduto da altro avv. di luogo: steva annascuso lla dderèto(era nascosto lí dietro); à dda stà cca dderèto(deve essere qua dietro);
come prep. impr. è sempre seguita dalla prep. sempl. a aspiettame arrèto a chella culonna (attendimi dietro quella colonna; s’è annascusa arèto/arrèto â porta (s’è nascosta dietro la porta); | non può essere preceduto (come invece nell’italiano) dalla prep. di pleonastica:tu va’ annanze ca i’ sto’ arrèto( tu vai davanti, io sto di dietro || nella loc. corrispondente all’italiano di dietro (o in grafia unita didietro) è usata nella forma ‘e rèto ed à anche un valore di agg. e di s. m. : ‘e zzampe ‘e rèto(le zampe posteriori);’a parte ‘e rèto ‘e ll’armuà(il pannello di dietro dell’ armadio) etimologicamente è dal tardo lat. *ad de retro→adderèt(r)o→ adderèto →arrè(re)to e quest’ultimo anche a(r)rèto;
17.dalle a vvévere! ad litteram: Dagli da bere! (Zittiscilo) dandogli da bere( tanta acqua quasi da soffocarlo)...Malizioso furbesco consiglio esclamatorio rivolto a chi sia costretto a ad ascoltare da un noioso terzo reiterate prolisse lagnanze e/o lamentele spesso infandate se non inventate, affinché si liberi di codesto fastidioso individuo versandogli da bere molta acqua ed anzi costringendolo ad assumerla tutta per modo che con la bocca piena alla fine si taccia dando respiro al povero ascoltatore...
dalle = voce verbale dagli (2ª pers. sg. imperativo dell’infinito dare addizionato in posizione enclitica del pronome lle corrispondente all’italiano gli (, pron. pers. m. di terza persona sg. forma complementare atona di egli, usata come compl. di termine in posizione enclitica e raramente proclitica);
vvévere/bbévere = bere voce verbale infinito; voce in doppia morfologia dal lat. bibere; nel primo caso si è avuto il consueto passaggio partenopeo di b→v (cfr. barca→varca,bacio→vaso,bótte→votta etc.)ed assimilazione regressiva per cui bibere→bivere→vevere; mentre nel secondo caso non si è avuta l’assimilazione regressiva per cui bibere→bivere→bevere;
18.dalle ‘a zizza ad litteram: Dagli da succhiare! (Zittiscilo) dandogli da succhiare(attaccato alla tetta)...spazientito,malizioso consiglio esclamatorio rivolto ad una mamma perché ponga fine ai fastidiosi, reiterati pianti o strilli d’ un suo pargolo per modo che occupato a suggere il latte materno la smetta di infastidire gli astanti piangendo e/o gridando.
per zizza cfr. antea sub 12.
19.dalle ‘ncapa ad litteram: Dagli sulla testa! Espressione dalla doppia valenza: in primis ed in senso molto comodo, funzionale,utile quasi materiale (Colpiscilo sulla testa,mettilo a tacere colpendolo sul capo, addirittura ammazzalo agendo nella medesima maniera); in tale valenza l’espressione è ed era ad es., il consiglio/ordine dato all’incaricato/a perché addivenga/addivenisse rapidamente ad un risultato nell’operazione di uccidere il lubrico, sfuggente capitone la grossa gustosa anguilla femmina che solo se colpito sul capo si riesce ad ammazzare per poi eviscerarlo, tagliarlo in pezzi e preparalo per esser cucinato ed ammannito in tavola; in altra valenza, quella metaforica, l’espressione vale rimproverare reiteratamente qualcuno,sollecitandolo insistentemente con atti o piú spesso con parole per convincerlo ad es. a cambiare il suo modus vivendi,ad impegnarsi nello studio o nel lavoro, a dare una svolta in senso positivo e migliore alla sua vita; in questa seconda valenza l’espressione dalle ‘ncapa viene spesso addizionata di una non pleonastica integrazione diventando dalle ‘ncapa, falle ‘nu fuosso ‘ncapa (dagli sul capo fino a fargli un buco in testa)id est fino a che non si convinca ad agire cosí come è giusto che agisca.
‘ncapa loc. avv.le di luogo in testa, sul capo formata dal s.vo f.le capa (= capo, testa dal lat. parlato *capa(m) per il class. caput) agglutinato in posizione protetica di un in→(i)n→’n illativo; rammento che in napoletano il termine capo/a è usato in napoletano sia per indicare la parte del corpo umano unita al torace dal collo e in cui ànno sede gli organi che governano le facoltà intellettive e la vita sensitiva ed in senso piú ristretto, la zona del cranio rivestita di capelli, sia per indicare chi esercita un comando o dirige imprese, attività sia ancóra (estens.) chi à un ruolo preminente o esercita una funzione direttiva, godendo di particolare prestigio e autorevolezza, ma è pure usato per indicare una gugliata di cotone,di spago, di filo, di refe o anche un rocchio di salsiccia (‘nu capo ‘e cuttone, ‘nu capo ‘e saciccia o ‘na capa ‘e saciccia) e viene usato in tale accezione perché allorché una gugliata di cotone,di spago, di filo venga staccata dal suo gomitolo o rocchetto di pertinenza, ecco che la successiva gugliata si troverà all’inizio, al capo del gomitolo o rocchetto; ugual cosa capita con la salsiccia che è un trito di carne di suina aromatizzato ed insaccato in un budello lungo tra i 40 ed i 50 cm.; tale lunga salsiccia viene poi divisa in porzioni (rocchi) mediante successive legature; poiché quando dalla salsiccia cosí suddivisa ne viene staccato un pezzo (rocchio) il successivo si troverà comunque sempre in testa, in capo alla salsiccia residua, ecco che in napoletano il rocchio italiano si dice capo o capa ‘e saciccia;
capitone s.vo m.le
1 come nel caso che ci occupa anguilla femmina di grosse dimensioni, pregiata per le sue carni; è cibo tradizionale delle feste di Natale
2 (ant.) filo di seta grosso ed ineguale
3 alare del focolare. voce dal lat. capitone(m) 'che à la testa grossa', deriv. di caput -pitis 'capo';
fuosso s.vo m.le = fosso, incavo naturale del terreno | buca naturale o artificiale presente o scavata nel terreno, di forma e dimensioni varie secondo l'uso cui è destinata, voce
che è il part. pass. sostantivato lat. fŏssu(m) del verbo fŏdĕre = scavare.
20.dalle ‘ncopp’ê rrecchie ad litteram: Dagli sulle orecchie! Espressione da intendersi sia in senso reale che, piú acconciamente, in senso metaforico in relazione cioè all’atteggiamento da tenere nei confronti di chi sia tanto borioso, supponente, presuntuoso, spocchioso, arrogante, vanaglorioso, tronfio da incedere sempre con il capo provocatoriamento eretto quasi con le orecchie dritte oltre ogni decenza. A costui, per ridimensionarlo mortificandolo e convincendolo dell’opportunità di abbassare le orecchie e/o il capo e piú in generale di scendere dal suo inutile e falso cavallo bianco, a costui farebbe un gran bene esser colpito realmente o piú acconciamente metaforicamente sulle orecchie per fargliele abbassare mettendo un freno a quell’aria da Padreterno con cui normalmente un borioso, supponente, presuntuoso, spocchioso, arrogante si propone in giro.
‘ncopp’ê loc. prepositiva di luogo sulle, sopra le; alibi anche sugli, sopra i/gli cfr. antea sub 15:
recchie s.vo f.le pl. di recchia = 1(come nel caso che ci occupa)orecchio, padiglione auricolare,organo dell'udito
2(estens.) piega fatta all'angolo di una pagina, per trascuratezza o appositamente, come segnale
3 recchia ‘e mare(orecchia marina), mollusco marino con conchiglia rivestita internamente di madreperla e munita di una serie di fori laterali, da cui escono i tentacoli
voce dal lat. auricula(m)→(au)ric(u)la(m)→recchia; auricula(m) è il dim. di auris 'orecchio'
E cosí reputo di aver ottemperato a quanto m’ero ripromesso e di avere interessato i miei consueti ventiquattro lettori e di chi altro si imbattesse in queste paginette, per cui mi congedo con il mio consueto satis est.
R.Bracale
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