giovedì 1 maggio 2014

MOINA etc.

MOINA etc. Anche questa volta mi trovo a raccogliere una garbata provocazione del mio caro amico P.D.F.(i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) che,memore ch’io abbia piú volte affermato che il napoletano sia piú preciso e circostanziato dell’italiano, mi à sfidato ad elencare ed a parlare delle eventuali voci del napoletano che rendano piú acconciamente quella italiana dell’epigrafe e di loro eventuali sinonimi . Come ò già détto alibi e qui ripeto il caro amico – come diciamo dalle mie parti - m’ à rattato addó me prore (letteralmente: mi à grattato dove mi prude, id est: mi à sollecitato sul mio terreno preferito) per cui raccolgo pure questo guanto di sfida cominciando, come è mio solito, con l’esaminare dapprima la voce dell’italiano: moina, s.vo f.le sta ad indicare gesto, atto affettuoso, vezzo infantile; generico comportamento lezioso, sdolcinato, tutte cose lontane dal chiasso e/o confusione che son propri dell’ ammoina/ammuina termini con cui quello a margine non va confuso; etimologicamente è voce dal basso latino movina(m). Passiamo al napoletano dove troviamo: carizzo s.vo m.le Qualsiasi dimostrazione di affetto o di benevolenza fatta ad altri con atti o con parole; piú concretamente, l’atto di passare leggermente le dita o la palma della mano sul volto o su altra parte del corpo di una persona come gesto di tenerezza; etimologicamente è voce denominale del lat. caru-m addizionato del suff. izzo collaterale di iccio suffissi derivativi ed alterativi di aggettivi e talora sostantivi, che continuano il lat. -iciu(m) ed esprimomo diminuzione, imperfezione, approssimazione e sim.,talora con valore peggiorativo; nella fattispecie è stato usato un suffisso machilizzante della voce che nella lingua nazionale è f.le (cfr. carezza) poiiché nel napoletano un elemento quale che sia se maschile è inteso piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile et versa vice ; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella; poiché – come detto – questo tipo di dimostrazione di affetto è molto circoscritta e quasi limitata all’atto di passare leggermente le dita o la palma della mano sul volto o su altra parte del corpo, ecco che il termine in napoletano è, in quanto piú piccolo o contenuto, inteso maschile piuttosto che femminile. ciancia s.vo f.le vezzeggiamento, vezzo, coccola leziosaggine fatta piú con parole che con atti; etimologicamente è voce deverbale di ciancïà, lemma onomatopeico. cicero‘nnammuollo s.vo m.le sdolcinatura, lezio, smanceria tendente ad intenerire il soggetto cui sia rivolta, tal quale dei ceci posti in ammollo per intenerirli prima di cucinarli; etimologicamente si tratta in effetti dell’agglutinazione funzionale del s.vo cicero (=cece[dal lat.volg. cicere-m]) con l’espressione ‘nnammuollo= in ammollo. gattefelippo s.vo m.le leziosaggine, moina, romanticheria, sdolcinatezza che si esterna con continuo sbaciucchiamento delle mani; etimologicamente è voce adattamento locale con allungamento espressivo (ippo) del greco katafileo= baciare e ribaciare le mani secondo il ss percorso morfologico: katafileo→katafilippo→cattafelippo→gattefelippo licchesalemme s.vo m.le 1.in primis atto di ossequio, complimento troppo cerimonioso ed affettato;2.per estensione semantica come nel caso che ci occupa lusinga, allettamento, blandizia, adulazione, incensamento; etimologicamente è l’adattamento scherzoso dialettale della voce salamelecco che è dall’arabo salā’m ῾alaik. tennerumme s.vo m.le coll.vo 1.in primis Insieme di cose tenere; cosa tenera o troppo tenera; la parte tenera di qualche cosa, spec. di sostanze commestibili: il t. dei cardi, del bambù; in partic., le cartilagini che restano unite alle ossa, buone da mangiarsi, soprattutto in alcuni tagli di bollito e di spezzatino. 2. fig.come nel caso che ci occupa Modi affettatamente ed esageratamente teneri e svenevoli; etimologicamente è voce denominale dell’agg.vo lat. tĕneru(m) con raddoppiamento espressivo della nasale (N) ed addizionato del suff. collettivizzante –ume(n)→umme squaso s.vo m.le contenuto vezzo, carezza fatta stringendo la guancia della persona amata, col dorso delle dita tra l’indice ed il medio scuotendola leggermente; generalmente la voce è ritenuta d’etimo ignoto; a mio avviso, scartata l’idea di lettura metatetica e successivo adattamento eufonico [favorito dal dittongo ua] del greco psausis (= carezza, moina) secondo il ss. percorso morfologico: psausis→psausi→spausi→spuasi→squase→squaso, penso si possa ritenere la voce una derivazione del part. pass. lat. quassu-m→quasu→squasu-m→squaso di quatĕre «scuotere»,con protesi di una S durativa e passaggio interno dalla doppia ss nella scempia per avvertire che trattasi di uno scuotimento leggero ancorché lungo. E qui faccio punto fermo augurandomi d’essere stato chiaro ed esauriente ed aver soddisfatto la curiosità dell’amico P.D.F. quella dei miei ventiquattro lettori e di chi forte si imbattesse in queste paginette.Satis est. R.Bracale Brak

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