giovedì 12 marzo 2015
UN’IPERBOLE NAPOLETANA
UN’IPERBOLE NAPOLETANA
Anche questa volta faccio sèguito ad un quesito rivoltomi dall’amico N.C. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) che mi à chiesto di parlare d’un’espressione iperbolica udita, restandone sorpreso, nel corso di un alterco tra due commercianti. L’accontento súbito cominciando con il dirgli di non farsi meraviglie atteso che nell’eloquio napoletano si ricorre volentieri all’iperbole espressiva, dando libero sfogo alla fantasia per formulare concetti che necessiterebbero di poche parole e che invece vengono colorite ravvivate, arricchite, vivacizzate quando non imbarocchite a dismisura in cerca dell’effetto ridondante, enfatico ma icastico e ciò soprattutto nelle imprecazioni e/o maledizioni come nell’ esempio che segue dove quella imprecazione che alibi è semplicemente “li mortacci tuoi” diventa (cosí come l’à udita l’amico N.C.) :
Dint’ô sanco sperzo d’ ‘o parzunaro
ca chiantaje ll’arbero ‘a do’ fove cuoveto ‘o limone
ca servette a scerià ‘e mmeglie maniglie ‘attone
d’ ‘o tauto addó stanno astipate ‘e mmeglie osse cariulate
d’ ‘e meglie muorte d’ ‘e muorte ‘e chi t’è mmuorto!
Ad litteram: Nel sangue perso (id est: Accidenti al sangue smarrito) del colono che piantò l’albero donde fu còlto il limone che occorse a soffregare (per render lucide) le piú importanti maniglie d’ottone della cassa da morto dove sono conservate le ossa (ormai) tarlate dei trisavoli dei tuoi antenati!
Faccio presente che l’espressione à una sua variante nella quale, con pari significato esclamativo, si ricorre in luogo del Dint’ô all’interiezione mannaggia al cosí come segue:
Mannaggia ô sanco sperzo d’ ‘o parzunaro
ca chiantaje ll’arbero ‘a do’ fove cuoveto ‘o limone
ca servette a scerià ‘e mmeglie maniglie ‘attone
d’ ‘o tauto addó stanno atipate ‘e mmeglio osse cariulate
d’ ‘e meglie muorte d’ ‘e muorte ‘e chi t’è mmuorto!
dint’ô = nel/nello locuzione prepositiva articolata formata con la preposizione impropria dinto (dentro – in(dal lat. d(e) int(r)o→dinto); rammento che le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie ànno nel napoletano tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre indefettibilmente aggiungere alla preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: dentro la stanza, ma nel napoletano si esige dentro alla stanza e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in napoletano e non in italiano) per cui le locuzioni articolate formate da dinto a e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) saranno rispettivamente dint’ô dint’â, dint’ê che rendono rispettivamente nel/néllo,nélla,néi/negli/nelle.
- sanco s.vo neutro = sàngue [ voce dall’acc.vo lat. sangue(m) accus. collaterale di sanguĭnem attraverso un metaplasmo del lat. volg. *sangu(m)→sancu(m) con passaggio espressivo della occlusiva velare sonora (g) a quella sorda (c).]
1. a. Liquido organico, opaco, viscoso, di colore rosso (rosso vivo il sangue arterioso, rosso scuro il venoso) che, sotto l’impulso dell’attività cardiaca, circola nell’apparato cardiovascolare (cuore, arterie, capillari, vene), distribuendosi in tutti i distretti dell’organismo, nei quali esplica fondamentali funzioni di nutrizione; è fisicamente una sospensione, risultante di una parte corpuscolata (globuli rossi o eritrociti, globuli bianchi o leucociti e piastrine) e di una parte liquida, il plasma; funzionalmente, rappresenta il vero tessuto di correlazione dell’organismo: per suo mezzo, infatti, gli organismi aerobici attuano lo scambio di ossigeno e di anidride carbonica fra l’ambiente esterno e i proprî tessuti (v. respirazione), e in esso passano i principî nutritivi assorbiti a livello della mucosa intestinale per essere trasportati e distribuiti ai varî organi e tessuti, dove sono utilizzati a scopi energetici e plastici oppure immagazzinati come materiali di riserva. Locuzioni: s. arterioso, s. venoso (anche, s. rosso, s. blu); la formazione del s., o emopoiesi; la circolazione del s.; s. ricco, s. povero di globuli rossi; animali a (o di) s. caldo, i vertebrati che ànno la temperatura corporea costante, come i mammiferi e gli uccelli (detti perciò omeotermi); animali a (o di) s. freddo, i vertebrati con temperatura interna variabile in relazione alla temperatura ambiente, come i rettili, gli anfibî, i pesci (detti perciò eterotermi); coagulazione del s.; prelievo di s.; analisi, esame del s.; trasfusione di s.; datori o donatori di s. (anche volontarî del s.), v. datore. Nel linguaggio com.: avere il s. sano, essere di buon s.; avere il s. malato, guasto, infetto; pop., avere il s. grosso o ingrossato, avere la pressione alta (espressione che risale alla vecchia teoria umorale, nella quale si contrapponeva a s. sottile); prov., il riso fa buon s., fa bene alla salute; occhi iniettati di s., espressione con cui si indica comunem. l’iperemia dei vasi superficiali dell’occhio, soprattutto in quanto sia conseguente a uno stato di violenta eccitazione.
b. Il liquido organico stesso considerato nel suo apparire all’esterno dell’organismo, in quanto eliminato o perduto per cause fisiche, patologiche, traumatiche, ecc.: un getto, un fiotto, un grumo, una goccia, una stilla di s.; s. rosso, nerastro; la ferita fa s., getta s.; perdere s. (fam. fare s.); dal taglio il s. esce, spiccia, sprizza, sgorga abbondante; filare s., quando esce con getto continuo (la mano ferita gli filava s.); nell’uso com., perdere s. dal naso, avere un’epistassi; avere una perdita di s., un’emorragia; sputare s., avere uno sbocco di s., avere un’emottisi; fermare, fare stagnare o ristagnare il s., quando viene perduto per una ferita o un’emorragia; cavare, levare il s., fare un salasso; non avere s. nelle vene, non rimanere piú s. nelle vene, in usi fig. (v. vena2, n. 1 b); un apporto di s. fresco, in senso fig., un apporto di elementi nuovi, giovani, freschi, capaci di ridare vigore a situazioni in stato di debolezza, precarietà, esaurimento (la concessione del mutuo rappresenta un apporto di s. fresco per l’azienda). Per il modo prov., scherz., levare o cavare s. da una rapa. Pietra del s. (o sanguinella), altro nome del diaspro rosso, cosí chiamato perché anticamente ritenuto efficace contro le emorragie.
c. Con riferimento al colore: rosso come il s., o, in funzione appositiva, rosso sangue, rosso vivo, fiammante (a volte anche rosso di s.); con allusione al colore della carnagione: à gote latte e s.; quel bambino è tutto latte e s., à un viso bianco e rosso, segno di buona salute.
d. In frasi di tono enfatico, con allusione al fatto che il sangue è essenziale alla vita, e quindi cosa assai preziosa: amare qualcuno piú del proprio s.; darei metà del mio s., tutto il mio s. pur di vederlo guarito.
e. Come simbolo di fatica e dolore, in senso sia fisico sia morale: costare s., sudare s., richiedere, sopportare un’enorme fatica; piangere lacrime di s., piangere amaramente, sconsolatamente; succhiare il s., esigere da una persona tutto ciò, o anche piú di ciò, ch’essa possa dare, per quanto riguarda il lavoro, un’attività e, soprattutto, il denaro: governo, fisco che succhia il s. dei cittadini; usurai arricchitisi succhiando il s. della povera gente.
2. a. Sangue umano uscito dal corpo in seguito a ferite, spec. mortali, inferte volontariamente: battere, percuotere, mordere a s., con tanta violenza da far sanguinare; duello all’ultimo s., combattere fino all’ultimo s., fino a che uno dei contendenti resti ucciso (propriam., fino a che rimanga nel corpo ancora una goccia di sangue); duello al primo s., battersi al primo s., con l’accordo di sospendere il duello alla prima ferita; iperb., la vittima giaceva in una pozza, in un lago, in un mare di sangue.
b. Con valore simbolico, ferimento, uccisione, strage: spargere s., commettere delitti, stragi: Io che sparsi di s. ampio torrente (T. Tasso), che feci grandi stragi; sacrificio con, senza, spargimento di s., cruento, incruento; delitto, reato, crimine di s.; nella cronaca giornalistica, un grave fatto di s., un delitto; uomo di s., sanguinario, portato alla violenza: io ’l vidi omo di s. e di crucci (Dante); avere le mani lorde di s., imbrattate di s., che grondano s., che ànno ucciso; lavare un’offesa nel s., onta vendicata col s., con la vita dell’offensore; il s. innocente grida vendetta; che il suo s. ricada su di voi!; prezzo del s., presso popoli antichi o primitivi, somma di denaro che dev’esser pagata dall’omicida ai congiunti dell’ucciso come riscatto del proprio delitto (con altro senso, ottenere, raggiungere qualche cosa a prezzo del s., a costo della vita); avere sete, essere assetato di s., essere spinto al delitto da follia omicida o da grande desiderio di vendetta: Sangue sitisti, e io di sangue t’empio (Dante); al contrario, aborrire il s., aver orrore del s., di persona d’animo mite, aliena per natura dalla violenza. Il fiume di s. bollente, nell’Inferno dantesco, il Flegetonte (Inf. XII, 47-48: La riviera del s. in la qual bolle Qual che per vïolenza in altrui noccia), che attraversa il cerchio 7° e nel quale sono puniti i violenti contro il prossimo.
c. In partic., sangue versato nelle lotte o discordie civili, nelle guerre, o comunque per motivi politici o sociali: temprando lo scettro a’ regnatori, Gli allor ne sfronda, ed alle genti svela Di che lagrime grondi e di che sangue (Foscolo); spargere, versare s. fraterno, nelle lotte intestine; soffocare una rivolta nel s., uccidendo i ribelli; l’insurrezione è finita in un bagno di s., si è conclusa con un massacro; scorreva per le vie il s. dei cittadini; notte di s., giornate di s., in cui siano state compiute gravi stragi di cittadini, di avversarî politici, ecc.; Natale di s. (v. natale, n. 2 b); in tono enfatico, essere scritto a lettere o a caratteri di s., di eventi storici grandi e solenni che siano maturati attraverso lotte dolorose e con molte perdite di vite umane. Con sign. piú prossimo a «vita umana»: dare, versare il s. per la patria, morendo sul campo di battaglia; Ove fia santo e lagrimato il sangue Per la patria versato (Foscolo); essere pronto a donare il s. per un’idea, per un ideale, a sacrificare la vita; l’indipendenza fu conquistata con il s. degli eroi; una vittoria che costò molto s.; quanto s. è costata la riconquista della libertà!; pagare un tributo di s., subire gravi perdite di vite umane. Nel linguaggio religioso e nella storia della Chiesa: fede rinvigorita dal s. dei martiri; battesimo di s., il martirio (v. battesimo, n. 1 a); l’umanità è stata redenta dal s. di Gesú; Nel tempo che ’l buon Tito ... vendicò le fóra Ond’uscí ’l sangue per Giuda venduto (Dante); il preziosissimo S., o il S. preziosissimo, anche senz’altra determinazione, quello sparso da Gesú Cristo sulla croce, e nel quale si trasforma quotidianamente il vino nel sacrificio della Messa.
3. In senso fig.:
a. Essenza vitale, sede della vita e dei sentimenti: non avere piú una goccia di s. nelle vene, sentire che la vita, le forze vengono meno; avere (una qualità) nel s., avere una disposizione, buona o cattiva, profondamente radicata in sé (à la musica nel s.; à la disonestà nel sangue); sentirsi qualcosa nel s., avere un presentimento particolarmente vivo e insistente; con riferimento a persona, avere qualcuno nel s., amarlo profondamente, essergli intimamente assai legato.
b. Lo stato d’animo, l’insieme degli atteggiamenti spirituali e delle passioni, spec. violente, di una persona, in quanto tutto ciò sembra essere in stretta relazione con diversi stati della circolazione del sangue, esercitando influenza su questi o, al contrario, essendone influenzato: guastarsi il s., irritarsi fortemente, arrabbiarsi; farsi cattivo s. (o il s. cattivo; anche, il s. amaro), tormentarsi, rodersi l’animo, prendersela molto a cuore; avere, non avere buon s. per qualcuno, averlo o no in simpatia; ant., andare a s., andare a genio; tra loro non corre buon s., non ci sono buoni rapporti, esiste animosità, acredine; il s. gli salí alla faccia, come manifestazione esteriore d’ira, di sdegno, di vergogna; il s. gli andò o gli montò alla testa, di chi è improvvisamente invaso dalla collera, dal furore; sentirsi rimescolare, rivoltare il s., provare grande turbamento, avvertire un sentimento di ribellione, di ripugnanza, di sdegno; sentirsi ribollire il s., esser vicino a scattare per lo sdegno, per l’ira; il s. gli fece un tuffo, a causa di una violenta e improvvisa emozione; sentirsi gelare o agghiacciare il s., allibire per il terrore; avere il s. caldo, il s. bollente, avere un temperamento focoso, facilmente infiammabile d’ira, d’amore, di passione, o anche d’entusiasmo; con senso affine, sentirsi bollire o ribollire il s. nelle vene; al contrario, non avere s. nelle vene, essere di temperamento freddo, insensibile, incapace di entusiasmo, di calore, di reazione e sim. (con sign. analogo, bisognerebbe non avere s. nelle vene, per non sdegnarsi, per non reagire, per non sentirsi invasi dalla passione o dall’entusiasmo). Come locuz. avv., a s. caldo, nel pieno dell’entusiasmo, dell’ira, della passione; piú com. il contrario, a s. freddo, a mente fredda, con piena consapevolezza delle proprie azioni, oppure freddamente, senza scomporsi: lo uccise a s. freddo. In altri casi, s. freddo, impassibilità, piena padronanza di sé e dei proprî nervi, che permette la visione realistica delle cose e una fredda obiettività di giudizio: tra tanti appassionati, c’eran pure alcuni piú di s. freddo, i quali stavano osservando con molto piacere, che l’acqua s’andava intorbidando (Manzoni); conservare, mantenere il s. freddo; non gridavano, non perdevano il s. freddo (Ottieri); mostrare s. freddo; e come raccomandazione a mantenere il controllo di sé: s. freddo, mi raccomando!; calma e s. freddo!, spesso in tono iron. con riferimento a chi si agita troppo o mostra impazienza.
4. Sempre in senso fig.:
a. Veicolo dei caratteri ereditarî, espressione della costituzione genetica (secondo un concetto scientificamente superato, ma tuttora vivo nel linguaggio com.): essere di s. nobile (pop. o scherz., di s. blu), di s. patrizio, appartenere a una famiglia di origine nobile, patrizia; al contr., essere di s. popolano, plebeo; príncipi di s. reale, discendenti di una famiglia reale; con sign. piú ristretto, príncipi del s., quelli che appartengono alla famiglia stessa del sovrano; uomo ... per costumi o per virtú, molto piú che per nobiltà di s., chiarissimo (Boccaccio); buon s. non mente, frase prov. che si usa pronunciare nel vedere risvegliarsi o manifestarsi in una persona, spec. un giovane o un bambino, certe inclinazioni, buone o cattive, che si ritengono ereditarie.
b. Sempre in senso fig.come nel caso che ci occupa:
Relazione di parentela, continuità della famiglia, della stirpe, in quanto si ritiene che il sangue si trasmetta dai genitori nei figli: ci sono tra loro stretti vincoli di s.; legami di s. tra due famiglie, tra due tribú, tra due popoli; avere lo stesso s., essere dello stesso s., appartenere allo stesso s.; tutti quelli del suo s., tutti i suoi parenti; la voce del s., l’istinto che fa riconoscere o amare i proprî parenti (sentire, ascoltare la voce del s.); il s. non è acqua, frase prov. che esprime, come ò anticipato la forza con cui si fanno spesso sentire i legami di parentela (con altro senso, la frase serve a giustificare la facile eccitabilità dell’animo, gli impulsi all’amore, all’ira, allo sdegno, e sim.).
c. Con sign. concr., famiglia, stirpe; piú spesso, unito ad un agg. possessivo, indica i membri di una stessa famiglia, i discendenti, i figli, o anche un singolo parente, un singolo figlio; ll’aggi’ ‘a ajutà è pur’isso sanco mio(devo aiutarlo, è anche lui s. mio); piú enfaticamente,è ssanco d’ ‘o sanco mio (è s. del mio s.), con riferimento a un figlio);lle vuleva bbene comme fósse sanco suĵo (l’amava come se fosse s. suo).
d. Con riferimento a unità etniche: essere di s. italiano, di s. tedesco, di s. arabo; à s. gitano nelle vene; s. misto, v. sanguemisto; anche, il complesso dei caratteri piú genuini e distintivi di un popolo: si vede che à s. siciliano; è il vero s. latino. Con sign. concr. e collettivo, l’insieme dei componenti di una stirpe o progenie, di una nazione, di un’unità etnica; non com., un bel s., una bella stirpe, una bella razza.
e. Analogam., nel linguaggio degli allevatori di cavalli e di altri animali domestici, puro s. (animale, cavallo di puro s., piú spesso in funzione di sost., un puro s., anche in grafia unita: v. purosangue), animale di razza pura; mezzo s. (anche in grafia unita: v. mezzosangue), l’ibrido o meticcio fra due razze diverse; quarto di s., l’individuo che discende da un mezzosangue, incrociato a sua volta con un’altra razza.
5. Sangue di un animale macellato: il sanguinaccio si fa con il s. di maiale; bistecca al s., poco cotta. Sangue di bue, nome con cui viene comunem. indicato in commercio un concime organico azotato ottenuto dal sangue di bovini macellati, seccato e ridotto in polvere, che viene poi usato di solito diluito in acqua.
6. Come elemento di espressioni esclamative o imprecative, in tono talvolta scherz. talvolta volg.: sanco ‘e Giuda!; sanco. ‘e Bacco! sanco ‘e chi t’è vvivo/’e chi t’è mmuorto ecc.; (s. di Giuda!; s. di Bacco!; sangue di chi ti è vivo/ di chi ti è morto!)
sperzo variante di sperduto voce verbale p.p. di sperdere(intensivo del lat. perdere, comp. di per 'al di là, oltre' e dare 'dare') che vale disperdere e dunque disperso,smarrito, perduto cioè senza continuità in quanto incapace di generare.
parzunaro s.vo m.le
1in primis colono, fittavolo
2estensivamente contadino, ortolano, coltivatore,mezzadro, fattore. voce dal lat. partion-ariu(m) dove si avverte il s.vo pars/partis addizionato del suffisso aro/a
suff. di competenza per sostantivi o aggettivi derivati dal latino o formati in italiano, che indicano oggetti,ma soprattutto mestieri (putecaro/bottegaio,rilurgiaro/orologiaio) oppure luoghi(lutammaro/letamaio), ambiente pieno di qualcosa o destinato a contenere o accogliere qualcosa suffisso che continua il lat. arius→aro
chiantaje = piantò,seminò voce verbale (3ª p.sg.pass. rem. dell’inf. chiantà = piantare, mettere a dimora, impiantare, seminare etc. dal lat. plantare con normale esito in chi del digramma pl (cfr. plumbeum→chiummo, plus→cchiú, plaga→chiaja, plattu-m→chiatto etc.).
‘a do’ = donde loc. avv.le formata dalla preposizione da→’a ( dal Lat. de ab nei valori di moto da luogo, origine, agente ecc. come nel caso che ci occupa; dal lat. de ad nei valori di moto a luogo, stato in luogo, destinazione, modo, fine ecc.)e dall’apocope dell’avv. dove→do’ (dal lat. dí ubi)
fove cuoveto = fu colto voce verbale passiva (3ª p.sg.pass. rem. dell’inf. cògliere (dal lat. colligere, comp. di cum 'con' e legere 'raccogliere'; tipica la forma cuoto/cuoveto del part. pass. dove si può notare l’esito in u/uov di ol + cons. come alibi al + cons. →u (cfr. altu(m)→auto/aveto);
servette = occorse, serví voce verbale qui intransitivo (3ª p.sg. pass. rem. dell’inf. serví =occorrere, essere necessario (dal Lat. servire, deriv. di servus 'schiavo');
scerià voce verb. infinito: soffregare, nettare, lucidare verbo che viene da un tardo latino: flicare = soffregare da cui felericare e poi flericare, donde scericare e infine scerià (per il consueto esito del digramma fl in sci (cfr. flos→sciore – flumen→sciummo – flamma→sciamma - flacces→sciocciole).
meglie = migliori, piú importanti,piú buone uso aggettivale al f.le pl. dell’avv. meglio (dal lat. meliu(s)); in napoletano si riscontra anche di questo avverbio un uso sostantivato al neutro ( ‘o mmeglio) per indicare il meglio,le cose migliori o la parte migliore di qualcosa; in tal caso trattandosi di voce neutra si esige dopo l’art. neutro ‘o il raddoppiamento iniziale della consonante per cui avremo ‘o mmeglio = il meglio,le cose migliori da non confondere con il maschile ‘o meglio= il migliore
maniglie s.vo f.le pl. di maniglia = manico, pomello, elemento facilmente impugnabile, di vario materiale e di varia foggia, che si applica a cassetti, porte, valigie, bauli e sim. per poterli aprire, sollevare o trasportare, oppure che si fissa a una parete o altro perché serva da appiglio; voce dallo spagnolo manilla che è dal lat. manicula(m), deriv. di manus 'mano';
‘attone = d’ottone; l’ottone (in nap. attone) è una lega inossidabile di rame e zinco, di colore giallastro, largamente impiegata per la costruzione e la copertura di oggetti vari: maniglie, candelabri etc. voce da un'ant. voce sicil. lottone/lattone, che è dall'ar. latun 'rame', con deglutinazione (separazione) della l- iniziale intesa come articolo; rammento che in napoletano spesso l’articolo o la preposizione che accompagna un s.vo viene fusa in posizione protetica con il s.vo e la sua presenza che non è apparente viene indicata con un apice posto innanzi la parola; nella fattispecie ‘attone sta per di ottone come alibi talora ‘ammore vale l’ amore/ di amore;
tauto/tavuto sost. masch. =bara che è dall’arabo tabut (arca), attraverso lo spagnolo ataúd/ataút;
addó/aró = cong. ed avverbio di luogo che usato genericamente vale dove oppure mentre, invece (con valore avversativo) usato nelle interrogative vale dove, in quale luogo? usato nelle esclamative vale proprio là dove! ; etimologicamente da un latino de ubi con successivo rafforzamento popolare attraverso un ad del de d’avvio;
la forma aró con rotacizzazione osco-mediterranea della l'occlusiva dentale sonora (d) e passaggio a scempia dell’originaria doppia ( derivante dall’ ad+de), è forma popolare del parlato, mentre la forma addó è d’uso letterario
stanno astipate =son conservate voce verbale passiva (3ª p.pl. dell’ind. pr. dell’infinito astipà conservare, riporre, custodire; astipà = ammassare cose in uno spazio ristretto; ammucchiare è da un lat.volg.ad+stipare→a(d)stipare→astipare rafforzativo di stipare; faccio notare che nella coniugazione è usato espressivamente a mo’ di ausiliare il verbo stare in luogo dell’ausiliare essere che avrebbe comportato il dire songo astipate; si ricorre al verbo stare al posto dl verbo essere
per sottolineare espressivamente la stasi nell’azione di riferimento: infatti dicendo stanno astipate si intende quasi assicurare che le cose che son conservate in un determinato posto, non verranno per il futuro mosse di lí, mentre dicendo songo astipate si sarebbe potuto intendere che non fósse possibile dare assicurazioni sulla amovibilità delle cose conservate!
osse = ossa dei defunti, resti delle parti dure di varia forma che formano lo scheletro dell'uomo; s.vo pl. f.le del maschile uosso (dal lat. tardo ŏssu(m), per il class.netro ŏs ŏssis;
cariulate = cariate, consumate, corrose, intaccate, erose, bacate voce verb. part. pass. agg.to f.le dell’inf. cariulà tarlare, rodere, consumare (denominale del lat. parlato cariŏlus dimutivo del lat. tardo carius per il cl. caries); muorte d’ ‘e muorte ‘e chi t’è mmuorto letteralmente morti dei morti di chi ti è morto id est: trisavoli dei tuoi antenati! muorto = morto, defunto agg.vo e s.vo m.le part. pass. dell’infinito murí ( dallat. volg. *mōrire, per il class. mŏri)
Infine rammento che la voce mannaggia non risulta essere una corruzione di madonnaccia, come qualcuno erroneamente pensa, ché se così fosse mannaggia sostanzierebbe una gravissima bestemmia, laddove essa risulta essere invece solo una contenuta esclamazione di rabbia e/o stizza o imprecazione rivolta contro qualcuno (mannaggia a tte!) o qualcosa (mannaggia â morte!) e sta per accidenti a, perbacco!, maledizione a..., ovvero "male ne abbia colui o la cosa contro cui è diretto il mannaggia.
Etimologicamente il termine mannaggia è appunto una deformazione ( per una sorta di sincope e fusione interna con raddoppiamento espressivo della nasale n) della frase: ma(le)+ n(e)= malanno aggia→ mannaggia= male ne abbia. In origine malanno aggia fu dal lat. malum + habeat.
Tra le iperboli offensive che era possibile udire nella città bassa ne riporto ora una che nella sua icasticità mi appare altamente espressiva; essa recitava esattamente, rivolta ad un individuo inteso veramente di basso profilo fisico e/o morale, Sî ‘a scumma d’’o surore d’’e ppacche d’’e cavalle ‘e Bellemunno, ‘ncopp’â sagliuta ‘e Puceriale che ad litteram è: Sei la schiuma del sudore delle natiche dei cavalli di Bellomunno(che si inerpicano) per la salita (che mena al cimitero )di Poggioreale. Non si può che apprezzare e sorridere davanti a cosí barocco eloquio!
Qui giunto non mi pare ci sia altro da aggiungere per cui mi fermo qui, sperando d’avere accontentato l’amico N.C. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e chi forte dovesse imbattersi in queste paginette. Satis est.
Raffaele Bracale
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