IL VERBO NAPOLETANO ‘MPARÀ/MPARARE
Questa
volta prendo spunto da una richiesta
fattami dal caro amico F.F.del quale, per problemi di risevatezza, posso solo
indicare le iniziali di nome e cognome, amico
facente parte della Ass.ne Ex Alunni
del Liceo classico G.Garibaldi di Napoli, che è uno dei miei abituali
ventiquattro lettori e che spesso si
sofferma a leggere le mie paginette sparse qua e la; dicevo che prendo
spunto da una sua richiesta relativa ad
una particolarità relativa al verbo napoletano in epigrafe.
Affronto súbito l’argomento dicendo che il
verbo napoletano in epigrafe è sí un verbo strano che vale sia insegnare che
apprendere: ad es.: t’aggiu ‘mparato ‘sta cosa vale ti ò insegnato ciò mentre m’aggiu ‘mparato ca nun t’aggio’a credere
vale ò appreso che non devo prestar fede a ciò che dici!
Entriamo
un po’ nel merito dicendo che
‘mparà/’mparare è voce verbale dell’infinito;di per sé
il verbo napoletano ‘mparare (con derivazione dal latino volg. imparare, comp. di in→’n ma’m davanti alla esplosiva consonante occlusiva
bilabiale sorda(p) o a quella sonora (b) illativo e parare
'procurare'; propr. procurarsi cognizioni,) varrebbe il toscano imparare,
ma spesso – come ad es. nel caso di una
notissima poesia di Raffaele Viviani: “Guaglione” - esso vale: insegnare, rendere edotto; per
cui l’ espressione usata dal poeta stabiese: tu, pate ll’hê ‘a ‘mparà sta per: tu,
padre, devi insegnargli (a vivere, a
comportarsi nella maniera piú giusta etc.).
Esaminando da presso questa
stramberia, reputo che probabilmente il verbo toscano insegnare fosse
totalmente sconosciuto nella parlata
meridionale sia sulla penna dei
letterati che sulla bocca del popolino e
si fosse preferito attribuirne il
significato al già noto imparare (‘mparà) piuttosto che tentare di coniare un nuovo verbo marcandolo ad es. sul lat. tardo insignare 'imprimere un
segno (nella mente)', comp. di in-
ed un deriv. di signum 'segno' come era accaduto per l’italiano insegnare;in effetti nel napoletano di per sé non esiste,né esistette, né si usò
o usa un generico vebo insegnare
che valga:fare apprendere con metodo, teorico o pratico, una disciplina
o un'arte e si preferisce usare di volta in volta accanto al generico
‘mparà che à tutta
l’aria quasi d’essere un ossimoro nei significati opposti di insegnare ed apprendere si preferisce usare di volta in volta verbi che valgono
sí insegnare ma che ànno particolari
nuances e sfumature; e tali verbi sono:
1)aducà=
formare con l'insegnamento e con l'esempio il carattere e la personalità
di...qualcuno ( adattamento del lat. educare, intensivo di educere
'trarre fuori, allevare', comp. di ex- 'fuori' e ducere 'trarre'),
2)allezziunà
= impartire una lezione sia in senso reale che in senso figurato (voce verbale denominale di
lectione(m)con protesi del rafforzativo ad→al);
3)
catechizzà
= indurre alla conversione ad un’idea, ad un principio, ad un comportamento; istruire
nel catechismo
(estens.) adoperarsi per convincere; indottrinare.( dal lat. eccl. catechizare,
che è dal gr. tardo katìchízein, deriv. di katìchêin 'istruire';
4)mmezzià = stimolare,
sollecitare, incitare al male (da un latino volgare *in
(illativo) +malitiare (denominale di malitia) nel senso di
spingere ad agire deliberatamente contro
l'onestà, la virtù, la giustizia etc. con consueta semplificazione
dell’ in d’avvio che aferizzato si assimila alla successiva
m dando ‘mm;
5)‘nzajà
=istigare, sobillare (dallo spagnolo ensayar
di pari significato). E
con questo penso d’avere esaurito l’argomento e d’avere contentato
l’amico F.F. ed interessato qualcuno dei miei ventiquattro lettori per
cui faccio punto fermo con il consueto satis est.
Raffaele
Bracale
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