martedì 15 ottobre 2019

VERMICELLONI CON SCAROLA ED ALICI FRESCHE SU SALSA DI FRESELLA


VERMICELLONI CON SCAROLA ED ALICI FRESCHE SU SALSA DI FRESELLA
Gustosissimo primo piatto estivo/autunnale leggero e nutriente che sposa i sapori del mare con quelli dell’orto.
Nota linguistica
Scarola  s.f.ed anche  scariola, è voce napoletana, derivata dal lat. volg. *escariola(m), che è  del lat. escarius 'che serve per mangiare', da ísca 'cibo, esca') ed usata a Napoli per indicare una  varietà di indivia;la voce pervenuta nel lessico dell’italiano,à finito per indicare  in alcune regioni, anche una varietà di lattuga o cicoria. Rammento che  a Napoli ed in Campania esistono due speci di scarola-indivia: la riccia e la liscia; la prima è usata essenzialmente da cruda in insalata da sola o con altri ortaggi come il  cavolo bianco lesso etc.  condita all’agro con olio aglio trito  e limone o aceto, mentre la scarola-indivia liscia viene usata da cotta dapprima lessata in acqua salata e poi saltata in padella con olio, aglio, acciughe, capperi ed olive nere di Gaeta; è con  quest’ultimo tipo di scarola-indivia che a Napoli si  prepara (nelle festività natalizie e di fine d’anno  la gustosissima pizza di scarole cotta al forno o fritta in padella, ed è questo tipo di indivia che ci servirà in questa ricetta.
Fresella s.f. voce di pretta origine meridionale usata per indicare un particolare gustosissimo  tipo di biscotto o galletta secca che per essere consumata occorre spezzettare ed ammorbidire in acqua o brodo;
la fresella napoletana, e meridionale in genere, altro non è che una fetta di pane messa nuovamente nel forno (e dunque biscottata): ma basta spugnarla con un po’ d’acqua, ed ecco che,  “dopo molto tempo”, quel pane lo si ritrova, pronto all’uso. La fresella è un cibo povero. Nel senso di “adatto ai poveri”, perché costa poco.
Ma è povera anche lei, priva com’è di tutto. Anche di grassi, il che la rende perfetta per  le diete. Assai piú dei crackers, e dei grissini che son grassi anzi che no, essendo fatti con l’olio, o con altri grassi, nel maldestro  tentativo di dar loro un po’ di sapore. Ma proprio qui sta la grandezza della fresella: lei non pretende nemmeno di avercelo, il sapore. La fresella si candida come umile compagna di viaggio, e in questo è impagabile. La sua asciuttezza le rende resistente al tempo ed alla distanza: trattandosi di pane già secco in partenza, non può infatti diventare secca.
 E soprattutto, non va a male.
Va piuttosto a mare: i marinai, costretti a lunghi mesi di navigazione senza toccare terra, se ne  portavano appresso quantità ragguardevoli. Se la mangiavano sul mare, e col mare: spugnandola cioè in un po’ d’acqua salata. In modo da ammorbidirla e salarla al punto giusto.
Non che abbiano smesso di farlo: le classiche gallette, ultima risorsa alimentare in condizioni di emergenza, sono strette parenti della fresella. Forse per via della storia di esploratrice e di giramondo che à, la fresella sta bene con tutto. E con tutti. La morte sua? Amica dei marinai com’è, il suo elemento è l’acqua. Da quella di mare, già citata, all’acqua dei fagioli. E per restare nel liquido, il brodo di polpo, ed il sugo della trippa (zuppa ‘e carnacotta).
La fresella è l’ingrediente-base della caponata. Una caponata senza la fresella è come Roma senza il Colosseo, Milano senza il Duomo, Napoli senza il Vesuvio: un’assurdità. Per fare la vera  caponata (napoletana), insieme alla fresella devono esserci l’olio, il pomodoro, l’origano e il sale (un pizzico, mai troppo!). Almeno in origine: poi vi si aggiungeranno ad libitum le acciughe (per l’apporto proteico), uova sode e, talvolta, le olive verdi. Ma della caponata ò già detto.
Tornando alla fresella, della sua presenza nel sud d’Italia ci sono testimonianze  già a partire dal 1300. Di lei rimane l’eco nelle voci dei venditori ambulanti. A Napoli le freselle le vendeva il tarallaro, che batteva incessantemente le strade della città coi suoi mitici taralli ‘nzogna e ppepe  contenuti entro una grande sporta, e tenuti in caldo con  una coperta o sacchi di juta.  Spesso il tarallaro  si portava appresso anche un po’ di freselle (come si vede, ancora una volta in posizione subalterna, mai protagoniste).
Intorno al 1870 questo era il grido del tarallaro: “Pe se scarfà lu vernecale dinto a  chistu piattiello, cótene cu freselle ogneduno sta a magnà!”(Per riscaldar lo stomaco, ognuno  mangia in questo piattino cotiche con freselle”) .
Cibo per lo stomaco del popolo, la fresella  è perciò presente nella lingua del popolo: il dialetto. E proprio in dialetto la citano due grandi della poesia napoletana, Salvatore Di Giacomo e Ferdinando Russo.
A segnalare la familiarità dei napoletani con la fresella, a Napoli questo termine passò, nei secoli scorsi, ad indicare le percosse (‘e mazzate), e l’organo sessuale femminile (“Chella guagliona teneva sotto ‘na fresella….”) .
Nel passaggio dal vernacolo alla lingua; dal popolino alla cultura, la fresella  sparisce. Nei dizionari italiani non comparve affatto, (ma oggi, finalmente!, il Treccani à reso giustizia alla voce  a margine…)  se non in quelli gastronomici. Uno per tutti, il Piccinardi, che alla voce frisella (a mio avviso,  improvvido ed inutile adattamento dell’originaria fresella o frisedda” recita: “Pane biscottato a forma di ciambella tipico della Puglia e della Campania. Viene fatto con farina bianca o integrale, acqua e lievito di birra. E dopo una prima cottura viene tagliato a metà e rimesso in forno a biscottare. Prima di essere consumato va ammorbidito in acqua fredda….”
Come per la caponata, sull’origine del termine fresella non vi sono certezze. Sgomberiamo per prima cosa il campo dalle false etimologie, che chissà perché sono di solito le piú accreditate: fresella  non deriva da fresa (. Semanticamente  le due cose non ànno visibilmente niente in comune, senza contare che la fresa (utensile a taglienti multipli che, montato su una fresatrice, un tornio o un trapano, serve per produrre scanalature, profili sagomati, allargare fori ecc.voce derivata dal francese fraise, deriv. di fraiser, propr. 'pieghettare') è nata molto tempo  dopo (fine XVIII sec.). Né è ipotizzabile, quantunque sostenuto da un qualche dotto studioso che fresella provenga da una  fresa  del latino med. dove stette per fava pestata; anche in questo caso mi pare che la semantica osti.
E nemmeno proviene da fresillo: in napoletano, nastrino. Anche se la forma oblunga di talune freselle potrebbe richiamare, alla lontana, un nastro.
Certe etimologie verrebbe voglia di  accreditarle solo per rendere omaggio alla fantasia degli studiosi che le ànno partorite. È il caso di questa che segue : frisoles, che però  in spagnolo vuol dire fagioli. Ed è appunto nella già ricordata acqua di fagioli bolliti  che un tempo veniva spugnata la fresella. Peccato che questa pratica fosse solo una delle tante, e certamente non la piú diffusa, tale da poter determinare il nome del biscotto intinto nell’acqua dei fagioli! 
Fresella deriva invece, con buona probabilità, se non certezza,  dal latino frendere, che vuol dire, spezzettare,  macinare, pestare, stritolare; e dunque fresella è un diminutivo del part. pass. f.le fresa del verbo frendere.Plinio usava infatti questo verbo nell’accezione di ridurre in piccoli pezzi, e dalla medesima  radice verbale  proviene l’aggettivo friabile. Ed in effetti la croccante e ruvida fresella, per esser consumata,   dev’essere piú o meno ammorbidita nell’acqua o in altri liquidi, e poi  sminuzzata per essere assunta con soddisfazione, anche senza l’aggiunta di condimenti o altro. alice s. f. (dal lat. hallex -ēcis «salsa di pesce»). – Altro nome com. dell’acciuga, spec. usato per indicare le acciughe salate o conservate sott’olio;  nome comune delle varie specie commestibili di pesci teleostei della famiglia engraulidi, e in partic. della specie Engraulis encrasicholus, nota più propriam. come a. europea e detta anche alice, distribuita e attivamente pescata in tutto il Mediterraneo, nel Mar Nero, e nell’Atlantico dalla Norvegia al Golfo di Guinea; à colore azzurrognolo sul dorso, argenteo sul ventre. Pasta di acciughe: prodotto ottenuto riducendo in pasta le acciughe salate e sott’olio. 2. fig. Di persona sottile, magra: è un’a.; e con allusione alle acciughe conservate in barile: stivare, esser pigiati come le acciughe.Per questa ricetta ci serviremo sia delle alici fresche che delle acciughe salate e sott’olio. E veniamo alla ricetta:
Ingredienti e dosi per 6 persone
6 etti di vermicelloni,
un gran cespo di scarola liscia,
5 etti di alici fresche eviscerate,  private di testa e  lisca nonché delle sottili spine della zona ventrale,lavate ed aperte a mo’ di libro,
1 etto di acciughe salate mondate e spinate o pari peso di filetti di acciughe sott’olio,
due freselle per complessivi 100 grammi, spezzettate e passate ad un mixer con lame da aridi,
2 bicchieri di olio d’oliva e.v.p.s. a f.,
2 spicchi d’aglio mondati e tritati finemente,
1 gran ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente,
un dado da brodo vegetale,
pepe nero macinato a fresco q.s.,
2 pugni di sale doppio,
6 cucchiai di pinoli tostati.
Procedimento
Si comincia con l’approntare le alici fresche lavandole, eviscerandole,  privandole di testa e  lisca nonché delle sottili spine della zona ventrale, ( queste spine che vanno eliminate troncando nettamente con un taglio alla francese tutte le zone esterne marginali della pancia, servendosi d’un coltello affilatissimo e flessibile, ponendo la lama a 45° sulle zone da eleminare e facendo scorrere la lama verso l’esterno; ), lavandole ed aprendole a mo’ di libro,e ponendole a scolare in uno colino.A seguire si  monda la scarola, la si lava e spezzetta e la si lessa brevemente in acqua salata (pugno di sale doppio); si appronta una capace padella antiderente e si manda a temperatura la metà dell’olio con metà degli agli tritati e metà delle acciughe sott’olio; in questo guazzetto si salta la scarola lessata ed adeguatamente scolata; si aggiungono le alici fresche, si rimesta e si tiene tutto in caldo; a seguire si appronta la salsa di fresella ponendo a mezza fiamma in un’altra padella l’olio, il trito d’aglio e le acciughe residui e quando le acciughe si saranno sciolte nell’olio bollente, si allunga il fondo con una tazza da tè di acqua bollente in cui si disciogle il dado ed appena il fondo riprende a sobbollire si versa il trito di freselle e si amalgama il tutto fino ad ottenere una salsetta morbida e fluida che si aromatizza ad libitum  con il pepe; se la salsetta risultasse troppo asciutta si aggiunge altra acqua bollente e si mantiene il tutto in caldo. A questo punto si lessano in 8 litri di acqua salata (pugno di sale doppio) al dente i vermicelloni, si scolano accuratamente e si trasferiscono nella padella con il sugo di scarola ed alici, rimestando accuratamente. Alla fine si impiattano ponendo al centro  dei singoli piatti  un paio di cucchiai della salsa di fresella e vi si pongano su due gomitoli di vermicelloni formati aiutandosi con un mestolo ed un forchettone. Vini:  secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve!
raffaele bracale


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