MAGNARSE ‘E MACCARUNE
Ad litteram: mangiare i maccheroni id est:capire l’antifona, fiutare il pericolo prossimo, mettendosi in guardia.
Alibi, il medesimo concetto lo si esprime dicendo: addurà ‘o fieto d’‘o miccio id est: subodorare il puzzo della miccia accesa; in coda di questa esplicazione, mi soffermerò sui singoli vocaboli in epigrafe o richiamati; per l’intanto dico che la locuzione in epigrafe, nasce dalla considerazione che gli abitanti del circondario partenopeo, (villici e cafoni) accreditati di scarso acume, erano detti mangiafoglie, mentre i cittadini che si ritenevano piú scaltri erano detti mangiamaccheroni ; per cui mangiarsi i maccheroni equivaleva, nell’inteso cittadino, ad essere scaltri, capaci di accorgersi di ciò che stesse per accadere non facendosi cogliere di sorpresa. Interessante notare come il medesimo senso della locuzione in epigrafe sia reso in italiano con la locuzione mangiare la foglia quasi volendo richiamare quello che altrove si dice che è il contadino (il mangiafoglie) quello ad aver il cervello fine, ad esser scaltro, certamente piú del cittadino (mangiamaccheroni). Per quanto riguarda l’espressione addurà ‘o fieto d’‘o miccio e cioè annusare il puzzo del lucignolo o meglio annusare il puzzo della miccia rammenterò che con la parola miccio (etimologicamente prob. dal fr. mèche, che è dal lat. volg. micca, per il class. myxa 'luminello, stoppino') , in napoletano si indica sia il lucignolo della candela che la miccia di un ordigno e nella fattispecie è questa seconda valenza che bisogna considerare giacché l’espressione nel suo significato nascosto sta per: fiutare un pericolo, accorgersi dell’approssimarsi di un danno; orbene il lucignolo della candela puzza quando da acceso diventi spento, ma allora non è foriero di alcun pericolo, mentre la miccia di un ordigno quando è accesa e sprigiona un suo greve olezzo, allora prospetta un prossimo, pericoloso scoppio.
Ciò detto, ritorniamo all’espressione in epigrafe, dicendo súbito che magnarse è l’infinito riflessivo del verbo magnà (magnare) etimologicamente forma metatetica del francese manger originata dal latino manducare incrociata con una voce popolare (gnam, gnam) di tipo onomatopeico.
maccarune/i plurale metafonetico del singolare maccarone = generica pasta alimentare, piú nota con varie specifiche denominazioni giusta il formato di detta pasta: lunga o corta, bucata e non; etimologicamente il termine maccarone deriva,secondo alcuni dal greco makaría= piatto di fave e fiocchi di avena, o da makariòs= beati o pasto funebre, a mio avviso è molto piú convincente l’etimologia che chiama in causa il latino maccare = impastare e comprimere (rammenterò infatti che originariamente i maccaruni latini furono essenzialmente della pasta casalinga (gnocchi) ricavata dall’impasto di farina, sale ed acqua; tale impasto veniva schiacciato (maccatus) e tagliato in pezzetti poi compressi tal quale i greco - napoletani strangulaprievete (vedi alibi).
Rammenterò ora i piú noti formati di detta pasta secca alimentare,
cominciando da quella lunga e doppia:
Maccarune ‘e zite = maccheroni da ragazze da marito; in effetti tali lunghi e doppi maccheroni di formato cilindrico a sezione circolare di ca un cm. di diametro venivano e talvolta vengono ancora usati , spezzati a mano in pezzi di ca 4 cm. di altezza, variamente e sontuosamente conditi, nei pranzi di nozze delle cd zite (etimologicamente collaterale popolare del toscano citta= ragazza nubile) e cioè le ragazze da marito; faccio notare come la voce zite plurale di zita nel significato di nubile da sposare è voce femminile e come tale al plurale preceduto dall’articolo ‘e, in napoletano va scritta con la geminazione della z iniziale: ‘e zzite; passata ad indicare, nel comune parlar napoletano , un tipo di pasta secca alimentare la voce zite à finito per essere inteso, come la maggioranza degli alimenti ( ‘o ppane, ‘o vino, ‘o ppepe, ‘o cafè etc.) neutro da scriversi e leggersi scempio: ‘e zite;
bucatine – pirciatielle = bucatini – foratini; bucatino = s. m.pasta alimentare consistente in un grosso spaghetto piuttosto doppio cavo. e bucato per tutta la sua lunghezza, va da sé che il nome bucatino è da collegarsi al fatto che tale tipo di pasta è bucata; la medesima bucatura centrale che percorre la pasta per tutta la sua lunghezza la si ritrova nei pirciatielle grossi spaghetti piú doppi dei precedenti bucatini; poiché la voce verbale bucare (perforare) non è napoletana, se ne deduce che tra bucatine e pirciatielle la pasta piú tipicamente partenopea sia la seconda, atteso che il verbo bucare (perforare) è reso in napoletano con la voce pircià (che è dall’antico francese percer) da cui derivano ‘e pirciatielle che ci occupano;
ancòra, trattando di pasta doppia, abbiamo:
mezzane tipo di pasta cilindrica doppia e corta: 4 – 5 cm. di altezza, ampiamente forata a superficie liscia o rigata (per trattener meglio il sugo) etimologicamente da un lat. medianu(m), deriv. di medi°us 'mezzo' atteso che tale formato di pasta fa quasi da mediano tra i formati lunghi e quelli corti;
maltagliatetipo di pasta simile alla precedente dalla quale si differenzia per aver, questa a margine le estremità tagliate, non perpendicolarmente rispetto all’asse minore, ma in maniera obliqua, tal quale le antiche penne d’oca usate per la scrittura: per tale taglio diagonale e non perpendicolare la pasta parrebbe quasi mal tagliata donde il nome; taluni rammentando il taglio a becco obliquo delle antiche penne d’oca, usano chiamare tale formato di pasta penne, ma è voce piú moderno rispetto alla classica maltagliate;
mezzanelle/mezzanielle con tale formato di pasta molto simile ai pirciatielli, sebbene di calibro piú doppio ci troviamo di fronte al formato che fa da trait d’union tra i formati doppi e lunghi e quelli di transito come i mezzani, da cui con un pretestuoso vezzeggiativo diminutivo traggono il nome sia che lo si intenda femminile (mezzanelle) sia che lo si intenda maschile (mezzanielle) rammenterò che mentre i perciatelli possono esser cotti e serviti, per come sono lunghi, questi a margine, per esser di calibro maggiore devono essere ridotti in pezzi di altezza di ca 3 cm.
Affrontiamo ora la vasta qualità dei formati lunghi, ma sottili e di diverso calibro; abbiamo:
spavette id est: spaghetti = pasta alimentare, di forma cilindrica lunga e sottile, che si mangia generalmente asciutta: spaghetti al...etc. la voce napoletana è un derivato di spavo = spago che è dal tardo latino spacu(m) con normale caduta della gutturale ed epentesi di un suono di transizione v.
vermicielli id est: vermicelli (dim. di verme) = pasta alimentare secca del tipo degli spaghetti, ma di calibro leggermente piú spesso;
linguine – lengue ‘e passere sia le prime che le seconde sono un tipo di pasta alimentare secca, lunga e sottile, simile a tagliatelle (che vedremo) molto strette; ambedue i tipi (ma segnatamente il secondo traggono il nome dall’accostamento alla voce lingua (di passero) cui – per lo spessore – assomigliano;alibi (Liguria) le linguine son dette trenette (dim. del genov. trena 'cordoncino, passamano'; cfr. trina);
tagliarelle – tagliuline ecco due formati di pasta alimentare secca fettucce – fettuccine che corrispondono ad un dipresso alle tagliatelle e tagliolini che invece son paste alimentari fresche, all’uovo ricavate da una cd pettola (la voce napoletana pettola è quella che rende l’italiana sfoglia; dirò súbito che con il termine pettola si indica innanzi tutto l'ampia falda posteriore delle camicia,quella che dentro o fuori i pantaloni insiste sul fondoschiena; estensivamente, con il medesimo termine – come ò accennato - , si indica quella che in toscano è detta sfoglia, che si ottiene con l’ausilio del matterello (la voce matterello, che è diminutivo di mattero, etimologicamente deriva da un antico latino mattaris o mataris= bastone, randello, voci probabilmente di origine gallica; talvolta nell’italiano mediatico s’usa in luogo di matterello, la voce mattarello,ma è uso errato in quanto mattarello è voce regionale (laziale)); con il matterello su di una apposita spianatoia si stende e si assottiglia, portandolo ad un consono spessore, l’impasto di farina, uova e/o altri ingredienti, per ottenerne, opportunamente tagliata o riempita, pasta alimentare o altre preparazioni culinarie; la sfoglia ripiegata su se stessa e tagliata a nastro piú o meno largo dà le tagliatelle o i piú stretti tagliolini che derivano il loro nome dal verbo tagliare che è da un tardo lat.taliare, deriv. del class. talea 'piantone, bastoncino'; cfr. talea;
Tornando alla voce pettola dirò che etimologicamente si fa derivare da un acc. latino: petula(m)con consueto raddoppiamento popolare della dentale T in parole sdrucciole, con derivazione radicale dalla radice pet di peto lat.:peditum;e non se ne faccia meraviglia: si pensi a su cosa insiste la originaria pettola!
Altra ipotesi, ma forse meno convincente, è che la pettola/pettula si riallacci al basso latino: pèttia(m)=pezza,nella forma diminutiva pettúla(m) e successivo cambio di accento che abbia dato péttula: questa etimologia può solleticare, ma è lontana dalla sostanza della péttola napoletana che non indica una piccola pezzuola quale appunto è la pettúla, ma, al contrario, un’ampia falda o congrua sfoglia di pasta.
Riprendiamo il ns. excursus sui varî formati lunghi di pasta alimentare secca; abbiamo:
lagane e laganelle che sono delle fettuccine piú o meno larghe; esse derivano il loro nome dal matterello con il quale si ricavano nella versione domestica all’uovo; in napoletano il matterello è detto laganaturo (che è da un originario greco laganon, latinizzato nel neutro plurale lagana poi inteso femminile.
E passiamo ad illustrare i formati corti delle paste alimentari secche; abbiamo:
don Ciccillo ‘ncruvattato letteralmente: don Francescino con la cravatta che sono dei grossi tubettoni cosí chiamati con riferimento a taluni antichi alti e duri colletti da camicia usati quando si indossassero ampie e congrue cravatte (che è dal fr. cravate, adattamento del croato hrvat 'croato'; propr. 'croata', poiché designava all'origine la sciarpa portata al collo dai cavalieri croati del sec. XVII);
tubbette e tubbettielle pasta corta cilindrica piú o meno grande con derivazione diminutiva e/o vezzeggiativa dalla voce tubo (che è dal lat. tubu(m); rammenterò che tali tipi di pasta assumono, secondo le varie industrie produttrici di paste alimentari, i piú svariati nomi sui quali non mi soffermo, mentre nel popolare parlare partenopeo tubbette e tubbettielle vengon detti paternoste o avemmarie secondo che siano piú grossi (paternoste) o piú piccoli (avemmarie) con riferimento – quanto al nome – non alle omonime preghiere, ma ai grani della corona del Rosario nella quale i grani per contare le avemarie sono piú minuti di quelli che segnalano il padrenostro;
elenco ora, infine, i principali formati minuti di paste alimentari secche usati per esser cotti in brodo o in minestre; e sono:
anellette cosí chiamati per aver la forma di piccoli anelli;
semmenze ‘e mellone cosí chiamati per aver la forma dei semi del melone (dal lat. tardo melone(m), nom. mílo, forma abbr. di melopepo -onis, che è dal gr. mílopépon -onos, comp. di mêlon 'melo, frutto' e pépon 'popone) che è frutto ovoidale a pasta bianca o gialla dolce e profumata, ricchissimo di semi giallastri da non confondere con il cocomero (che è dal lat. cocumere(m) dalla polpa rossa ed acquosa con semi radi, piccoli e neri;
sturtine il cui nome deriva dal fatto che detta pasta à la forma di un tubicino di piccolissimo calibro, piegato a mo’ d’archetto tal d’apparire storto/stuorto (p.pass. del verbo storcere che è dal lat. torquére 'strappare a forza girando o piegando, con tipica prostesi di una S intensiva);
rosamarina cosí chiamati per aver la forma degli aghi del rosmarino ( di cui la voce partenopea rosamarina è corruzione), pianta arbustiva con piccole foglie lineari persistenti e fortemente aromatiche e fiori in spiga violacei, profumati; detta pianta viene coltivata per le foglie, usate come aromatizzante in cucina, e per le infiorescenze, da cui si estrae un olio essenziale impiegato in profumeria. (etimo: ros marinu(m), propr. 'rugiada di mare', cosí detto perché cresce spontaneo nelle zone costiere mediterranee);
ponte d’aco = punte di ago: è un tipo di pasta secca alimentare di formato piccolissimo, lanceolato tal quale le punte degli aghi donde trae il nome;
acene ‘e pepe altro tipo di pasta secca alimentare di formato piccolissimo usato soprattutto per l’alimentazione di bambini piccoli e sdentati, non necessitando, per esser deglutito, di lunga e faticosa masticazione; va da sé che il nome gli deriva dal fatto di somigliare quasi ai piccoli acini/acene (dal lat. acinu(m)) di pepe (che è dal lat. piper piperis, dal gr. péperi, voce di orig. orientale) la notissima pianta tropicale rampicante le cui bacche rotonde, nere, di forte aroma, sono usate intere o opportunamente macinate come condimento.
E fermiamoci qui con l’elencazione dei formati della pasta secca alimentare, facendo un passo all’indietro per rammentare che con la voce generica maccarone, nella lingua napoletana si intende per traslato ed estensivamente la persona sciocca, il babbeo, lo stupido, anche se in tale accezione il napoletano suole dire: maccarone senza pertuso, e cioè maccherone non bucato nella convinzione che la pasta secca alimentare migliore sia quella lunga doppia, ma forata come zite, perciatelli etc., mentre spaghetti, vermicelli, fettuccine e similari siano di qualità inferiore; tanto è vero che s’usa dire: meglio unu maccarone ‘e zite ca ciente vermicielle ! di talché lo sciocco, il babbeo è ‘nu maccarone che sia però senza pertuso (= buco, foro da un lat. pertusiu(m) derivato di pertundere).
maccarone sàuteme ‘ncanna! = maccherone saltami in gola! detto di chi sia cosí tanto inetto, svogliato ed incapace di fare alcunché al segno di non sapersi o volersi nutrire da sé ed attendersi, addirittura!, che il cibo (maccherone) gli piova in gola per modo che gli sia evitato il fastidio di portare il cibo alla bocca;
sàuteme = salta a me; voce verbale dell’infinito sautà (che sia pure attraverso il francese sauter donde è pervenuto al napoletano è riconducibile al lat. volgare saltare frequentativo di salire; normale il passaggio di al→au;
‘ncanna = in gola; da in + canna (che è dal lat. canna(m), dal greco kanna) di per sé nome di vari oggetti di forma tubolare: canna di un'arma da fuoco; canne dell'organo; canna della bicicletta: il tubo orizzontale del telaio; canna fumaria, il condotto del camino, qui sta per gola, esofago, condotto respiratorio, tubo digerente;
maccarune vierde vierde o teniente teniente = maccheroni verdissimi o molto tenenti (che abbiano retto la cottura senza diventar molli) cioè pronti, duretti, di giusta cottura; a Napoli i maccheroni non vanno eccessivamente lessati, soprattutto quando si tratti di pasta lunga e non doppia!
vierde letteralmente verde, ma nell’espressione richiamata e nell’iterazione superlativa vale molto pronto, quasi duretto come un frutto che fosse non del tutto maturo e fosse perciò quasi verde ( che è dal lat. viride(m), deriv. di viríre 'verdeggiare'.
teniente o tenente = tenente, ma nell’ espressione e nell’iterazione
superlativa vale molto pronto, quasi duretto come cosa che abbia tenuto la cottura evitando di ammollarsi eccessivamente; letteralmente le voci a margine sono il participio presente del verbo tené (tenere) che è dal latino teníre, corradicale di tendere 'tendere'.
In chiusura di tutto quanto trattato rammenterò (oltre quella in epigrafe che mi à dato il destro per parlar di maccheroni, altre due tipiche icastiche espressioni partenopee che chiamano in causa i maccheroni; e sono:
È caruto ‘o maccarone dint’ ô ccaso letteralmente: È cascato il maccherone nel cacio id est: si è verificata una circostanza estremamente favorevole ed inattesamente proficua: per solito e normalmente è il cacio ad esser cosparso sui maccheroni, qui invece il maccherone casca e si rotola addirittura nel formaggio che viene per ciò ad essere attinto cosí tanto copiosamente da risultare cosa eccessiva quantunque gradevole e gradita; caruto = caduto voce verbale (part. pass.) dell’infinito cadé (cadere) che è dal lat. volg. cadíre, per il class. cadere con tipica alternanza mediterranea D/R; caso = cacio, formaggio (dal lat. caseu(m));
- Mmità a ccarne e maccarune letteralmente: Invitare a (desinare) carne e maccheroni, ma per traslato: Fare una proposta molto allettante, invitare qualcuno a partecipare ad un avvenimento oltremodo gradevole; un tempo, stante la grande miseria popolare dei napoletani, satollarsi improvvisamente – magari a sbafo – di carne e maccheroni fu ritenuto una gran fortuna; la carne ed i maccheroni furono, un tempo il pasto domenicale dei napoletani, pasto che ben difficilmente poteva venir consumato nei giorni feriali, se non per elargizione munifica di qualcuno.
‘Mmità voce verbale, infinito del verbo ‘mmità (‘mmitare) che è invitare
l’/etimo è dal latino invitare composto dalla particella in + vitare (dove vitare dovette significare volere e cioè: invitare qualcuno = voler qualcuno in un (consesso) in un (banchetto) etc.
La strada seguíta per pervenire a ‘mmità partendo da invitare è quella che prevede l’aferisi della vocale nella sillaba d’avvio e la successiva assimilazione progressiva che da nv porta ad mm come altrove che da invece portò a ‘mmece, inventare che condusse ad ammentà e poi ‘mmentà etc. In coda aggiungo l’espressione
'Nu maccarone, vale ciento vermicielle. ppure Meglio ‘nu maccarone ca ciento vermicielle
Letteralmente: Un maccherone, vale cento vermicelli.oppure meglio un solo maccherone, che cento vermicelli Ma le locuzioni non si riferiscono alle pietanze in sé. Il maccherone delle locuzioni adombra la prestanza fisica ed economica che la vincono sempre sulle corrispondenti gracilità, quantunque strictu sensu un maccherone (pasta doppia) sia veramente preferibile per gusto a cento vermicelli (pasta sottile).
E qui penso di poter fare punto.
Raffaele Bracale
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