SARCHIAPONE
Rispondo qui di sèguito alla cortese richiesta del mio carissimo amico P.G. ( del quale i consueti problemi di privatezza mi impongono l’indicazione delle sole iniziali di nome e cognome)che mi invoglia a parlare della voce napoletana in epigrafe. L’accontento súbito e comincio con il dire di trovarci davanti ad una parola, nata come aggettivo qualificativo e trasformatasi poi addirittura in nome proprio sia pure di esclusiva pertinenza teatrale.
Cosí come spiegato in tutti i calepini della parlata napoletana, antichi e moderni, che l’accolgono, col termine sarchiapone, peraltro di quasi esclusiva pertinenza maschile, (mai infatti mi è occorso di leggerlo o udirlo usato al femminile) si identifica l’individuo grosso e grasso, bietolone e melenso, nonché lo stupido, ma pure – stranamente – l’ipocrita, il furbastro, il volpone di tre cotte, e piú esattamente, con riferimento all’aspetto fisico, un tipo basso e storto. Si cominciò, intorno alla fine del 1600, ad usare l’aggettivo come nome, sia pure assegnandolo alle bestie e segnatamente ai cavalli arabi ( bassi e piccoli di stazza decisamente inferiore a quella dei cavalli di razza Persano (tipica razza campana) usati normalmente nel contado napoletano; ma fu Andrea Perrucci(Palermo 1651-† Napoli1706) che nel 1698, pubblicando sotto lo pseudonimo di Ruggiero Casimiro Ugone e con il titolo Il Vero Lume tra l’Ombre, ovvero la spelonca arricchita per la nascita del Verbo Umanato., quel lavoro che poi fu per sempre ricordato con il titolo di Cantata dei Pastori, fece entrare nell’ambito teatrale a pieno titolo come nome proprio, l’aggettivo sarchiapone attribuendo ad un comico personaggio (un nanerottolo, melenso, ma corpulento, ex barbiere d’un paese dell’entroterra campano da dove era fuggito dopo avere assassinato per futili motivi il sindaco paesano) il nome di Sarchiapone e facendolo agire con un suo degno compare un tal Razzullo, illetterato scrivano che fa degli strafalcioni e della atavica fame la sua divisa distintiva.
Rammenterò appena che i due nominati personaggi, sia pure concepiti dal Perrucci, come leggieri e di riempimento non ebbero, originariamente, i caratteri cosí violentemente e grottescamente beceri ed addirittura scostumati, ch’ebbero poi in seguito quando la Cantata non venne piú rappresentata secondo l’originario copione scritto dall’ abate Perrucci, ma nelle versioni storpiate, rimpolpate ed estese ad libitum da parte di teatranti rionali, che facendo scempio del primo copione, lo infarcirono, volta a volta di battute e scene addirittura laide di tal che talora gli organi di polizia dovevano intervenire vietando la rappresentazione della Cantata diventata non piú sacra rappresentazione, ma addirittura commediaccia da trivio!
Ricorderò qui ad esemplificazione di quanto appena riportato, la battuta d’ingresso di Sarchiapone nella Cantata cosí come ci è pervenuta: Chello ca m’abbuscaje(da un lat. abusicare=guadagnare, frequentativo di abuti) a spaccà prete, tutto me lu frusciaje(lemma onomatopeico:frusciare=sperperare) cu ‘na cecata! Che significa: Ciò che guadagnai, spaccando pietre, tutto lo dilapidai con una cieca! Va da sé che si tratta di una sconcia battuta anonima aggiunta da un teatrante rionale, giacché inuna sacra rappresentazione, ragionevolmente non si poteva originariamente ipotizzare la presenza di simili volgarità…
Ciò detto, torniamo all’aggettivo sarchiapone (che usato nei confronti dei ragazzi diventa un aggraziato diminutivo: sarchiapunciello) che denotò oltre tutto quanto elencato in precedenza anche l’uomo astuto e di pochi scrupoli, ma pur sempre ammantato di sorridente bonomia, caratteri questi che - sempre in ambito teatrale – connotarono taluni personaggi quali un frate furbo ed ipocrita ed altri consimili in talune opere del commediografo Pietro Trinchera (Napoli1702 -† ivi 1755).
Per ciò che concerne l’etimologia del termine sarchiapone, mi tocca, come per altri vocaboli napoletani, schierarmi contro l’ipotesi che propone (ma neppure… originalmente) la coppia Cortelazzo – Marcato che riesuma , ma a mio sommesso, e pur deciso avviso un pretestuoso ed inconferente fra’ Jacopone di cui sarchiapone sarebbe una corruzione; come ò detto, già in passato, qualcuno aveva battuto questa strada rammentando la figura del furbo, cattivo frate del Trinchera: fra’ Sarchiapone.
I piú preparati ricercatori partenopei bocciarono quell’idea, come – indegnamente – il sottoscritto ne boccia la riproposizione che ne fanno Cortelazzo e Marcato.E chiarisco qui i motivi della mia bocciatura:
se sarchiapone fosse stato generato dal trincherano fra’ Sarchiapone corruzione d’un fra’ Jacopone,l’aggettivo sarebbe derivato dal nome e non questo da quello ed in un’epoca decisamente posteriore rispetto alla fine del 1600 al tempo cioè del Perrucci.
Mi sembra molto piú probabile che l’aggettivo sarchiapone nonché il derivato nome proprio derivino, nel primo significato di uomo tutto di carne e quindi privo di spirito o intelletto, dal greco sarx(carne) e poiòs(da poieio=faccio, metto su) sulla scia dei piú preparati lessicografi napoletani che respingono, come faccio anch’io, la antica idea dell’abate Galiani che temporibus illis ravvisò in sarchiapone un greco: sarx + àpon(da apoieio= levo via), ma errò in quanto la sua idea semanticamente stravolgeva completamente il significato di sarchiapone che risultava essere (se figlio dell’ipotizzato galianesco sarx+àpon): privo di carne proprio l’opposto dell’ uomo tutto di carne, cosí come sarchiapone è da sempre inteso. E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento e soddisfatto l’amico P.G., interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste paginette.
Satis est.
RaffaeleBracale
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