PRIEZZA & dintorni
Questa volta, contrariamente a quanto succede spesso, non ò ricevuto da alcun amico la sollecitazione a parlare della parola in epigrafe e dei suoi eventuali dintorni; l’idea di parlarne mi è venuta ascoltando la canzone A Marechiaro in una pregevolissima interpretazione di Tito Schipa nome d'arte di Raffaele Attilio Amedeo Schipa (Lecce, 27 dicembre 1888 † New York, 16 dicembre 1965), che è stato un tenore considerato uno dei piú grandi "tenori di grazia" della storia dell'opera e che non à disdegnato di interpretare(lasciandone ottime incisioni) numerose canzoni napoletane, tra le quali per l’appunto quella A Marechiaro di Di Giacomo(Napoli, 12 marzo 1860,† ivi 4 aprile 1934) e Tosti (Ortona, 9 aprile 1846 –† Roma, 2 dicembre 1916) nella quale il poeta partenopeo scrive testualmente:
Quanno spónta la luna a Marechiaro,
pure li pisce nce fanno a ll'ammore...
Se revòtano ll'onne de lu mare:
pe' la priézza cágnano culore...
versi che a senso si posson rendere con:
Quando la luna appare (sul mare) di Marechiaro
Anche i pesci (si sentono spinti a) fare l’amore…
Si increspano le onde del mare:
per la gran gioia mutano di colore…
Colpito dalla bella immagine con la quale il poeta à inteso mettere in relazione l’increspatura delle onde con quel sentimento di piena e viva soddisfazione dell'animo che è proprio dell’essere umano, mi son deciso ad illustrare la voce napoletana in epigrafe, eventuali sinonimi e qualcuna delle corrispondenti voci dell’italiano.
Entriamo súbito in medias res parlando della napoletana priezza s. f. = gioia, allegria,ed addirittura tripudio,contentezza, letizia tutte voci che esprimono la festosa manifestazione di uno stato d'animo felice, gaio; in effetti la napoletana priezza (che un tempo fu registrata come prejezza (cfr. G.B. Basile , G.C. Cortese ed altri ) è vocabolo ( che ritroviamo con qualche diversa morfologia anche in altri linguaggi regionali centro-meridionali cfr. calabrese:prijízza, salentino: priscezza, pugliese: prescézze e varianti, abruzzese:prejézza) usato per significare qualcosa in piú della semplice gioia, qualcosa che va al di là anche della allegrezza vivace, della gaiezza giungendo addirittura ad una manifestazione vivace e rumorosa di felicità, di esultanza la stessa che si ritrova nei termini tripudio e letizia.
Non tranquillissima l’etimologia di priezza; c’è disparità di vedute tra gli addetti ai lavori di cui ò potuto compulsare i calepini; riferisco in primis l’idea dell’amico avv.to Renato de Falco che legge in priezza (cosa che del resto in ultima analisi fece pure il prof. M.Cortelazzo) una derivazione del lat. pretium nel senso di ricompensa remunerativa, appagante, allietante atteso che per l’amico de Falco la priezza è addirittura un giubilo ai confini dell’entusiasmo, un rallegramento intimo e profondo traboccante di soddisfatto appagamento, una gratificazione vera e propria che si può ritrovare appunto nel pretium latino. Voglio bene all’amico de Falco e molto lo stimo come glottologo e ricercatore del napoletano, ma questa volta penso che si sia lasciato trascinare dal suo amore per il latino e per il greco e non abbia colto la sforzatura semantica presente nella sua ipotesi;ragion per cui non mi sento di seguirlo lungo il percorso che à ipotizzato; ugualmente poco praticabili m’appaiono i sentieri etimologici imboccati dal defunto prof. F. D’Ascoli e dall’altro amico il carissimo prof. Carlo Iandolo; ambedue pensano ad un deverbale di priarse = rallegrarsi,gioire epperò per quanto riguarda l’etimo di priarse ànno idee diverse che semanticamente non mi convincono: Iandolo ipotizza (dubitativamente però) un lontano lat. precari sibi= pregare per sé con fiducia e speranza e francamente non trovo legami semantici fra un pregare (sia pure) per sé ed il rallegrarsi, lo gioire; il D’Ascoli (forse sulla scia del D.E.I.) pensa al catalano prehar che deriverebbe dal tardo lat. pretiare (ed ecco che, cacciato dalla porta, rientra dalla finestra il pretium ipotizzato da de Falco e dal Cortelazzo, portandosi però dietro, come ò detto – a mio avviso – una qualche incongruenza semantica che si legge nello sforzato legame tra la ricompensa remunerativa, appagante, allietante di pretium e la vera e e propria allegria e gioia che non mi pare siano obbligatoriamente frutto di remunerazione! No, non ci siamo! Non mi sento di seguire né D’Ascoli, né l’amico Iandolo, né Cortelazzo,né il D.E.I. e neppure l’amico de Falco. Meglio, a mio avviso,affidarsi al Rohlfs che lesse in priezza un deverbale dell’ ant. francese preister.
Sistemata cosí la voce priezza rammenterò che in napoletano i sinonimi di tale voce piú usati sono i seguenti:
addecrío/arrecrío s.m. = esultanza, piacere anche fisico, non solo spirituale, soddisfazione; come si vede si tratta di voce che si riferisce a sentimenti piú pregnanti e corposi dell’esaminata priezza; etimologicamente il vocabolo a margine ( ne parlo al singolare trattandosi infatti di un solo termine attestato sia come addecrío che nella forma arrecrío con la tipica rotacizzazione osco-mediterranea della d che diventa r) è un deverbale di addecrià/arse/arrecrià/arse = allietare/arsi, sollazzare/arsi, provare allegria che etimologicamente è da un lat. volg. *ad-recreare→arrecreare→arrecriare= vivificare, dar conforto e ristoro.
allerézza/allería s.f. allegrezza vivace; gioia, gaiezza, ilarità pur senza giungere a manifestazioni di entusiasmo, festosità, tripudio, manifestazioni che appartengono invece alla esaminata priezza; etimologicamente ambedue le voci a margine derivano probabilmente dal fr. ant. allègre, che è dal lat. alacre(m):
alleria si è forse formata aggiungendo al tema alle(g)r il suffisso femminile di nomi astratti ía ( suffiso greco in quanto sposta sulla desinenza l’accento, mentre lo ia suff. latino mantiene l’accento radicale per cui si sarebbe ottenuto allèria e non l’attestata allería;
allerezza si è invece forse formata aggiungendo al tema alle(g)r il suffisso femminile ezza che ripete il suff. lat. itia dei nomi astratti.
Però se non si vuole pensare per l’etimologia delle voci a margine al fr. ant. allègre con la successiva strada morfologica che ò indicato, si può ipotizzare, come fa il prof. C. Iandolo, direttamente un lat. volg. *allecritia→allegritia e successiva semplificazione gritia→ritia (cfr. gruosso→ruosso); questa strada (aggiungo io) ci consente poi forse di ottenere ambedue le voci allerézza ed allería:1)*allecritia→allegritia→alleritia→allerezza:
2) *allecritia→allegritia→alleritia→aller(it)ía;
Cuntentezza s.f. astratto contentezza, appagamento, soddisfazione intima, allegrezza anche vivace; gioia, gaiezza, ilarità che possono anche giungere a manifestazioni di entusiasmo, festosità, tripudio, manifestazioni che appartengono alla esaminata priezza; etimologicamente la voce è un derivato di contento ( dal lat. contentus, part. pass. di continēre "contenere", quindi propriamente "contenuto, pago di qualcosa, appagato)con l’aggiunta del suff. femminile ezza che ripete il suff. lat. itia dei nomi astratti.
Contiento/cuntiento s.m. letteralmente oggi, sebbene voce in disuso,(con etimo dal lat. contentus, part. pass. di continēre "contenere", quindi propriamente "contenuto, pago di qualcosa, appagato) indica il sovrappiú, l’aggiunta, il contentino, ciò che si dà, o meglio si dava in piú di quanto stabilito o dovuto, per accontentare qualcuno, come nel caso delle derrate alimentari concesse gratuitamente dal negoziante in aggiunta o eccedenza sul peso;un tempo, soprattutto la prima delle due voci a margine venne invece usata quale esatto sinonimo della voce precedente;ò trovato altresí usata la voce cuntiento impropriamente in luogo di cuntento che è invece l’esatta forma in napoletano dell’italiano contento.
Joja s.f. astratto voce desueta e pochissimo usata anche nel passato nel significato di gioia, gaiezza etc. avendo i napoletani usato sempre una delle voci fin qui esaminate con preferenza per priezza o allerezza; la voce a margine (che a mio avviso deriva dal fr. joie, che è dal lat. gaudia, neutro pl. di gaudium ) fu registrata da R. D’Ambra nei soli significati di zacchera, bagattella,ciancia, baia per cui è giocoforza pensare che i significati di
1sentimento di piena e viva soddisfazione dell'animo; allegria, letizia, felicità,
2 persona, fatto o cosa che è causa di felicità, fonte di soddisfazione o di consolazione siano significati attribuiti alla voce a margine solo successivamente, tenendo dietro al significato della voce francese donde si trasse quella di cui parlo.
Rammento a margine della voce testé esaminata che il napoletano d’antan ebbe anche la voce gioja ma con etimo dallo spagnolo joja nel significato (che esula da quelli in esame) di gemma, gioia, monile
Scialata s.f. voce dall’ampio ventaglio di significati tra i quali in primis: largo e sovrabbondante uso di danaro o di beni, sfarzo, lusso smodato ma (ed è il caso che ci occupa) per ampiamento semantico il grandissimo godimento e l’enorme soddisfazione con relative allegria, letizia, felicità che se ne ricava. Etimologicamente è un deverbale di scialare che è dal lat. ex-halare= espirare, metter fuori, spandere.
Giunto a questo punto e prima di concludere illustrando qualcuna delle voci dell’italiano estranee al napoletano, ma riportate in queste paginette mi pare utile indicare una sorta di scala di valori delle voci napoletane riportate, partendo dalla voce che indica il moto d’allegrezza meno forte e/o profondo, per giungere a quello maggiore e/o piú corposo.
Abbiamo nell’ordine partendo dal basso: joja, cuntiento, cuntentezza, allerezza, priezza, addecrio, scialata.
Veniamo in coda alle accennate voci forti o strane o meno note dell’italiano, pur se mi limiterò, per non eccedere, ad illustrarne solo alcune;precisamente abbiamo:
esultanza: s. f. [dal lat. tardo exsultantia]. - Gioia intensa e anche chiassosa.In napoletano si rende con addecrio
letizia s. f. [dal lat. laetitia(m), deriv. di laetus 'lieto' ]. gioia, allegria molto intensa,soprattutto spirituale spesso accompagnata da manifestazioni esteriori. In napoletano si può rendere con priezza.
tripudio s. m. [ dal lat. tripudiu(m), comp. di tri- 'tri-' e pís pedis 'piede', prob. perché la danza aveva un ritmo di tre tempi che si batteva con il piede a terra. ]
1 nell'antica Roma, danza dei sacerdoti salii |
(poet.) danza
2 manifestazione vivace e rumorosa di gioia, di esultanza;
3 (fig.) aspetto gioioso. In napoletano si può rendere con allerezza.
Zacchera s. f.[dal longob. zahar 'goccia, lacrima ].
1 schizzo di fango sui vestiti o sulle scarpe; pillacchera:
2 (fig. non com.) inezia, bagattella, cosa da nulla;
ciancia s. f.[deverbale di cianciare voce onomatopeica= fare discorsi inutili ;2 divertirsi, scherzare. ]. 1 (spec. pl.) discorso inutile, sconclusionato o non rispondente al vero: raccontar ciance
2 (ant.) scherzo, burla.
baia s. f.[ dall'ant. baiare "abbaiare" ]. scherzo, canzonatura, spec. nella loc. dar la baia, prendere in giro, burlare; sciocchezza, inezia. Sia ciancia che baia nel significato di scherzo, burla, canzonatura si rendono in napoletano con pazzía voce deverbale del greco pàizō= giocare.
E qui penso di poter far punto, appagato di quel che ò scritto. Satis est.
Raffaele Bracale
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