venerdì 30 agosto 2013
RANFA/GRANFA
RANFA/GRANFA – ranfa ‘e purpo e dintorni.
Letteralmente: granfia, artiglio,grinfia., branca; ranfa ‘e purpo: tentacolo di polpo e per traslato maneggione; per dileggio poi, nell’inesatto diminutivo ranfetella, vale matto; ò parlato di inesatto diminutivo in quanto l’esatto diminutivo di ranfa è ranfulella voce mai peraltro usata e sostituita nel parlar comune nel senso di piccola granfia, piccola branca o piccolo tentacolo con la voce ranfetella che di per sé è l’esatto diminutivo di ranfata = colpo inferto con la ranfa, ma con la voce ranfetella si suole indicare – come ò detto – il diminutivo (quantunque inesatto) di ranfa. Prima di soffermarci sulla ranfa di purpo, soffermiamoci sulla generica ranfa o granfa che è, come detto in avvio: granfia, artiglio; grinfia, branca; non di tranquilla lettura l’etimo della ranfa partenopea; qualcuno (Altamura, de Falco ) fanno risalire la voce partenopea ad un greco ramfos (uncino); stimo ambedue i lessicografi partenopei in ispecie il de Falco, dotto e simpatico amico, ma nella fattispecie non posso aderire alla sua idea; è pur vero che la lingua napoletana è diretta figlia del basso latino e greco, ma ciò non significa che tutti i lemmi partenopei debbano o abbiano avuto culle latino-greche: molte voci sono figlie del longobardo, tedesco, francese, spagnolo, arabo e perfino turco; nel caso di ranfa mi sembra che (attesa l’esistenza di omologhe voci toscane: ranfio= uncino, lombarde: ranf = uncino,artiglio) si possa accogliere l’idea comune di molti studiosi (Battisti, Alessio, Cortelazzo, D’Ascoli, C. Jandolo) che tutte queste voci discendano da un’unica, comune radice longobarda: rampf ed aggiungo che nulla vieta di pensare che anche il greco ramfos abbia avuto la medesima origine.
E veniamo alla ranfa di purpo, che propriamente è il tentacolo che è dal latino scient. tentaculum, deriv. del lat. class. temptare 'tentare, tastare' (organo flessibile di forma allungata, presente in numero vario sul corpo di alcune specie animali (celenterati, anellidi, cefalopodi ecc.), generalmente con funzione prensile e di movimento; in senso figurato: cosa che avvinghia),del polpo voce che è dal basso latino pulpu(m), dall'incrocio di polypus 'polipo' con pulpa 'polpa'(mollusco cefalopodo marino privo di conchiglia, con corpo carnoso a sacco, testa larga munita di becco, grossi occhi sporgenti e otto lunghi tentacoli provvisti di ventose; è comune nel Mediterraneo e nell'Atlantico; ne esistono di varie grandezze e qualità: quello piú grosso (detto purpo ed al plurale purpe con etimologia che è la medesima di polpo ) viene –consumato quasi esclusivamente bollito e se ne ricava il c.d. broro (dal tedesco bròd) ‘e purpo brodo di polpo ricavato dalla lunga bollitura di un grosso polpo in acqua e vegetali addizzionati di sale e moltissimo pepe nero macinato; questo brodo viene o veniva servito da tipici venditori ambulanti, in ampie e capienti tazze assieme a piccoli pezzi delle ranfe (tentacoli) del polpo opportunamente sezionate.
I polpi di medio-piccola grandezza, quelli che in toscano sono impropriamente detti polipetti ( che risulta essere il diminutivo di polipo (con derivazione dal lat. polypu(m), dal gr. poly-pous, comp. di poly 'poli-' e póus/ podós 'piede', quindi propr. 'che à molti piedi') voce diffusa ma, come detto, impropria per polpo.), in napoletano si rendono con il termine purpetielle diminutivo attraverso il suffisso tiello/tielle di purpo; in corretto toscano in luogo di polipetti occorrerebbe usare la voce polpetti, purtroppo l’uso (pur se errato) ormai la fa da padrone e non v’ à da farsene meraviglie. Tornando ai purpetielle rammenterò che a Napoli è d’uso cucinarli brevemente (ben eviscerati, lavati e sgrondati) in un guazzetto d’aglio tritato,olio, pomidoro pelati, abbondante trito di prezzemolo e pepe nero; cucinati in tal guisa son detti purpetielle â luciana (polpi alla maniera dei pescatori di S. Lucia (il piú antico e famoso borgo marinaro di Napoli, abitato un tempo quasi esclusivamente da pescatori detti appunto ‘e luciane in quanto nella strada che abitavano esisteva un’antica chiesa dedicata a santa Lucia, cui i pescatori erano molto devoti)); quando al guazzetto summenzionato vengono aggiunte olive nere (di Gaeta) denocciolate ed abbondanti capperi dissalati, e se ne prolunga il tempo di cottura, si ottengono i cosiddetti purpetielle affucate (polpi affogati); la voce verbale affucate risulta essere il part. passato aggettivato femm. dell’infinito affucà/are da un lat. volg. *affocare per offocare 'strozzare', da ob e fauces, pl. di faux -cis 'gola', quasi che i piccoli polpi fossero strozzati, lasciandoli annegare e soffocare nel guazzetto; sia i polpi alla luciana che quelli affogati vanno cucinati rigorosamente senza aggiunta di acqua; a Napoli s’usa dire: ‘o purpo s’à dda cocere dinto a ll’acqua soja (il polpo deve cuocere nel proprio umore) e tale norma vale sia in senso pratico culinario, che in senso estensivo e traslato . La locuzione infatti fa riferimento a tutte quelle persone che recedono da certe posizioni solo se si autoconvincono; con costoro è inutile ogni opera di convincimento, o razionalizzazione; bisogna armarsi di pazienza ed attendere che si autoconvincano, come un polpo che per cuocersi non necessita di aggiunta d'acqua, ma sfrutta quella di cui è composto.
Rammenterò che i purpetielle cosí come i piú grossi purpe si dividono (a seconda il numero di file di ventose dei tentacoli) in:
purpe verace (doppia fila di ventose) e purpe senische (unica fila di ventose); l’aggettivo verace che è dal lat. verace(m), deriv. di vírus 'vero' starebbe per genuino, vero, non falso , ma riferito al polpo serve a distinguere quello, come ò detto, provvisto, sui tentacoli, di una doppia fila di ventose; altro elemento distintivo del polpo è il suo colore che nel verace vira dal bianco al rosa tenue; il polpo senisco (non esiste parola che in italiano la traduca; si potrebbe usare, tenendo presente l’etimo, il termine cinerino, ma è solo una sommessa proposta: è molto piú bella la voce senisco !) è quel polpo (meno pregiato e saporito) provvisto sui tentacoli di un’unica fila di ventose e deriva il suo nome dall’aggettivo tardo latino cinisculus = di color cinereo derivato di cinis = cenere, presentando un colore decisamente grigiastro, cinereo; omologhi del napoletano senisco, sono i salentini: ciniscu, cenische il barese scinisco, il lucano geniscu e l’abruzzese inisca; una classe a parte sono quei piccolissimi e tenerissimi polpi da consumar, si dice, in un sol boccone detti in italiano moscardini ed in napoletano muscarielle (per l’intenso odore di muschio che emanano): sia per moscardini che per muscarielle l’etimo è il medesimo: deriv. di moscado, forma ant. di moscato (nel sign. di 'muschio'), con influsso di moscardo (per la presenza di piccole macchie sul mantello); per il napoletano muscarielle occorre ricordare che nell’area mediterranea spesso una D→R.
Fraseologia: Farse ‘nu purpo: letteralmente: farsi (ridursi)(come) un polpo id est: bagnarsi accidentalmente per un’ acquazzone improvviso cosí tanto da somigliare ad un polpo pescato di fresco, grondante d’acqua.
Rammenterò infine che con la parola purpo nell’espressione sî propeto ‘nu purpo! (sei veramente un polpo!), riferita furbescamente e per dileggio ad uomo o donna, ma piú spesso ad una donna, si suole indicare una persona non avvenente, quando non eccessivamente brutta.
Raffaele Bracale
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